Coraggio, fede e umanità di Mario Palmaro
Un anno fa, il 9 marzo 2014, moriva Mario Palmaro. Firma storica del Timone
e per anni membro del suo comitato di redazione, aveva iniziato a
collaborare con la rivista a partire dal n. 6 (marzo-aprile 2000). Il
suo ultimo articolo, dedicato ad Eugenio Corti, è stato pubblicato il
mese stesso della sua scomparsa.
L’esempio di Mario è vivo in chi l’ha conosciuto personalmente, in chi ha seguito le sue lezioni universitarie, in chi ha assistito alle sue conferenze e ha letto i suoi tanti libri. L’esempio di un vero miles Christi, che ha condotto la sua Buona Battaglia fino alla fine con la sprezzatura e lo humour di un gentiluomo brianzolo e la lucidità, la fermezza e la parresia di un apologeta di altri tempi.
L’esempio di Mario è vivo in chi l’ha conosciuto personalmente, in chi ha seguito le sue lezioni universitarie, in chi ha assistito alle sue conferenze e ha letto i suoi tanti libri. L’esempio di un vero miles Christi, che ha condotto la sua Buona Battaglia fino alla fine con la sprezzatura e lo humour di un gentiluomo brianzolo e la lucidità, la fermezza e la parresia di un apologeta di altri tempi.
Noi lo ricorderemo pubblicando nei prossimi giorni una raccolta di tutti i suoi interventi sul Timone, riprodotti con stessa impaginazione grafica degli originali. Si tratta di 131 scritti, per oltre 300 pagine, introdotti da una lettera della moglie Annamaria.
Il ricavato delle vendite andrà alla famiglia, alla moglie e ai quattro splendidi figli.
Segnaliamo inoltre che dal 2 marzo è in distribuzione anche il libro Mario Palmaro. Il buon seme fiorirà, curato da Alessandro Gnocchi e pubblicato da Fede & Cultura. Sarà presentato domani (domenica 8 marzo), presso la libreria “Duomo” a Monza (in piazza Duomo 8), con la testimonianza di Alessandro Gnocchi e di amici e colleghi.
A seguire, alle 18,45, sempre a Monza, presso la chiesa delle Suore Sacramentine in via Italia 37, verrà celebrata una Messa in rito gregoriano in suffragio di Mario.
Un’altra Messa in suffragio sarà celebrata lunedì 9 marzo alle ore 18, nel Duomo di Monza.
Qui riproponiamo un articolo scritto da Palmaro per il Timone di maggio 2010, su un tema di stringente attualità nella Chiesa di oggi: la Comunione ai divorziato risposati.
NEL SEGNO DELLA SPERANZA
di Mario Palmaro
La posizione della Chiesa nei confronti dei fedeli divorziati è molto chiara. Ma quanti la conoscono veramente? Basta ascoltare i discorsi della gente per accorgersi che equivoci, fraintendimenti ed errori clamorosi sono assai diffusi: si confondono situazioni oggettivamente molto diverse tra loro, in un tripudio di luoghi comuni e di nozioni raccogliticce orecchiate dalla Tv o spigolate su qualche giornale sfogliato dal parrucchiere.
La posizione della Chiesa nei confronti dei fedeli divorziati è molto chiara. Ma quanti la conoscono veramente? Basta ascoltare i discorsi della gente per accorgersi che equivoci, fraintendimenti ed errori clamorosi sono assai diffusi: si confondono situazioni oggettivamente molto diverse tra loro, in un tripudio di luoghi comuni e di nozioni raccogliticce orecchiate dalla Tv o spigolate su qualche giornale sfogliato dal parrucchiere.
Questa situazione
dipende certamente da una diffusa superficialità in materia di fede e di
morale, alla quale non sono estranei gli stessi credenti. Ma è anche
conseguenza di colpevoli omissioni da parte di coloro che nella Chiesa
hanno il compito di insegnare e di “pascere” il gregge affidato da Gesù.
Non è raro infatti sentirsi dire che “queste cose ormai si sanno”, e
che – per ragioni pastorali, per carità, per rispetto umano – “è meglio
non parlare di queste cose nelle prediche o nella catechesi”. Il
risultato è che i fedeli in realtà “queste cose non le sanno”, o le
sanno in modo approssimativo, ignorando le precise indicazioni del
Magistero e soprattutto le ragioni che stanno alla base di questo
rigoroso insegnamento.
Il fatto è reso ancor più
grave dalla enorme diffusione del divorzio nella nostra società, al
punto che quasi tutti ormai hanno almeno un parente o un amico o un
collega che vive un fallimento matrimoniale e che, come si usa dire, “si
rifà una vita” con un altro partner. È dunque ancora più urgente sapere
che cosa la Chiesa dice esattamente, anche per poter fare davvero del
bene a coloro che si trovano in questa profonda sofferenza umana e
spirituale. Anche per questi fratelli, infatti, Cristo ha parole di
speranza. Anche per loro il bene proposto dal Vangelo è possibile.
Luoghi comuni e mala fede
La gente sa in maniera assai vaga che se sei divorziato non puoi ricevere la Comunione. Così capita che ci siano dei divorziati erroneamente convinti di essere colpiti da questa reclusione, mentre in realtà il divieto si riferisce ai divorziati risposati, cioè a coloro che hanno contratto matrimonio civile dopo aver celebrato un precedente matrimonio valido. E ancora: la maggior parte delle persone non sa che anche ai divorziati risposati la Chiesa offre una strada per ritornare alla Comunione. Di più: in alcune parrocchie si va diffondendo l’idea che ogni divorziato risposato decide in coscienza se vuole fare la Comunione, e che nessuno, tanto meno il sacerdote, può interferire in questa scelta. Altri pensano che i divorziati risposati siano degli scomunicati. E in generale si ritiene che la Chiesa escluda questi fedeli dall’eucarestia con un intento punitivo.
Luoghi comuni e mala fede
La gente sa in maniera assai vaga che se sei divorziato non puoi ricevere la Comunione. Così capita che ci siano dei divorziati erroneamente convinti di essere colpiti da questa reclusione, mentre in realtà il divieto si riferisce ai divorziati risposati, cioè a coloro che hanno contratto matrimonio civile dopo aver celebrato un precedente matrimonio valido. E ancora: la maggior parte delle persone non sa che anche ai divorziati risposati la Chiesa offre una strada per ritornare alla Comunione. Di più: in alcune parrocchie si va diffondendo l’idea che ogni divorziato risposato decide in coscienza se vuole fare la Comunione, e che nessuno, tanto meno il sacerdote, può interferire in questa scelta. Altri pensano che i divorziati risposati siano degli scomunicati. E in generale si ritiene che la Chiesa escluda questi fedeli dall’eucarestia con un intento punitivo.
Come
vedremo in questo articolo, tutti questi luoghi comuni sono davvero
molto lontani dalla verità. Sono lontani dal vero anche quei cattolici
che inveiscono contro la Chiesa, olpevole di “discriminare” i fedeli
divorziati. Un atteggiamento di ribellione davvero singolare,
soprattutto se assunto da coloro che magari per anni hanno snobbato la
vita cristiana, la Messa domenicale, la confessione, le devozioni, e che
improvvisamente “riscoprono” una sospetta “fame eucaristica” proprio
nel momento in cui – per loro libera scelta – si sono messi in una
condizione irregolare.
L’atteggiamento della Chiesa
I divorziati risposati possono pensare che la Chiesa provi nei loro confronti disprezzo. Nulla di più falso: i pastori sono chiamati ad accogliere questi fedeli «con carità e amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio». Sono le parole testuali dell’autorevolissima Congregazione per la Dottrina della Fede, che nel 1994 ha inviato a tutti i vescovi del mondo un documento sulla materia. La Congregazione – allora guidata dal Cardinal Ratzinger – aggiunge che i pastori devono suggerire a questi fedeli «con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione». In queste parole c’è tutto il Magistero: la carità di Cristo, la maternità della Chiesa, la possibilità di lasciare alla spalle il male per fare il bene.
Il giudizio della Chiesa
Comprendere non significa però giustificare. La misericordia è autentica solo quando procede insieme alla verità. Ed è per questo che vescovi e sacerdoti hanno il dovere (non quindi una generica possibilità discrezionale) di richiamare ai fedeli divorziati la dottrina della Chiesa, in particolare sulla ricezione dell’Eucarestia. Qual è questa dottrina? Eccola: «Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura questa situazione».
Una punizione?
Qualcuno può pensare che questa norma contenga una pena, inflitta ai divorziati per sanzionare la loro condotta. Non è così. Nella Familiaris consortio (1982) Giovanni Paolo II spiega limpidamente che il rifiuto della Comunione deriva da due fondamentali ragioni: la prima, che consiste nella oggettiva condizione in cui si trovano questi fedeli, che non sono in grazia di Dio; la seconda, che é di ordine pastorale, perché se queste persone fossero ammesse all’eucarestia ne deriverebbe una grave confusione per i fedeli, indotti in errore circa la dottrina della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio. I vescovi e i sacerdoti dovranno inoltre compiere ogni sforzo affinché venga compreso bene che questa disciplina è frutto «soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo».
Chi decide?
Secondo qualche sacerdote, la disciplina della Chiesa su questa materia si risolverebbe in una classica questione di coscienza. Poiché valutare la giusta disposizione d’animo a ricevere l’eucarestia spetta normalmente al singolo fedele, anche in questo caso sarebbe il divorziato risposato a dover decidere che fare. Con la conseguenza pratica che, sempre secondo taluni sacerdoti, «se un fedele si presenta a fare la comunione, io ho il dovere di dargliela in ogni caso, anche se so che è un divorziato risposato». Questa posizione non è conforme all’insegnamento della Chiesa, che impone un “grave dovere a tutti i pastori”.
L’atteggiamento della Chiesa
I divorziati risposati possono pensare che la Chiesa provi nei loro confronti disprezzo. Nulla di più falso: i pastori sono chiamati ad accogliere questi fedeli «con carità e amore, esortandoli a confidare nella misericordia di Dio». Sono le parole testuali dell’autorevolissima Congregazione per la Dottrina della Fede, che nel 1994 ha inviato a tutti i vescovi del mondo un documento sulla materia. La Congregazione – allora guidata dal Cardinal Ratzinger – aggiunge che i pastori devono suggerire a questi fedeli «con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione». In queste parole c’è tutto il Magistero: la carità di Cristo, la maternità della Chiesa, la possibilità di lasciare alla spalle il male per fare il bene.
Il giudizio della Chiesa
Comprendere non significa però giustificare. La misericordia è autentica solo quando procede insieme alla verità. Ed è per questo che vescovi e sacerdoti hanno il dovere (non quindi una generica possibilità discrezionale) di richiamare ai fedeli divorziati la dottrina della Chiesa, in particolare sulla ricezione dell’Eucarestia. Qual è questa dottrina? Eccola: «Fedele alla parola di Gesù Cristo, la Chiesa afferma di non poter riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio. Se i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura questa situazione».
Una punizione?
Qualcuno può pensare che questa norma contenga una pena, inflitta ai divorziati per sanzionare la loro condotta. Non è così. Nella Familiaris consortio (1982) Giovanni Paolo II spiega limpidamente che il rifiuto della Comunione deriva da due fondamentali ragioni: la prima, che consiste nella oggettiva condizione in cui si trovano questi fedeli, che non sono in grazia di Dio; la seconda, che é di ordine pastorale, perché se queste persone fossero ammesse all’eucarestia ne deriverebbe una grave confusione per i fedeli, indotti in errore circa la dottrina della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio. I vescovi e i sacerdoti dovranno inoltre compiere ogni sforzo affinché venga compreso bene che questa disciplina è frutto «soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo».
Chi decide?
Secondo qualche sacerdote, la disciplina della Chiesa su questa materia si risolverebbe in una classica questione di coscienza. Poiché valutare la giusta disposizione d’animo a ricevere l’eucarestia spetta normalmente al singolo fedele, anche in questo caso sarebbe il divorziato risposato a dover decidere che fare. Con la conseguenza pratica che, sempre secondo taluni sacerdoti, «se un fedele si presenta a fare la comunione, io ho il dovere di dargliela in ogni caso, anche se so che è un divorziato risposato». Questa posizione non è conforme all’insegnamento della Chiesa, che impone un “grave dovere a tutti i pastori”.
Qual
è questo obbligo grave? Quando qualcuno, convivendo more uxorio con una
persona che non è la legittima moglie o il legittimo marito, giudicasse
possibile ricevere la Comunione, allora vescovi e sacerdoti – in
particolare nel ruolo di confessori – «hanno il grave dovere di ammonire
che tale giudizio è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa».
Questa dottrina dovrà essere ricordata «anche nell’insegnamento a tutti i
fedeli».
Dunque ai sacerdoti è richiesta una
specifica vigilanza, rispetto ad altri peccati, e la ragione è evidente:
il matrimonio è essenzialmente una realtà pubblica.
Nemmeno in certi casi?
Secondo alcuni, in svariati casi bisognerebbe eliminare il divieto di accesso alla Comunione. Tali situazioni particolari sono state evocate dallo stesso documento della Congregazione per la Dottrina della Fede:
Nemmeno in certi casi?
Secondo alcuni, in svariati casi bisognerebbe eliminare il divieto di accesso alla Comunione. Tali situazioni particolari sono state evocate dallo stesso documento della Congregazione per la Dottrina della Fede:
a.
Quando il divorziato risposato era stato abbandonato ingiustamente dal
coniuge, pur cercando in ogni modo di salvare il matrimonio;
b. Quando il divorziato risposato è convinto in coscienza che il precedente matrimonio sia nullo, pur non potendolo dimostrare nel foro esterno;
c. Quando il divorziato risposato si è sottoposto a un lungo cammino di penitenza, ed è assistito da un sacerdote prudente ed esperto.
b. Quando il divorziato risposato è convinto in coscienza che il precedente matrimonio sia nullo, pur non potendolo dimostrare nel foro esterno;
c. Quando il divorziato risposato si è sottoposto a un lungo cammino di penitenza, ed è assistito da un sacerdote prudente ed esperto.
Nel n. 84 della
Familiaris Consortio Giovanni Paolo II esorta i pastori a tenere in
considerazione queste situazioni, distinguendole da atteggiamenti
colpevoli. D’altra parte, il n. 4 del documento della Congregazione per
la Dottrina della Fede usa parole inequivocabili, che non lasciano
scampo a interpretazioni lassiste. Anche in questi casi molto
particolari, l’accesso alla Comunione non può essere consentito.
Esiste una via di uscita?
A questo punto, i divorziati risposati potrebbero sembrare dei condannati a una sorta di “ergastolo morale”, una gabbia senza scampo. Ma non è così. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede è anche qui molto preciso: «Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l’acceso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall’assoluzione sacramentale». E a chi può essere data tale assoluzione?
Esiste una via di uscita?
A questo punto, i divorziati risposati potrebbero sembrare dei condannati a una sorta di “ergastolo morale”, una gabbia senza scampo. Ma non è così. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede è anche qui molto preciso: «Per i fedeli che permangono in tale situazione matrimoniale, l’acceso alla Comunione eucaristica è aperto unicamente dall’assoluzione sacramentale». E a chi può essere data tale assoluzione?
«Solo a quelli che, pentiti di aver
violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono
sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con
l’indissolubilità del matrimonio». In concreto ciò significa che i due
hanno l’obbligo di separarsi. Ma qualora i due non possono più
separarsi, perché ad esempio devono educare i figli, assumeranno
«l’obbligo di vivere in piena continenza, astenendosi dagli atti propri
dei coniugi». Quindi, due divorziati che vivano “come fratello e
sorella” possono accedere alla Comunione «fermo restando l’obbligo di
evitare lo scandalo», ad esempio ricevendo l’eucarestia in una chiesa
diversa da quella della propria comunità.
La Chiesa potrà cambiare la sua posizione?
No. La prassi di escludere i divorziati risposati dalla Comunione è costante e universale, ed è fondata sulla Sacra Scrittura. Questa prassi è vincolante, e «non può essere modificata in base alle diverse situazioni», poiché «agendo in tal modo la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità».
Due scomunicati?
I divorziati risposati non sono affatto degli “scomunicati”. Questo significa che non sono colpiti da una sanzione grave da parte della Chiesa – come avviene ad esempio nei confronti di chi ha commesso il peccato di aborto volontario – e significa anche che essi devono essere incoraggiati a partecipare alla vita cristiana. In particolare, la Chiesa li incoraggia a non abbandonare la pratica della Messa, anche quando fossero impossibilitati a ricevere la Comunione, perché questa loro partecipazione al sacrificio di Cristo non è senza valore e senza significato. La Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento del 1994 li esorta «ad approfondire il valore della comunione spirituale», a pregare, a educare i figli nella fede cristiana, a impegnarsi in opere di carità.
Segnali di speranza
Non ci sono dubbi: un cattolico sincero, trovandosi nella condizione di divorziato risposato, vive nella sua coscienza una sofferenza molto profonda. Le motivazioni umane che lo hanno spinto verso certe decisioni, la forza coinvolgente degli affetti umani, le conseguenze talvolta irrimediabili degli errori, lo avviluppano da ogni parte. È proprio in questa dura prova che il divorziato risposato dovrà resistere ad alcune tentazioni: ribellarsi alla Chiesa; abbandonare la vita cristiana; perdere ogni speranza. Per quanto grave sia la nostra colpa, per quanto ardua sia la strada da percorrere, con l’aiuto di Dio tutto è possibile. Realmente tutto.
La Chiesa potrà cambiare la sua posizione?
No. La prassi di escludere i divorziati risposati dalla Comunione è costante e universale, ed è fondata sulla Sacra Scrittura. Questa prassi è vincolante, e «non può essere modificata in base alle diverse situazioni», poiché «agendo in tal modo la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla sua verità».
Due scomunicati?
I divorziati risposati non sono affatto degli “scomunicati”. Questo significa che non sono colpiti da una sanzione grave da parte della Chiesa – come avviene ad esempio nei confronti di chi ha commesso il peccato di aborto volontario – e significa anche che essi devono essere incoraggiati a partecipare alla vita cristiana. In particolare, la Chiesa li incoraggia a non abbandonare la pratica della Messa, anche quando fossero impossibilitati a ricevere la Comunione, perché questa loro partecipazione al sacrificio di Cristo non è senza valore e senza significato. La Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento del 1994 li esorta «ad approfondire il valore della comunione spirituale», a pregare, a educare i figli nella fede cristiana, a impegnarsi in opere di carità.
Segnali di speranza
Non ci sono dubbi: un cattolico sincero, trovandosi nella condizione di divorziato risposato, vive nella sua coscienza una sofferenza molto profonda. Le motivazioni umane che lo hanno spinto verso certe decisioni, la forza coinvolgente degli affetti umani, le conseguenze talvolta irrimediabili degli errori, lo avviluppano da ogni parte. È proprio in questa dura prova che il divorziato risposato dovrà resistere ad alcune tentazioni: ribellarsi alla Chiesa; abbandonare la vita cristiana; perdere ogni speranza. Per quanto grave sia la nostra colpa, per quanto ardua sia la strada da percorrere, con l’aiuto di Dio tutto è possibile. Realmente tutto.
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