La lenta escalation di Bergoglio
Molto sangue è passato dal digiuno per la Siria. Ora si cambia (un po’)
Pasqua, messa e benedizione Urbi et Orbi di Papa Francesco (foto LaPresse)
Milano. “Protezione dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani. Loro sono i nostri martiri di oggi, e sono tanti, possiamo dire che sono più numerosi che nei primi secoli. Auspico che la comunità internazionale non assista muta e inerte di fronte a tale inaccettabile crimine, che costituisce una preoccupante deriva dei diritti umani più elementari. Auspico veramente che la comunità internazionale non volga lo sguardo dall’altra parte”. Così al Regina Coeli del lunedì dell’Angelo.
“Alleviare le sofferenze dei tanti nostri fratelli perseguitati a causa del Suo nome, come pure di tutti coloro che patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso, ce ne sono tante”, alla benedizione Urbi et Orbi di Pasqua. “Il nostro silenzio è complice delle persecuzioni”, alla Via Crucis. “Che questa persecuzione contro i cristiani, che il mondo cerca di nascondere, finisca e ci sia la pace”, dopo la strage nelle chiese in Pakistan. Letti all’indietro, gli interventi di Francesco degli ultimi giorni in difesa dei cristiani martirizzati e per richiamare l’attenzione della comunità internazionale, la cui attenzione verso i cristiani è quantomeno intermittente e selettiva, segnano una piccola ma significativa escalation nei toni della Santa Sede. Almeno rispetto alla “speciale giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in medio oriente, e nel mondo intero” del 7 settembre 2013, convocando la quale Francesco (così nei commenti degli ottimisti, ma anche dei suoi critici severi) era riuscito a scongiurare l’intervento militare contro la Siria di Assad. Allora il pacifismo di Bergoglio era apparso senza cedimenti e alternative, venato di misticismo. Addirittura un passo indietro, in direzione della “Pacem in terris”, rispetto alle pur oscillanti elaborazioni sull’ingerenza umanitaria di Wojtyla. Così l’impressione è che oggi – certo anche per effetto delle pressioni degli episcopati locali, sempre più drammatiche – non si possa rimproverare ai vertici della chiesa di Roma di rimanere silenziosi, rassegnati all’irenismo di fronte alla mattanza. Più di un appunto, invece, lo si può muovere all’indecisionismo della comunità internazionale, alle oscillazioni tra interventismo e status quo e soprattutto alle contraddittorie convenienze nel sostenere questo o quell’attore in guerra.
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di Maurizio Crippa | 08 Aprile 2015
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