È allarme rosso in Vaticano: caccia a un nuovo "corvo"
Ogni giorno sono recapitate al Papa una trentina di lettere scritte da musulmani: "Presto San Pietro sarà purificato con il tuo sangue"
Ogni giorno sono recapitate al Papa una trentina di lettere scritte da musulmani: "Presto San Pietro sarà purificato con il tuo sangue"
Allarme rosso in Vaticano. Un nuovo "corvo" si aggira negli appartamenti di Santa Marta. È uno che conosce tutte le abitudini di papa Francesco, censisce riunioni e spostamenti riservati, dimostrando una perfetta conoscenza degli incontri più delicati del Pontefice.
Grazie alla sua straordinaria popolarità nel mondo, come spiega Bisignani sul Tempo,Bergoglio riceve migliaia di lettere al giorno. Per lo più suppliche, richieste di aiuto, incoraggiamento per la sua missione di Vicario di Cristo. Il red alert è scattato da oltre un mese. Gli addetti alla posta, che controllano minuziosamente le buste prime di aprirle per verificare che non ci siano tracce di esplosivo, hanno infatti notato che ogni giorno vengono recapitate al Santo Padre una trentina di lettere apparentemente scritte da musulmani. Sono tutte indirizzate a "Francesco, primo ed ultimo". "All’interno - racconta Bisignani sul Tempo - con un linguaggio corretto e fluente una terribile minaccia: 'presto San Pietro sarà purificato con il tuo sangue'". In una delle lettere viene indicato al Santo Padre, come monito, la conversione dello scrittore Pietrangelo Buttafuoco.
1. BISIGNANI LANCIA L’ALLARME ROSSO IN VATICANO: ANCHE FRANCESCO HA IL SUO CORVO!
Ma in cima all’agenda del Papa gesuita c’è l’Asia da evangelizzare. Il continente immenso dove assai poco il cristianesimo ha attecchito, isole felici a parte (Filippine, Corea del sud, Sri Lanka). E’ l’eterna chimera della chiesa romana, se è vero che “già negli anni Trenta si diceva che l’Asia rappresentava la sfida, poi le cose non sono andate avanti per il meglio”, ricordava su questo giornale Andrea Riccardi. In due anni di pontificato, Francesco c’è stato due volte, visitando tre paesi. Benedetto XVI, in quasi otto anni, mai (Terra Santa esclusa). Istinto del missionario, quello del Bergoglio che da giovane voleva trasferirsi in Giappone, ma anche sano realismo politico: la Cina, potenzialmente, è il più grande paese cristiano al mondo, se si mettono insieme i fedeli alla chiesa ufficiale di stato e quanti si richiamano alla chiesa sotterranea in comunione con Roma, sul cui numero le cifre sono ancora dibattute. E’ anche per questo che il Vaticano mantiene il profilo basso riguardo Pechino, non alzando la voce per l’occultamento delle croci e per la sparizione di sacerdoti e vescovi, che spesso ricompaiono sui bollettini ufficiali solo da morti. Quel che c’era da dire pubblicamente sulla questione è stato detto otto anni fa, con la “Lettera ai cattolici cinesi” di Ratzinger (alla cui stesura partecipò Parolin, che nel frattempo lavorava all’approfondimento delle relazioni bilaterali con il Vietnam, altro dossier assai delicato). A questa, in una delle ultime conferenze stampa in aereo, il Papa si è richiamato. Il resto è prudenza assoluta: niente metafore o battute, solo parole di “vicinanza” per il “grande popolo cinese al quale voglio bene”.
Negli uffici di sicurezza lo stato di allerta è ai massimi livelli. Ma chi è il "corvo" che siede con ogni probabilità a pochi passi dal Pontefice? È l’interrogativo lanciato dalle pagine delTempo da Luigi Bisignani.
Dopo una analisi fatta da esperti si inizia a ipotizzare che non si tratti solo di musulmani."Ciò che maggiormente impressiona - scrive sempre Bisignani - è l’esatta conoscenza, in tutte le lettere, degli uomini e degli impegni del Papa, dei cardinali di curia e degli addetti delle maggiori basiliche e santuari di Roma e d’Italia". Le prime indagini stanno accertando che i riscontri così precisi e puntuali lasciano pensare che esse siano redatte da mani non troppo distanti dall’abitazione del Papa. "Non serve a nulla fare allarmi sulla sicurezza di Papa Francesco e della Santa Sede - ripete Domenico Giani, da anni esperto e affidabile comandante del corpo della gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano - non ci sono minacce gravissime, ma ci sono comunque minacce che richiedono attenzione e vigilanza".
"La caccia al 'corvo' è diventata febbrile - prosegue Bisignani dalle pagine del Tempo - con l’analisi scientifica di tutti gli scritti, anche con speciali apparecchiature israeliane, per arrivare alle impronte che potrebbero essere comparate con tutti coloro che in queste settimane entrano a Santa Marta". Ma quali possono essere le finalità del "corvo" si chiedono nelle stanze più riservate della Segreteria di Stato? "Solo capendo da dove proviene - conclude Bisignani sul Tempo - si intuiranno la reale minaccia e le intenzioni del 'corvo'".
- Dom, 17/05/2015 -
Onu? Meglio Santa Marta
1. BISIGNANI LANCIA L’ALLARME ROSSO IN VATICANO: ANCHE FRANCESCO HA IL SUO CORVO!
2. LETTERE ANONIME, PIENE ZEPPE DI PARTICOLARI RISERVATISSIMI SULLA VITA DEL PAPA, INIZIANO A CIRCOLARE IN VATICANO. ALCUNE AGGHIACCIANTI, VERGATE IN ARABO CORRETTO E FLUENTE. LA MINACCIA “PRESTO SAN PIETRO SARA’ PURIFICATO CON IL TUO SANGUE”
4. IN UNA LETTERA TIRATA IN BALLO ANCHE LA CONVERSIONE ALL’ISLAM DI PIETRANGELO BUTTAFUOCO: 'HA BEN CAPITO QUAL È LA STRADA DELLA SALVEZZA DA PERSEGUIRE'
4. STA PER SCOPPIARE UN NUOVO SCANDALO A SAN PIETRO, LA GENDARMERIA E L’INTELLIGENCE DI GIANI A CACCIA DI QUALCUNO PROBABILMENTE MOLTO VICINO AL SANTO PADRE
Luigi Bisignani per Il Tempo
Allarme rosso in Vaticano: un nuovo «corvo» si aggira negli appartamenti di Santa Marta, uno che conosce tutte le abitudini del Papa, censisce riunioni e spostamenti riservati, dimostrando una perfetta conoscenza degli incontri più delicati del Santo Padre. Negli uffici di sicurezza lo stato di allerta è ai massimi livelli. Ma chi è il corvo che siede con ogni probabilità a pochi passi dal Pontefice?
Bergoglio, grazie alla sua straordinaria popolarità nel mondo, riceve migliaia di missive al giorno. Per lo più suppliche, richieste di aiuto, incoraggiamenti per la sua missione di Vicario di Cristo. Il «red alert» è scattato da oltre un mese, da quando gli addetti alla posta che controllano minuziosamente le buste prima di aprirle per verificare che non ci siano tracce di esplosivo, hanno notato che quotidianamente vengono recapitate una trentina di lettere apparentemente scritte da musulmani italiani indirizzate in modo inquietante a «Francesco, primo e ultimo».
E all’interno, con un linguaggio corretto e fluente, una terribile minaccia: «presto San Pietro sarà purificato con il tuo sangue». In una delle lettere viene indicata al Santo Padre, come monito, la conversione dello scrittore Pietrangelo Buttafuoco che ha ben capito qual è la strada della salvezza da perseguire. Giafar al-Siqilli, alias Buttafuoco, è uno dei più lucidi intellettuali italiani ed ha scritto pagine profonde sul suo cammino spirituale.
Dopo un’analisi fatta da esperti crittografi si inizia ad ipotizzare che non si tratti solo di musulmani. Ciò che maggiormente impressiona è l’esatta conoscenza, in tutte le lettere, degli uomini e degli impegni del Papa, dei cardinali di curia e degli addetti delle maggiori basiliche e santuari di Roma e d’Italia aggiornati meglio dell’Annuario Pontificio.
Le prime indagini stanno accertando che i riscontri così precisi e puntuali lasciano pensare che esse siano redatte da mani non troppo distanti dall’abitazione del Papa. «Non serve a nulla fare allarmi sulla sicurezza di Papa Francesco e della Santa Sede», ripete Domenico Giani da anni esperto e affidabile Comandante del Corpo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano.
«Non ci sono minacce gravissime, ma ci sono comunque minacce che richiedono attenzione e vigilanza», aggiunge. Papa Francesco, sin dal primo giorno in cui è stato eletto al soglio pontificio, ha fatto capire che non avrebbe rinunciato al contatto diretto con i fedeli e ha ridotto al minimo essenziale l’apparato di sicurezza.
Il suo coraggio sembra anche essere la sua forza. E Giani ha candidamente confessato: «Io all’inizio certe cose le ho fatte notare. Poi, con i miei uomini, ci siamo dovuti adeguare perché Papa Francesco sorridendo mi ha detto: "Ho quasi 80 anni e non cambio..."».
La caccia al «corvo» è diventata febbrile con l’analisi scientifica di tutti gli scritti anche con speciali apparecchiature israeliane, per cercare di arrivare alle impronte che potrebbero essere comparate con tutti coloro che in queste settimane entrano a Santa Marta. Un’operazione delicatissima, con l’aiuto dell’intelligence italiana, degna delle spy story di Dan Brown. L’obiettivo è smascherare il «corvo» prima dell’ultima fase di preparazione al prossimo Giubileo.
Ma quali possono essere le finalità del «corvo», si chiedono con angoscia nelle stanze più riservate della Segreteria di Stato? Intimidire il Santo Padre? Creare ancora più nervosismo in Curia dove l’azione di Papa Francesco, da sempre allergico alle burocrazie, inizia a dare fastidio?
Fare in modo che Bergoglio, per motivi di sicurezza, lasci la sua amata e trafficata Residenza di Santa Marta e si vada «ad isolare» negli appartamenti Pontifici come tutti i suoi predecessori per poter così mettere fine a troppi incontri improvvisati e probabilmente poco graditi dalla stessa Curia? Rallentare in qualche modo il suo attivismo, un po’ solitario e personalistico in politica estera da Cuba alla Palestina? Solo capendo da dove proviene e perché gracchia si intuiranno la reale minaccia e le intenzioni del «corvo».
Altro che Papa pastorale, il diplomatico Francesco ridisegna il mappamondo
Così la Santa Sede torna al centro della politica mondiale. Il ruolo del cardinale Parolin
di Matteo Matzuzzi | 15 Maggio 2015
Francesco con il presidente cubano, Raúl Castro, domenica scorsa in Vaticano (foto LaPresse)
Roma. Prima la mediazione decisiva tra Cuba e gli Stati Uniti, poi il passo decisivo verso il riconoscimento dello stato di Palestina e le premesse (tutte da verificare) per imbastire un dialogo con la Cina comunista. Prima ancora, la veglia di preghiera con annesso digiuno per la Siria e la lettera inviata a Vladimir Putin. Pare di essere tornati negli anni Sessanta-Settanta, racconta oltretevere chi si ricorda gli anni della Ostpolitik montiniana e casaroliana. “Grazie a Papa Francesco, il peso della diplomazia pontificia nel contesto internazionale è in crescita. Ma come lo stesso Pontefice ci ha ricordato più volte, rappresentare la chiesa cattolica agli occhi del mondo è un compito molto delicato, che richiede pazienza e perseveranza”, diceva qualche giorno fa il cardinale Dominique Mamberti, prefetto della Segnatura apostolica ma diplomatico di carriera e già segretario per i Rapporti con gli stati. L’attivismo del Pontefice callejero sorprende, lui che era stato raccontato come Papa spirituale, quasi un eremita, a sentire quel che dicevano di lui alcuni cardinali nel dopo Conclave. “Si diceva che Bergoglio, Papa pastorale, non fosse portato alla diplomazia. Invece, si moltiplicano incontri e iniziative, come questa tra Stati Uniti e Cuba”, notava sul Corriere della Sera lo storico Andrea Riccardi. Senza dimenticare la reunion nei Giardini Vaticani, del giugno scorso, tra lui e Bartolomeo I, Abu Mazen e Shimon Peres. Una diplomazia diretta, fatta di colloqui a Santa Marta o telefonate intercontinentali, ma che si fonda soprattutto sul ritrovato dinamismo della Segreteria di stato retta dal cardinale Pietro Parolin, in fama di essere uno dei migliori prodotti della nobile scuola vaticana (anche prima di venir spedito, nel 2009, a Caracas in qualità di nunzio).
ARTICOLI CORRELATI Abu Mazen a Roma. Non solo Vaticano. Chiesa cattolica, Palestina e Israele. Perché non c’è accordo Mediazione vaticana tra Cuba e Stati Uniti Se anche la chiesa cinese di regime alza la testa contro Pechino Stato senza stato Un po’ troppa fretta, Santa SedeCerto, su Palestina e Cuba i negoziati – lenti e pazienti – andavano avanti da decenni. Eppure, a proposito di Cuba, “il vero diplomatico in tutta questa vicenda è stato Papa Francesco”, ha spiegato mons. Giovanni Angelo Becciu, sardo di Pattada, sostituto della Segreteria di stato e già nunzio sull’isola. Lì avevano già messo piede Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ma doveva arrivare un Papa argentino per mediare sottotraccia tra Washington e L’Avana. Non è un caso, se è vero che – come diceva al Foglio lo storico del cristianesimo “di scuola Vaticano II” Massimo Faggioli – Bergoglio “è un latinoamericano, il che comporta una certa quantità di anti americanismo. Negli Stati Uniti questo si sa bene, solo che non si può accusare esplicitamente il Pontefice di essere anti yankee. E’ una questione latente”. Insomma, Raúl Castro non poteva sperare di meglio per tentare di cancellare l’embargo che strangola l’economia della repubblica socialista.
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