ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 15 aprile 2015

INVALIDITE CRONICA



Dal “dubbio metodico” cartesiano allo “scrupolo metodico” sacramentario
Introduzione
Il motivo che mi spinge a presentare qui ciò che insegna, comunemente, la teologia cattolica (senza alcuna mia pretesa di definire ed obbligare) riguardo all’essenza della Confessione è pratico e pastorale. Infatti molte persone, nell’attuale sbandamento in ambiente ecclesiale, si lasciano prendere dagli “scrupoli metodici”  che li portano verso una sorta di malattia spirituale, la quale può essere definita “invalidite cronica” e di fronte a delle novità, non sempre felici e certe volte abbastanza stonate, introdotte dai testi e dalle traduzioni in lingua vernacolare della forma dei Sacramenti dubitano della validità dei Sacramenti ricevuti (1).


Per esprimermi il più facilmente possibile cito un classico Compendio di teologia dogmatica (comprensibile anche dai laici) di Ludovico Ott, in lingua tedesca, dei primi decenni del Novecento, tradotto in italiano e ripubblicato con numerose edizioni dalla Casa Editrice Marietti (Compendio di Teologia Dogmatica, Marietti, Torino, 1956) sino agli anni Sessanta.

La forma della Confessione
«Nella Chiesa latina le parole essenziali della forma del Sacramento della Confessione sono: “Io ti assolvo dai tuoi peccati” (2). Le parole “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” non sono richieste per la validità della forma né per la disposizione di Cristo  né dalla natura della sentenza giudiziale [l’assoluzione, nda] (3). Le parole che precedono e  che seguono l’assoluzione non fanno parte dell’essenza della forma e possono essere tralasciate per un giusto motivo (DB 896; CIC 885)» (4).

Tuttavia il sacerdote che le omette volontariamente e senza un giusto motivo commette una colpa grave, ma ciò non significa che il penitente, senza alcuna sua colpa, sia privato della grazia santificante, resti nel peccato grave e nello stato di dannazione.
Inoltre «Nella Chiesa antica la forma dell’assoluzione era deprecativacioè aveva forma di preghiera [“Io ti chiedo o Signore di perdonare i suoi peccati”, nda]. S. Leone Magno (5) (DB 146) osserva che “il perdono di Dio si può ottenere soltanto mediante le suppliche dei sacerdoti (supplicationibus sacerdotum) (6). Durante il medioevo, nella Chiesa latina, alla forma deprecatoria si fecero aggiunte all’indicativo. Nel XIII secolo si impose definitivamente la forma indicativa [“Io ti assolvo”, nda], che meglio corrisponde al carattere giudiziario della Confessione (7). San Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 84, a. 3; CompTh., 146) la approvò (8). Ma nella Chiesa orientale si usano ancora oggi, anche se non esclusivamente, formule deprecative. Siccome la forma deprecativa fu usata per secoli senza che mai venisse respinta, deve essere considerata come sufficiente e valida» (9).

Per fare un esempio accessibile a tutti  quanto alla forma deprecativa o indicativa: «si supponga che la formula di benedizione “Benedicat vos Omnipotens Deus” venga pronunziata da un laico; in tal caso significa una invocazione o deprecazione a Dio affinché voglia benedire gli astanti; quando invece la medesima formula è pronunziata da un sacerdote è chiaro che ha questo significato indicativo: “Io vi benedico con l’autorità datami da Dio Onnipotente”» (10).

Gli Orientali cattolici usano tuttora forme di assoluzione “non unicamente indicative, ma deprecative” (11). Quindi è impossibile che la forma deprecativa sia invalida di per sé.

Nell’attuale Rito della Penitenza (Rituale dei sacramenti e dei Sacramentali, Roma, 1966) l’essenza della forma è: “Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (cfr. I praenotanda dei nuovi Riti liturgici, Milano, Ancora, 1988, p. 375, n. 19).

Quindi, purtroppo, le riforme post-conciliari sul modo di confezionare e distribuire i Sacramenti hanno introdotto molta confusione ove regnava l’ordine, ma non si può dire che abbiano distrutto la sostanza dei Sacramenti. Ora la Chiesa può apportare delle modifiche ai Riti sacramentali “salva Sacramentorum substantiam”.

Conclusione


«I Sacramenti sono istituiti per tutti e sono alla portata di tutti i fedeli. Quindi anche la valutazione dei loro elementi [materia/forma/intenzione oggettiva (12)] deve essere fatta in base a un criterio accessibile a tutti e non riservato a un’élite di persone» (13).

Inoltre la Chiesa, per divina Istituzione, deve avere sino alla fine del mondo 1°) la Gerarchia: Papa e Vescovi; 2°) i Sacramenti e deve essere 3°)Cattolica, ossia sparsa in tutto il mondo e non in una sola Nazione o ristretta in alcune conventicole chiuse e ristrette anche se sparse dappertutto come avvenne con il Donatismo e l’Arianesimo ed in fine  4°) Apostolica, cioè deve risalire agli Apostoli con una fila mai interrotta di Papi e Vescovi quali successori formali (e non solo materiali, come lo sono i Vescovi scismatici) di Pietro  e degli Apostoli.

Perciò i fedeli non possono restare, non per loro colpa, senza Sacramenti e senza Pastori per lungo tempo e in tutto il mondo, altrimenti le “porte degli Inferi” avrebbero prevalso e Gesù non avrebbe mantenuto fede alla promessa fattaci (14).

Infine non dobbiamo dimenticare che se oggi la parte umana della Chiesa (nei membri della sua gerarchia) fa difetto, vi sono  numerosi fedeli (non-tradizionalisti) che si fanno uccidere per Cristo e per non apostatare.

La Chiesa è ancora Una soltanto (ed è quella fondata da Gesù su Pietro e i suoi successori (15)), è Apostolica e Cattolica (come visto sopra in quanto risale formalmente a Pietro e agli Apostoli ed è diffusa visibilmente, chiaramente e pubblicamente in tutto il mondo) ed è anche Santa nelle sue membra, che non sono solo appartenenti al mondo della Messa in latino.

Il Conciliarismo gallicano, condannato costantemente dalla Chiesa ed infine in maniera definitiva nel Concilio Vaticano I (DB 1830) (16), insegna: «nel caso che anche tutto il clero cadesse nell’errore, vi sarà sempre qualche anima semplice e qualche pio laico che saprà custodire il deposito della divina Rivelazione» (17).
In breve per costoro la Chiesa di Cristo potrebbe essere costituita solo da qualche fedele senza la Gerarchia (Papato monarchico ed Episcopato subordinato). Ora la Chiesa di Cristo non è acefala, puramente spirituale, invisibile, interiore o pneumatica, ma la gerarchia (Papa e Episcopato subordinato) è essenziale alla Chiesa per divina Istituzione. La dottrina ereticale dei protestanti presenta la Chiesa come “Società dei soli Santi”, in cui si incontrano le anime che professano la stessa fede in Cristo al di sopra di ogni struttura visibile, senza Sacerdozio, Episcopato subordinato e sommo Pontificato monarchico. Certamente la Chiesa di Cristo è un mistero soprannaturale che viene da Dio e porta in Cielo (18) (Ef., V, 32), ma non esclude che sia anche visibile nei suoi componenti umani (capi e sudditi), nei suoi mezzi (magistero, impero e santificazione) (19) , infatti gli uomini non sono angeli. Quindi la Chiesa di Cristo deve essere visibile e non puramente spirituale. Il Verbo si è incarnato, la Chiesa è incarnata e continua Cristo nella storia umana sino alla fine del mondo.

Secondo la definizione di S. Roberto Bellarmino e ripresa dal magistero ecclesiastico della Chiesa come “Società dei fedeli battezzati, che hanno la stessa fede, partecipano agli stessi sacramenti e sono sottomessi ai legittimi pastori e specialmente al Pontefice romano”, si deve concludere che la Chiesa è visibile, altrimenti bisogna rinunciare al concetto di Chiesa come società di uomini militanti e credenti in Cristo. Ora ogni società composta di uomini mancherebbe della sua causa formale se non avesse un’autorità in atto e non “virtuale” (20). Se la Chiesa è stata istituita per portare la Redenzione a tutti gli uomini di tutti i tempi sino alla fine del mondo non può che essere visibile, con una gerarchia visibile, attuale e non potenziale (21), con un popolo di fedeli visibile, con dei Sacramenti visibili, con una fede e una morale conoscibili a tutti. Ora è proprio l’aspetto visibile e umano della Chiesa (non la sua origine: Cristo e il suo fine: il Cielo) che può essere offuscato, adombrato, eclissato pro tempore, ma non distrutto completamente dal male e dall’errore.

La Chiesa, nel suo elemento umano, non può essere distrutta secondo la dottrina cattolica, ma può essere ferita. Occorre evitare i due estremi: 1°) la Chiesa solamente spirituale perché ogni gerarchia è essenzialmente perversa (luteranesimo); 2°) la Chiesa totalmente immacolata anche nella sua componente umana poiché la gerarchia è una quasi-divinità (rigorismo angelista). Purtroppo talvolta la mondanità, il vizio e anche la mancanza di chiarezza dottrinale nel non reprimere fermamente un  errore, nel tollerarne qualcun altro o anche la eccezionale possibilità di errori positivi nel magistero non infallibile (22) possono attaccare i membri della Chiesa discente e docente. Tuttavia la sostanza della Chiesa (materia e forma) e il suo elemento divino (principio e fine) non potranno mai essere corrotti totalmente dall’errore e dal male, l’essenza divina/umana della Chiesa resta intatta, essa non può fallire nella sua missione di salvare le anime che credono, sperano e amano.  La Chiesa “Corpo Mistico di Cristo” come Gesù (vero Dio e vero uomo) è divina e umana. Varie eresie hanno presentato Cristo (e la Chiesa) o solo come Dio (divina e pneumatica) o solo come uomo (umana e corrotta). La fede retta presenta Cristo e la sua Chiesa come una Persona (individuale e morale) divina e umana. 

Obiezione e risposta
All’obiezione “Il Figlio dell’uomo troverà la Fede sulla terra?”.  Si risponde che nel Vangelo di S. Luca (XVIII, 6-8) si leggono queste parole le quali significano che alla fine del mondo non ci sarà un’abbondante Fede accompagnata dalla preghiera e vivificata dalle buone opere, proporzionata alla gravità del momento. Soprattutto verso la fine del mondo coll’intensificarsi delle persecuzioni, che toccheranno l’apice col regno dell’anticristo finale, sulla terra non ci sarà quella forte Fede “da spostare le montagne” necessaria in quei frangenti per sormontare le prove estreme, in cui le forze del male si scateneranno con tutta la loro rabbia e aggressività. Tuttavia la frase del Vangelo di S. Luca non deve essere letta in maniera radicalmente pessimistica e quasi disperata, come se la Chiesa fosse finita all’approssimarsi della parusia. «Il Maestro non nega in maniera assolutal’esistenza della Fede negli uomini che vivranno negli ultimi giorni. […]. La prospettiva dolorosa della fine dei tempi, non si identifica con una dichiarazione sconsolata e senza speranza per la sorte finale del regno di Dio sulla terra ossia della Chiesa. […]. Il Maestro ha inteso richiamare gli uomini al dovere della vigilanza affinché essi, alla sua parusia, siano trovati in pieno fervore di Fede, di preghiera e di opere. […]. Ammonendoci che alla fine del mondo si avranno prove di un’estrema gravità, le quali per moltisaranno causa di raffreddamento di preghiera e carità e di defezione dalla Fede» (G. Rossi a cura di, Cento problemi biblici, Assisi, Pro Civitate Christiana, 1962, 2a ed., p. 472).

di Don Curzio Nitoglia 

Gli articoli di Don Curzio Nitoglia sono reperibili sul suo sito internet


 
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1208_Nitoglia_Invalidite_cronica.html

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