Straordinarie Testimonianze sulle Reliquie della Passione di Gesù – 1
di Francesco SdG, "Sete di Giustizia Genova"
Testimonianze storiche sulle Reliquie della Passione di Gesù
Genova, Roma, Gerusalemme – di Francesco SdG, "Sete di Giustizia" Genova - Mancano pochi giorni alla Settimana Santa, cuore ed essenza del Cristianesimo che ci porterà, sulle orme del cammino di sofferenza estrema del Cristo, alla Gioia senza limiti della Santa Pasqua. Nella settimana della Passione rivivremo i momenti cruciali del sacrificio di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma oggi quali reliquie ci rimangono di quei giorni? Tutti conosciamo la reliquia più importante della cristianità, che è la Sacra Sindone, della quale tanto si è scritto e detto. Tuttavia relativamente pochi nel mondo sanno che a Roma si trova la Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, nella quale è conservata la reliquia – che dà il nome al Santuario - costituita dai frammenti della Croce di Cristo, assieme al Titulus Crucis, ovvero l'iscrizione che secondo i Vangeli fu posta sulla croce. Presenti anche un Chiodo della Crocifissione, anch'esso rinvenuto, secondo la tradizione, da Sant'Elena; due spine, appartenenti, secondo la tradizione, alla Corona posta sul capo di Gesù; il dito di San Tommaso, l'apostolo che in un primo momento dubitò dellaResurrezione di Cristo; nonché una parte della croce del Buon Ladrone.
Alla ricerca della Santa Croce - Il miracolo del paralitico
Sant’Elena ritrovò la croce in circostanze miracolose, tra i rifiuti del Calvario: la tradizione vuole che la regina per riconoscere quale fosse il legno della vera croce fece stendere un paralitico sulle assi di legno trovate; quando il malato fu adagiato sul vero legno guarì e si alzò. La croce fu così portata a Roma e collocata all’interno dei palazzi sessoriani, all'interno dei quali fu costruita una cappella in cui oggi sorge l’attuale Basilica. La certezza della presenza della Santa Croce a Roma è testimoniata già dal Medioevo quando i Papi durante le Via Crucis, fissavano la XII stazione della Via Crucis proprio a S. Croce, per andare ad adorare il Legno della vera Croce. Un’altra prova è fornita dai vari frammenti del Sacro Legno prelevati dalla Reliquia per essere donati dai Pontefici a personalità e santuari. Moltissime parti della croce sono state prelevate e inviate in tutte le chiese d’Europa. In Italia è facile trovare in una Chiesa del Duecento o del Trecento una piccolissima parte della croce. Insieme alla Croce Elena trovò i chiodi con i quali Gesù fu crocifisso: molti sono gli scritti degli storici, che ci testimoniano che Sant'Elena dopo il ritrovamento fece mettere un chiodo nel freno del cavallo di Costantino, un altro nella corona del figlio (la famosa corona ferrea oggi custodita nel duomo di Monza) e il terzo lo portò con sé a Roma dove è anticamente annoverato tra le Reliquie Sessoriane.
Figura 1 in foto: Santa Croce - Santino della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
INRI - La Reliquia del Titolo – Documenti storici
La notissima scritta "I.N.R.I." è conosciuta anche come "la reliquia del Titolo" o "Titulus Crucis" (IS NAZARENUS BASILEUS TVN IOUDAIVN e I. NAZARINVS REX IVDAEORVM: “Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: Gesù il Nazareno, il re dei giudei.” – Vedi Gv. 19-19) la tavoletta di legno scritta in tre lingue, aramaico, greco e latino. Fu anch’essa portata a Roma e collocata in alto, murata da una pietra che recava la scritta "Titulus Crucis", per non essere trafugata. Purtroppo però col tempo si persero le tracce poiché erano andate perse le lettere che ne indicavano la sua collocazione, ciò fino ai restauri del 1942 quando furono ritrovate all’interno di una cassettina con il sigillo del Card. Caccianemici titolare di Santa Croce e poi Papa col nome di Lucio II. La professoressa Maria Luisa Rigato ha fatto recenti studi sull'autenticità della reliquia: il titolo giunse a Roma tra lafine del 500 e l’inizio del 600 e cioè successivamente alla regina Elena. La studiosa sostiene che il Titolo è intero e che l'iscrizione che si può vedere oggi è tale e quale a quella di duemila anni fa ed è perfettamente compatibile con quello che è scritto nei Vangeli. Peculiarità è che anche latino e greco sono scritti da destra a sinistra come l’aramaico. Evidentemente la persona che scrisse il titolo nelle tre lingue lo fece correttamente nella sua lingua, masbagliando il verso nelle altre. Questa è considerata un’altra prova dell’autenticità della reliquia.
Figura 3 in foto: "La Reliquia del Titolo" – Basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Le Spine della Passione di Cristo e il prodigio del 1932
All’interno della Basilica sono custodite anche due Spine provenienti dalla Corona che cinse il capo di Gesù. Figura 2 Foto del Santino della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme “…intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo” (Mc 15/17) La reliquia della corona di spine, oggi è racchiusa in un contenitore circolare trasparente, e si trova a Parigi nella Cattedrale di Nôtre Dame. Molte delle spine furono disperse nei secoli, perché offerte in dono agli imperatori bizantini e a diversi re europei; ce ne sono una trentina sparse per l’Europa. le più famose sono quelle di Bari, Andria e Napoli. Queste tre spine sono le più famose perché il Venerdì Santo di determinati anni le spine macchiate di sangue rosseggiano. Nel 1932 la spina di Napoli rinverdì, rosseggiò e fiori alle 15,00(ora della morte del Signore).
Figura 2 in foto: "Spine della Corona della Passione" – Basilica di Santa Croce
La Corona di Spine e il riscatto di Luigi IX
Si sa per certo, da alcuni racconti dei primi secoli resi noti dai pellegrini che si recavano a Gerusalemme, che la Corona di spine si trovava tra le cosiddette "reliquie del Monte Sion", luogo biblico dove sorgeva il palazzo di Caifa. Essa fu trasferita nel 1046 a Costantinopoli dove, nel 1238, l'imperatore Baldovino di Fiandra la impegnò presso i banchieri veneziani per superare le difficoltà economiche. Lo stesso Baldovino chiese a suo cugino Luigi IX re di Francia di riscattare la reliquia. Luigi IX accettò la proposta e per rendere omaggio alla preziosa reliquia, costruì la Saînte-Chapelle all'interno del suo palazzo di Parigi. Alla vigilia della rivoluzione francese tutte le reliquie per motivi di sicurezza furono trasferite nella Biblioteca Nazionale. Nel 1806, l'arcivescovo di Parigi la fece trasferire nellaCattedrale di Notre Dame, dove si trovano tuttora.
Il Sudario di Gesù e le concordanze con la Sindone
Un altro approfondimento particolare lo merita la reliquia del "Sudario di Gesù". Già da vari anni sono in corso, anche se ai più restano poco note, ricerche scientifiche sul Sudario che si conserva nella Cattedrale del San Salvatore di Oviedo (Spagna). Si tratta di un panno rettangolare di lino, di circa 53 per 86 centimetri, di composizione uguale a quello della Sindone per dimensione delle fibre, filatura e torcitura, a eccezione della trama, che è a ordito ortogonale mentre quella della Sindone è a spina di pesce. A occhio nudo sono visibili solo delle macchie di colore marroncino chiaro di varia intensità, rivelatesi come sangue umano; le analisi al microscopio hanno mostrato anche ulteriori macchie di sangue (alcune puntiformi), oltre a granelli di polline e tracce di aloe e mirra. Le fonti storiche mettono il sudario tradizionalmente in relazione con la Passione di Gesù; esso viene esposto ai fedeli tre giorni all’anno: il Venerdì Santo e il primo e l’ultimo giorno del Giubileo della Santa Croce, cioè il 14 settembre (la festa della santa Croce) e il 21 settembre (festa di San Matteo). “Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in luogo a parte”. (Gv. 20/5-7)
Figura 4 in Foto - Sudario – Cattedrale del San Salvatore di Oviedo (Spagna)
Il Sudario – Ricostruzione medievale del "Liber Testamentorum
Le notizie che ci sono pervenute sulla sua storia derivano soprattutto dalla medievale ricostruzione fattane nel Liber Testamentorum da Pelagio, vescovo di Oviedo dal 1101 al 1130 (anno in cui fu deposto), morto nel 1153. Egli afferma che il Sudario, proveniente dal sepolcro di Gesù, fu custodito in Gerusalemme insieme ad altre reliquie in un’arca di legno di cedro, che lì rimase fino al tempo della conquista della città per mano dei Persiani di Cosroe II, nel 614, quando un monaco di nome Filippo fuggì portandola ad Alessandria d’Egitto. Giunti anche qui i Persiani nel 616, Filippo portò l’arca dal Nord Africa nella penisola iberica, consegnandola a San Fulgenzio, vescovo di Ecija, che la diede al fratello San Leandro, vescovo di Siviglia (in realtà Leandro morì verso il 600). Sant’Isidoro, anch’egli fratello di Leandro e suo successore, la donò al suo allievo Sant’Ildefonso (607-667), che, quando nel 657 fu consacrato vescovo di Toledo, la portò con sé nella capitale del regno ispano-visigotico.
Sulle tracce del "Sacro Sudario"
A queste notizie di Pelagio possiamo aggiungere un riferimento fatto al «sudario del sepolcro di Cristo» nel 570 dal pellegrino Antonino di Piacenza, che ne conosceva la collocazione nella grotta di un monastero sulle rive del fiume Giordano, nei pressi di Gerico (ma non dice di averlo visto); mentre San Braulio, vescovo di Saragozza dal 631 al 651, parla del suo ritrovamento (non è chiaro dove, ma probabilmente in Spagna). Un altro pellegrino invece, il vescovo Algulfo, dice di aver visto il Sudario a Gerusalemme nel 670. Sempre secondo Pelagio, da Toledo, per timore degli Arabi che avevano iniziato l’invasione della Spagna nel 711, il Sudario e le altre reliquie, riposti in una nuova arca di rovere, furono trasferiti direttamente a Oviedo, nelle Asturie. Un’altra tradizione, forse più attendibile, dice invece che in quest’occasione sudario e reliquie furono nascosti in un eremitaggio sul Monsacro, una montagna a dieci chilometri da Oviedo. Solo verso l’840 il re di Asturia Alfonso II il Casto (791-842) le avrebbe portate a Oviedo: fece per questo costruire all’interno del suo palazzo la “Cámara Santa” (Camera Sacra), una cappella che da allora accoglie l’arca con le reliquie (attualmente la cappella è incorporata all’interno della Cattedrale gotica di San Salvador, costruita nel XIV secolo). Dopo una possibile apertura dell’arca avvenuta forse nei primi decenni dell’XI secolo, un documento del 14 marzo 1075 (di cui si conserva una copia del XIII secolo nell’archivio della Cattedrale di Oviedo) ci attesta una ricognizione avvenuta il giorno precedente alla presenza del Re di Castiglia e León Alfonso VI (1065-1109) e ci fornisce il primo inventario del contenuto, con l’espressa menzione «de Sudario eius (Domini)». Menzione che appare anche sul rivestimento d’argento dell’arca, ordinato dallo stesso Alfonso VI e realizzato, qualche anno dopo la sua morte, come testimonia la data incisa sul metallo (1113). Una ulteriore ricognizione del contenuto dell’arca avvenne al tempo del vescovo Diego Aponte de Quiñones (1585-1598) quando il Re Filippo II ordinò un nuovo inventario delle reliquie al suo inviato Ambrogio de Morales. Dunque la storia del Sudario, risalendo in sostanza a una testimonianza molta tarda (pieno XII secolo), sembrerebbe avere non molti requisiti di attendibilità. Eppure, contro ogni aspettativa, le ricerche scientifiche non l’hanno contraddetta, ma anzi rafforzata.
Le più recenti indagini sul "Sudario della Passione"
I primi studi sul Sudario si devono, a partire dal 1965, a Monsignor Giulio Ricci, che ne fece presenti alcuneanalogie con la Sindone, del cui studio aveva molta esperienza. Le più recenti indagini (l’ultimo convegno internazionale di studi sul Sudario si è tenuto a Oviedo nell’aprile del 2007), che tuttora proseguono a opera dell’Edices (Equipo de investigación del Centro español de Sindonología), hanno innanzitutto potuto accertare che il panno fu posto sul viso di un uomo, già morto, ripiegato e appuntato dietro alla testa. Una quadruplice serie di macchie, speculari su entrambi i lati del panno ripiegato, è risultata essere composta in realtà da una parte di sangue e da sei parti di liquido edematico polmonare, sostanza che si accumula nei polmoni a causa della morte per soffocamento, come quella che avviene in seguito a una crocifissione. L’uomo cui appartiene il sangue presente sul Sudario di Oviedo è dunque morto per le stesse cause dell’uomo della Sindone. Alcune macchie sono sovrapposte ad altre in modo tale da risultare chiaro che queste ultime erano già asciutte quando si formarono quelle che vi si sovrapposero, e dunque gli studiosi hanno potuto anche stabilire che il Sudario fu apposto sul volto del defunto almeno in due distinti momenti. Tra le macchie si distinguono anche impronte di dita, disposte nella parte attorno alla bocca e al naso, lasciate probabilmente da chi stava cercando di arrestare il flusso di sangue dal naso dopo che il panno era stato avvolto sul capo. Oltre alle macchie di liquido edematico se ne riconoscono altre di diverso tipo, tra cui puntini di sangue causati da piccoli corpi appuntiti, forse spine.
Corrispondenza geometrica con la Sindone
Ma la coincidenza più notevole è che le macchie sul Sudario hanno mostrato corrispondenza geometrica con quelle della Sindone, delle quali inoltre sono un poco più estese. L’impronta del naso, misurabile sia sulla Sindone che sul Sudario, risulta avere la medesima lunghezza di otto centimetri. Indagini compiute nel 1985 e poi di nuovo nel 1993 hanno dimostrato che il sangue del Sudario di Oviedo appartiene al gruppo AB, comune in Medio Oriente ma raro in Europa, lo stesso rilevato per il sangue presente sulla Sindone. Non hanno dato esito invece l’indagine sul Dna, risultato troppo frammentato e quindi inutilizzabile, e quella del carbonio 14, che ha dato una datazione al VII secolo d.C. considerata però inattendibile dagli stessi esecutori del test a causa dell’eccessivoinquinamento dei campioni.
I Pollini del Sudario
Al Medio Oriente rimandano, come già per la Sindone, anche i pollini rinvenuti sul Sudario, studiati nel 1979 dal biologo Max Frei, che risultano compatibili con l’ambiente palestinese del I secolo. In particolare, egli trovò tracce di pollini provenienti da sei tipi di piante diverse. Due erano piante caratteristiche della Palestina: quercus calliprinos e tamarindus. Gli altri pollini provenivano dal Nord Africa e dalla Spagna, confermando inaspettatamente l’itinerario del Sudario descritto dal vescovo Pelagio. E infine, alla Palestina del I secolo rimanda anche, ancora come per la Sindone, il tipo di lavorazione del lino, il materiale di cui è fatto l’oggetto.
A contatto con la stessa persona
Tutte le risultanze scientifiche sembrano dunque indirizzare verso la conclusione che il Sudario di Oviedo e la Sindone siano stati a contatto con la stessa persona. E questo avvenne in momenti ravvicinati ma diversi: certamente prima il Sudario rispetto alla Sindone, sia perché la maggiore ampiezza delle macchie presuppone unsangue più fluido, sia perché sul Sudario c’è solo il sangue ma non anche l’immagine negativa che invece appare sulla Sindone, dove sappiamo essersi formata in un momento successivo alle macchie di sangue. Tenendo conto di quanto si è potuto osservare, si è fatta dunque l’ipotesi che il Sudario di Oviedo possa essere il telo che servì, secondo l’usanza ebraica, a coprire il volto di Gesù nel trasporto dalla croce al sepolcro, ma che fu tolto dal volto prima che questo venisse ricoperto con la Sindone; e che, proprio perché intriso di sangue, dovette essere lasciato (secondo le prescrizioni funebri ebraiche) nel sepolcro (1). “Questo è calice della nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi” (Lc 22/20). (Fine Prima Parte – continua…)
(1) Vedi: Il Sudario di Oviedo apparso su 30Giorni n.4 del 2009, di Lorenzo Bianchi vedi qui Il Sudario di Oviedo
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Lunedì, Marzo 23rd/ 2015
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Introduzione – Per chi ha Sete di Giustizia
Roma, Gerusalemme – Introduzione di Sergio Basile, Presidente "SdG" – "Sete di Giustizia" ha la mission di far conoscere a vasto raggio le teorie auritiane sulla "Proprietà Popolare della Moneta" che, secondo il Prof. Giacinto Auriti (insigne docente universitario di diritto e grande devoto della Madonna di Fatima, in onore della Quale edificò una chiesa) avrebbe liberato il mondo dal giogo dell'usura e dai lacci dello "sterco di Satana", la moneta-debito (vedi qui Nell’era della moneta-debito, tutto il male viene raccolto dentro un simbolo) mediante l'applicazione pratica, a livello economico e monetario, della politica del Padre Nostro. Il simbolo di Sete di Giustizia (vedi foto) non a caso è formato da una circonferenza gialla (simboleggiante il bordo di un calice d'oro visto dall'alto) con al centro un cerchio metà bianco e metà rosso che rappresenta il Corpo e il Sangue Eucaristico di Cristo: elementi inseririti anche nella veste grafica del SIMEC, lamoneta locale senza debito ideata dallo stesso Auriti. Senza il messaggio evangelico e quello eucaristico, dunque, Auriti non avrebbe mai trovato l'ispirazione e lo spirito per giungere a questa straordinaria scoperta. Ecco perchè essere auritiani, oggi, vuol direr anche avere molto rispetto e comprendere bene il reale messaggio di Gesù e la "politica del Padre Nostro": Dacci oggi il Nostro Pane Quotidiano. Ecco perchè comprendere la portata ed il valore spirituale della moneta - e dei suoi ispiratori – ci aiuta a dar fondamento alla nostra "Sete di Giustizia", consapevoli che quella in atto a livello planetario è una grande battaglia tra bene e male, cioè tra i seguaci di Gesù, morto in Croce per riscattare l'umanità dal peccato, e i seguaci di Satana, che oggi tengono sotto scacco il mondo intero mediante l'emissione e il controllo della moneta-debito, ingenerandoagghiaccianti sperequazioni sociali, crimini, suicidi indotti ed ogni sorta di aberrazione, dietro il falso paravento delle cosiddette "crisi economiche". Per noi di SdG è dunque essenziale comprendere bene il messaggio di Gesù. La Settimana Santa è il tempo migliore per farlo, specie partendo – come amiamo fare – da fonti e prove storiche che ci riconducono alle vicende di cui si parla nei Vangeli. Buona lettura e buona meditazione!
Sergio Basile, Presidente "Sete di Giustizia"
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