CENNI FINALI DI APERTURA ALLA TRADIZIONE IN SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II? Approfondimenti di qualche spunto contenuto in alcuni libri
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato Me. Se foste del
mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma
Io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della
parola che vi ho detto: un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno
perseguitato Me, perseguiteranno anche voi». (Evangelo di Nostro Signore
Gesù Cristo – che, sebbene letto in italiano, continua a non essere preso sul
serio. «Forse non hanno tanta fede?», scriveva una nostra bambina della Prima
Comunione. O manca l’uso della ragione? O mancano entrambe?).
Chiosa sull’odio del mondo, che è proprio ciò che distingue i seguaci del Signore Gesù dalla diabolica contraffazione anticristica del cristianesimo: «Tutta l’inimicizia, l’ostilità, tutta la calunnia […] tutto questo che si usa contro di noi stiamo bene attenti a non lasciare che ci inganni. Prende degli spunti, ma la ragione è qui; la ragione sta nell’odio, nell’odio violento prodotto dalla menzogna, perché “il mondo è figlio del demonio”, ha detto Cristo […] la Chiesa è perseguitata, la verità della Chiesa è intollerabile per la mentalità di oggi. […] È un tremendo onore, sotto il quale la nostra timidità sembra essere schiacciata, quello di essere diventati il pretesto per l’attacco del mondo e della menzogna alla verità […] La nostra vita così fragile, così carica di limite, così debole, così peccatrice, è chiamata a difendere la verità». (Mons. Luigi Giussani, Esercizi spirituali di Pasqua degli universitari di Comunione e Liberazione, 1988. Altro che le banali chiacchiere da Onu, che vanno di moda, sul “fanatismo religioso”! Ma oggi, tante volte, non replicano questo: un peggioramento frutto del pragmatismo? Contropartita del voler essere, “troppo”, una realtà di popolo?).
Chiosa sull’odio del mondo, che è proprio ciò che distingue i seguaci del Signore Gesù dalla diabolica contraffazione anticristica del cristianesimo: «Tutta l’inimicizia, l’ostilità, tutta la calunnia […] tutto questo che si usa contro di noi stiamo bene attenti a non lasciare che ci inganni. Prende degli spunti, ma la ragione è qui; la ragione sta nell’odio, nell’odio violento prodotto dalla menzogna, perché “il mondo è figlio del demonio”, ha detto Cristo […] la Chiesa è perseguitata, la verità della Chiesa è intollerabile per la mentalità di oggi. […] È un tremendo onore, sotto il quale la nostra timidità sembra essere schiacciata, quello di essere diventati il pretesto per l’attacco del mondo e della menzogna alla verità […] La nostra vita così fragile, così carica di limite, così debole, così peccatrice, è chiamata a difendere la verità». (Mons. Luigi Giussani, Esercizi spirituali di Pasqua degli universitari di Comunione e Liberazione, 1988. Altro che le banali chiacchiere da Onu, che vanno di moda, sul “fanatismo religioso”! Ma oggi, tante volte, non replicano questo: un peggioramento frutto del pragmatismo? Contropartita del voler essere, “troppo”, una realtà di popolo?).
«Ha proprio ragione la Madonna a Fatima: i laici
salveranno la Chiesa dai sacerdoti e dai Vescovi». (Padre Ignace de la
Potterie S.I., celebre esegeta “nuovo corso” e amico personale del card.
Ratzinger – da cui plausibilmente lo ha saputo –, in un’intervista ad Avvenire del
1996)
«Cardinali si opporranno a Cardinali, Vescovi a
Vescovi». (Dalla “versione diplomatica” del Terzo Segreto)
8 maggio 2015
Apparizione di S.
Michele Arcangelo
Supplica alla Madonna
del Rosario
Come abbiamo rilevato in diversi articoli,
tra cui l’ultimo ma anche alcuni del 2014, sussiste la concreta possibilità che
si stia andando verso la grande rottura – con il mondo e all’interno della
Chiesa –, forse già tra pochi mesi. Rottura che avevamo previsto da tempo,
certo non a cuor leggero, come plausibilmente necessaria. Qualcosa del genere,
se non vado errato, l’aveva ipotizzato don Giulio Maria Tam: lo sbloccarsi
della situazione postconciliare poteva essere collegato a una rottura, nel
“campo ufficiale” cattolico, tra i liberali moderati e i progressisti. Tra “il
centro” ecclesiale e “la sinistra”. Come abbiamo detto tante volte,
prospettando uno scenario diverso da quello dello “spirito (e mentalità) di Summorum
Pontificum” (e degli “integrati” in genere): sembra che si vada allo
scontro finale con il mondo – nel senso evangelico della parola –, coi
martiniani al seguito, sul punto su cui gli ultimi Pontificati hanno “tenuto
duro”, il campo dell’insegnamento morale. E noi, pur sottolineando «il primato
della Fede» (come da considerazione che Nicolas incisivamente opponeva alle
linee direttrici delle scelte pratiche di amici “liturgisti”), osserviamo
l’evolversi della situazione, in partecipe preghiera, con attenzione e interesse.
*
* *
S.S. GIOVANNI PAOLO II APPENA ELETTO TRA IL CARD. GIUSEPPE SIRI E MONS. NOE' |
Qualche previsione del genere era
contenuta anche in Non disprezzate le profezie: una siffatta
rottura collegata all’ “alzarsi delle richieste” dei poteri mondani (pp. 209,
212, 214). In questo libro, che vive anch’esso l’anno decennale, libro ormai in
parte superato dai successivi sviluppi ma soltanto dopo essere stato
stimolante, «un “sasso nello stagno” oltre le attese» (“Non esiste” perché
distrutto?, primavera 2012, pag. 9) – l’autore (l’umile
sottoscritto) si era chiesto se già con Giovanni Paolo II sarebbe partito
l’atteso ritorno (pp.186-192); considerando che, in ragione del carattere forte
e della diffusa popolarità (dopo il crollo del muro), egli «sarebbe
particolarmente adatto ad essere il Papa della svolta, della restaurazione, del
ritorno (con spirito rinnovato) alla Tradizione (pag.189)». Si dirà che questo
non è accaduto (essendo evidente che chi scrive non considera tale, di per sé,
né l’impegno per la famiglia e la vita né l’opposizione alla filocomunista Teologia
della Liberazione né la propensione, ben maggiore del predecessore, a dare
indulti per la “Messa tridentina”: giacché noi non diamo importanza soltanto
all’uno o all’altro di questi notori punti, certo buoni e importanti, avendo
evidenza della loro insufficienza per il bene comune della Chiesa). E lo si
dirà facilmente, vista la qualità scadente anche di non pochi degli ambienti
contrapposti ai progressisti; con le attitudini e gli interessi anche
contrapposti ma talvolta, nella realtà, convergenti. Eppure, un’analisi attenta
indicherebbe che qualche conato in tal senso, qualche segno di ripensamento,
c’è stato. Purtroppo, quando ormai non aveva più la forza per dare loro un
seguito compiuto; peraltro sono elementi scarsamente di dominio pubblico,
sicché a maggior ragione questi rilevamenti e considerazioni nulla tolgono
all’altro aspetto, già espresso (cfr. E’ libero il Santo Padre?),
di perplessità e dubbi su certe procedure affrettate. «Il Papa del mio amore e
del mio dolore», l’avrebbe detto – con formula plausibilmente “agrodolce” – la
Madonna nei presunti messaggi a don Stefano Gobbi, pio fondatore del Movimento
Sacerdotale Mariano.
Qualche elemento del genere è presente,
pur in forma embrionale e non sempre prevalente, nell’ultimo libro di Socci, Non
è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta (Mondadori, ottobre
2014). Alle pp. 33-34 si legge: «pare che Wojtyla avesse in animo di convocare
un sinodo nel quale fissare per scritto l’interpretazione corretta [un po’
quella che negli anni successivi sarebbe stata la proposta di mons. Gherardini,
in pratica un’aggiunta di note o postille, nda] di quei punti del
Concilio che continuavano a essere male interpretati e che, in un futuro
prossimo, potevano essere usati [e dunque anche i «documenti» di tale Concilio,
certamente oltrepassati e abusati dai fautori dell’«abusivo Vaticano III», non
sarebbero immuni dalle logiche influenze dell’inquietante «paraconcilio»: e
infatti Socci, che a pag.9 nel card. Siri aveva riconosciuto la presenza anche
di «timori sullo stile letterario adottato che può favorire errori di
interpretazione», poco dopo parlerà di «una riflessione» del vecchio Papa
malato «sulla necessità di chiarire alcuni contenuti del Concilio», il che
presupporrebbe la reale e problematica presenza di ambiguità già nei testi; e
la necessità di applicare diffusamente la formula, inizialmente enunziata in
astratto, del “Concilio alla luce della Tradizione” – concetto poi reso con
quella, che a noi piace meno, di “ermeneutica della continuità”, nda]
da chi intendeva riprendere [o meglio completare: giacché, come talvolta Socci
ha espressamente riconosciuto, il “salto in basso” più recente attesta, ad
analizzare bene le cose, che la crisi nella Chiesa in questi ultimi decenni non
era davvero finita. Pur essendo vera anche l’altra faccia della medaglia:
ovvero che svariati lefebvriani, di tutti i campi, tendono a non cogliere la
reale novità della situazione più recente. È dunque falso sia che questa sarebbe una novità
assoluta, salvo magari il virulento primo postconcilio, sia che essa non
rappresenta in assoluto nessuna novità, nda] l’autodemolizione
della Chiesa. Ma fu chiaro al Pontefice polacco che non aveva più né tempo né
energie. E che solo Joseph Ratzinger avrebbe potuto realizzare questo compito
per ridare pace alla Chiesa e scongiurare nuove terribili tempeste.
Deve essere in questa cornice che
s’inquadra un episodio di cui dà notizia Marco Damilano»: «L’8 gennaio 2005 [un
mese prima della morte di suor Lucia, nda], Joseph Ratzinger era
stato designato come successore di Giovanni Paolo II. Era stato il vecchio Papa
in persona a farlo, durante un pranzo in cui erano presenti gli uomini di curia
più in vista, decisivi nel conclave […] Aveva messo in moto la macchina del
conclave… e aveva fatto capire agli uomini più influenti della curia che
spettava a Ratzinger raccogliere il suo testimone». Con il che, visto il
profilo del Porporato bavarese e il fatto che dei “papabili” era notoriamente
il più “conservatore”, avrebbe indicato una direzione piuttosto chiara (anche
al netto dei luoghi comuni e guardando al senso di fondo).
Una testimonianza convergente è riportata
in un libro di qualche anno prima, L’ultima veggente di Fatima (Rizzoli,
maggio 2007). Di quest’opera i più, che non l’hanno letta ma presumono di
conoscerla, sanno soltanto che smentirebbe assolutamente le tesi della critica
fatimita; qualche “fatimologo” di vostra conoscenza, che ne è anche evocato e
che l’ha studiata bene, l’ha invece analizzata e discussa criticamente:
rilevando che – pur con l’utilizzo prevalente della forma implicita, poco
evidente, e pur in maniera piuttosto “sommersa” tra aspetti di segno opposto –
qualcosa la “parte ufficiale” iniziava ad ammettere (cfr. ad esempio il mio
libretto di disamina Una “risposta” significativa, dicembre 2007.
Qui ci interessa la testimonianza del coautore, S.E. il Card. Tarcisio Bertone,
sulla genesi della dichiarazione Dominus Jesus (6 settembre
A.D. 2000). Anche perché il card. Bertone a quel tempo era il Segretario della
Congregazione per la Dottrina della Fede: dunque la sua testimonianza, sul
contesto e la motivazione di questo documento più che sul testo in sé (pp.
112-113), è particolarmente rilevante, essendo per così dire una testimonianza
“di prima mano”. Fu un documento scomodo, pur essendo la dichiarazione «tutta
cucita coi documenti conciliari», ciononostante un atto non facile: «Gli
ecumenisti non erano soddisfatti della seconda parte, perché sembrava porre
troppi freni», e appena pubblicata «le reazioni furono vivacissime» (prendendo
il presunto Panzerkardinal Ratzinger come “capro espiatorio”).
Sicché Giovanni Paolo II disse ai collaboratori: «Io voglio dedicare un Angelus alla Dominus
Jesus e dire che l’ho voluta io, che è perfettamente conforme al mio
pensiero» (respingendo con «un pugno sul tavolo» la proposta di «rimandarlo»).
Colpisce che un Papa così instancabilmente impegnato nel «cammino ecumenico»
abbia voluto così risolutamente procedere, anche senza il consenso e per così
dire “motu proprio”, a pubblicare e difendere delle puntualizzazioni
chiaramente e pesantemente invise agli acattolici e ai cattoprogressisti
(qualcuno, pur esagerando, la dirà una «pietra tombale sul dialogo ecumenico e
interreligioso», pag. 111). Il motivo è detto a pag. 112: «La Dominus
Jesus è stata una risposta alle tante lettere arrivate al Papa dopo
l’enciclica Redemptoris missio. “Se ormai tutti hanno l’etichetta
di ‘salvatore’ alla stregua di Gesù Cristo, come Maometto, Buddha, Confucio,
Che Guevara, che ci stiamo a fare noi? Perché dovremmo spendere la nostra vita
per annunciare la parola di Gesù fino ai confini della terra?” [Mons. Lefebvre,
Vescovo missionario che a differenza del Vescovo Bergoglio aveva alle sue
spalle un bilancio decisamente attivo, nel dire che Assisi era la condanna a
morte della missione non era dunque lontano dal vero, nda]. Erano
le obiezioni dei missionari che provenivano specialmente dal mondo asiatico.
Giovanni Paolo II ne fu turbato e amareggiato […] Il Papa allora chiese di
lavorare attorno a una dichiarazione dogmatica su Gesù Cristo, unico e
universale Salvatore. Fu il cardinale Ratzinger a fare da guida per la
composizione del documento». Il “Papa dell’ecumenismo”, dunque, fu «turbato e
amareggiato» (come è detto del Papa della visione di Fatima, afflitto dai
rimorsi): forse si è infine reso conto dei pericoli, gravissimi, della
dilagante marea ecumenista (agli antipodi pure con la Sacra Scrittura)?
Sembrerebbe indicare in questa direzione anche il fatto che in alcuni
rimproveri correttivi mossi alla Fraternità San Pio X, a nome della Santa Sede,
subito dopo l’Anno Santo, sostanzialmente manca quello per la massiccia critica
pubblica degli incontri ecumenici (evidentemente riconosciuti come possibile
materia di discussione). Anzi: nel 2004, quando la San Pio X realizzò un
opuscolo di forte critica dell’ecumenismo “ufficiale”, S.S. Giovanni Paolo II –
scrisse il più informato dei vaticanisti italiani – volle leggerlo; il che, viste
le condizioni di salute che evidentemente gli imponevano ormai di centellinare
al massimo le energie, sembrerebbe attestare un notevole interesse a
confrontarsi con quelle sostanziose obiezioni.
Negli ultimi anni, del resto, Giovanni
Paolo II – che lodò le «bellissime preghiere» del Messale Romano detto di San
Pio V, che «rivelano la sostanza stessa di qualsiasi liturgia», e concesse, per
la prima volta, una struttura giuridica ad hoc e un Vescovo
agli eredi di mons. De Castro Mayer in Brasile – desiderò vivamente ricucire la
dolorosa rottura della principale opera del mondo “tradizionalista”, appunto la
FSSPX. Probabilmente con dei rimorsi, giacché prima (come disse lo stesso mons.
Lefebvre) la si sarebbe potuta evitare: sicché ebbe a cuore la realizzazione di
un accordo, che tra il 2000 e il 2005 tentò ripetute volte. (Ma mons. Fellay
non volle farlo subito, plausibilmente soprattutto per non spaccare l’opera di
cui era a capo, sennonché oscillando e tatticheggiando si sta spaccando lo
stesso: oltre all’emorragia al centro, verso il “Sistema”, che si può
comprendere ma che è stata in questi ultimi anni piuttosto pronunciata, stanno
avendo perdite consistenti anche sul versante destro, con la crescente
scissione del movimento denominatosi Resistenza Cattolica, che è atta a essere
un “martello” più incalzante dei classici sedevacantisti. Ancor più notevole –
caso più unico che raro! – è che il nostro accordo, da tanti disprezzato, né ci
ha imborghesiti né ha ingenerato crisi di rigetto: intanto ha portato – secondo
il giudizio sia nostro sia dell’autorità ecclesiastica locale – a qualche
miglioramento, contenuto ma reale, e ancora dura, va avanti…).
Anche sul Segreto di Fatima, S.S. Giovanni
Paolo II – che nell’Anno Santo aveva oggettivamente avallato l’assai
discutibile operazione “Fatima 2000” e che nell’autunno 2001 avrebbe ricevuto
da suor Lucia una «lettera monito», che tra l’altro «incoraggia[va] il Papa a
rivelare per intero il Terzo Segreto» (cfr. Il quarto segreto di
Fatima, pp.114-115) – sembra abbia pensato, in extremis, alla
pubblicazione del famoso “allegato” interpretativo. Di questa non improbabile
intenzione, che secondo alcuni avrebbe avuto già prima del famoso attentato,
compare forse un’eco in un romanzo del ben informato vaticanista Thornborn,
nell’intervista a la Repubblica del card. Bertone il 17
febbraio 2005, e comunque mi è stata espressamente accreditata da un autorevole
Cardinale, in una conversazione di cui parlo in “Non esiste” perché
distrutto? (pp. 96-98). Detto per inciso: Fatima, «simbolo di una
religiosità combattiva, militante» (L’ultima veggente di Fatima,
pag.112), si conferma spesso un segno indicatore più ampio. E il suo testo
inedito sembra essere, più che assolutamente non pubblicabile neppure per
ipotesi come è stato scritto da alcuni dei critici, piuttosto – da alcune frasi
e comportamenti soprattutto di Giovanni Paolo II e del card. Ratzinger –
proprio sulla soglia, sia dell’accettabilità che della pubblicabilità. Ma il
Papa era ormai in stato di preagonia, e alla fine si optò per l’annosa via
della “rivelazione velata” – non letterale e non ufficiale bensì implicita –,
tuttavia con notevole estensione e visibilità, inserendola nella Via
Crucis (presente anche nella visione del Segreto) del Venerdì Santo di
quell’anno (cfr. Non disprezzate le profezie pp.XX-XXII della
ristampa e Non è Francesco pp.36-39).
"PASSAGGIO DI CONSEGNE" GIOVANNI PAOLO II-BENEDETTO XVI. I profeti di sventura non avevano tutti i torti: non è Pentecoste, ma Venerdì Santo. |
Quell’atto chiuse il lungo pontificato di
papa Wojtyla, che esattamente una settimana dopo “vedeva e toccava il Signore”
(per dirla con il Cardinal Vicario di Roma), e in pratica lo suggellava con un
solenne atto penitenziale (un mea culpa stavolta sul proprio
petto) per un bilancio che così, in qualche modo, riconosceva oggettivamente
non positivo, comunque gravato da problemi molto seri. Va peraltro notato che
in questo atto pubblico –quantunque relativizzato dai malevoli e dai distratti
attribuendolo alla sensibilità personale (presunta monolitica, almeno prima
della contrastata elezione) del card. Ratzinger – la Santa Sede riconosce
diffusamente, e in qualche modo pone “sotto i riflettori”, l’esistenza di gravi
mali all’interno della Chiesa, laddove in precedenza, salvo qualche sparuta
eccezione, era dai famosi lamenti di Paolo VI che il Sommo Pontefice parlava
soprattutto o pressoché soltanto di alcuni dei mali esterni, come il
materialismo e il consumismo (la “cultura della morte”). Come ho rilevato in Non
disprezzate le profezie, «a me sembra di cogliere, tra due documenti di
Giovanni Paolo II come la Novo millennio ineunte (inizio del
2001, predisposto nel 2000) e l’Ecclesia in Europa (2003), una
differenza (direi quasi “uno sbalzo”) di tono […] che maggiormente vede il
disastro» (pag. 211).
Forse quell’atto ebbe anche un certo
valore esorcistico sull’imminente Conclave: quella volta l’operazione
Bergoglio, già allora tentata dopo che il tempo aveva anche affossato il
“papabile” Martini, non riuscì nel sorpasso pomeridiano; anzi, stavolta il papa
Giuseppe uscì sul Balcone… Sebbene qualcosa di segno opposto è altresì
accaduto, subito dopo l’avvenuta elezione e/o durante il pranzo del secondo
giorno, e – come abbiamo accennato da subito – qualcosa di condizionante,
negativamente e illegittimamente condizionante, lì c’è stato. Sarebbe assai
rivelatore (e dirompente) se venisse tolto il segreto del Conclave, da quelli
tenuti dal 1958 al 2013: lo spazzerà via la famosa rivoluzione di Papa
Francesco? O qui sarà più conservatore del cardinal Siri, che ne propose
l’abolizione, e – legalista e chiuso – il “muro” della Sistina
si guarderà bene dall’abbatterlo?
Il crepuscolo del pontificato wojtyliano
ha comunque visto una presenza oggettiva (e sorprendente) di tendenze nel senso
di cui stiamo dicendo: si pensi, oltre a un certo ravvivato interesse per la
“questione tradizionalista”, al Conclave che gli è seguito… all’aria che tirava
in quella primavera pasquale, testimoniata da diversi interventi alle
Congregazioni e dall’esito non “condiviso” che ne è uscito.
*
* *
Ad ogni modo, le cose si muovono. E questo
più volte si vede soltanto dopo, si vede meglio più avanti. Non c’è da
scoraggiarsi, né da avere quel tipico scetticismo illuministico né da
“annoiarsi”, ma da combattere. Viviamo in una terra purtroppo “menefreghista”,
con tanta grettezza d’animo, che a tali cose (anche a grandi movimenti in
corso) neppure fa caso, finché non sono a un palmo dal proprio naso… E questo è
desolante. Ma non c’è da lamentarsene troppo, sterilmente a chiacchiere. Non
c’è da essere sempre insoddisfatti, stoltamente; senza dare importanza al bene
presente (come fanno, con poca sapienza, i cuori vagabondi). C’è da lottare,
con perseveranza, innanzitutto per la vera fede e quindi per i beni collegati
(tanti, ricchi e potenzialmente appaganti). Non c’è da lavarsene le mani, non
c’è da fuggire. C’è da stare qui nella vera unità: in memoria e attesa, in
speranza e prudenza, mentre tutto si va disgregando. Vigilanti e resistenti,
come sentinelle, testimoniando – con una presenza distinta, critica, “mirata” –
i contenuti e le questioni.
Solideo
Paolini
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