RATZINGER E DANIÉLOU, UN “EROICO” SERVIZIO ECCLESIALE
Il 12 e il 13 febbraio avrà luogo presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma il convegno “Ratzinger e Daniélou di fronte al mistero della storia”. In questa intervista donGiulio Maspero, docente di Teologia Dogmatica presso la Facoltà di Teologia della Santa Croce, membro ordinario della Pontificia Accademica di Teologia e tra gli organizzatori del convegno, illustra il senso dell’iniziativa, il pensiero dei due grandi teologi, le loro affinità intellettuali, non tralasciando le loro doti di pastori: “Entrambi, pur essendo grandi intellettuali e uomini di università, hanno saputo spendersi, in obbedienza al Cristo, per la Chiesa e per gli ultimi”.
Perché affiancare Jean Daniélou e Joseph Ratzinger in un convegno?
Nel 2014 ricorrevano i 40 anni dalla morte di Jean Daniélou. Si tratta di un teologo gesuita la cui apertura di pensiero e il cui slancio verso la missione come espressione di fedeltà alla concreta verità di Cristo ricordano in certa misura il suo confratello Jorge Bergoglio, ora Papa Franceso. Qualche anno fa, sempre con Jonah Lynch e la Fraternità di San Carlo Borromeo, avevamo già dedicato una giornata di studio a questo grande teologo francese, il cui pensiero non ci sembra sufficientemente apprezzato. Così, ci è parso valesse la pena ricordarne l’anniversario con un vero e proprio congresso. Ma dopo la rinuncia di Papa Benedetto, insieme all’Associazione Patres, è nata anche l’idea di proporre alla Fondazione Ratzinger di accostare questi due grandi teologi, le cui vite coprono il XX secolo, che è un secolo ricchissimo da un punto di vista teologico. Sono molto diversi, non solo perché uno è francese e l’altro tedesco, uno un patrologo e l’altro un dogmatico e così via, ma anche per temperamento e stile. Eppure proprio tale diversità può permettere di apprezzare il nucleo comune che caratterizza il loro pensiero. Ci sembra che la validità dell’intuizione sia stata confermata dal sostegno accordato all’iniziativa dalla Pontificia Accademia di Teologia, il cui presidente p. Réal Tremblay, discepolo di Ratzinger, terrà la prima relazione del convegno, e da altre prestigiose istituzioni accademiche italiane ed estere, dalla Biblioteca Pinacoteca Accademia Ambrosiana di Milano all’Alma Mater Studiorum di Bologna, insieme alle università spagnole di San Damaso e di Navarra, all’università del Sacro Cuore di Milano, a quella di Chieti e alla Università Lateranense.
Qual è il nucleo centrale del pensiero di questi due grandi teologi?
Sia Daniélou sia Ratzinger hanno una straordinaria capacità di farsi comprendere e di rendere accessibili le verità più profonde. Oltre a libri molto tecnici, hanno scritto anche libri estremamente leggibili e apprezzati dal grande pubblico. Questa loro grande capacità nasce, mi sembra, dal loro essere teologi che guardano alla storia appunto, che parlano agli uomini del loro tempo per metterli in contatto con la sorgente. Questa è rappresentata sia dalla Scrittura sia dalla Tradizione, i Padri in primo luogo, ma anche dalla liturgia. Mi sembra significativo che entrambi questi teologi siano stati trattati, in qualche caso, con sufficienza da alcuni “esperti”, in ambito patristico, per quanto riguarda Daniélou, e in quello esegetico, in relazione a Ratzinger. Tali fraintendimenti possono essere attribuiti, mi pare, proprio al loro essere teologi, che sviluppano una teologia patristica, una teologia biblica, una teologia liturgica, e che così facendo sfuggono al riduzionismo storicista. Questa è stata la ragione forse più profonda nell’accostarli: la loro concezione propriamente teologica della storia e del mistero da cui essa è abitata.
La storia non è infatti un semplice oggetto che può essere studiato come si fa con i minerali o i fossili, ma ha una profondità, un “di dentro”, potremmo dire, che in quanto trama di vite interpella noi come soggetti, parlando alle nostre vite. Il mistero della storia implica che il suo studio non possa darsi se non in forma di dialogo, tenendo presente che ogni evento è risposta che presuppone una domanda. Un approccio alla storia meramente filosofico o storicista non è in grado di cogliere questa dimensione, che essenzialmente è legata alla libertà dell’uomo, cuore di questo mistero. Quindi, Ratzinger e Daniélou sono stati accostati proprio perché sono autori che sviluppano una autentica teologia della storia, in un’epoca nella quale imperavano le filosofie della storia, sia di matrice idealista, sia positivista, come avviene con lo storicismo.
Quali i punti di contatto, le affinità intellettuali e di esperienze tra questi due protagonisti della Chiesa del Ventesimo secolo?
La lista potrebbe essere lunga. Per prima cosa, entrambi sono stati estremamente attenti alle fonti, sia scritturistiche sia liturgiche, e il pensiero di entrambi è impregnato di teologia patristica. Nel caso di Joseph Ratzinger la fonte principale è latina con Agostino, poi approfondito nella tradizione medioevale che a lui si ispira, in particolare proprio per quanto riguarda la teologia della storia, cioè in Bonaventura. Per Jean Daniélou il riferimento fondamentale è greco con Gregorio di Nissa, Padre cappadoce del secolo IV, la cui fisionomia intellettuale sembra quasi riflettersi nei tratti più caratterizzanti del teologo francese, in particolare per quanto riguarda l’attenzione alla dimensione spirituale, all’apertura pastorale e alla filosofia.
Proprio l’attenzione a quest’ultima è un elemento che accomuna Ratzinger e Daniélou: entrambi hanno una chiara percezione della differenza tra teologia e filosofia, ma nello stesso tempo ciò li spinge proprio ad approfondire il rapporto tra le due, come esigenza intrinseca del Vangelo. Infatti la Buona Novella esige di essere comunicata, ma per parlare a chi non crede occorre una profonda conoscenza della filosofia, cioè di quella ricerca del Vero che si dà nella storia del pensiero umano. Utilizzando una terminologia cara a Ratzinger, ma che nella sua origine patristica è quasi ancor più strutturante nel pensiero di Daniélou, si potrebbe dire che il dono dell’amore di Dio che si dà come agape nella storia cerca sempre la domanda, il desiderio, quello che in greco si chiama eros, dell’uomo, i quali sono uno per l’altro.
Tale attenzione al cuore dell’uomo si nota molto anche nell’apertura allo studio delle religioni in entrambi gli autori, i quali superano ogni riduzionismo illuminista proprio grazie a tale prospettiva dialogica, che unisce la domanda e la risposta.
Infine, ma la lista potrebbe, come detto, essere ben più lunga, si può aggiungere come punto di contatto forse più profondo la dedicazione pastorale e il servizio ecclesiale che ha contrassegnato le loro vite, in misura che si potrebbe definire eroica. Infatti entrambi, pur essendo grandi intellettuali e uomini di università, hanno saputo spendersi, in obbedienza al Cristo, per la Chiesa e per gli ultimi.
Le religioni, la missione, la liturgia, verità e storia nel pensiero di Ratzinger e Daniélou sono alcuni dei temi che verranno affrontati nel corso del Convegno. Ci può delineare l’itinerario di riflessione che seguirete?
In base a quanto detto, il percorso ideale del convegno segue proprio il ritmo del dialogo tra eros eagape, partendo dallo studio delle religioni nei due autori, come elemento fondamentale della domanda su Dio nell’uomo, per passare poi alla liturgia, luogo principale di incontro con l’agape di Dio. Quindi analizzeremo come il loro pensiero sia tutto rivolto alla missione, proprio per l’attenzione al mistero della storia che lo caratterizza, come già accadeva nei Padri e al darsi della Verità ricercata da ogni uomo nella storia. In questo modo potremo approfondire la struttura stessa della loro teologia e i fondamenti che la rendono così attuale e aperta alle domande dell’uomo di oggi. L’ultima parte, come accennato, tratterà più in specifico la teologia della storia e come questi autori possono ispirare la teologia di oggi. In questo ambito si approfondirà specialmente il rapporto con la filosofia, e la metafisica in particolare. Infatti sia Joseph Ratzinger sia Jean Daniélou sono considerati punti di riferimento per gli studi attuali di ontologia trinitaria, cioè quella ricerca che cerca di leggere nella creazione il riflesso della sua origine trinitaria.
Può anticiparci i contenuti del suo intervento?
Io stesso sono impegnato in questa ricerca su come la dimensione trinitaria è presente nell’uomo e nel mondo a tutti i livelli. Personalmente sono affascinato da come i Padri hanno, con profondo ardire, accolto e modificato la metafisica classica, sviluppando un pensiero che ritengo contenga una risposta per l’uomo contemporaneo, immerso nella crisi postmoderna, che è di fatti una crisi di metafisica. Quest’ultima non è un relitto del passato o un reperto archeologico che interessa solo ad alcuni, pochi, esperti strani, ma noi usiamo la metafisica continuamente tutti i giorni, per fare affari o al ristorante. Infatti la risposta alla domanda “Che cosa è questo? Che sostanza è?” ci serve banalmente per ordinare quello che vogliamo al ristorante e verificare che ci abbiano portato il piatto richiesto.
Il punto è che la metafisica è stata sviluppata in Grecia in ambito pagano, in un contesto che non conosceva ancora il pieno valore della storia e della persona umana. Solo la Rivelazione cristiana ci ha permesso di attingere questa verità, che è nello stesso tempo profondamente consolante. Per questo sia Daniélou sia Ratzinger hanno iniziato a chiedersi cosa succede se si prende sul serio il fatto che Dio è comunione d’amore di tre Persone eterne, che sono Se stesse nella reciproca relazione, e quindi che questo Dio si dà nella storia e si può conoscere solo in una relazione personale. Nella teologia attuale stiamo cercando di prendere sul serio tale domanda, lavorando insieme anche con illustri teologi come Lubomir Zak, della Lateranense, e Piero Coda, dell’Istituto Sofia di Loppiano.
Per questo gli ultimi due contributi del convegno saranno dedicati al rapporto tra essere e storia e saranno svolti da me e da Robert Wozniak, di Cracovia, uno dei migliori teologici dogmatici polacchi.
Perché invitare un teologo anglicano come John Milbank?
In effetti Milbank non può essere definito un esperto del pensiero di Ratzinger o Daniélou, ma lo scopo del nostro convegno non è solo analizzare questi autori, ma anche cercare di capire come portare avanti a livello teologico quello che loro hanno fatto. Milbank, per questo, è un interlocutore validissimo, in quanto con passione ha promosso da anni un movimento teologico che vuole approfondire il rapporto tra teologia e filosofia, prendendo sul serio la storia e il suo mistero. Per questo gli abbiamo chiesto di parlare della teologia della storia. Anche lui è uno di quei teologi che si muove oggi alla ricerca di una ontologia trinitaria ed è per questo un magnifico compagno in questa avventura.
Luca Caruso
Il discusso teologo francese
Daniélou, il santo che predicava nei bordelli
Un convegno ricorda il pensiero del cardinale fautore del dialogo tra le religioni,
scomparso quaranta anni fa nell’appartamento di una prostituta di Pigalle
::: GIORDANO TEDOLDI
QQQ Il santo e la puttana, il
cardinale teologo e la pecorella
smarrita. Poche cose eccitano
l’istinto del crucifige, della
condanna sommaria, o perlomeno
dello sberleffo satirico,
della calunnia postuma,
quanto la vicinanza di un sacerdote
a una prostituta. Se
poi quel sacerdote è un uomo
dal carisma eccezionale, come
il gesuita Jean Daniélou, e la
prostituta una spogliarellista
di Pigalle, Madame Mimì Santini,
e quello ha la ventura di
morire sul pianerottolo di casa
di Madame con tremila franchi
nelle tasche, si capisce che
il titolo è bello che fatto: «Santo
peccatore muore tra le
braccia della sua Maddalena».
Accadeva il 20 maggio del
1974, Jean Daniélou aveva 69
anni, e con la sua scomparsa
ci lasciava uno dei principi
della cristianità, invitato come
peritusda Giovanni XXIII per il
Concilio Vaticano II,
quand’era un’autorità della
teologia del compimento, la
quale allacciava un dialogo
colto e fecondo con tutte le religioni,
dall’Islam all’animi -
smo dei popoli africani, ponendo
al vertice la cattolica,
ultima e finale alleanza, attraverso
Cristo, tra il divino e
l’uomo. Alla figura di Danié-
lou, fatto cardinale da Paolo VI
nel 1969, sarà dedicato il convegno
«Finestre aperte sul mistero.
Il pensiero di Jean Danié-
lou». La giornata di studi, promossa
dalla Pontificia Università
della Santa Croce e dalla
Fraternità san Carlo, si svolgerà
domani a Roma alle 15.30,
nell’Aula Magna dell’Univer -
sità (Piazza Sant’Apollinare
49).
Non sappiamo se oltre alla
discussione intorno al pensiero
di Daniélou, si affronterà
anche la circostanza della sua
morte, che vide in prima fila il
settimanale satirico Le Canard
enchaîné a sostenere la tesi
che Daniélou conducesse una
doppia vita, e che le sue periodiche
visite a Mimì, la ventiquattrenne
bionda dal nome
pucciniano, non rientrassero
soltanto in una missione di
apostolato e assistenza. Il Canard,
del resto, aveva acquisito
una certa autorità in materia.
Proprio in quegli anni era
uscito vincente da una campagna
in cui sosteneva che alcuni
bordelli nei pressi della
cattedrale di Le Mans fossero
di proprietà di un alto rappresentante
della Chiesa. Seguirono
sdegnate smentite, alla
fine si appurò che il Canard
aveva ragione. Quindi, quando
cominciò la campagna di
insinuazioni su Daniélou,
stroncato da infarto all’ultimo
piano di un malfamato edificio
al 56 di rue Dulong a Parigi,
soccorso fuori dall’uscio di
una nota casa d’appuntamen -
ti, soccorsi chiamati da Madame
Mimì, la conclusione sembrava
inequivocabile: il cardinal
Daniélou era spirato nel
modo in cui se ne vanno i lussuriosi
impenitenti. Persino il
quotidiano cattolico La Croix
commentò la notizia della
morte di Daniélou con un palese
mettere le mani avanti:
«Qualunque sia la verità, noi
cristiani sappiamo che ciascuno
di noi è un peccatore». A
Roma, il cardinale GabrielMarie
Garrone, che tenne
l’elogio funebre, disse: «Dio ci
conceda il perdono. La nostra
esistenza non può evitare di
includere elementi di debolezza
e ombre». Ma erano ombre
o illazioni maligne?
Una pronipote del cardinale,
la scrittrice e giornalista
Emmanuelle de Boysson,
condusse un’accurata indagine
sull’ultimo giorno del suo
illustre parente e ne pubblicò i
risultati in un libro del 2008: Le
cardinal et l’hindouiste : Le
mystère des frères Daniélou,
pubblicato dall’editore di studi
religiosi Presses de la renaissance,
dove l’induista del
titolo è il fratello minore di
Jean, Alain, esperto di shivaismo
e etnomusicologo scomparso
nel 1994. Cosa aveva
scoperto Emmanuelle del suo
prozio trascinato nel fango dal
Canard? Che quel 20 maggio si
era svegliato nel convento delle
Figlie del Cuore di Maria
che lo ospitavano, alle otto
aveva celebrato la messa, poi
aveva ricevuto delle visite a
aveva pranzato con un professore
di patristica, Eric Osborne.
I due progettano un congresso
di patristica in Australia
e Osborne, mentre tornano al
suo albergo, si accorge che
Daniélou è affannato. Si salutano,
Daniélou raggiunge il
suo studio a ritirare la posta
poi torna al convento. Ne riesce
alle 15 e 15 annunciando al
portiere che tornerà alle 17.
Alle 15 e 40 scende dall’auto -
bus che lo lascia a Rue Dulong.
Sale quattro rampe di
scale, secondo alcune testimonianze
a passo svelto, suona
alla porta di Mimì, è venuto
a portarle i soldi per pagare
l’avvocato del marito, che è
stato arrestato per sfruttamento
della prostituzione.
Jean Daniélou appare a Mimì
bianco come uno straccio, dice:
«Fa caldo qui», poi crolla a
terra. Mimì, sconvolta, gli slaccia
gli abiti, chiama la polizia,
che arriva in meno di dieci minuti.
Malgrado il massaggio
cardiaco, alle 16 e 7 il cardinale
è morto. «È passata appena
una mezz’ora tra la sua uscita
dal convento e la chiamata alla
polizia», scrive Emmanuelle.
Un po’ poco per avere il
tempo di morire tra le braccia
di una professionista, che secondo
i calunniatori l’avrebbe
trascinato dal suo letto sul pianerottolo.
Il Canard rientra nei ranghi,
le ombre di cui parlava il cardinal
Garrone si chiariscono.
Papa Ratzinger ha citato Daniélou
nella prefazione del suo
libro Gesù di Nazaret, suggellando
la riabilitazione del
«grande studioso dei padri». A
noi verrebbe da pensare che,
seppure fosse morto come
fosse piaciuto al Canard, i suoi
libri e la sua vita non sarebbero
stati meno spirituali.
Per il cardinale messo al bando è finita la quarantena
Un convegno ha rotto il silenzio su Jean Daniélou, uno dei più grandi teologi del Novecento. Il giallo della sua morte. L'ostilità dei confratelli gesuiti. L'intervista che non gli perdonarono
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 11 maggio 2012 – "Finestre aperte sul mistero": è questo il titolo del convegno con cui due giorni fa la Pontificia Università della Santa Croce ha rotto il silenzio su uno dei maggiori teologi del Novecento, il francese Jean Daniélou, gesuita, fatto cardinale da Paolo VI nel 1969.
Un silenzio durato quasi quarant'anni e cominciato con la sua scomparsa nel 1974.
In effetti, il ricordo di Daniélou si riduce oggi, per tanti, al mistero della sua morte per infarto, un pomeriggio di maggio, nella casa di una prostituta, al quarto piano di rue Dulong 56, a Parigi.
Quando in realtà il vero mistero su cui Daniélou aprì a molti le finestre, nella sua attività di teologo e uomo spirituale, è quello del Dio trinitario. Una delle sue opere maggiori ebbe per titolo: "Saggio sul mistero della storia". Una storia non governata dal caso, né dalla necessità, ma riempita dalle "magnalia Dei", dalle grandiose meraviglie di Dio, una più stupefacente dell'altra.
Oggi, pochi dei suoi libri sono ancora in commercio. Eppure sono tuttora di straordinaria ricchezza e freschezza. Semplici eppure profondissimi, come pochi teologi hanno saputo fare nell'ultimo secolo, oltre a lui e a quell'altro campione di chiarezza che ha nome Joseph Ratzinger.
Daniélou si accompagna all'attuale papa per l'impianto biblico e storico più che filosofico della sua teologia, per la competenza nei Padri della Chiesa (innamorato l'uno di Gregorio di Nissa, l'altro di Agostino), per il ruolo centralissimo dato alla liturgia.
Daniélou, assieme al confratello gesuita Henri De Lubac, fu il geniale iniziatore nel 1942 di quella collana di testi patristici denominata "Sources Chrétiennes" che ha segnato la rinascita della teologia nel secondo Novecento e ha preparato il meglio del Concilio Vaticano II.
Un autore, insomma, assolutamente da riscoprire.
Ma va sciolto anche il giallo della sua morte e della taciturna squalifica che ne seguì.
Mimì Santoni, la prostituta, lo vide cadere in ginocchio col volto a terra, prima di spirare. E per lei "fu una bella morte, per un cardinale". Era andato a portarle dei soldi per pagare un avvocato capace di tirar fuori di prigione suo marito. Fu l'ultima delle sue opere di carità compiute in segreto, per persone disprezzate e bisognose d'aiuto e perdono.
I gesuiti fecero indagini serrate, per appurare la verità. Accertarono la sua innocenza. Ma di fatto avvolsero il caso in un silenzio che non fugò i sospetti.
La rottura tra Daniélou e altri suoi confratelli gesuiti di Parigi e di Francia fu in effetti la vera origine dell'oblio caduto su questo grande teologo e cardinale.
Una rottura che precedette la sua morte almeno di due anni.
Dal 1972, infatti, Daniélou non abitava più nella casa di "Etudes", la rivista culturale di punta dei gesuiti francesi, dove aveva vissuto per decenni. Si era trasferito in un convento di suore, le Figlie del Cuore di Maria.
A far precipitare lo scontro era stata un'intervista di Daniélou alla Radio Vaticana nella quale criticava duramente la "decadenza" che devastava tanti ordini religiosi maschili e femminili, a causa di "una falsa interpretazione del Vaticano II".
L'intervista fu letta come un'accusa portata contro la stessa Compagnia di Gesù, il cui generale era all'epoca padre Pedro Arrupe, che era anche a capo dell'Unione dei superiori generali degli ordini religiosi.
Il gesuita Bruno Ribes, direttore di "Etudes", fu tra i più attivi nel far terra bruciata attorno a Daniélou.
Le posizioni dei due si erano fatte antitetiche. Nel 1974, l'anno della morte di Daniélou, Ribes schierò "Etudes" in disobbedienza aperta rispetto all'insegnamento dell'enciclica "Humanae Vitae" sulla contraccezione.
E collaborò con altri teologi "progressisti" – tra i quali i domenicani Jacques Pohier e Bernard Quelquejeu – alla stesura della legge che in quello stesso anno introdusse il libero aborto in Francia, con Simone Veil ministro della sanità, Valéry Giscard d'Estaing presidente e Jacques Chirac primo ministro.
L'anno dopo, nel 1975, padre Ribes lasciò la direzione di "Etudes". E successivamente abbandonò prima la Compagnia di Gesù e poi la Chiesa cattolica.
Ecco qui di seguito l'intervista che costò a Daniélou la messa al bando.
A distanza di quarant'anni, la decadenza degli ordini religiosi in essa denunciata è ancora in atto, come prova negli Stati Uniti la vicenda della "Leadership Conference of Women Religious":
> Diario Vaticano / Il Sant'Uffizio mette in castigo le suore americane(30.4.2012)
__________
"LA FONTE ESSENZIALE DI QUESTA CRISI..."
Intervista del cardinale Jean Daniélou alla Radio Vaticana, 23 ottobre 1972
D. – Eminenza, esiste realmente una crisi della vita religiosa e può darcene le dimensioni?
R. – Penso che vi sia attualmente una crisi molto grave della vita religiosa e che non si debba parlare di rinnovamento ma piuttosto di decadenza. Penso che questa crisi colpisca soprattutto l'area atlantica. L'Europa dell'Est e i paesi dell'Africa e dell'Asia presentano a questo riguardo una migliore sanità spirituale. Questa crisi si manifesta in tutti gli ambiti. I consigli evangelici non sono più considerati come consacrazioni a Dio, ma visti in una prospettiva sociologica e psicologica. Ci si preoccupa di non presentare una facciata borghese, ma sul piano individuale la povertà non è praticata. Si sostituisce la dinamica di gruppo all'obbedienza religiosa; col pretesto di reagire contro il formalismo, ogni regolarità della vita di preghiera è abbandonata e le conseguenze di questo stato di confusione sono anzitutto la scomparsa delle vocazioni, poiché i giovani chiedono una formazione seria. E, d'altra parte, vi sono i numerosi e scandalosi abbandoni di religiosi che rinnegano il patto che li legava al popolo cristiano.
D. – Può dirci quali sono a suo parere le cause di questa crisi?
R. – La fonte essenziale di questa cristi è una falsa interpretazione del Vaticano II. Le direttive del Concilio erano chiarissime: una più grande fedeltà dei religiosi e delle religiose alle esigenze del Vangelo espresse nelle costituzioni di ogni istituto e nello stesso tempo un adattamento delle modalità di queste costituzioni alle condizioni della vita moderna. Gli istituti che sono fedeli a queste direttive conoscono un vero rinnovamento e hanno delle vocazioni. Ma in molti casi si sono sostituite le direttive del Vaticano II con delle ideologie erronee messe in circolo da riviste, da convegni, da teologi. E tra questi errori si possono menzionare:
- La secolarizzazione. Il Vaticano II ha dichiarato che i valori umani devono essere presi sul serio. Non ha mai detto che noi entreremmo in un mondo secolarizzato nel senso che la dimensione religiosa non sarebbe più presente nella civiltà, ed è nel nome di una falsa secolarizzazione che religiosi e religiose rinunciano ai loro abiti, abbandonano le loro opere per inserirsi nelle istituzioni secolari, sostituendo delle attività sociali e politiche all'adorazione di Dio. E questo va controcorrente, tra l'altro, rispetto al bisogno di spiritualità che si manifesta nel mondo di oggi.
- Una falsa concezione della libertà che porta con sé la svalutazione delle costituzioni e delle regole ed esalta la spontaneità e l'improvvisazione. Ciò è tanto più assurdo in quanto la società occidentale soffre attualmente dell'assenza di una disciplina della libertà. Il ripristino di regole ferme è una delle necessità della vita religiosa.
- Una concezione erronea della mutazione dell'uomo e della Chiesa. Anche se i contesti cambiano, gli elementi costitutivi dell'uomo e della Chiesa sono permanenti e la messa in questione degli elementi costitutivi delle costituzioni degli ordini religiosi è un errore fondamentale.
D. – Ma vede dei rimedi per superare questa crisi?
R. – Penso che la soluzione unica e urgente è di fermare i falsi orientamenti presi in un certo numero di istituti. Occorre per questo fermare tutte le sperimentazioni e tutte le decisioni contrarie alle direttive del Concilio; mettere in guardia contro i libri, le riviste, i convegni in cui sono messe in circolo queste concezioni erronee; ripristinare nella loro integrità la pratica delle costituzioni con gli adattamenti chiesti dal Concilio. Là dove questo appare impossibile, mi sembra che non si può rifiutare ai religiosi che vogliono essere fedeli alle costituzioni del loro ordine e alle direttive del Vaticano II di costituire delle comunità distinte. I superiori religiosi sono tenuti a rispettare questo desiderio.
Queste comunità devono essere autorizzate ad avere delle case di formazione. L'esperienza mostrerà se le vocazioni sono più numerose nelle case di stretta osservanza o nelle case di osservanza mitigata. Nel caso in cui i superiori si oppongano a queste richieste legittime, un ricorso al sommo pontefice è certamente autorizzato.
La vita religiosa è chiamata a un grandioso avvenire nella civiltà tecnica; più questa si svilupperà, più si farà sentire il bisogno della manifestazione di Dio. Questo è precisamente lo scopo della vita religiosa, ma per compiere la sua missione occorre che essa ritrovi il suo autentico significato e rompa radicalmente con una secolarizzazione che la distrugge nella sua essenza e le impedisce di attirare vocazioni.
__________
Per maggiori dettagli sulla figura di Daniélou e sulle vicende che precedettero la sua morte, vedi l'articolo di Jonah Lynch su "Avvenire" dell'8 maggio 2012:
> Daniélou, la verità usurpata
Don Lynch è vicerettore, a Roma, della Fraternità San Carlo Borromeo che prepara sacerdoti destinati alle missioni.
La Fraternità San Carlo Borromeo ha promosso assieme alla Pontificia Università della Santa Croce la giornata di studi su Daniélou del 9 maggio.
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11.5.2012
cos'è questa "fondazione ratzinger"? ma stiamo scherzando? ratzinger ovvero quell'individuo che ha distrutto il Papato con la cazzata dell'emerito e ha creato a tavolino la porcata dell'"ermeneutica della continuità" e tante altre in linea con i suoi predecessori vaticanosecondisti che han distrutto la Chiesa Cattolica Apostolica Romana?
RispondiEliminaI ratzingeriani i woitilyani i montiniani i roncalliani sette da cui ben guardarsi.......il putrido e diabolico cv2 li ha fatti salire sul scranno e ha creato Bergoglio di cui ora le sette cui sopra vorrebbero sbarazzarsi. Danno la colpa a Bergoglio di tutto il letamaio che c'è dentro la Chiesa e di riflesso nel nostro Paese e assolvono i guru delle sette appena citate. Fanno solo schifo!!!!