Il Cardinale Ciappi, il teologo di papi, da Pio XII a Giovanni Paolo II (all’inizio del suo pontificato): “Il Terzo Segreto dice che la grande apostasia nella Chiesa inizia dal suo vertice. La conferma ufficiale del segreto de La Salette (1846): “La Chiesa subirà una terribile crisi. Essa sarà eclissata. Roma (il Vaticano) perderà la fede e diventare la sede dell’Anticristo “.
ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...
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venerdì 24 aprile 2015
Contro i pavidi
Corano a catechismo
“Basta girare attorno ai problemi: Ci perseguitano perché siamo cristiani”, dice un vescovo keniota
Il 2 aprile, 180 studenti cristiani furono trucidati da miliziani somali di al Shabaab
Roma. “Basta girare attorno alla questione delle persecuzioni cristiane. Stiamo assistendo a un’allarmante crescita dell’islamismo. Noi siamo minacciati in quanto cristiani, e le istituzioni non ci difendono”. Il politicamente corretto non s’addice a mons. Anthony Muheria, vescovo di Kitui, diocesi di quel Kenya che ancora è sconvolto dalla mattanza del 2 aprile scorso, che se la prende con le coscienze addormentate incapaci di accorgersi di quel che avviene sotto i loro occhi, tra decapitazioni e roghi e persecuzioni, dal vicino e medio oriente all’Africa.
Quel 2 aprile che segnerà la storia della città di Garissa, miliziani somali di al Shabaab eliminarono 150 studenti, chi a colpi di pistola, chi decollato, dopo averli salomonicamente divisi: cristiani da una parte, musulmani dall’altra. I primi da macellare, i secondi da salvare.
Ecco perché oggi, i vescovi kenioti stanno meditando di spendere le ore del catechismo per inculcare nella testa dei fedeli alcuni elementi fondamentali del Corano, da saper ripetere a memoria nel caso un jihadista armato di coltellaccio chiedesse – in cambio della sopravvivenza – il nome della madre di Maometto. Ci vogliono chiarezza e coraggio, dice il monsignore secondo quanto riportato dal portale Crux nella ricostruzione di John Allen. Chiarezza e coraggio nell’ammettere che l’obiettivo di al Shabaab è quello di “fare dell’Africa un continente interamente musulmano”. Con il beneplacito – dice – anche di certi “islamici moderati che provano simpatia per quegli intenti”. E questo nonostante si ripetano gli appelli al dialogo, come dimostra la dichiarazione diffusa mercoledì dal Pontificio consiglio che si occupa di questioni interreligiose, guidato dal cardinale Jean-Louis Tauran.
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«Questi sono i nostri beati». È questa l'ambiziosa “proclamazione” che il mensile di apologetica cattolica Il Timonepropone ai lettori in occasione del 70esimo anniversario della Liberazione. Un dossier accurato e coraggioso, quello del mese di Aprile, in cui si affronta partendo dalla storia del beato Rolando Rivi, ucciso dai partigiani comunisti in odio alla fede sul finire della seconda guerra mondiale, le storie degli altri preti uccisi dalla violenza rossa. E ci si chiede che fare della loro memoria adesso che la Chiesa, con la beatificazione del seminarista martire, ha sancito che nel biennio '44-'46 si morivain odium fidei.
È nato così un dossier di 12 pagine nel quale raccontare le storie degli oltre 80 preti uccisi dai partigiani la cui morte può essere attribuita a odio politico religioso. L'ambizione, spiega già nel titolo il mensile è chiara: «Proporre la beatificazione collettiva: saranno i nostri martiri del Triangolo della morte».
L'operazione è trasparente: «Dei 150 preti uccisi dalla violenza rossa, nel clima di vendette e ritorsion, un buon numero trovò la morte perché apertamente simpatizzante del Regime fascista e dunque compromesso, anche se un prete ucciso, da una parte o dall'altra, porta sempre dietro di sé un aberrante sacrilegio. Pochi cadono vittime di errori e vendette personali per questioni banali: eredità, prestiti etc...». «Ma c'è un numero – fa notare la rivista – che una ricerca storica degna di tal nome deve incaricarsi di definire in maniera scientifica e che attualmente si aggira sulle 70-80 unità che trova la morte in un contesto ideologico-politico».
In sostanza, secondo quanto ricostruisce il Timone, furono uccisi perché tenacemente anticomunisti. Avevano capito che mentre si combatteva la guerra di Liberazione le formazioni marxiste stavano utilizzando quel vasto movimento insurrezionale in vista di un'imminente rivoluzione comunista. Si tratta per lo più di preti emiliani e friulani, uccisi perché dal pulpito condannavano non solo le aberrazioni della guerra, ma anche l'ideologia marxista che ispirava i princìpi di molte brigate partigiane.
Il dossier si avvale di testimonianze di preti scampati ad agguati che erano finiti nella lista nera, come quella di don Raimondo Zanelli, oggi 85enne. Ma anche di documenti, tra cui lettere e diari, in cui viene mostrata la pianificazione strategica della caccia al prete da parte dei partigiani comunisti che non accettavano un disimpegno nella causa della Resistenza da parte di quei preti che non condividevano le impostazioni ideologiche delle Brigate Garibaldi.
Ma la parte centrale del dossier racconta le storie di religiosi il cui ricordo oggi rischia di perdersi defintivamente con la morte degli ultimi testimoni. Da don Luigi Lenzini, la cui causa di beatificazione è già a Roma a don Umberto Pessina, ucciso per il suo zelo anticomunista e sulla cui morte la giustizia ha detto una parola definitiva solo 40 anni dopo aver vinto la cortina di fumo del Pci che conosceva i veri assassini e lasciò condannare un innocente. Ma c'è anche don Francesco Bonifacio, il santo degli infoibati. Senza dimenticare le storie di don Augusto Galli, ucciso perché nella lista nera e infamato successivamente con l'attribuzione di un'amante, e don Giuseppe Iemmi, che dal pulpito condannò l'uccisione di un fascista e venne freddato dai partigiani.
Le accuse per coprire quelle uccisioni venivano sempre giustificate attraverso un canovaccio che molto spesso ha retto alla prova degli anni anche per l'assenza di rigorosi processi giudiziari. Per alcuni lo spionaggio ai nazifascisti, per altri l'infamia di un'amante, per altri ancora l'attività anti-resistenziale o anche solo aver ospitato in canonica un fascista in fuga. Accuse politiche dunque. Ma come fa notare don Nicola Bux nel suo contributo, «per diminuire la portata del sacrificio dei cristiani fin dai tempi di Gesù, si è cercato di giustificare le uccisioni per motivi politici e non per odium fidei. In realtà le due cause si fondono perché l'amore per la Patria è una virtù cristiana e perché nel sangue dei sacerdoti uccisi anche di quelli di cui non si conosce neppure il nome è presente una teologia della persecuzione che ha sempre accompagnato la vita della Chiesa».
Ma c'è anche un aspetto che a 70 anni merita di essere ricordato: è la straordinaria avventura dei partigiani bianchi, cattolici, che morirono gridando “Viva Cristo Re” e che a differenza dei partigiani comunisti – come spiega lo storico Alberto Leoni – «agivano nel rispetto della popolazione civile». Si fanno largo le storie di Giuseppe Cederle o Aldo Gastaldi “Bisagno”, ma anche di Franco Balbis. E non possono mancare le vicende epiche dei partigiani uccisi da altri partigiani, come il caso del comandante cattolico della Sap di Reggio Emilia Mario Simonazzi “Azor” i cui assassini, certamente partigiani, non vennero mai trovati. A indagare sulla sua morte una figura straordinaria di cattolico, partigiano e giornalista: Giorgio Morelli, che diede vita ad un'avventura editoriale con la Nuova Penna, nella quale per primo denunciò le uccisioni ad opera dei partigiani comunisti nel Triangolo della morte. Per questo suo impegno venne fatto oggetto di un agguato e morì per le conseguenze dello sparo poco tempo dopo. Anche lui un martire del Triangolo rosso.
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Celebriamo sempre la Messa per tutti gli uomini, passati, presenti e futuri, ma oggi abbiamo unmemento speciale per i caduti italiani degli ultimi giorni di guerra, che furono tutti fascisti della R.S.I.
Ricordiamo, anzitutto, le donne che militavano nella R.S.I., come ausiliarie, uccise del tutto inermi per il solo motivo di aver aderito alla R.S.I. Fra queste cito solo la terziaria francescana Angela Maria Tam, che aveva dedicato tutta la sua vita alla scuola: sottoposta a ogni genere di sevizie, rispose intonando un canto liturgico in onore della Vergine Maria.
Poi i ragazzi volontari. detti “fiamme bianche”, uccisi inermi dopo esserrsi consegnati al nemico.
Inoltre gli intellettuali, una lista che comincia con Giovanni Gentile e finisce , forse, con l’insegnante di disegno Tullio Santi.
Infine i sacerdoti. I sacerdoti uccisi a tradimento dai partigiani furono circa 200. Ricordiamo affettuosamente soprattutto quelli uccisi nel cosiddetto “triangolo rosso”.
IL GENOCIDIO. Il 24 aprile 1915 cominciò la campagna dei Giovani turchi, che sterminarono il popolo cristiano armeno, che abitava quella terra da prima dell’arrivo dei musulmani, uccidendo almeno un milione e mezzo di persone. L’obiettivo era quello di ridurre in ogni regione di almeno il 90 per cento la popolazione armena, colpevole agli occhi dei nazionalisti di non essere turca. Così, in poco tempo, gli armeni furono decimati passando da due milioni ai 60 mila circa odierni. QUI
ARMENIA-TURCHIA La più grande canonizzazione della storia: 1,5 milioni di armeni massacrati dall’impero ottomano La cerimonia, presieduta da Karekine II, è avvenuta ieri pomeriggio a Echmiadzin (Erevan). Oggi vi saranno le cerimonie civili. Attesi Putin e Hollande. Le campane hanno suonato in Armenia e a New York, Parigi, Madrid, Berlino, Venezia. Le resistenze della Turchia nell’ammettere il genocidio. L’imbarazzo degli Stati Uniti. Il primo passo dell'Austria.
Erevan (AsiaNews) – Alla vigilia del giorno che commemora il genocidio armeno, il Katholicos Karekine II ha canonizzato tutti i martiri uccisi dall’impero ottomano dal 1915 al 1917. La cerimonia si è svolta ieri pomeriggio all’aperto, a Echmiadzin, a pochi km dalla capitale, davanti ai resti di quella che si può considerare la cattedrale cristiana più antica (del IV secolo) e questa dei martiri armeni è la canonizzazione del maggior numero di martiri nella storia della Chiesa. Durante la cerimonia, Karekine II ha usato spesso la parola “genocidio”, che il governo turco – in qualche modo successore dell’impero ottomano – rifiuta. “Durante i difficili anni del genocidio degli armeni – ha detto il Katholicos – milioni del nostro popolo sono stati sradicati e massacrati in maniera premeditata, uccisi col fuoco e con la spada, assaggiando i frutti amari della tortura e del dolore”. “La canonizzazione dei martiri del genocidio – ha aggiunto – dona un respiro nuovo di vita, di grazia e benedizione alla nostra esistenza cristiana e nazionale”. Alla fine della cerimonia, alla presenza del presidente Serzh Sarkisian, le campane hanno suonato in tutta l’Armenia, ma anche in diverse parti del mondo, dove vi sono consistenti comunità armene: New York, Parigi, Madrid, Berlino, Venezia. Alla canonizzazione hanno partecipato molti armeni della diaspora. Oggi a Erevan si terranno le cerimonie civili a ricordo del genocidio di 100 anni fa. Sono stati invitati diversi capi di Stato fra cui il presidente russo Vladimir Putin e il francese François Hollande. Alcuni hanno preferito non andare per timore di rovinare il loro rapporto con la Turchia. Ankara nega con forza che vi sia stato un genocidio degli armeni. Per il governo la causa della morte di 300mila (e non 1,5 milioni) armeni ha avuto come cause la guerra civile e la fame. Alla commemorazione del genocidio avvenuta in Vaticano lo scorso 12 aprile, papa Francesco ha detto che quello degli armeni è il “primo genocidio del XX secolo”, scatenando i rimbrotti e le minacce del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Finora più di 20 nazioni – fra cui Russia, Francia, Italia – hanno riconosciuto il genocidio. Gli Stati Uniti non hanno ancora mai usato la parola “genocidio”, sebbene la comunità armena negli Usa continui a domandarlo ai vari presidenti. Due giorni fa, per la prima volta, il parlamento austriaco ha osservato un minuto di silenzio in memoria del genocidio armeno. Al tempo l’Austria era alleata dell’impero ottomano. Il gesto ha provocato le ire della Turchia che ha denunciato “un’offesa al popolo turco contraria ai fatti” e ha richiamato il suo ambasciatore per consultazioni.
Armenia, centesimo anniversario genocidio. Putin: "Nulla giustifica massacri di massa"
Numerose le delegazioni straniere alle cerimonie, oltre al capo di stato francese, quelli di Serbia e Cipro, per l'Italia Casini e Cicchitto. In agenda bilaterale tra il presidente russo e Hollande per parlare della crisi ucraina, Medio Oriente e ritardata consegna della navi Mistral a Mosca sullo sfondo delle sanzioni
EREVAN - Sono attese centinaia di migliaia di cittadini. Visiteranno nelle prossime ore il memoriale di Tsitsernakaberd, eretto sulla spianata della collina di Dzidzernagapert (Forte delle rondini) in ricordo del Genocidio armeno perpetrato dal governo dei 'Giovani Turchi' dell'Impero Ottomano cento anni fa, ma oggi è tutto il mondo a ricordare il massacro di un milione e mezzo di armeni. Da Teheran a Istanbul, da Gerusalemme a Berlino, da Montevideo a Parigi, le persone sono scese in piazza per non dimenticare. A Erevan, in Armenia, hanno preso il via ufficialmente le cerimonie. Il presidenteSerzh Sargsian, accompagnato dalla moglie Rita, ha deposto una corona di fiori presso la fiamma eterna. "I recenti progressi nel riconoscimento del genocidio armeno devono aiutare a dileguare le tenebre di cento anni di negazionismo" ha detto Sarksian.
Numerose le delegazioni straniere alle cerimonie. Da ieri sera è già ad Erevan il presidente russo, Vladimir Putin. Presenti anche il presidente francese, Francois Hollande, il presidente cipriota Nikos Anastasiades e quello serbo Tomislav Nikolic. Per l'Italia sono arrivati i presidenti delle commissioni Esteri di Senato, Pier Ferdinando Casini, e Camera, Fabrizio Cicchitto.
Da sinistra, il Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II, il presidente serbo Tomislav Nikolic e il presidente russo Vladimir Putin
"Niente può giustificare massacri di massa. Oggi ci raccogliamo a fianco del popolo armeno" ha detto il capo del Cremlino di fronte ai leader stranieri ed armeni riuniti. La Russia - ha ricordato Vladimir Putin - ha partecipato o si è fatta promotrice di un gran numero di iniziative internazionali di regolamentazione a fondamento della moderna legislazione penale. Fra queste, anche la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che lo identifica come un atto vietato dal diritto internazionale, la cui perpetrazione può comportare la responsabilità internazionale dello Stato e la responsabilità penale di chi compie atti di genocidio o vi è in qualche modo coinvolto. La comunità internazionale - ha proseguito il presidente russo - ha il dovere di "fare qualunque cosa per evitare che tali tragici eventi del passato tornino a ripetersi, per far sì che tutti i popoli possano vivere in pace e armonia, senza arrivare a conoscere gli orrori che scaturiscono dal fomentare faide religiose, nazionalismi aggressivi e xenofobia".
La Russia - ha aggiunto Putin - condivide il dolore del popolo armeno e saranno "oltre duemila" gli eventi di commemorazione del genocidio armeno che si terranno in centinaia di citta' sparse in tutta la Russia. Celebrazioni che - ha sottolineato il presidente russo - "coinvolgeranno non solo i membri della grande comunita' armena in Russia, che conta circa tre milioni di membri, anche migliaia di altre persone di altre etnie". L'agenda del presidente russo è impegnativa. Con Hollande è previsto un bilaterale sulla crisi ucraina, sul Medio Oriente e sulla ritardata consegna della navi Mistral a Mosca sullo sfondo delle sanzioni. Putin avrà anche un incontro a due col presidente armeno Serge Sarkisian.
Il presidente francese Francois Hollande
"Non dimenticheremo mai la tragedia che il vostro popolo ha attraversato" ha detto il presidente francese. "In Turchia sono state già pronunciate delle parole e delle parole importanti" sul genocidio armeno "ma altre sono ancora attese per far sì che la condivisione del dolore possa diventare una condivisione di un destino" ha aggiunto Francois Hollande, "mi inchino davanti alla memoria delle vittime e ho appena detto ai miei amici armeni che noi non dimenticheremo mai le tragedie che il vostro popolo ha attraversato". Hollande ha detto di augurarsi un miglioramento dei rapporti tra Armenia e Turchia, "in modo che questi due popoli non siano vicini distanti". La Turchia non riconosce il genocidio degli armeni e un paio di settimane fa ha richiamato il proprio ambasciatore presso la Santa Sede dopo che il Papa ha definito il massacro "il primo genocidio del XX secolo". I due paesi non hanno relazioni diplomatiche ma il governo di Erevan, in ogni caso, tende la mano: "Siamo pronti per la normalizzazione delle relazioni con la Turchia, per avviare un riavvicinamento fra le nazioni armena e turca, senza alcuna precondizione" ha affermato il presidente armeno Sarksian in un'intervista al quotidiano turcoHurriyet.
Dagli Stati Uniti è arrivata anche la dichiarazione di Barack Obama. "A partire dal 1915, il popolo armeno dell'Impero Ottomano è stato deportato, massacrato e costretto a marciare verso la morte, la loro cultura e l'eredità della loro antica madrepatria fu cancellata", il presidente americano ha ricordato così, in una dichiarazione diffusa la notte scorsa, quella che ha definito "un'atrocità di massa", senza usare la parola "genocidio". Durante la sua campagna elettorale nel 2008, l'allora senatore Obama aveva detto che avrebbe "riconosciuto il genocidio degli armeni". Nella dichiarazione diffusa ieri il presidente afferma di aver "più volte ripetuto la mia opinione su quello che è accaduto nel 1915, e questa non è cambiata". Il mancato uso della parola genocidio - a cui si oppone Ankara - ha provocato la protesta della comunità armena americana: "Le acrobazie linguistiche del presidente Obama sul genocidio armeno non sono all'altezza del leader che ha mostrato di essere e che dovrebbe essere oggi", ha detto Bryan Ardouny, diretttore dell'Armenian Assembly of America.
Non solo in Armenia. Migliaia di armeni iraniani hanno partecipato stamani aTeheran a un corteo e una manifestazione davanti l'ambasciata turca per chiedere il riconoscimento del genocidio del 1915. Anche il capo della comunità armena apostolica, Mons. Sebo Sarkissian, fra i prelati che aprivano il corteo, composto anche da famiglie, bambini e ragazzi delle scuole. Molte le immagini dell'imam Khomeini, fondatore della Repubblica islamica, sui cartelli dei manifestanti. E gli slogan contro Ankara in pieno stile iraniano ("morte al governo fascista della Turchia!") gridati a pugno chiuso in armeno e in farsi. "E' nostro dovere essere qui, lo facciamo ogni anno ma stavolta c'è più gente", hanno spiegato alcuni adolescenti, convinti che anche Khomeini approverebbe. Quanto alle autorità iraniane, "penso che stavolta ci sarà il riconoscimento anche da loro", ha detto un tredicenne.
E oggi, a 24 ore di distanza dalla violazione per bocca del presidente Joachim Gauck di quello che finora in Germania costituiva un autentico tabù, anche ilBundestag ha lanciato il guanto si sfida alla Turchia riunendosi in sessione speciale e ha approvato una risoluzione con cui il massacro degli armeni iniziato nel 1915 viene definito 'genocidio'. La dichiarazione è stata approvata da tutti i gruppi parlamentari della Camera bassa. "Ciò che accadde durante la Prima guerra mondiale nell'Impero Ottomano sotto gli occhi del mondo fu un genocidio", ha detto il presidente del Bundestag Norbert Lammert all'apertura del dibattito. Il voto segna un forte cambiamento nella posizione di Berlino sulla questione, che per lungo tempo ha esitato a usare questo termine e che con questa decisione provocherà probabilmente la rabbia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. La Germania è il principale partner commerciale europeo della Turchia e ospita una vasta minoranza turca. Il termine 'genocidio' ha inoltre una risonanza particolare in Germania, che negli anni ha lavorato molto per affrontare le proprie responsabilità per l'Olocausto ebraico.
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