LA PROTERVIA TEOLOGICA
RISPOSTA ALL’ARTICOLO DI ENRICO RADAELLI
“Custos quid de nocte”
di Fra Leone da Bagnoregio
Alcune settimane orsono pubblicammo su richiesta di amici, un articolo di risposta alla precedente discussione intavolata dal Prof. Enrico Radaelli sulla fallibilità del magistero ecclesiastico, al tale articolo non abbiamo avuto risposta. In questo momento in cui il relativismo sia dottrinale e morale pervade le coscienze di coloro che un tempo erano cattolici e che ora brancolano privi di certezze, in un limbo avvolto dalle nebbie, continuare ad affermare con sofismi un errore più volte condannato dai papi è non solo temerario, ma rasenta quella protervia che conduce ineluttabilmente all’eresia!
Qui lo riproponiamo con alcuni accrescimenti e qualche espunzione, come detto nello studio precedentemente non vogliamo prendere in considerazione i teologi post conciliari, ma abbiamo come riferimento soltanto i teologi preconciliari che sono unanimemente concordi nell’affermare certi principi propri della teologia cattolica.
IL MAGISTERO DELLA CHIESA
Prima di tutto sbarazziamo il campo dagli equivoci come si è evidenziato in un precedente studio (1) esistono i seguenti tipi di magistero ecclesiastico:
A - Magistero Infallibile della Chiesa:
B - Magistero Infallibile del Papa
Vi sono quindi altri atti considerati come infallibili virtualmente dai teologi con la nota di “teologicamente certi” o “prossimi alla fede” perché collegati ai primi:
C – Magistero ordinario del Sommo Pontefice (non infallibile nelle definizioni).
D – Magistero della Chiesa (non infallibile nelle definizioni) (3).
I documenti del Vaticano II non dovrebbero far parte del Magistero Infallibile della Chiesa, anche se alcuni teologi credono che si debba ricomprendere nel Magistero ordinario universale, secondo altri tale affermazione è di dubbia interpretazione perché il Magistero ordinario universale, sarebbe il magistero dei vescovi uniti con il Sommo Pontefice dispersi nell’ “orbe” cattolico.
Considerato che questo magistero promana da un concilio ecumenico e che l’oggetto di questo non tratta in particolare di articoli di fede, ma soltanto di argomenti ad essi attinenti, per volontà stessa del legislatore, non potrebbe essere considerato come infallibile, il valore dei suoi documenti dovrebbe inserirsi con la nota teologica di dottrina sicura “tuta”. Ad ogni buon conto dovrebbe essere considerato come magistero della Chiesa non garantito dell’infallibilità “in proponendo”; come è stato a sua volta anche il magistero del I Concilio di Lione che trattò esclusivamente questioni disciplinari e non dogmatiche. Nessun teologo in quel caso ebbe l’audacia di affermare che tale insegnamento fosse privo di autorità e fallibile e non dovesse essere, quindi, seguito o non tenuto in considerazione; infatti, anche quanto contenuto nel magistero del Concilio di Trento, non tutto è da considerarsi infallibile, moltissimi punti trattano esclusivamente questioni disciplinari.
I teologi “del Vaticano II” coniarono il termine di “magistero autentico” per definire l’insegnamento ecclesiastico che scaturì dal Vaticano II. Almeno le due Costituzioni dogmatiche del Concilio avrebbero dovuto avere un carattere vincolante per tutte le coscienze.
IL VIRTUALMENTE RIVELATO
Torniamo al momento sul magistero infallibile. Le canonizzazioni dei santi.
Non un solo teologo classico ha insegnato che la Chiesa potesse errare in tale questione! Il buon Radaelli non cita un unico teologo preconciliare e, dico uno solo, che abbia affermato tale tesi con l’imprimatur di un censore ecclesiastico! Tutti i teologi che egli porta per avvalorare la sua tesi, sono i teologi del nuovo magistero che lui proprio contesta.
Tutti i teologi classici hanno insegnato, invece, il contrario per tutti i teologi l’atto di canonizzazione è una “sententia definitiva” non più riformabile: «L’oggetto proprio che viene definito dalla Chiesa nella canonizzazione dei santi, è che una data persona in concreto, per esempio Giovanni Bosco, è un santo e merita quel culto il quale viene imposto a tutti i fedeli, verso di lui. Da questo segue necessariamente che quel santo già si trova in Paradiso. Ma nello stesso tempo la Chiesa ci propone col suo magistero ordinario, il medesimo santo come esimio esemplare di vita cristiana». «Un martire invece, in quanto tale, viene proposto come esemplare per sé solo di fortezza e di carità della morte sostenuta per Cristo» (4).
Altri teologi sono ancora più chiari in materia, si confronti quanto detto da Ludovico Ott e da Timoteo Zapelena (5). Per quanto concerne “l’ottemperanza alle norme canoniche” sollevata dal Radaelli è interessante quanto è proposto dall’esimio teologo De Groot O.P. il quale indica come obiezione all’infallibilità della Chiesa nelle canonizzazioni la falsa testimonianza di coloro che sono sentiti dalla Congregazione Romana competente sia riguardo ai fatti che ai miracoli dei soggetti oggetto del processo di canonizzazione (evidente inottemperanza). Il teologo seguendo San Tommaso, precisa che l’obiezione non è pertinente in quanto: «La Chiesa nelle canonizzazioni dei santi è coadiuvata dallo Spirito Santo, infatti, Dio che coarta i mezzi per il fine, provvede che sia difesa la verità nella Chiesa affinché non sia corrotto il giudizio della Chiesa sui santi a causa di qualche errore propugnato dai testimoni mendaci (…) e la divina provvidenza preserva la Chiesa affinché non fallisca per il fallibile testimonio degli uomini» (6).
«Ripugna con la provvidenza soprannaturale, che Cristo, capo e sposo, deve elargire al corpo della Chiesa e alla sua sposa, che permetta ad essa (alla Chiesa) di proporre come da venerare e da imitare un dannato, un nemico di Cristo e un servo del demonio» (7).
Sempre su questo argomento sentiamo ancora quanto afferma il Cartechini: «Essa non è se non l’applicazione concreta di due articoli di fede, quello sul culto dei santi e l’atro della comunione dei santi. È dottrina cattolica o teologicamente certa che la vita del santo che viene canonizzato sia esempio esimio e modello di vita cristiana e di perfetta virtù» (8).
Passiamo ora alle leggi liturgiche e disciplinari. Non vogliamo citare la lunga discussione che il Prof. Enrico Radaelli intavolò sulla questione, ci soffermiamo soltanto su una frase che ci pare molto grave:«Basterebbe l’istituzione del Novus Ordo a rendere problematica ogni pretesa di automatismo per le ‘verità connesse’. Il fatto è che l’infallibilità delle verità connesse si può riconoscere solo a precise condizioni, che esistono, ma che possono essere realizzate ma anche non realizzate …».
Si spera che il Radaelli abbia ben pesato le sue affermazioni!
Ci domandiamo chi dovrebbe riconoscere le condizioni atte ad esercitare l’infallibilità? I vescovi, i fedeli o i sacerdoti?
Se ben comprendiamo chi dovrebbe sancire la continuità con la tradizione della Chiesa?
Non certo il papa, ma la gerarchia che dovrebbe essere a lui sottoposta o in mancanza di questa il semplice fedele! L’autorità di insegnare nella Chiesa si eserciterebbe, quindi, democraticamente dal basso e il “coetus fidelium” acquisirebbe tale autorità da un arcano e non ben compresa investitura divina! Interessante affermazione che se fosse ancora possibile si dovrebbe sottoporre all’esame dei censori del Santo Uffizio.
Torniamo alle leggi liturgiche e disciplinari, l’infallibilità nella promulgazione di riti e nelle leggi ecclesiastiche è un’infallibilità in non errando, cioè quanto è contenuto nei libri liturgici o disciplinari non può essere erroneo o ingannare i fedeli, il che non vuol dire che non possa essere irreformabile. «Bisogna ammettere che la Chiesa nello stabilire questo o quel rito non erra, saremo tenuti ad ammetterlo, ma ugualmente non saremo tenuti ugualmente ad ammettere che tale rito sia, sotto ogni aspetto il migliore di qualunque altro possibile» (9). Le argomentazioni del Prof. Radaelli cadono a questo punto, un papa può promulgare un rito legittimo, anche se non esprime al massimo il dogma contenuto in quel rito. «I pontefici sono infallibili nell'elaborazione di leggi universali concernenti la disciplina ecclesiastica (liturgia e diritto disciplinare), di modo che non possano mai stabilire qualche cosa che possa in qualsiasi modo essere contrario alla fede e alla morale» (10).
Pensare che la legittima suprema autorità possa indurre la “Chiesa discente” alla perdizione mediante i sacramenti e il diritto della Chiesa, è non solo temerario, ma rasenta il prossimo all’eresia. Questa infallibilità virtuale trae origine da atti del Magistero, si veda ex multis il Concilio di Costanza DS. 1198, il Concilio di Trento DS. 1613 e la Bolla Auctorem fidei di Pio VI DS. 2678.
Per quanto concerne fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche è chiaro che mettere in discussione l’infallibilità di questo insegnamento comporrebbe, mettere in discussione la legittimità di papi e concili già definiti e la condanna di errori ed eresie compiute dai sommi pontefici e la determinazione stessa dell’autenticità della Sacra Scrittura (11).
IL MAGISTERO ORDINARIO
Esaminiamo ora quanto concerne l’insegnamento del magistero ordinario del Romano Pontefice.
Questa stessa non errabilità si estende pure al semplice magistero ordinario del papa, come, infatti, insegna Pio XII nell’enciclica - “Humani generis”: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero Supremo. Infatti, questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, di cui valgono poi le parole: “Chi ascolta voi,ascolta me” (Lc. X, 16); e per lo più, quanto viene proposto e inculcato nelle encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica. Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l'intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi» (12).
Già papa Leone XIII affermava questo principio, infatti, Leone XIII nella mirabile enciclica “Satis cognitum” insegna, infatti: «Da quanto si è detto appare, dunque, che Gesù Cristo istituì nella Chiesa “un vivo autentico e perenne magistero”, che egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l’autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi». Mettere in discussione l’insegnamento della suprema autorità è come rovesciare i principi fondanti della Chiesa.
Lo stesso papa Pio IX si esprime in modo chiaro su questo argomento nella lettera “Tuaslibenter” al cardinale Arcivescovo di Frisinga e di Monaco: «… per questo motivo i partecipanti al congresso debbono ammettere che per gli studiosi cattolici non è sufficiente che accolgano e rispettino i predetti dogmi della Chiesa, ma è anche necessario che aderiscano sia alle decisioni che riguarda la dottrina sono prese dalle congregazioni pontificie, sia a quei punti di dottrina che dal comune e costante consenso dei cattolici sono ritenute verità teologiche e conclusioni tanto certe, che le opinioni contrastanti con quei punti di dottrina, anche se non si possono definire eretiche, meritano però qualche censura teologica» (13).
Il Papa possiede la: «potestas suprema jurisdictionis (…) non solum in rebus quae ad fidem et mores sed etiam in iis quae ad disciplinam et regimen Ecclesiae per totum orbem diffusae pertinent » (14).
Stesso principio si applica “a fortiori” per l’insegnamento non infallibile dei concili ecumenici, non è, infatti, possibile che Cristo Nostro Signore permetta che tutta la gerarchia della Chiesa inganni universalmente tutti i fedeli con un magistero di perdizione. Come abbiamo già affermato all’inizio di questo studio sia l’insegnamento delle encicliche che quello dei concili ecumenici, non può essere nocivo per i fedeli e deve essere considerata dottrina sicura “tuta”, perché il contrario non può essere insegnato.
CONCLUSIONE TEOLOGICA
Il metodo che il Prof. Enrico Radaelli applica per sancire la fallibilità di atti del magistero che tutti i teologi considerano invece come garantiti dall’infallibilità seppur virtuale, non è per nulla corretto, e questo errore porta a una conclusione ancora più erronea. Si può dire, infatti, che il professore inverte l’onere della prova.
Il metodo utilizzato dal Radaelli è il seguente: considerato che gli atti, le leggi liturgiche e/o disciplinari e canonizzazioni emanati dai papi conciliari risultano non buoni, anzi fortemente erronei si deve ritenere che l’infallibilità non sia garantita per tali atti o per motivi di procedura o per motivi di fede: «non avrebbero nella Sacra Scrittura solide basi per riscontrare la loro infallibilità».
Questo metodo va considerato semplicemente come un sofisma e ci stupisce che l’allievo di Romano Amerio non se ne sia accorto, oppure non voglia accorgersene.
Il corretto ragionamento funzionerebbe in questo modo, perché la maggiore del sillogismo in questi casi parte sempre da un dettato di fede: l’oggetto secondario del magistero è infallibile, i papi conciliari hanno promulgato atti contenenti errori, che dovevano essere garantiti da questa infallibilità, pertanto i papi conciliari non fruivano dell’assistenza dello Spirito Santo quando promulgarono tali atti. Intaccare con sofismi quanto è già stabilito almeno come “sentenza certa” dalla Chiesa non è servire la Chiesa, bensì minare le sue stesse fondamenta.
«Se è rivelata l’essenza metafisica di una cosa sono rivelate anche le sue proprietà metafisiche, non però anche quelle fisiche; se è rivelata l’essenza del suo stato connaturale, sono rivelate anche le sue proprietà connaturali; se è rivelata l’essenza del suo stato perfetto, sono rivelate anche le sue perfezioni accidentali» (15).
Se si esamina attentamente l’argomento, questo ragionamento non può che portare a conclusioni certe per la fede: «‘Io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno’ (Lc. 22,32.) Dunque Pietro è infallibile, almeno nelle verità rivelate; dunque è infallibile anche nei fatti dogmatici (e in tutto l’oggetto secondario del magistero)» (16).
Riproponiamo in questa occasione di studio il brano del Card. Giovanni Battista Franzelin grande teologo dei pontificati di Pio IX e Leone XIII, brano già citato in precedenti articoli sull’argomento: «La Santa Sede Apostolica a cui è stato affidato da Dio la custodia del deposito, ed ingiunto l'incarico e il dovere di pascere tutta la Chiesa per la salvezza delle anime, può prescrivere affinché siano seguite, o proscrivere affïnché non siano seguite, le sentenze teologiche o connesse con le cose teologiche, non unicamente con l'intenzione di decidere infallibilmente con sentenza definitiva la verità (...). In tali dichiarazioni... vi è tuttavia un’infallibile sicurezza, nella misura che è sicuro che possa essere abbracciata da tutti né si può rifiutare di abbracciarla senza violazione della dovuta sottomissione verso il magistero costituito da Dio. Pertanto l'autorità del magistero costituita da Cristo nella Chiesa, quanto a ciò che trattiamo ora, può essere considerata sotto due aspetti. Primo, in tanto che per i singoli atti è sotto l'assistenza dello Spirito Santo per la definizione della verità, o in tanto che è autorità d’infallibilità. Secondo o “extensive”, in tanto che il magistero stesso agisce con l'autorità di pascere le cose affïdategli da Dio, non tuttavia e non tutta la sua intensità, se cosi si può dire, né per definire una volta per tutte una verità, ma per quanto è apparso necessario o opportuno e sufficiente per la sicurezza della dottrina; e questa autorità noi possiamo chiamarla autorità di provvidenza dottrinale. L’autorità infallibile non può essere comunicata dal Pontefice agli altri suoi ministri che agiscono in suo nome. Ma l'autorità inferiore di provvidenza dottrinale, come l'ambiamo chiamata, non indipendente ma con dipendenza dallo stesso Pontefïce è comunicata (con maggiore o minore estensione ad alcune Sacre Congregazioni.'.. Noi stimiamo che tali giudizi, anche inferiori alla definizione ex cathedra, possono essere cosi disposti che richiedano l'obbedienza che include l'ossequio dell'intelligenza: non affinché venga creduta la dottrina infallibilmente vera o falsa, ma affinché si giudichi che la dottrina contenuta in tal giudizio è sicura, e noi dobbiamo abbracciarla, e rigettare la contraria, per il motivo della sacra autorità» (17).
Se si riscontrano in un atto del magistero ecclesiastico gravi contrasti con l’insegnamento infallibile precedente, il motivo va ricercato nell’ente emanante quell’atto erroneo. Stesso principio va applicato al teologicamente certo e virtualmente rilevato, con una gravità ancor maggiore.
Il problema del Vaticano II è che subdolamente viene insegnata una dottrina modernista contraria a quella precedente, anzi in molti punti tale dottrina va letteralmente in contrasto a quanto già definito dall’insegnamento infallibile dei romani pontefici. Si veda come esempio l’insegnamento riguardante “Dignitatis humanae” che è contrario a quanto definito in materia da Pio IX nell’enciclica “Quanta Cura” ritenuta da tutti i teologi preconciliari come atto infallibile (18). Anche se i documenti del Vaticano II non sono infallibili “in proponendo” devono essere infallibili almeno in “non errando” ovvero non si può affermare il contrario come affermano i Sommi Pontefici e tutti i teologi. Considerato che tali atti hanno errato, il motivo del loro errore va ricercato nell’autorità che ha ratificato i documenti del Vaticano II. La differenza tra l’infallibilità “in proponendo” e quella “in non errando” consiste nel fatto che gli atti in “non errando” sono modificabili dal legislatore, mentre quelli “in proponendo” sono una “sententia definitiva” come per le canonizzazioni dei Santi, nella Chiesa non è mai capitato che un santo canonizzato non venisse più ritenuto tale dall’autorità apostolica argomento che rileva ai fini dell’infallibilità di tali atti.
Va considerato inoltre che tale insegnamento fonda le sue radici proprio nella Sacra Scrittura, quando Nostro Signore Gesù Cristo dice agli Apostoli: «Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt. 28,20)» dichiara di elargire anche la sua assistenza alla Chiesa e alla sua gerarchia affinché non cadano nell’errore e continuino ad insegnare la sana dottrina al gregge loro affidato.
Affermare il contrario di quanto sopra esposto, è asserire che i papi e i teologici cattolici approvati dalla gerarchia cattolica si siano sbagliati unanimemente e costantemente su tale punto di dottrina, dichiarazione al limite dell’eresia. Probabilmente il Prof. Radaelli nell’agone di voler ad ogni costo mantenere in piedi un’autorità non più tale, cerca con ogni mezzo di salvarne la visibilità, non solo contro ogni insegnamento della Chiesa ma contro lo stesso principio di identità e non contraddizione, postulato principale di ogni cognizione della verità.
Tratteremo in altra sede le modalità che hanno portato alla non assistenza soprannaturale nel loro “magistero dell’errore” dei “papi conciliari” che non può che essere l’eresia, e della perdita di autorità, perché questo lavoro si è già dilungato oltre il dovuto.
L’argomento sul magistero potrebbe essere ulteriormente dibattuto, riproponendo argomenti già sviscerati in molteplici studi proposti da insigni teologi, riteniamo però inutile disquisire su argomenti che sono di una tale evidenza che pure gli pseudo teologi modernisti riconoscono fondati teologicamente. Pensare che un giorno la “chiesa conciliare” ammetta gli errori del Vaticano II e degli atti emanati dai “papi conciliari” è da ritenersi pura fantasia. Lo stesso “card. Seper” ribadì a Mons. Marcel Lefebvre il medesimo concetto dal quale non ebbe però mai una risposta (19). Anche quando Benedetto XVI liberalizzò “ufficialmente” l’antico rito della Messa con il “motu proprio Summorum Pontificum” pretese come condizione preliminare di ammettere non solo la legittimità del “Novus Ordo” ma anche la sua bontà e genuinità dottrinale.
Concludendo invitiamo veramente di cuore il Prof. Enrico Radaelli a non insistere su argomenti che lo sorpassano, perché la pertinacia su certi errori porta ineluttabilmente all’eresia: «Chi, infatti, nega una conclusione teologica, senza però respingere la premessa di fede dalla quale si deduce la conclusione, non è eretico perché non nega niente di formalmente rivelato... Tuttavia commette un errore gravissimo perché nega ciò che, una volta negato, lo conduce facilmente a negare l’oggetto della fede (…) Chi, infatti, nega una conclusione teologica dedotta con evidenza da una premessa che è certamente di fede e un’altra è evidente al lume della ragione, con ciò stesso, non potendo negare la premessa che gli è evidente al lume della ragione, non gli rimane che negare la premessa di fede. Consta, infatti, dalla logica che non può una conclusione essere falsa, se non è falsa una delle premesse, perché il falso non procede dal vero, ma solo dal falso» (20).
A.M.D.G.
25 gennaio 2015
Festa della Conversione di San Paolo
NOTE
1 - Cfr. lo studio: Infallibilità della Chiesa e del Papa.
2 - Questa divisione è suggerita da: Sisto Cartechini – Dall’opinione al domma, p. 25 – Ed La Civiltà Cattolica – Roma – 1953; e Timotheus Zapelena S.J. - De Ecclesia Christi – Vol. II – Roma 1954 anche a seguito della Costituzione “Dei Filius” del Concilio Vaticano I “Porro fide divina et catholica ea omnia credenda sunt, quae in verbo Dei scripto vel traditio continentur et ab Ecclesia sive solemni iudicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus revelata credenda proponuntur”.
3 - Questi due tipi di insegnamento non compaiono nel precedente articolo, sono stati inseriti per far comprendere meglio al lettore questa tipologia di insegnamento della Chiesa, in quello precedente l’insegnamento delle encicliche è stato trattato in una parte dello studio stesso.
4 - Sisto Cartechini S.J. – Dall’opinione al domma, p. 175 – Ed La Civiltà Cattolica – Roma – 1953.
5 - Timotheus Zapelena S.J. - De Ecclesia Christi, pp. 248, 249 – Vol. II – Roma 1954.Ludovico Ott – Compendio di Teologia Dogmatica p. 493 Ed. Herder Torino – Roma 1955 “La canonizzazione dei santi cioè il giudizio definitivo che un membro della Chiesa è stato accolto nella beatitudine eterna e dev'essere oggetto di culto pubblico. Il culto reso ai santi, è, come insegna San Tommaso ‘una professione di fede, con cui crediamo alla gloria dei santi’ (Quodl. 9, 16). Se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua santità.
6 - J.V. De Groot O.P. – Summa Apologetica Parte I – p. 293, - Ratisbona 1890.
7 - H. Hunter S.J., Theologiae dogmaticae compendium, Innsbruck 1891, p. 301.
8 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 127.
9 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 65.
10 - F. X. Wernz P. Vidal, - Jus canonicum ad codicis normam exactum, Vol. II, p. 410 – Roma 1923-1938.
«Il per cui è stato istituito il magistero ecclesiastico è di istruire ed erudire gli uomini, proprio in quelle cose che si riferiscono al culto di Dio e alla via per la salvezza; per ottenere principalmente ed efficacemente questo fine Cristo dotò la Chiesa del magistero con il carisma della verità, ovvero della prerogativa dell’infallibilità (…) L’assistenza pertanto al magistero ecclesiastico promessa divinamente si estende a tutti gli atti del magistero in cui la Chiesa propone ed impone dei precetti disciplinari e liturgici da osservarsi per tutti i fedeli» T. Zapelena, op. cit. p. 254.
11 - Cfr. l’articolo ‘L’infallibilità della Chiesa e del Papa’: «L’oggetto dell’infallibilità è intrinsecamente connesso con il dogma. La legittimità di un papa o di un concilio è un fatto dogmatico, in quanto dalla legittimità di quel papa o concilio dipende la verità storica di quel fatto. Se un papa non è legittimo non è il vero successore di Pietro, quindi, non è infallibile, stesso argomento vale per i concili ecumenici se un concilio non è legittimo, quanto da esso promulgato è nullo. Se, pertanto, la Chiesa potesse errare dichiarando la legittimità di un determinato papa o di un determinato concilio ecumenico, si potrebbe ritenere come dogmi rivelati realtà che non sono tali.
Le conclusioni teologiche hanno lo stesso compito, infatti, quando la Chiesa condanna un determinato errore ha come fine di preservare il deposito della fede. Si veda come esempio la condanna del giansenismo o del liberalismo oppure del modernismo, un «concilio dunque non sempre definisce dommi di fede, ma definisce anche proposizioni teologicamente certe e fatti dogmatici»; se la Chiesa si sbagliasse nel suo insegnamento, comporterebbe che non ci sarebbe più la possibilità di preservare l’ortodossia nella religione cattolica e i fedeli potrebbero liberamente aderire a degli errori che li condurrebbero ineluttabilmente alla perdita della fede, quindi, metterebbe a repentaglio la loro salvezza eterna».
12 - Pio XII, Enciclica “Humani Generis” in Acta Apostolicae Sedis, Roma 12.08.1950 Vol. 42.
13 - Pio IX, Lettera Apostolica “Tuas libenter” in Acta Santae Sedis , Roma 21.12.1863 pp. 436 – 445.
14 - Concilio Vaticano I, Costituzione Conciliare Pastor Aeternus, DS 3064.
15 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 124.
16 - Ibidem p. 125.
17 - Card. Giovanni Battista Franzelin S.J.- “De Traditione” Tesi XII, Schol. I, pp. 119 – 122 – Roma 1896.
18 - Roberto de Mattei – Pio IX, p. 182 Ed. Piemme – Casale Monferrato - 2000.
19 - «1. A proposito dell'Ordo Missae:
a) «un fedele non può mettere in dubbio la conformità con la dottrina della Fede di un rito sacramentale promulgato dal Supremo Pastore (p. A3)». Brano tratto dal libro Mons. Lefebvre e il Santo Uffizio - Roma 1980.
20 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 95.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1129_Fra-Leone_Fallibilismo.html
Alcune settimane orsono pubblicammo su richiesta di amici, un articolo di risposta alla precedente discussione intavolata dal Prof. Enrico Radaelli sulla fallibilità del magistero ecclesiastico, al tale articolo non abbiamo avuto risposta. In questo momento in cui il relativismo sia dottrinale e morale pervade le coscienze di coloro che un tempo erano cattolici e che ora brancolano privi di certezze, in un limbo avvolto dalle nebbie, continuare ad affermare con sofismi un errore più volte condannato dai papi è non solo temerario, ma rasenta quella protervia che conduce ineluttabilmente all’eresia!
Qui lo riproponiamo con alcuni accrescimenti e qualche espunzione, come detto nello studio precedentemente non vogliamo prendere in considerazione i teologi post conciliari, ma abbiamo come riferimento soltanto i teologi preconciliari che sono unanimemente concordi nell’affermare certi principi propri della teologia cattolica.
IL MAGISTERO DELLA CHIESA
Prima di tutto sbarazziamo il campo dagli equivoci come si è evidenziato in un precedente studio (1) esistono i seguenti tipi di magistero ecclesiastico:
A - Magistero Infallibile della Chiesa:
B - Magistero Infallibile del Papa
Magistero ex cathedra
Vi sono quindi altri atti considerati come infallibili virtualmente dai teologi con la nota di “teologicamente certi” o “prossimi alla fede” perché collegati ai primi:
a) Canonizzazioni dei Santi;
b) Emanazioni di leggi sia liturgiche che disciplinari obbliganti la Chiesa universale;
c) Approvazione di ordini e congregazioni religiose;
d) Fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche;
b) Emanazioni di leggi sia liturgiche che disciplinari obbliganti la Chiesa universale;
c) Approvazione di ordini e congregazioni religiose;
d) Fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche;
C – Magistero ordinario del Sommo Pontefice (non infallibile nelle definizioni).
D – Magistero della Chiesa (non infallibile nelle definizioni) (3).
I documenti del Vaticano II non dovrebbero far parte del Magistero Infallibile della Chiesa, anche se alcuni teologi credono che si debba ricomprendere nel Magistero ordinario universale, secondo altri tale affermazione è di dubbia interpretazione perché il Magistero ordinario universale, sarebbe il magistero dei vescovi uniti con il Sommo Pontefice dispersi nell’ “orbe” cattolico.
Considerato che questo magistero promana da un concilio ecumenico e che l’oggetto di questo non tratta in particolare di articoli di fede, ma soltanto di argomenti ad essi attinenti, per volontà stessa del legislatore, non potrebbe essere considerato come infallibile, il valore dei suoi documenti dovrebbe inserirsi con la nota teologica di dottrina sicura “tuta”. Ad ogni buon conto dovrebbe essere considerato come magistero della Chiesa non garantito dell’infallibilità “in proponendo”; come è stato a sua volta anche il magistero del I Concilio di Lione che trattò esclusivamente questioni disciplinari e non dogmatiche. Nessun teologo in quel caso ebbe l’audacia di affermare che tale insegnamento fosse privo di autorità e fallibile e non dovesse essere, quindi, seguito o non tenuto in considerazione; infatti, anche quanto contenuto nel magistero del Concilio di Trento, non tutto è da considerarsi infallibile, moltissimi punti trattano esclusivamente questioni disciplinari.
I teologi “del Vaticano II” coniarono il termine di “magistero autentico” per definire l’insegnamento ecclesiastico che scaturì dal Vaticano II. Almeno le due Costituzioni dogmatiche del Concilio avrebbero dovuto avere un carattere vincolante per tutte le coscienze.
IL VIRTUALMENTE RIVELATO
Torniamo al momento sul magistero infallibile. Le canonizzazioni dei santi.
Non un solo teologo classico ha insegnato che la Chiesa potesse errare in tale questione! Il buon Radaelli non cita un unico teologo preconciliare e, dico uno solo, che abbia affermato tale tesi con l’imprimatur di un censore ecclesiastico! Tutti i teologi che egli porta per avvalorare la sua tesi, sono i teologi del nuovo magistero che lui proprio contesta.
Tutti i teologi classici hanno insegnato, invece, il contrario per tutti i teologi l’atto di canonizzazione è una “sententia definitiva” non più riformabile: «L’oggetto proprio che viene definito dalla Chiesa nella canonizzazione dei santi, è che una data persona in concreto, per esempio Giovanni Bosco, è un santo e merita quel culto il quale viene imposto a tutti i fedeli, verso di lui. Da questo segue necessariamente che quel santo già si trova in Paradiso. Ma nello stesso tempo la Chiesa ci propone col suo magistero ordinario, il medesimo santo come esimio esemplare di vita cristiana». «Un martire invece, in quanto tale, viene proposto come esemplare per sé solo di fortezza e di carità della morte sostenuta per Cristo» (4).
Altri teologi sono ancora più chiari in materia, si confronti quanto detto da Ludovico Ott e da Timoteo Zapelena (5). Per quanto concerne “l’ottemperanza alle norme canoniche” sollevata dal Radaelli è interessante quanto è proposto dall’esimio teologo De Groot O.P. il quale indica come obiezione all’infallibilità della Chiesa nelle canonizzazioni la falsa testimonianza di coloro che sono sentiti dalla Congregazione Romana competente sia riguardo ai fatti che ai miracoli dei soggetti oggetto del processo di canonizzazione (evidente inottemperanza). Il teologo seguendo San Tommaso, precisa che l’obiezione non è pertinente in quanto: «La Chiesa nelle canonizzazioni dei santi è coadiuvata dallo Spirito Santo, infatti, Dio che coarta i mezzi per il fine, provvede che sia difesa la verità nella Chiesa affinché non sia corrotto il giudizio della Chiesa sui santi a causa di qualche errore propugnato dai testimoni mendaci (…) e la divina provvidenza preserva la Chiesa affinché non fallisca per il fallibile testimonio degli uomini» (6).
«Ripugna con la provvidenza soprannaturale, che Cristo, capo e sposo, deve elargire al corpo della Chiesa e alla sua sposa, che permetta ad essa (alla Chiesa) di proporre come da venerare e da imitare un dannato, un nemico di Cristo e un servo del demonio» (7).
Sempre su questo argomento sentiamo ancora quanto afferma il Cartechini: «Essa non è se non l’applicazione concreta di due articoli di fede, quello sul culto dei santi e l’atro della comunione dei santi. È dottrina cattolica o teologicamente certa che la vita del santo che viene canonizzato sia esempio esimio e modello di vita cristiana e di perfetta virtù» (8).
Passiamo ora alle leggi liturgiche e disciplinari. Non vogliamo citare la lunga discussione che il Prof. Enrico Radaelli intavolò sulla questione, ci soffermiamo soltanto su una frase che ci pare molto grave:«Basterebbe l’istituzione del Novus Ordo a rendere problematica ogni pretesa di automatismo per le ‘verità connesse’. Il fatto è che l’infallibilità delle verità connesse si può riconoscere solo a precise condizioni, che esistono, ma che possono essere realizzate ma anche non realizzate …».
Si spera che il Radaelli abbia ben pesato le sue affermazioni!
Ci domandiamo chi dovrebbe riconoscere le condizioni atte ad esercitare l’infallibilità? I vescovi, i fedeli o i sacerdoti?
Se ben comprendiamo chi dovrebbe sancire la continuità con la tradizione della Chiesa?
Non certo il papa, ma la gerarchia che dovrebbe essere a lui sottoposta o in mancanza di questa il semplice fedele! L’autorità di insegnare nella Chiesa si eserciterebbe, quindi, democraticamente dal basso e il “coetus fidelium” acquisirebbe tale autorità da un arcano e non ben compresa investitura divina! Interessante affermazione che se fosse ancora possibile si dovrebbe sottoporre all’esame dei censori del Santo Uffizio.
Torniamo alle leggi liturgiche e disciplinari, l’infallibilità nella promulgazione di riti e nelle leggi ecclesiastiche è un’infallibilità in non errando, cioè quanto è contenuto nei libri liturgici o disciplinari non può essere erroneo o ingannare i fedeli, il che non vuol dire che non possa essere irreformabile. «Bisogna ammettere che la Chiesa nello stabilire questo o quel rito non erra, saremo tenuti ad ammetterlo, ma ugualmente non saremo tenuti ugualmente ad ammettere che tale rito sia, sotto ogni aspetto il migliore di qualunque altro possibile» (9). Le argomentazioni del Prof. Radaelli cadono a questo punto, un papa può promulgare un rito legittimo, anche se non esprime al massimo il dogma contenuto in quel rito. «I pontefici sono infallibili nell'elaborazione di leggi universali concernenti la disciplina ecclesiastica (liturgia e diritto disciplinare), di modo che non possano mai stabilire qualche cosa che possa in qualsiasi modo essere contrario alla fede e alla morale» (10).
Pensare che la legittima suprema autorità possa indurre la “Chiesa discente” alla perdizione mediante i sacramenti e il diritto della Chiesa, è non solo temerario, ma rasenta il prossimo all’eresia. Questa infallibilità virtuale trae origine da atti del Magistero, si veda ex multis il Concilio di Costanza DS. 1198, il Concilio di Trento DS. 1613 e la Bolla Auctorem fidei di Pio VI DS. 2678.
Per quanto concerne fatti storici e dogmatici e conclusioni teologiche è chiaro che mettere in discussione l’infallibilità di questo insegnamento comporrebbe, mettere in discussione la legittimità di papi e concili già definiti e la condanna di errori ed eresie compiute dai sommi pontefici e la determinazione stessa dell’autenticità della Sacra Scrittura (11).
IL MAGISTERO ORDINARIO
Esaminiamo ora quanto concerne l’insegnamento del magistero ordinario del Romano Pontefice.
Questa stessa non errabilità si estende pure al semplice magistero ordinario del papa, come, infatti, insegna Pio XII nell’enciclica - “Humani generis”: «Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero Supremo. Infatti, questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, di cui valgono poi le parole: “Chi ascolta voi,ascolta me” (Lc. X, 16); e per lo più, quanto viene proposto e inculcato nelle encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica. Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l'intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione fra i teologi» (12).
Già papa Leone XIII affermava questo principio, infatti, Leone XIII nella mirabile enciclica “Satis cognitum” insegna, infatti: «Da quanto si è detto appare, dunque, che Gesù Cristo istituì nella Chiesa “un vivo autentico e perenne magistero”, che egli stesso rafforzò col suo potere, lo informò dello Spirito di verità e l’autenticò coi miracoli; e volle e comandò che i precetti della sua dottrina fossero ricevuti come suoi». Mettere in discussione l’insegnamento della suprema autorità è come rovesciare i principi fondanti della Chiesa.
Lo stesso papa Pio IX si esprime in modo chiaro su questo argomento nella lettera “Tuaslibenter” al cardinale Arcivescovo di Frisinga e di Monaco: «… per questo motivo i partecipanti al congresso debbono ammettere che per gli studiosi cattolici non è sufficiente che accolgano e rispettino i predetti dogmi della Chiesa, ma è anche necessario che aderiscano sia alle decisioni che riguarda la dottrina sono prese dalle congregazioni pontificie, sia a quei punti di dottrina che dal comune e costante consenso dei cattolici sono ritenute verità teologiche e conclusioni tanto certe, che le opinioni contrastanti con quei punti di dottrina, anche se non si possono definire eretiche, meritano però qualche censura teologica» (13).
Il Papa possiede la: «potestas suprema jurisdictionis (…) non solum in rebus quae ad fidem et mores sed etiam in iis quae ad disciplinam et regimen Ecclesiae per totum orbem diffusae pertinent » (14).
Stesso principio si applica “a fortiori” per l’insegnamento non infallibile dei concili ecumenici, non è, infatti, possibile che Cristo Nostro Signore permetta che tutta la gerarchia della Chiesa inganni universalmente tutti i fedeli con un magistero di perdizione. Come abbiamo già affermato all’inizio di questo studio sia l’insegnamento delle encicliche che quello dei concili ecumenici, non può essere nocivo per i fedeli e deve essere considerata dottrina sicura “tuta”, perché il contrario non può essere insegnato.
CONCLUSIONE TEOLOGICA
Il metodo che il Prof. Enrico Radaelli applica per sancire la fallibilità di atti del magistero che tutti i teologi considerano invece come garantiti dall’infallibilità seppur virtuale, non è per nulla corretto, e questo errore porta a una conclusione ancora più erronea. Si può dire, infatti, che il professore inverte l’onere della prova.
Il metodo utilizzato dal Radaelli è il seguente: considerato che gli atti, le leggi liturgiche e/o disciplinari e canonizzazioni emanati dai papi conciliari risultano non buoni, anzi fortemente erronei si deve ritenere che l’infallibilità non sia garantita per tali atti o per motivi di procedura o per motivi di fede: «non avrebbero nella Sacra Scrittura solide basi per riscontrare la loro infallibilità».
Questo metodo va considerato semplicemente come un sofisma e ci stupisce che l’allievo di Romano Amerio non se ne sia accorto, oppure non voglia accorgersene.
Il corretto ragionamento funzionerebbe in questo modo, perché la maggiore del sillogismo in questi casi parte sempre da un dettato di fede: l’oggetto secondario del magistero è infallibile, i papi conciliari hanno promulgato atti contenenti errori, che dovevano essere garantiti da questa infallibilità, pertanto i papi conciliari non fruivano dell’assistenza dello Spirito Santo quando promulgarono tali atti. Intaccare con sofismi quanto è già stabilito almeno come “sentenza certa” dalla Chiesa non è servire la Chiesa, bensì minare le sue stesse fondamenta.
«Se è rivelata l’essenza metafisica di una cosa sono rivelate anche le sue proprietà metafisiche, non però anche quelle fisiche; se è rivelata l’essenza del suo stato connaturale, sono rivelate anche le sue proprietà connaturali; se è rivelata l’essenza del suo stato perfetto, sono rivelate anche le sue perfezioni accidentali» (15).
Se si esamina attentamente l’argomento, questo ragionamento non può che portare a conclusioni certe per la fede: «‘Io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno’ (Lc. 22,32.) Dunque Pietro è infallibile, almeno nelle verità rivelate; dunque è infallibile anche nei fatti dogmatici (e in tutto l’oggetto secondario del magistero)» (16).
Riproponiamo in questa occasione di studio il brano del Card. Giovanni Battista Franzelin grande teologo dei pontificati di Pio IX e Leone XIII, brano già citato in precedenti articoli sull’argomento: «La Santa Sede Apostolica a cui è stato affidato da Dio la custodia del deposito, ed ingiunto l'incarico e il dovere di pascere tutta la Chiesa per la salvezza delle anime, può prescrivere affinché siano seguite, o proscrivere affïnché non siano seguite, le sentenze teologiche o connesse con le cose teologiche, non unicamente con l'intenzione di decidere infallibilmente con sentenza definitiva la verità (...). In tali dichiarazioni... vi è tuttavia un’infallibile sicurezza, nella misura che è sicuro che possa essere abbracciata da tutti né si può rifiutare di abbracciarla senza violazione della dovuta sottomissione verso il magistero costituito da Dio. Pertanto l'autorità del magistero costituita da Cristo nella Chiesa, quanto a ciò che trattiamo ora, può essere considerata sotto due aspetti. Primo, in tanto che per i singoli atti è sotto l'assistenza dello Spirito Santo per la definizione della verità, o in tanto che è autorità d’infallibilità. Secondo o “extensive”, in tanto che il magistero stesso agisce con l'autorità di pascere le cose affïdategli da Dio, non tuttavia e non tutta la sua intensità, se cosi si può dire, né per definire una volta per tutte una verità, ma per quanto è apparso necessario o opportuno e sufficiente per la sicurezza della dottrina; e questa autorità noi possiamo chiamarla autorità di provvidenza dottrinale. L’autorità infallibile non può essere comunicata dal Pontefice agli altri suoi ministri che agiscono in suo nome. Ma l'autorità inferiore di provvidenza dottrinale, come l'ambiamo chiamata, non indipendente ma con dipendenza dallo stesso Pontefïce è comunicata (con maggiore o minore estensione ad alcune Sacre Congregazioni.'.. Noi stimiamo che tali giudizi, anche inferiori alla definizione ex cathedra, possono essere cosi disposti che richiedano l'obbedienza che include l'ossequio dell'intelligenza: non affinché venga creduta la dottrina infallibilmente vera o falsa, ma affinché si giudichi che la dottrina contenuta in tal giudizio è sicura, e noi dobbiamo abbracciarla, e rigettare la contraria, per il motivo della sacra autorità» (17).
Se si riscontrano in un atto del magistero ecclesiastico gravi contrasti con l’insegnamento infallibile precedente, il motivo va ricercato nell’ente emanante quell’atto erroneo. Stesso principio va applicato al teologicamente certo e virtualmente rilevato, con una gravità ancor maggiore.
Il problema del Vaticano II è che subdolamente viene insegnata una dottrina modernista contraria a quella precedente, anzi in molti punti tale dottrina va letteralmente in contrasto a quanto già definito dall’insegnamento infallibile dei romani pontefici. Si veda come esempio l’insegnamento riguardante “Dignitatis humanae” che è contrario a quanto definito in materia da Pio IX nell’enciclica “Quanta Cura” ritenuta da tutti i teologi preconciliari come atto infallibile (18). Anche se i documenti del Vaticano II non sono infallibili “in proponendo” devono essere infallibili almeno in “non errando” ovvero non si può affermare il contrario come affermano i Sommi Pontefici e tutti i teologi. Considerato che tali atti hanno errato, il motivo del loro errore va ricercato nell’autorità che ha ratificato i documenti del Vaticano II. La differenza tra l’infallibilità “in proponendo” e quella “in non errando” consiste nel fatto che gli atti in “non errando” sono modificabili dal legislatore, mentre quelli “in proponendo” sono una “sententia definitiva” come per le canonizzazioni dei Santi, nella Chiesa non è mai capitato che un santo canonizzato non venisse più ritenuto tale dall’autorità apostolica argomento che rileva ai fini dell’infallibilità di tali atti.
Va considerato inoltre che tale insegnamento fonda le sue radici proprio nella Sacra Scrittura, quando Nostro Signore Gesù Cristo dice agli Apostoli: «Io sarò con voi fino alla consumazione dei secoli (Mt. 28,20)» dichiara di elargire anche la sua assistenza alla Chiesa e alla sua gerarchia affinché non cadano nell’errore e continuino ad insegnare la sana dottrina al gregge loro affidato.
Affermare il contrario di quanto sopra esposto, è asserire che i papi e i teologici cattolici approvati dalla gerarchia cattolica si siano sbagliati unanimemente e costantemente su tale punto di dottrina, dichiarazione al limite dell’eresia. Probabilmente il Prof. Radaelli nell’agone di voler ad ogni costo mantenere in piedi un’autorità non più tale, cerca con ogni mezzo di salvarne la visibilità, non solo contro ogni insegnamento della Chiesa ma contro lo stesso principio di identità e non contraddizione, postulato principale di ogni cognizione della verità.
Tratteremo in altra sede le modalità che hanno portato alla non assistenza soprannaturale nel loro “magistero dell’errore” dei “papi conciliari” che non può che essere l’eresia, e della perdita di autorità, perché questo lavoro si è già dilungato oltre il dovuto.
L’argomento sul magistero potrebbe essere ulteriormente dibattuto, riproponendo argomenti già sviscerati in molteplici studi proposti da insigni teologi, riteniamo però inutile disquisire su argomenti che sono di una tale evidenza che pure gli pseudo teologi modernisti riconoscono fondati teologicamente. Pensare che un giorno la “chiesa conciliare” ammetta gli errori del Vaticano II e degli atti emanati dai “papi conciliari” è da ritenersi pura fantasia. Lo stesso “card. Seper” ribadì a Mons. Marcel Lefebvre il medesimo concetto dal quale non ebbe però mai una risposta (19). Anche quando Benedetto XVI liberalizzò “ufficialmente” l’antico rito della Messa con il “motu proprio Summorum Pontificum” pretese come condizione preliminare di ammettere non solo la legittimità del “Novus Ordo” ma anche la sua bontà e genuinità dottrinale.
***
Concludendo invitiamo veramente di cuore il Prof. Enrico Radaelli a non insistere su argomenti che lo sorpassano, perché la pertinacia su certi errori porta ineluttabilmente all’eresia: «Chi, infatti, nega una conclusione teologica, senza però respingere la premessa di fede dalla quale si deduce la conclusione, non è eretico perché non nega niente di formalmente rivelato... Tuttavia commette un errore gravissimo perché nega ciò che, una volta negato, lo conduce facilmente a negare l’oggetto della fede (…) Chi, infatti, nega una conclusione teologica dedotta con evidenza da una premessa che è certamente di fede e un’altra è evidente al lume della ragione, con ciò stesso, non potendo negare la premessa che gli è evidente al lume della ragione, non gli rimane che negare la premessa di fede. Consta, infatti, dalla logica che non può una conclusione essere falsa, se non è falsa una delle premesse, perché il falso non procede dal vero, ma solo dal falso» (20).
A.M.D.G.
25 gennaio 2015
Festa della Conversione di San Paolo
NOTE
1 - Cfr. lo studio: Infallibilità della Chiesa e del Papa.
2 - Questa divisione è suggerita da: Sisto Cartechini – Dall’opinione al domma, p. 25 – Ed La Civiltà Cattolica – Roma – 1953; e Timotheus Zapelena S.J. - De Ecclesia Christi – Vol. II – Roma 1954 anche a seguito della Costituzione “Dei Filius” del Concilio Vaticano I “Porro fide divina et catholica ea omnia credenda sunt, quae in verbo Dei scripto vel traditio continentur et ab Ecclesia sive solemni iudicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus revelata credenda proponuntur”.
3 - Questi due tipi di insegnamento non compaiono nel precedente articolo, sono stati inseriti per far comprendere meglio al lettore questa tipologia di insegnamento della Chiesa, in quello precedente l’insegnamento delle encicliche è stato trattato in una parte dello studio stesso.
4 - Sisto Cartechini S.J. – Dall’opinione al domma, p. 175 – Ed La Civiltà Cattolica – Roma – 1953.
5 - Timotheus Zapelena S.J. - De Ecclesia Christi, pp. 248, 249 – Vol. II – Roma 1954.Ludovico Ott – Compendio di Teologia Dogmatica p. 493 Ed. Herder Torino – Roma 1955 “La canonizzazione dei santi cioè il giudizio definitivo che un membro della Chiesa è stato accolto nella beatitudine eterna e dev'essere oggetto di culto pubblico. Il culto reso ai santi, è, come insegna San Tommaso ‘una professione di fede, con cui crediamo alla gloria dei santi’ (Quodl. 9, 16). Se la Chiesa potesse sbagliare nel suo giudizio, ne deriverebbero conseguenze inconciliabili con la sua santità.
6 - J.V. De Groot O.P. – Summa Apologetica Parte I – p. 293, - Ratisbona 1890.
7 - H. Hunter S.J., Theologiae dogmaticae compendium, Innsbruck 1891, p. 301.
8 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 127.
9 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 65.
10 - F. X. Wernz P. Vidal, - Jus canonicum ad codicis normam exactum, Vol. II, p. 410 – Roma 1923-1938.
«Il per cui è stato istituito il magistero ecclesiastico è di istruire ed erudire gli uomini, proprio in quelle cose che si riferiscono al culto di Dio e alla via per la salvezza; per ottenere principalmente ed efficacemente questo fine Cristo dotò la Chiesa del magistero con il carisma della verità, ovvero della prerogativa dell’infallibilità (…) L’assistenza pertanto al magistero ecclesiastico promessa divinamente si estende a tutti gli atti del magistero in cui la Chiesa propone ed impone dei precetti disciplinari e liturgici da osservarsi per tutti i fedeli» T. Zapelena, op. cit. p. 254.
11 - Cfr. l’articolo ‘L’infallibilità della Chiesa e del Papa’: «L’oggetto dell’infallibilità è intrinsecamente connesso con il dogma. La legittimità di un papa o di un concilio è un fatto dogmatico, in quanto dalla legittimità di quel papa o concilio dipende la verità storica di quel fatto. Se un papa non è legittimo non è il vero successore di Pietro, quindi, non è infallibile, stesso argomento vale per i concili ecumenici se un concilio non è legittimo, quanto da esso promulgato è nullo. Se, pertanto, la Chiesa potesse errare dichiarando la legittimità di un determinato papa o di un determinato concilio ecumenico, si potrebbe ritenere come dogmi rivelati realtà che non sono tali.
Le conclusioni teologiche hanno lo stesso compito, infatti, quando la Chiesa condanna un determinato errore ha come fine di preservare il deposito della fede. Si veda come esempio la condanna del giansenismo o del liberalismo oppure del modernismo, un «concilio dunque non sempre definisce dommi di fede, ma definisce anche proposizioni teologicamente certe e fatti dogmatici»; se la Chiesa si sbagliasse nel suo insegnamento, comporterebbe che non ci sarebbe più la possibilità di preservare l’ortodossia nella religione cattolica e i fedeli potrebbero liberamente aderire a degli errori che li condurrebbero ineluttabilmente alla perdita della fede, quindi, metterebbe a repentaglio la loro salvezza eterna».
12 - Pio XII, Enciclica “Humani Generis” in Acta Apostolicae Sedis, Roma 12.08.1950 Vol. 42.
13 - Pio IX, Lettera Apostolica “Tuas libenter” in Acta Santae Sedis , Roma 21.12.1863 pp. 436 – 445.
14 - Concilio Vaticano I, Costituzione Conciliare Pastor Aeternus, DS 3064.
15 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 124.
16 - Ibidem p. 125.
17 - Card. Giovanni Battista Franzelin S.J.- “De Traditione” Tesi XII, Schol. I, pp. 119 – 122 – Roma 1896.
18 - Roberto de Mattei – Pio IX, p. 182 Ed. Piemme – Casale Monferrato - 2000.
19 - «1. A proposito dell'Ordo Missae:
a) «un fedele non può mettere in dubbio la conformità con la dottrina della Fede di un rito sacramentale promulgato dal Supremo Pastore (p. A3)». Brano tratto dal libro Mons. Lefebvre e il Santo Uffizio - Roma 1980.
20 - Sisto Cartechini, op. cit. p. 95.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1129_Fra-Leone_Fallibilismo.html
Dell'infallibilità papale. Risposta al professor Radaelli (di Piero Nicola)
Il teologo E. M. Radaelli ha qui pubblicato
una lunga replica alle osservazioni di Radiospada intorno alla questione
dell’infallibilità pontificia. Egli sostiene, in contradditorio, che tale
prerogativa del Papa e della Chiesa resta circoscritta alle sentenze
manifestamente definitive e dogmaticamente definite ex cathedra, il cui oggetto sono unicamente i dogmi, senza altra
estensione di verità connesse. Per
queste ultime, egli pone l’insegnamento autentico
e fallibile, con possibilità di errore, positivamente al di fuori
dell’infallibilità, e che richiede soltanto un doveroso ossequio del fedele.
Potremmo osservare che autentico e
insieme erroneo suona all’orecchio
comune come un’antilogia, e vedremo come l’udito abbia ragione.
Per inciso, la polemica verte con ogni
evidenza sulla conservazione o sulla perdita dell’infallibilità, e quindi del valido
titolo di Papa e di Chiesa, da parte dei soggetti che attualmente si rivestono
di tali sacre investiture, avendo commesso notevoli errori (riconosciuti dal
Radaelli), o avendoli confermati, riguardo al Deposito della fede, sia dovuti al
Concilio Vaticano II, sia commessi in seguito. Sicché la faccenda risulta di
capitale importanza.
Poiché la Chiesa non può insegnare e praticare
errori di eresia – come in realtà è avvenuto - senza cessare di essere Chiesa, il
cui ufficio precipuo è quello di trasmettere la verità, che è necessaria
all’ottenimento della salvezza, la faccenda sarebbe risolta a priori.
Non occorre essere dottori per comprendere
che, ad esempio, l’aver cassato (non omesso) dal Catechismo l’opera di
misericordia spirituale della fraterna ammonizione degli erranti è un’azione
eretica. Infatti l’ammonizione fraterna è un comandamento evangelico e come tale
un articolo di fede. Tanto peggio, se la prassi della sedicente chiesa
generalmente non prevede l’istruzione dei fedeli mediante il dettato del
Catechismo, pure riformato e costellato di false verità (per esempio circa gli
acattolici, mai nominati come tali).
Secondo esempio di eresia, almeno materiale:
il diritto alla liberta religiosa, proclamato e prescritto, contraddice il
dogma (esplicito nella Rivelazione e in documenti pontifici dati ex cathedra a condanna di tale libertà) del
dovere del Vicario di Cristo e dei pastori di preservare dall’errore (diffuso
dagli erranti) il gregge loro affidato e non solo esso. E con le risoluzioni
del Concilio e del Vaticano si forma l’eresia dell’abolizione dell’eresia
medesima, quanto meno è eretica l’asseverata validità delle false religioni per
conseguire la salvezza. Potrei continuare con costatazioni alla portata di
qualunque cattolico che si sia istruito nella dottrina come è stato prescritto
dalla Chiesa.
Ma per debita correttezza, entro nel merito.
L’Enciclopedia Cattolica (bensì citata dal
Radaelli, tuttavia parzialmente - né prenderò in considerazione i teologi e i
vescovi sui quali egli si appoggia, in quanto potrei allegarne di contrari
altrettanto titolati) alla voce Infallibilità
dice:
“L’infallibilità della Chiesa [“non è mai
stata formalmente definita come dogma, ma deve indubbiamente ammettersi quale
verità rivelata”] implica […] un’assistenza
divina che dirige tutto l’insegnamento ecclesiastico […] impedendo la
formulazione definitiva di falsi giudizi e indirizzando le menti del corpo
docente alla retta comprensione e rielaborazione del dato rivelato. Attraverso
questa assistenza è garantita pure l’infallibilità del credente, che aderisce
alla dottrina proposta alla sua fede da un magistero infallibile”.
“Ma il
Collegio episcopale, erede dei poteri del Collegio apostolico, infallibile sia
nelle solenni definizioni dei concili, sia nel magistero ordinario e universale, esplica la sua missione di
insegnamento soltanto in subordinazione al suo capo, secondo la divina
istituzione del primato, che racchiude, perciò, nella sua stessa natura,
l’infallibilità, attributo inseparabile dal magistero universale”.
“… dove si trova insegnamento ecumenico in
tutta la sua intensità, ivi è pure esercizio di infallibilità”.
“Gesù ha appena risposto alle contese dei
Dodici sul primato, inculcando loro il nuovo spirito dell’autorità (Lc. 22,
24-27), quando affida a Pietro, ripetendo anteriori designazioni, l’ufficio di
confermare nella fede tutti i fratelli”.
E come Pietro confermerebbe tutti i fratelli
nella fede disponendo che essi dialoghino con eretici, scismatici, ebrei non
convertiti, apostati, infedeli, pagani, atei stando con loro da pari a pari, riconoscendo
loro una dignità pari alla propria, quindi andando a loro come non possedendo
la sola verità, la verità di Cristo? Questa disposizione contraddice
positivamente la missione evangelica e ferisce il dogma del mandato cristiano.
“S. Ireneo in un testo celebre (Adv. haer., 3,
3, 2) afferma apertamente il supremo magistero della Chiesa romana, impersonata
nei suoi vescovi, radice dell’unità dottrinale della Chiesa universale,
assommando in sé le qualifiche di teste, di custode e d’organo della Tradizione
apostolica, di criterio pienissimo di verità contro tutte le eresie”.
Ma sono innumerevoli le disposizioni
ecclesiastiche contro il falso ecumenismo, in base alla Scrittura.
“La definizione ex cathedra, unico caso in cui si abbia, strettamente parlando, esercizio dell’infallibilità pontificia, non
si verifica se non quando il papa si pronuncia con sentenza manifestamente
definitiva e destinata a tutta la Chiesa, mettendo in opera tutto il suo potere
dottrinale ecumenico”.
“Il Concilio Vaticano non definì però l’oggetto dell’infallibilità pontificia,
limitandosi a dichiararlo identico a quello dell’infallibilità della Chiesa”.
“Deve ritenersi di fede che la Chiesa è
infallibile nell’insegnamento di quanto è esplicitamente o implicitamente
rivelato […] La custodia, spiegazione e proposizione della dottrina stessa del
Divin Maestro fu infatti affidata al magistero apostolico. L’ampiezza di questo
oggetto è indicata chiaramente nei termini stessi che garantiscono
l’infallibilità: nel suo ambito stanno ‘ogni verità’ rivelata agli Apostoli
dallo Spirito Santo […], ‘tutta la predicazione’ di Gesù […], ‘le parole di
Gesù venute dal Padre’ […], ‘il Vangelo del Regno’ […]. Logicamente vi è
compresa l’infallibilità nella condanna dell’eresia, che si oppone
contraddittoriamente alla Verità rivelata. Per questa prerogativa può ancora la
Chiesa infallibilmente […] definire il senso di un testo biblico dogmatico, scegliere formole dogmatiche adatte,
ecc.”
Ora, quanto alla forma, gli errori sopra
ricordati, commessi da coloro che nell’ultimo mezzo secolo figurano essere il
pontefice e l’episcopato unito a lui, è indubbio che furono definiti, destinati
al clero e ai laici tutti, assumendo tutto il potere dottrinale ecumenico. A
suggello di ciò, si noti il carattere di obbligatorietà impresso a tale
magistero sia rispetto la fede, sia nei pratici adempimenti, sia nell’esempio
del governo ecclesiastico.
Inoltre, la materia era e resta dogmatica,
riguardando la fede e i costumi.
Il professor Radaelli nega implicitamente che
si tratti di dogmi, e vuol dimostrare che gli errori riscontrabili nel Vaticano
II esulano dal campo dogmatico dell’infallibilità, perché, a suo avviso, il Concilio
fu soltanto pastorale, Paolo VI e i suoi successori non diedero definizioni
dogmatiche.
Viceversa l’Enciclopedia Cattolica prosegue
con l’oggetto secondario.
“Nell’oggetto secondario vengono raggruppate quelle che con termine generico si
chiamano ‘verità connesse’. Le quali formalmente
non si trovano nella Rivelazione, ma sono con questa così strettamente
legate, che vi si possono dire virtualmente
contenute. L’errore intorno a queste
applicazioni del principio rivelato scuoterebbe le stesse basi su cui poggiano
e metterebbe in pericolo la fede. Le verità connesse devono quindi
ritenersi presenti nella mente del Divin Maestro nell’atto di comunicare la sua
Rivelazione […] Le classi più considerate di queste verità connesse sono quelle
delle conclusioni teologiche, dei fatti dogmatici, della canonizzazione, della
legislazione ecclesiastica”.
“Il principio dell’infallibilità intorno
all’oggetto secondario ha per sé il consenso unanime della teologia cattolica”.
Perché, ci si chiede, il professor Radaelli
si è dato la pena di escludere, con molte argomentazioni, dall’infallibilità la
proposizione delle verità connesse,
ossia degli errori commessi nel loro ambito, dal momento che sostiene non vi
siano stati gli estremi per risoluzioni conciliari dogmatiche e per definizioni
ex cathedra?
Possiamo presumere la spiegazione nel fatto
che il nostro teologo ammetta ci sia stato, e permanga, almeno un magistero ordinario
e universale erroneo, con relativa definizione dottrinale in materia di fede e
di costumi, per cui egli abbia inteso parare l’accusa di perdita
dell’infallibilità a causa degli errori sostenuti, stabilendo che concernevano verità connesse.
Sennonché l’Enciclopedia Cattolica gli dà
torto su questo punto.
Per giunta, il Concilio Vaticano I, sess.
III, dice: “Con fede divina e cattolica deve credersi tutto ciò […] che è
proposto dalla Chiesa come divinamente rivelato […] col suo magistero ordinario
e universale”.
Lo stesso nuovo catechismo sostiene che si ha
infallibilità “anche quando il Papa e i Vescovi, nel loro ordinario Magistero,
concordano nel proporre una dottrina come definitiva”.
Perciò il professor Radaelli afferma invano
che non ci sono le condizioni dell’infallibilità nei termini di tale Magistero.
http://pierovassallo.blogspot.it/2015/01/dellinfallibilita-papale-risposta-al.html
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