Comunione ai divorziati "risposati"? Bose propone direttamente le seconde nozze, come gli ortodossi
Nell’articolo «Tra un Sinodo e l'altro, la battaglia continua»
il vaticanista Sandro Magister riporta qual è la linea adottata dal
monastero di Bose riguardo alla questione della Comunione ai divorziati
risposati:
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Il vicepriore di Bose, Luciano Manicardi, in una dotta intervista all'Osservatorio delle libertà ed istituzioni religiose,
invoca che anche la Chiesa cattolica, come già fanno le Chiese
ortodosse, ammetta lo scioglimento di un matrimonio e quindi la
possibilità delle seconde nozze non solo per la morte di uno dei coniugi
ma anche semplicemente per la "morte dell'amore”.
Ecco cosa dice sul punto il vice di Enzo Bianchi:
«Nella
Relatio synodi si fa riferimento alla “diversità della disciplina
matrimoniale delle Chiese ortodosse” che prevede la possibilità di nuove
nozze non solo in caso di vedovanza ma anche di divorzio, accompagnate
da un percorso penitenziale e, in ogni caso, non oltre la terza volta
(cf. anche la Relatio ante-disceptationem 3f). Se al momento pare
difficile l'importazione nella Chiesa cattolica del modello ortodosso
che prevede anche il riconoscimento di giuste cause di divorzio (nel
mondo ortodosso, infatti, fin dal canone 9 di Basilio di Cesarea ripreso
dal Concilio in Trullo del 691-692, si prende come eccezione vera
l'eccezione matteana all'indissolubilità matrimoniale che troviamo in Mt
5, 32 e 19, 9), tuttavia, dal momento che la Chiesa cattolica già
prevede la possibilità di nuove nozze sacramentali in caso di morte di
un coniuge, riconoscendo così un fallimento irreversibile del primo
matrimonio che non infrange il principio della indissolubilità, si può
pensare che essa possa giungere ad accogliere la possibilità di nuove
nozze di fronte all'evidenza di fallimenti irreversibili dovuti alla
morte dell'amore, alla morte della relazione, alla trasformazione della
vita insieme in un inferno quotidiano. Certo, unitamente a una
disposizione penitenziale e alla volontà di un re-inizio serio in una
nuova unione. E questo come misura pastorale ed “oikonomica” che narra
la misericordia di Dio, il suo amore più forte della morte, e va
incontro con compassione all'umana fragilità. Di certo questa soluzione,
prospettata da un teologo come Basilio Petrà, che stupisce di non aver
visto annoverato tra gli esperti del sinodo del 2014, avrebbe
conseguenze sul piano ecumenico in quanto rappresenterebbe un indubbio
avvicinamento di posizioni con la prassi di altre Chiese».
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