LA CHIESA È MONARCHICA NON È COLLEGIALE
La sposa incarnata del Verbo Incarnato
La Chiesa di Cristo non è soltanto puramente spirituale, invisibile, interiore o pneumatica. Questa è la dottrina ereticale dei protestanti, che presentano la Chiesa come “Società dei soli Santi, in cui si incontrano le anime che professano la stessa fede in Cristo al di sopra di ogni struttura visibile.
Certamente la Chiesa di Cristo è un mistero soprannaturale che viene da Dio e porta in Cielo (Ef., V, 32), ma ciò non esclude che è anche visibile nei suoi componenti (capi e sudditi) e nei suoi mezzi (magistero, impero e santificazione). Infatti gli uomini non sono angeli e perciò la Chiesa di Cristo deve essere visibile e non puramente spirituale. Il Verbo si è incarnato e la Chiesa è incarnata.
Secondo la definizione di San Roberto Bellarmino, ripresa dal magistero ecclesiastico, la Chiesa è “la Società dei fedeli battezzati, che hanno la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti e sono sottomessi ai legittimi pastori e specialmente al Pontefice romano”. Se ne deve concludere che la Chiesa è visibile; altrimenti bisogna rinunciare al concetto di Chiesa come società di uomini militanti e credenti in Cristo.
Ora ogni società umana mancherebbe della sua causa formale se non avesse un’autorità. Quando Gesù sceglie i Dodici Apostoli e li mette a capo della sua Chiesa stabilisce che uno solo avrà il primato di giurisdizione o di governo su tutti gli altri (Episcopato monarchico) e promette che tale potere si trasmetterà di epoca in epoca sino alla fine del mondo: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt., XXVIII, 18). Il capo della Chiesa militante è un uomo esistente in carne ed ossa (e non virtualmente) visibile a tutti: è Pietro e nel corso dei secoli i suoi successori, ossia i Pontefici romani.
La Chiesa è non solo una società che deve essere governata o diretta, ma è anche una scuola della verità che Gesù ha rivelato. Ora una scuola è inconcepibile senza un maestro che insegna e degli allievi che imparano e il maestro non è un libro, ma un uomo in carne ed ossa che spiega il libro e risponde alle domande degli allievi. Quindi oltre la Rivelazione divina (S. Scrittura e Tradizione divino/apostolica) vi deve essere un magistero che interpreti e spieghi la Rivelazione. E come il professore di matematica deve spiegare la matematica e non inventarne una nuova, così il magistero non dovrà aggiungere nulla di proprio, ma trasmettere, approfondire e difendere il Deposito rivelato sino alla fine del mondo. Solo tramite la catena ininterrotta dei Vescovi (Episcopato subordinato) e dei Papi (Episcopato monarchico) successori degli Apostoli e di Pietro noi possiamo ricongiungerci a Cristo e alla sua Chiesa.
Inoltre la Chiesa dispensa la vita spirituale e soprannaturale, meritataci dal Sacrificio di Cristo, tramite il potere di santificare o sacerdozio, che Gesù ha conferito (assieme con il governo e il magistero) agli Apostoli sotto la guida suprema di Pietro.
Senza vita soprannaturale il magistero e il governo non avrebbero ragion d’essere poiché la Chiesa insegna una verità e governa le anime per condurle in Paradiso mediante la grazia o vita soprannaturale, che è l’inizio della gloria del Cielo.
Nonostante la debolezza dell’ elemento umano cui Gesù ha affidato il potere di insegnare, governare e santificare, l’Episcopato monarchico e quello subordinato quanto alla sostanza perdureranno sempre nella Chiesa universale(=cattolica quanto al tempo e allo spazio).
Sempre e in tutto il mondo dovrà sussistere il potere di santificare le anime mediante i Sacramenti. Se, per assurdo, la maggior parte delle anime di quasi tutto il mondo, per lungo tempo e senza loro colpa, non potessero essere santificate dai Sacramenti “le porte degli inferi” avrebbero prevalso sulla Chiesa visibile e gerarchica quale Gesù l’ha fondata. Perciò i frutti del Sacrificio della Croce dovranno essere applicati da Vescovi e da Sacerdoti in carne ed ossa sino alla fine del mondo a tutte le anime battezzate che li desiderano e che non vi pongono impedimenti.
È specialmente nei Sacramenti che si constata e si tocca quasi con mano l’aspetto esteriore e invisibile della Chiesa: materia e forma, grazia e natura, visibile e invisibile, natura e soprannatura nei Sacramenti sono essenzialmente uniti. La stessa composizione la si ritrova nella persona del Verbo incarnato (vero Dio e vero uomo) e nella Chiesa (Suo Corpo mistico). Questa verità è stata negata 1°) dai docetisti, secondo i quali Gesù è solo Dio e sembra essere uomo, ma non lo è; 2°) dai protestanti, secondo cui la Chiesa è puramente spirituale.
Né capo senza corpo né corpo senza capo
“Il sacramento dell’Ordine consacra con un rito esterno i capi e i dirigenti della Chiesa presso i quali risiede ogni potere di santificazione e di governo. Senza di essi non avremmo la Presenza reale di Cristo, cioè la fonte della santificazione delle anime: Dio non abiterebbe più sulla terra. Senza il sacerdozio non è concepibile la Chiesa sia come società mistica di redenti (tramite il potere di santificare) sia come società giuridica religiosa e umana (tramite il magistero e il governo). Infatti sia il sacerdozio che il magistero e il governo della Chiesa sono nelle mani dei successori di Pietro (i Papi) e degli Apostoli (i Vescovi). La Chiesa comincia e culmina dal e nel sacerdozio. Senza Sacerdozio non c’è Chiesa”[1].
La Chiesa, però, è non solo docente, santificante e governante, ma anche discente, santificata e governata. Infatti una sacra gerarchia senza fedeli sarebbe come un re senza sudditi, come un capo senza corpo e inoltre i fedeli senza gerarchia sarebbero come un corpo senza cervello o un gregge sbandato e senza pastore.
San Paolo insegna: «Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Né l’occhio può dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi […]. Anzi quelle membra che sembrano più umili sono le più necessarie. […]. Dio ha composto il corpo affinché non vi fosse disunione in esso, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro sta bene, tutte gli altri gioiscono con lui» (1 Cor., XII, 4-20).
Il Papa è il capo, ma non è tutto il corpo; i Vescovi sono il cuore, ma non sono tutto il corpo. Il sommo Pontificato monarchico (Pietro capo della Chiesa) e l’Episcopato subordinato (i vescovi sub Petro) sono essenziali alla Chiesa quale Gesù l’ha voluta, ma anche i fedeli lo sono pur se con una funzione meno nobile dei Pastori.
L’aspetto offuscabile, ma non delebile della Chiesa
Poiché la Chiesa è stata istituita per portare la Redenzione agli uomini di tutti i tempi sino alla fine del mondo non può che essere visibile, con una gerarchia visibile, con un popolo di fedeli visibile, con dei Sacramenti visibili, con una fede e una morale conoscibili da tutti.
Ora è proprio l’aspetto visibile e umano della Chiesa (non la sua origine: Cristo, e il suo fine: il Cielo) che può essere offuscato, adombrato, eclissato pro tempore, ma non distrutto completamente dal male e dall’errore. Si può fare un paragone con il peccato originale: esso non ha distrutto la natura umana, ma l’ha ferita. Così la Chiesa, nel suo elemento umano, non può essere distrutta, ma può essere ferita. Occorre evitare i due estremi: 1°) una Chiesa solamente spirituale perché ogni gerarchia è essenzialmente perversa (luteranesimo); 2°) una Chiesa totalmente immacolata anche nella sua componente umana poiché la gerarchia è quasi divina.
Purtroppo talvolta la mondanità, il vizio e anche la mancanza di fermezza dottrinale nel non reprimere fermamente un errore, nel tollerarne qualcun altro o anche la eccezionale possibilità di errori positivi nel magistero non infallibile[2]possono attaccare i membri della Chiesa discente e docente. Tuttavia la sostanza della Chiesa e il suo elemento divino non potranno mai essere corrotti totalmente dall’errore e dal male: l’essenza divina della Chiesa resta intatta e non può fallire nella sua missione di salvare le anime che credono, sperano e amano.
Il fondamento visibile dell’ unità: il Papa in atto e non in potenza
Il Papa ha il primato di giurisdizione (nel governo e nel magistero) sulla Chiesa universale perché è il legittimo successore di Pietro su cui Gesù ha fondato la sua Chiesa (CIC, 1917, can. 218, § 1).
Ora, siccome San Pietro è morto a Roma di cui era il Vescovo, il Papa, in quanto successore di Pietro, è Vescovo di Roma e di tutti i Vescovi del mondo intero. Il primato di Pietro, la sua venuta e morte a Roma, la successione petrina sulla cattedra di Roma sono tre elementi della medesima dottrina[3].
Il magistero si è pronunciato più volte su questo tema (Concilio di Costantinopoli IV dell’869-870, Conc. di Lione II del 1274, Conc. di Firenze del 1438-1445, Conc. di Trento del 1545-1563), il Concilio Vaticano I (1869-1870) nella Costituzione Pastor Aeternus ha definito che il Pastore Eterno, per rendere perenne l’opera della Redenzione, fondò la Chiesa; e, per assicurarne l’unità, la stabilità e la durata, le mise a capo l’Apostolo Pietro, istituendo in lui il principio perenne e il fondamento visibile della detta unità[4]. Quindi si deve credere, come verità di fede, che: 1°) San Pietro fu costituito immediatamente da Gesù Cristo Principe degli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante, con un primato non solo di onore, ma di vera e propria giurisdizione; 2°) dovendo perpetuarsi nei secoli l’opera della Redenzione, per volontà divina, San Pietro ebbe ed avrà nei secoli dei successori per esercitare la potestà di giurisdizione su tutta la Chiesa, nella persona del Romano Pontefice (cfr. DB 1821 ss.).
Sino alla fine del mondo vi saranno in atto dei Papi per governare la Chiesa universale, cioè per esercitare la potestà di giurisdizione. Ora per esercitare la potestà di giurisdizione bisogna possederla in atto (“agere sequitur esse/l’azione presuppone l’esistenza”) e solo il Papa in atto ha la potestà di giurisdizione in atto. Quindi il Papato deve essere in atto e non in potenza. Il Papa – per divina istituzione – ottiene la pienezza del suo potere supremo di giurisdizione direttamente da Dio, subito dopo aver accettato l’elezione canonica, ossia quando da Papa in potenza (l’eletto che non ha ancora accettato) diventa Papa in atto con l’accettazione dell’ elezione canonica. Il Papato materiale o virtuale, di cui oggi si favoleggia, non esistendo in atto e non potendo agire (insegnare, governare e santificare), non può essere fondamento dell’unità, della stabilità e della perpetuità della Chiesa. Non si può costruire qualcosa sulla potenzialità e il divenire, ma sull’essere in atto. “La supremazia conferita a Pietro non era un privilegio personale perché essendo la Chiesa un edificio, un regno, un ovile duraturo fino alla fine del mondo, sempre aveva bisogno del suo fondamento, del suo clavigero, del suo pastore; quindi il primato doveva perpetuarsi nei secoli e S. Pietro vivere nel suo successore” (A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 317, voce “Pontefice Romano”).
Papato ed episcopato
La dottrina cattolica tradizionale sui rapporti tra Papa[5] e Vescovi[6], quanto al potere di magistero e di impero sulla Chiesa universale, è stata ribadita sino alla metà del 1958 da Pio XII.
Essa insegna che la giurisdizione giunge da Dio al Vescovo 1°) tramite il Papa e non direttamente da Dio; cioè il Sommo Pontefice dà al Vescovo il potere di giurisdizione, ma non contemporaneamente alla consacrazione episcopale[7], che può essere conferita, per delega del Papa, da un altro Vescovo; 2°) soltanto sulla sua singola diocesi (la quale gli è affidata dal Papa e non dal Vescovo consacrante) e non sul mondo intero; 3°) il Papa, se vuole, può far partecipare ilCorpo dei Vescovi alla sua suprema potestà di magistero e d’impero sulla Chiesa universale[8], a) riunendoli in Concilio ecumenico, per il solo tempo della durata del Concilio[9]; b) durante il tempo in cui sparsi nel mondo, ciascuno nella propria diocesi, chiede loro di pronunciarsi assieme a lui su una questione di fede o di morale da definire come obbligatoria per la Chiesa universale[10].
Il potere d’ordine è finalizzato alla glorificazione di Dio (mediante il Sacrificio della Messa) e alla salvezza delle anime (mediante i Sacramenti). Il potere di giurisdizione è diretto a governare i fedeli in ordine alla vita eterna; esso si suddivide in a) magistero, che è il potere di insegnare la Verità rivelata senza errori o infallibilmente, e in b) legislazione, che è il potere di far leggi, di giudicare e di coercire.
I Concili
I Concili ecumenici sono convenienti e necessari al buon andamento della vita della Chiesa, ma “non si può dire vi siano prove sufficienti per arguire la loro istituzione divina. Tuttavia alcuni teologi, seguono la sentenza meno comune della istituzione divina dei Concili ecumenici, appoggiandosi sull’autorità dell’ unico Padre ecclesiastico che l’ha insegnata: S. Gregorio Magno, Epist. I, 1, 24”[11]. Certamente i Concili ecumenici sono di istituzione apostolica. Infatti il primo Concilio ecumenico fu convocato da San Pietro in Gerusalemme nel 50 e ad esso parteciparono tutti gli Apostoli, San Paolo compreso, per dirimere la controversia sorta tra i giudaizzanti (che facevano capo a San Giacomo) e san Paolo. Ciò dimostra che la Chiesa, se non fosse d’istituzione divina e assistita tutti i giorni sino alla fine del mondo da Gesù, sarebbe finita già nel I secolo nonostante la santità di vita degli Apostoli, che già 18 anni dopo la morte di Cristo disputavano su questioni di fede essenziali per la vita della Chiesa della Nuova ed Eterna Alleanza essenzialmente diversa dall’economia della Vecchia Alleanza come la realtà è diversa dall’ombra (“umbram fugat Veritas/la Verità e la realtà cacciano l’ombra e la figura”, S. Tommaso d’Aquino, Pange lingua).
Inoltre i Vescovi riuniti in Concilio sono veri giudici e veri maestri in materia di morale e fede per la Chiesa universale, grazie al potere ricevuto da Dio tramite il Papa, che li ha convocati in Concilio e li rende partecipi del suo poteresupremo, assoluto e totale di magistero e imperio sulla Chiesa universale. Perciò le decisioni dogmatiche dei Vescovi in Concilio, col Papa e sotto il Papa, sono vere definizioni e veri atti giuridici obbliganti, non sono semplici consigli (da notare, però, che quando si tratta di verità già definite, il potere dei Vescovi in Concilio è solo confermativo e non deliberativo, come quello di un giudice che non legifera, ma deve solo applicare la legge). È importante specificare anche che i Vescovi sono maestri e giudici per la Chiesa universale non in maniera totale e assoluta (ossia sciolta da ogni altro potere superiore), ma in maniera subordinata e dipendente da Pietro. Quindi il Papa è essenziale e non accidentale (come vorrebbe il conciliarismo o l’ episcopalismo collegiale) al governo (di magistero e di giurisdizione) della Chiesa universale e dunque alla sua vita ed anche alla validità del Concilio ecumenico come la testa è essenziale alla vita del corpo (cfr. S. Roberto Bellarmino, De Conciliis, cit., I, 18). Quindi non ci si può appellare alla sentenza dei Vescovi contro quella del Papa.
Anche quando il Papa riunisce i Vescovi in concilio e li fa partecipare[12] al suo supremo potere di magistero e di imperio permane tra lui e i Vescovi un distinzione reale e non adeguata ossia non alla pari, perché il Papa è sempre ilcapo e i Vescovi sono sempre il corpo, che è inferiore al capo. Come la vita dell’uomo è una sola e, pur derivando dall’ anima, si diffonde per tutto il corpo il quale è diretto dalla testa, così l’infallibilità è diffusa in tutta la Chiesa (Vescovi e fedeli), ma dipendentemente dal Papa, che può esercitarla da solo, anche senza il consenso della Chiesa (Vescovi e fedeli)[13].
Una “novità” non “nuova”, anzi già condannata: la “collegialità” episcopale
Tutto ciò esclude la natura collegiale[14] dell’ordine episcopale. Anche i concili ecumenici provano la natura noncollegiale dell’Episcopato[15]. L’ ordine dei Vescovi, che succede al Collegio degli Apostoli nel magistero e nell’impero, non è soggetto di suprema (cioè, la più alta, che non ha eguali sulla terra) e piena (che abbraccia tutta la materia di competenza della Chiesa, totale o assoluta, cui non manca nulla nel suo genere e che può tutto da sola) potestà su tutta la Chiesa. Quindi non sussiste un duplice soggetto adeguato o paritetico, necessario e permanente del supremo potere di magistero e giurisdizione sulla Chiesa universale.
Il conciliarismo o gallicanesimo mitigato, il quale tende ad assegnare al Concilio ecumenico[16] una potestà suprema sulla Chiesa universale eguale a quella del Papa, è stato formalmente condannato dalla Chiesa.
La dottrina tradizionale ha sempre parlato di Episcopato monarchico o di episcopato subordinato, ossia di episcopato sottomesso a Pietro come il corpo al capo, e non di Episcopato collegiale. Ma ecco la “novità. Il card. Franz König, durante il Vaticano II, fu uno dei paladini principali (coadiuvato dai giovani teologi Karl Rahner e Joseph Ratzinger) della Collegialità vescovile contro il Primato petrino[17]. Secondo lui i Vescovi non ricevono la giurisdizione dal Papa, ma in virtù della consacrazione episcopale vale a dire la ricevono direttamente da Dio come il Papa, onde essi sono assieme al Papa il soggetto adeguato o alla pari del potere di giurisdizione. Contro la dottrina cattolica[18] per la quale il soggetto del magistero e dell’ imperium è il Papa, che – se vuole – può associare a sé ad tempus e non alla pari il ‘Corpo dei Vescovi’ sparsi nel mondo o riuniti in Concilio.
Il card. König già nel 1964 a Costanza, dove si commemoravano i 550 anni del Concilio ivi svoltosi, cercò di contrapporre alla dottrina cattolica il conciliarismo o l’ episcopalismo di Costanza-Basilea, due errori condannati da Giovanni XXII, secondo i quali il Papa non è essenziale alla Chiesa e può essere giudicato dal Concilio, che è superiore a lui, onde l’organo supremo del regime ecclesiastico non sarebbe il Papato, ma il Concilio ecumenico, costituito anche da soli Vescovi senza il Papa, i quali ricevono il potere direttamente da Dio; solo la Chiesa è infallibile e indefettibile, onde, se il Papa e i Vescovi errassero, resterebbe sempre qualche anima pia che manterrebbe la Fede e la sussistenza e continuità della Chiesa. Ma – come abbiamo visto – la Chiesa è costituita di capo e di membra, entrambi necessari alla sua sussistenza. Da Costanza/Basilea derivarono le eresie di Wyclif e Hus, condannate in maniera definitiva dal Vaticano I, DB 1830[19].
Secondo König (e i suoi “teologi” Rahner e Ratzinger) Costanza/Basilea e Vaticano I, invece, sono i due estremi (‘tesi-antitesi’) che impoveriscono la Chiesa, la loro ‘sintesi’ sarebbe il Vaticano II, che non ha espresso la dottrina della collegialità in maniera così radicale come a Costanza e neppure il Primato di Pietro e suoi successori in maniera così stretta come nel 1870 nel Vaticano I. Il Vaticano II sarebbe una sorta di coincidentia oppositorum o di sintesi, che equilibra Costanza (tesi) col Vaticano I (antitesi)[20].
I difensori della dottrina cattolica
Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe il card. Frings con il card. Ottaviani sulla collegialità. Ottaviani rispose a Frings, che perorava la causa della Collegialità episcopale: “chi vuol essere una pecora di Cristo deve essere condotto al pascolo da Pietro che è il Pastore, e non sono le pecore [i Vescovi] che debbono dirigere Pietro, ma è Pietro che deve guidare la pecore [i Vescovi] e gli agnelli [i fedeli]. Infatti Gesù disse a Pietro: «Pasci i miei agnelli [i fedeli], pasci le mie pecorelle [gli altri Apostoli]” (Gv., XXI, 15-16)». È dunque chiaro che per il Prefetto del S. Uffizio la Collegialità faceva del pastore (Papa) meno di una semplice pecorella (Vescovo), mentre per la Sacra Scrittura (Gv., XXI, 15-16), la Tradizione apostolica, il magistero infallibile (Conc. Vat. I, Pastor Aeternus, DB 1821 ss.) e l’ insegnamento unanime dei teologi approvati il Papa è il capo dei Vescovi, è il pastore che conduce le pecorelle (Vescovi) e gli agnelli (fedeli) al pascolo (cielo).
La dottrina di un duplice soggetto del supremo e totale potere di magistero e impero nella Chiesa (e quindi di un duplice Capo della Chiesa) era già stata condannata da papa Clemente VI (29 settembre 1325) nella Lettera Super quibusdam ad Mekhithar patriarca degli Armeni (DS 1050-1065, De primatu Romanae Sedis).
Nel corso del Vaticano II la dottrina sulla Collegialità venne confutata dalla rivista diretta da mons. Antonio Piolanti “Divinitas” (n. 1 del 1964) tramite i due articoli di mons. Dino Staffa e di mons. Ugo Emilio Lattanzi, fatti distribuire in Concilio sotto forma di estratti dal card. Ottaviani.
Lo storico Giuseppe Alberigo (che cita come fonti mons. Prignon, Suenens, mons. Charue, mons. Gerard Philips e mons. Carlo Colombo), scrive: «da due mesi a questa parte Paolo VI ha subìto una fortissima pressione da parte dell’estrema destra. Sembra che si sia arrivati al punto di minacciare di far saltare il Concilio nel caso passasse il testo votato sulla Collegialità. Lo si è accusato come dottore privato di inclinare verso l’eresia»[21].
In realtà il claretiano card. Arcadio Maria Larraona il 18 ottobre 1964 inviò una lettera a Paolo VI in cui fra l’altro scrisse semplicemente, e con grande rispetto, che aveva il diritto e il dovere di far presente che “lo schema [Constitutionis De Ecclesia e specie il cap. III sull’ Episcopato] cambia il volto della Chiesa. Infatti la Chiesa diventa, da monarchica, episcopale e collegiale; e ciò per diritto divino e in virtù della sola consacrazione episcopale. Il Primato papale resta intaccato e svuotato. […]. Il Pontefice non è presentato come la Pietra sulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo (gerarchia e fedeli); non è descritto come il Vicario di Cristo […]; non è presentato come colui che solo ha il potere delle chiavi. […]. La Gerarchia di Giurisdizione, in quanto distinta dalla Gerarchia di Ordine e di struttura, viene scardinata […]. Infatti, se si ammette che la consacrazione episcopale porta con sé non solo le Potestà di Ordine ma anche, per diritto divino formalmente, tutte le Potestà di Giurisdizione di magistero e di governo[22] non solo nella propria Diocesi, maanche nella Chiesa universale, evidentemente la distinzione oggettiva tra Potestà d’Ordine e di Giurisdizione, tra Gerarchia di Ordine e di Giurisdizione, diventa artificiosa, capricciosa e paurosamente vacillante. E tutto ciò – si badi bene – mentre tutte le fonti, le dichiarazioni dottrinali solenni, tridentine e posteriori, la disciplina fondamentale proclamano queste distinzioni essere di diritto divino. […] La Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino […]. Gli ortodossi e in parte i protestanti avrebbero dunque avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato»[23]. La lettera del card. Larraona era sottoscritta da parecchi Cardinali e Superiori generali.
Come si vede, la dottrina della Collegialità episcopale fu accusata di favorire l’eresia da numerosi e valentissimi Cardinali, Vescovi (Ottaviani, Siri, Parente, Staffa, Carli) e da famosi teologi (Lattanzi, Piolanti) già durante il Concilio Vaticano II e poi anche nel post-concilio sino ai recenti studi di mons. Brunero Gherardini (Cfr. “Divinitas”, n. 2/2011, p. 188 ss.)[24].
Per quanto riguarda l’ ecclesiologia conciliare di Lumen gentium, mons. Gherardini osserva che «Dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte»[25]. Invece la dottrina tradizionale sulla natura monarchica e non stabilmente collegiale dell’Episcopato è stata intaccata il 21 novembre 1964 dalla Costituzione su “La Chiesa” del Concilio Vaticano II Lumen gentium, n. 22. Ivi, nonostante la Nota praevia, che ha ribadito la sottomissione del Corpo episcopale al Papa, permane l’ambiguità del duplice soggetto adeguato, necessario e permanente del supremo potere di magistero e giurisdizione sulla Chiesa universale.
Infatti la Lumen Gentium 22 fa pur sempre del Corpo dei Vescovi, “col Papa e sotto il Papa” (Nota praevia) un “cetostabile e necessario” avente “potestà suprema di giurisdizione e di magistero sulla Chiesa universale”, e ciò per la sola o antecedente consacrazione episcopale (novità che intacca il Primato di Pietro[26]), senza ribadire che la giurisdizione – secondo la dottrina tradizionale – viene al Vescovo da Dio tramite il Papa e prima che il nominato venga consacrato. La dottrina tradizionale ha sempre parlato di Episcopato monarchico o di Episcopato subordinato, ossia di Episcopato sottomesso a Pietro come il corpo al capo. Con Lumen gentium si inizia a parlare di Episcopato collegiale.
Robertus
[1] R. Spiazzi (a cura di), Enciclopedia del Cristianesimo, Roma, Paoline, 1958, vol. III, La Chiesa, p. 48.
[2] Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.
[3] Cfr. A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 318, voce “Pontefice Romano”.
[4] Quindi senza il Papa la Chiesa non sarebbe perenne, poiché le mancherebbe il principio di detta perennità, e neppurevisibile, perché non avrebbe il fondamento della visibilità. Infatti senza principio non c’è sèguito e senza fondamento non v’è costruzione. Dunque si vede la Chiesa là ove si vede il successore di Pietro in carne ed ossa, e non virtualmente: “ubi Petrus ibi Ecclesia” (S. Agostino).
[5] Il Papa (cfr. CIC, 1917, can. 218, § 1-2; Conc. Vat. I, Pastor Aeternus, DB 1821 ss.) ha la potestà di giurisdizionesuprema (superiore a tutti su questa terra e indipendentemente da un altro potere umano/ecclesiastico: Vescovi/concilio), ordinaria (annessa all’ ufficio di successore di Pietro), piena (su tutta la materia che appartiene alla Chiesa: fede, morale, disciplina; quindi totale, cui nulla manca nel suo genere; auto-sufficiente relativamente ad ogni potere umano e non quanto a Dio), immediata (la può esercitare immediatamente e direttamente su tutti i fedeli e Vescovi del mondo senza ledere i loro diritti), universale (su tutta la Chiesa) e veramente episcopale (come ogni vescovo è pastore ordinario e diretto sulla sua diocesi per diritto divino (CIC, 1917, can. 334, § 1), così il Papa ha il medesimo potere sulla Chiesa di tutto il mondo, ossia è pastore ordinario e diretto sulle diocesi di tutto il mondo per diritto divino.La Chiesa è quindi, per volontà di Cristo, monarchica e il Papa ne è il Re. Sempre per istituzione o per diritto divino, tutte le diocesi, tutti i Vescovi e tutti i fedeli sono soggetti al Papa. La Chiesa di Cristo è una sola col Papa come capo effettivo e non risulta di singole chiese (orientali ortodosse e anglicana) separate da Roma sui cui Vescovi il Papa avrebbe solo un primato di onore. Il Papa ha il primato di giurisdizione in quanto è successore di Pietro, avendo Gesù designato Pietro e i suoi successori (i Pontefici romani) come capo supremo di tutta la Chiesa. Il Papa - per divina istituzione - ottiene la pienezza del suo potere supremo di giurisdizione sùbito dopo aver accettato l’elezione canonica,direttamente da Dio e non tramite i Cardinali; ciò vale anche se l’eletto non è ancora Vescovo e viene poi consacrato dal Cardinale decano. Quindi il potere di giurisdizione il Papa lo riceve da Dio immediatamente dopo l’accettazione, mentre il potere di ordine, se ancora non lo avesse, lo riceve da un Vescovo (il Cardinale decano) con la successiva consacrazione episcopale.
[6] I Vescovi sono i successori degli Apostoli per divina istituzione; essi presiedono alle loro diocesi particolari, che governano sotto l’autorità del Papa e non presiedono alla Chiesa universale, la quale è diretta dal Papa, che è il successore di Pietro “capo degli Apostoli” (cfr. Giovanni XXII, Costituzione Licet iuxta doctrinam contro Marsilio da Padova, 23 ottobre 1327, DB 498; Martino V, Conc. Costanza, sess. VIII, 4 maggio 1415 contro John Wycliff e sess. XV, 6 luglio 1415 contro Jan Hus, DB 675 ss.; Conc. Tr., sess. XXIII, c. 4, DB 960; Conc. Vat. I, sess. IV, c. 3, DB 1828; S. Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, DB 2050; S. Pio X, motu proprio Sacrorum Antistitum, 1° settembre 1910, DB 2014; CIC, 1917, can. 329). L’Episcopato è di istituzione divina, in quanto i Vescovi sono i successori degli Apostoli, quindi esso dovrà durare sino alla fine del mondo poiché (come il Papato) è elemento necessario ed essenziale alla costituzione della Chiesa. Tuttavia i Vescovi nelle loro diocesi non hanno la potestà piena o totale (su tutta la materia che appartiene alla Chiesa: fede, morale, disciplina perfetta, cui nulla manca nel suo genere) e suprema (la più alta e quindi indipendente da un superiore umano: dipendono dal Papa) come l’ha il Papa su tutta la Chiesa, ma dipendono da lui nel governare quel territorio o diocesi che il Papa ha affidato loro.
[7] Quando il Papa sceglie un Vescovo e gli consegna la nomina, lo rende in atto Vescovo quanto al potere di giurisdizione (CIC, 1917, can. 329), mentre il potere d’ordine gli viene conferito solo con la consacrazione episcopale, che deve avvenire non oltre 3 mesi dalla nomina; essa spetta al Papa, che può delegare un altro Vescovo a consacrare il futuro Pastore (CIC, 1917, can. 953). Quindi il poter d’ordine e di giurisdizione sono non solo realmente distinti, ma anche cronologicamente non contemporanei.
[8] Vi è un solo soggetto (per sua natura) del sommo potere di magistero e giurisdizione sulla Chiesa universale e questo è il Papa, che, se vuole, senza esserne obbligato, può far prendere parte il Corpo dei Vescovi al sommo potere (per partecipazione), in maniera transitiva, temporanea e non eguale (inadeguata) alla sua. Quindi 1°) il Papa da solo può insegnare infallibilmente e governare la Chiesa universale; 2°) i Vescovi senza partecipare al potere del Papa non possono nulla quanto alla Chiesa universale; 3°) il Papa può unire a sé il Corpo dei Vescovi, i quali non sono soggettoeguale (adeguato) al Papa (per la loro natura di Vescovi) del potere di magistero e di giurisdizione universale, ma soltanto in quanto ricevono dal Papa (per partecipazione) il potere sommo di giurisdizione e di magistero sulla Chiesa universale temporaneamente e subordinatamente al Romano Pontefice, e non lo hanno in sé (per essenza).
[9] Per esempio, il Vaticano I (con i Vescovi riuniti in Concilio cum Petro et sub Petro) presieduto da Pio IX (1869-1870) ha definito l’infallibilità (Costituzione pontificia Pastor aeternus, 14 luglio 1870, DB 1839) come dogma di fede con il Papa come capo e l’Episcopato come corpo dipendente dal capo. Cfr. A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica,Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 84, voce “Concilio”; p. 215, voce “Infallibilità pontificia”.
[10] Per esempio, Pio XII inviò l’Enciclica Deiparae Virginis (1° maggio 1946) ai Vescovi di tutto il mondo sparsi nelle loro diocesi, nella quale chiedeva loro se ritenessero che l’Assunzione di Maria in Cielo fosse contenuta nel deposito della Rivelazione (Tradizione e S. Scrittura) e quindi fosse una verità rivelata (de fide revelata et divina), che potesse essere definita dalla Chiesa (de fide revelata et definita o de fide divina et catholica). I Vescovi risposero in larghissima maggioranza di sì. Questa verità era, quindi, di fede rivelata e definita in maniera ordinaria (Magistero Ordinario Universale) prima ancora della definizione solenne (Magistero Straordinario Pontificio) di Pio XII (1° novembre 1950). Lo stesso aveva fatto Pio IX nel 1849, cinque anni prima di definire in maniera straordinaria l’Immacolata Concezione di Maria l’8 dicembre del 1854 con la Bolla Ineffabilis Deus.
[11] Cfr. F. Wernz - P. Vidal, Jus canonicum, Roma, II ed., 1946, II vol., p. 524, cit. in A. Piolanti, Enciclopedia Cattolica, 1950, vol. IV, coll., 167-173, voce “Concilio”; cfr. Id., Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 84, voce “Concilio”.
[12] Il concetto di partecipazione significa rapporto tra partecipante (effetto) e partecipato (causa): il partecipante riceve in maniera limitata ciò che il partecipato ha in maniera piena. Così i Vescovi ricevono la giurisdizione su una diocesi particolare in quanto nominati dal Papa, il quale, invece, riceve il potere supremo, pieno e totale direttamente da Dio e governa la Chiesa universale. Essi sono come effetti in rapporto al Papa, che è causa della loro elezione e del potere di giurisdizione particolare. San Tommaso d’Aquino fa un esempio: come tutte le cose calde per partecipazione o che ricevono il calore si riferiscono al fuoco il quale è caldo per natura (In Jo.,Prologo, n. 5), così – per analogia – i Vescovi che ricevono (per partecipazione) la giurisdizione dal Papa si riferiscono a lui, il quale per sua natura di Sommo Pontefice e successore di Pietro governa la Chiesa universale. Ovviamente sia il fuoco che il Papa, essendo enti creati, ricevono il calore e il potere da Dio, Ente increato. Cfr. S. Tommaso d’Aquino, C. Gentes, lib. I, cap. 26; In De Hebdomad., lez. 2, n. 24 e 34; In De causis, prop. 25; De potentia, q. 3, a. 5.
[13] “Il Concilio non è eguale o superiore al Papa, ma il Papa è superiore al concilio. Ciò discende logicamente dalle definizioni del Vaticano I concernenti il primato pontificio, DB 1831” (A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 84, voce “Concilio”). Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 36, a. 2, ad 2; II-II, q. 1, a. 10; S. Roberto Bellarmino, De Conciliis et Ecclesia, I, 1 e 2. Inoltre “Il Papa gode della stessa infallibilità di cui Cristo volle dotata la sua Chiesa. Non per questo vi sono due infallibilità. L’infallibilità data da Cristo alla sua Chiesa è una sola: quella conferita a Pietro e ai suoi successori. Tale prerogativa essendo stata largita per il bene della Chiesa universale, si dice conferita alla Chiesa, ma è esercitata dal Capo. Come la vita dell’uomo è una sola, che pur derivando dall’anima si diffonde per tutto il corpo, così l’infallibilità è diffusa e circolante in tutta la Chiesa docente e discente (infallibilità attiva oin docendo e passiva o in credendo), ma dipendentemente dal capo, che può esercitarla da solo, in modo che le sue definizioni sono infallibili e irreformabili, ossia non sono soggette a correzioni, anche senza il consenso della Chiesa (Vescovi e fedeli). Ma a volte il Papa la esercita attraverso i Concili ecumenici” (A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, cit., p. 215, voce “Infallibilità pontificia”). Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Quodlibetum IX, q. 7, a. 16.
[14] Se la natura dell’Episcopato è collegiale, la Chiesa non è più monarchica.
[15] Infatti nel Concilio il Papa è il capo e i Vescovi sono il corpo a lui subordinato.
[16] Il Concilio ecumenico (CIC, 1917, can. 222-229) partecipa al potere supremo e pieno o totale del Papa e dunque non ha nessun potere totale e supremo indipendentemente dal Papa. Solo il Papa può indire un Concilio ecumenico. Cfr. A. Piolanti, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll., 167-173, voce “Concilio”.
[17] AS. , vol. III, cap. III, p. 55.
[18] Cfr. S. Th., II-II, q. 39, a. 3.
[19] Cfr. S. Th., I, q. 36, a. 2, ad 2; II-II, q. 1, a. 10.
[20] F. König, Der Pendelschlag von Konstanz, in Die Furche, 30 luglio 1964.
[21] Nastro registrato spedito da mons. Albert Prignon al card. Suenens, fine giugno 1964, F-Prignon, 828, cit. in G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La Chiesa come comunione, settembre 1964-settembre 1965,Bologna, Il Mulino, 1999, vol. IV, p. 86, nota 216.
[22] Normalmente in Teologia si parla comunemente di triplice potere: di ordine (sacerdotium), di giurisdizione (imperium) e di insegnamento (magisterium), mentre nel Diritto Canonico si parla solo di due potestà: quella di ordine e quella di giurisdizione, nella quale ultima è compresa anche la potestà di magistero (CIC, 1917, can. 196-210)
[23] Cit. in M. Lefebvre, J’accuse le Concile, Martigny, Ed. Saint Gabriel, 1976, pp. 89-98.
[24] Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009;Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.
[25] Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011, p. 101.
[26] Cfr. U. E. Lattanzi, Il primato romano, Brescia, 1961.
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