Oggi, salvo cambiamenti dell’ultimo minuto o improvvise resistenze di qualche vescovo determinato a far saltare tutto, la Conferenza episcopale tedesca approverà le modifiche alla normativa riguardante il diritto di lavoro ecclesiale, aprendo le porte (fino a oggi chiuse) ai divorziati risposati civilmente e a quanti vivono in una relazione tra persone dello stesso sesso. Fino ad ora, infatti, per lavorare negli enti della Chiesa cattolica in Germania (che di organismi collegati ne conta parecchi, tant’è che rappresenta la seconda maggiore “azienda” nel Paese) bisognava essere in regola con lo stile di vita raccomandato dal Magistero cattolico. In sostanza, niente da fare per i divorziati e risposati e neppure per gli omosessuali impegnati in una convivenza. A confermarlo c'è il caso del dottor Müller, che perse il posto di primario in un ospedale cattolico proprio perché risposato civilmente dopo aver divorziato dalla prima moglie.
I vescovi guidati dal cardinale Reinhard Marx – che appoggia la riforma – ci avevano già provato lo scorso novembre (clicca qui), ma s’erano dovuti fermare dopo il verdetto della Corte costituzionale federale, decisa a ribadire che il diritto di lavoro ecclesiale richiede dai propri dipendenti (o dalle persone comunque sotto contratto) un comportamento in linea con quanto la Chiesa cattolica insegna in fatto di morale e di fede. Nelle motivazioni della sentenza si legge infatti che i «doveri ecclesiali» di cui parla la normativa dipendono «solamente dai princìpi riconosciuti e redatti dalla Chiesa e il concreto contenuto del contratto di lavoro». Adesso, scrive Edward Pentin sul National Catholic Register (clicca qui), tornano alla carica, guardando già al Sinodo ordinario del prossimo ottobre sulla famiglia. Perché l’obiettivo, sostiene Pentin, è quello di presentare il cambiamento della normativa in assemblea sinodale come una sorta di fait accompli, un mutamento sostanziale che dimostra la possibilità di rinnovare la prassi pastorale senza troppi scossoni o chissà quali smottamenti dottrinali. Si tratterebbe, insomma, del secondo atto di forza dei presuli tedeschi dopo il documento portato lo scorso ottobre nell'Aula nuova con le firme dei vescovi a sostegno delle tesi esposte dal cardinale Walter Kasper.
E il cambiamento della normativa sul diritto di lavoro ecclesiale in un grande Paese come la Germania rappresenterebbe il primo passo verso la messa in pratica dell’agenda riformista perorata proprio da Kasper in questo anno e mezzo con libri, conferenze e relazione letta nel Concistoro del febbraio 2014. Andrebbe pure oltre, visto che non ci sarebbe solo l'apertura al riaccostamento dei divorziati risposati all’eucaristia, ma anche l’accettazione implicita delle convivenze tra persone dello stesso sesso. Un passo ulteriore perfino rispetto alla discussa relazione intermedia dello scorso autunno, dalla quale prese immediatamente le distanze il suo firmatario (il cardinale Péter Erdo) e che fu poi sconfessata dai circoli minori e dalla votazione finale dei padri sinodali.
Qualche resistenza da parte di un gruppo di prelati, nota Pentin, però c’è. Per superarla, si sta studiando come tenere il documento fuori dall’occhio del ciclone, magari presentando proprio un testo ambiguo, senza affermazioni nette o esplicite. Su questo starebbe lavorando il segretario della Conferenza episcopale, il gesuita Hans Langendörfer. Da chiarire come la nuova normativa possa ottenere il voto positivo di quanti, come il cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki, lo scorso novembre salutarono la sentenza della Corte costituzionale come un verdetto «che ci dà la sicurezza del diritto».
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