SINODO/CARD. ANTONELLI: ATTENTI ALLA CONFUSIONE TRA I FEDELI
Un breve saggio del presidente emerito del Pontificio Consiglio per la famiglia sull’ammissione dei divorziati risposati all’Eucaristia. Chiarezza espositiva, nettezza di concetti su uno dei temi principali del dibattito sinodale. Maggiore accoglienza sì, ma molte controindicazioni a riguardo dell’accesso ai sacramenti senza una penitenza che si incarni in un cambiamento di vita. Il pericolo di banalizzare l’Eucaristia e di indebolire gravemente l’indissolubilità del matrimonio.
“Se il matrimonio cristiano può essere paragonato ad una montagna molto alta che pone gli sposi nell’immediata vicinanza di Dio, bisogna riconoscere che la sua salita richiede molto tempo e molta fatica. Ma sarà questa una ragione per sopprimere o abbassare tale vetta?”: è una riflessione che san Giovanni Paolo II ha offerto alle famiglie africane riunite a Kinshasa il 3 maggio 1980. Una “immagine suggestiva” che il cardinale Ennio Antonelli riprende nel breve saggio “Crisi del Matrimonio& Eucaristia” pubblicato dalle edizioni Ares e in uscita in questi giorni: “Il Papa era solito raccomandare ai pastori della Chiesa di non abbassare la montagna, ma di aiutare i credenti a salirla con il loro passo. Da parte loro i fedeli non devono rinunciare a salire verso la vetta; devono sinceramente cercare il bene e la volontà di Dio”.
L’immagine evocata già sintetizza il messaggio che il porporato umbro vuole proporre non solo ai padri sinodali ma all’intero mondo cattolico: in una società in cui la secolarizzazione “sta mettendo in crisi l’appartenenza di massa alla Chiesa, sarebbe fuorviante inseguire l’appartenenza numerica, mediante il disimpegno formativo e l’apertura indifferenziata, provocando un appiattimento generalizzato verso il basso”.
Il settantanovenne Ennio Antonelli, consacrato vescovo nel 1982 (prima Gubbio, poi Perugia), è stato pastore di Firenze dal 2001 per sette anni; creato cardinale da papa Wojtyla nel 2003, è stato incaricato poi da Benedetto XVI di presiedere il Pontificio Consiglio per la Famiglia dal 2008 al 2012, fino alle dimissioni per ragioni di età. E’ stato segretario generale della Cei dal 1995 al 2001. La sua odierna proposta è scritta – come osserva il cardinale Elio Sgreccia nella prefazione – “con spirito di umiltà e parresia e con uno stile semplice e trasparente”: dunque nessuna verbosità, nessuna fumisteria, nessun contorsionismo nel breve saggio, ma una riflessione sul matrimonio cristiano che, frutto anche dello spessore culturale dell’autore, si dipana senza fronzoli e senza possibili equivoci. Di questi tempi non è poca cosa. Ognuno poi deciderà se accogliere totalmente o parzialmente o non accogliere per nulla le suggestioni dell’autore.
Nove i capitoli in cui si suddivide il testo, incentrato su un argomento preciso, come “contributo di riflessione personale” per il Sinodo di ottobre: “la possibilità di ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati e i conviventi”. Dopo la premessa metodologica Ennio Antonelli ricorda quel che dicono oggi dottrina e disciplina della Chiesa cattolica in materia, un ‘no’ per motivi teologici e pastorali; affronta poi il tema della “perfettibilità della prassi vigente” (“Si potrebbero affidare con maggiore larghezza ai divorziati risposati alcuni compiti ecclesiali finora vietati, almeno quando non lo sconsiglino inderogabili esigenze di esemplarità”); rievoca nel quarto capitolo “le proposte innovative”.
NEL QUINTO CAPITOLO SEI OBIEZIONI CONTRO LA COMUNIONE AI CONVIVENTI IRREGOLARI
Il capitolo successivo è intitolato “Obiezioni contro l’ammissione dei conviventi irregolari all’Eucaristia”. Il cardinale Antonelli riporta in questo che è il capitolo centrale del breve saggio le ragioni che – anche secondo “autorevoli pastori e qualificati esperti” - obstano all’ammissione alla Comunione dei conviventi irregolari. Vediamole da vicino.
La prima è tutta da citare: “Non va sottovalutato il rischio di compromettere la credibilità del Magistero del Papa, che anche recentemente con san Giovanni Paolo II e il suo successore Benedetto XVI ha escluso ripetutamente e fermamente la possibilità di ammettere ai sacramenti i risposati e i conviventi. Con quella del papa, viene indebolita anche l’autorità di tutto l’episcopato cattolico, che per secoli ha condiviso la stessa posizione”. Seconda ragione: “Accoglienza ecclesiale verso i divorziati risposati e più in generale verso i conviventi irregolari non significa necessariamente accoglienza eucaristica”. Del resto “nell’odierno contesto culturale di relativismo c’è il rischio di banalizzare l’Eucaristia e ridurla a un rito di socializzazione. Tanto è vero che “è già successo che persone neppure battezzate si siano accostate alla mensa, pensando di fare un gesto di cortesia, o che persone non credenti abbiano reclamato il diritto di comunicarsi in occasione di nozze e funerali, semplicemente in segno di solidarietà con gli amici”.
Terza ragione: “Si vorrebbe poi concedere l’eucaristia ai divorziati risposati affermando l’indissolubilità del primo matrimonio e non riconoscendo la seconda unione come un vero e proprio matrimonio (in modo da evitare la bigamia)”. Posizione “pericolosa”, osserva l’autore, poiché “conduce logicamente ad ammettere il lecito esercizio della sessualità genitale fuori del matrimonio, anche perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati”. Quarta ragione: se è vero che “anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (“per esempio l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli”), è necessario però “evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini”. Qui il cardinale Antonelli cita non a caso un passo famoso della prima Lettera di san Paolo ai Corinzi: “Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né depravati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio”. Evidenzia l’autore che la Chiesa, che pur “si astiene dal giudicare le coscienze, che solo Dio vede”, tuttavia “non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male”.
Quinta ragione: “L’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi alla mensa eucaristica comporta una separazione tra misericordia e conversione, che non sembra in sintonia con il Vangelo”. In effetti, “questo sarebbe l’unico caso di misericordia senza conversione”. Certo Dio “concede sempre il perdono: ma lo riceve solo chi è umile, si riconosce peccatore e si impegna a cambiar vita”. Al contrario oggi, “il clima di relativismo e soggettivismo etico-religioso (…) favorisce l’autogiustificazione, particolarmente in ambito affettivo e sessuale”, perché “il bene è ciò che si sente come gratificante e rispondente ai propri desideri istintivi”. Certo “è facile attribuire la colpa del fallimento all’altro coniuge e proclamare la propria innocenza”. Ma “non si deve tacere però il fatto che, se la colpa del fallimento può qualche volta essere di uno solo, almeno la responsabilità della nuova unione (illegittima) è di ambedue i conviventi ed è questa soprattutto che, finché perdura, impedisce l’accesso all’Eucaristia”. Insomma: “Non ha fondamento teologico la tendenza a considerare positivamente la seconda unione e a circoscrivere il peccato alla sola precedente separazione. Non basta fare penitenza per questa soltanto. Occorre cambiare vita”.
Sesta e ultima ragione: “Di solito i favorevoli alla comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi affermano che non si mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio”. Eppure, “al di là delle loro intenzioni” e “stante l’incoerenza dottrinale tra l’ammissione di queste persone all’Eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio, si finirà per negare nella prassi concreta ciò che si continuerà ad affermare teoricamente in linea di principio”.
CIO’ CHE E’ MALE NON PUO’ DIVENTARE IL BENE ATTUALMENTE POSSIBILE
Nel sesto capitolo il cardinale Antonelli ricorda che per la Chiesa sono distinte “la verità oggettiva del bene morale e la responsabilità soggettiva delle persone”, cioè tra la legge e la coscienza. La Chiesa “riconosce che nella responsabilità personale esiste una legge della gradualità, mentre nella verità del bene e del male non esiste una gradualità della legge”. Ovvero: “Non è graduale l’obbligo di fare il bene, ma è graduale la capacità di farlo”. Evidenzia qui l’autore che “le unioni illegittime sono fatti pubblici e manifesti” e la Chiesa “non può trincerarsi nel silenzio e nella tolleranza”, perché “è costretta a intervenire per disapprovare apertamente tali situazioni oggettive di peccato”. Se la Chiesa “le approvasse quasi fossero il bene che al momento è possibile” per le persone implicate, “devierebbe dalla legge della gradualità alla gradualità della legge, condannata da san Giovanni Paolo II”. In sintesi: “Ciò che è male non può diventare il bene attualmente possibile”.
Nel capitolo seguente, il settimo, il porporato umbro ripercorre la storia dell’indissolubilità del matrimonio sacramentale, dai Vangeli ai Concili ecumenici ai pronunciamenti più recenti, in particolare di papa Wojtyla nel discorso del 21 gennaio 2000 al Tribunale della Rota Romana. La conclusione è una sola: “L’indissolubilità assoluta del matrimonio sacramentale rato e consumato, sebbene non sia stata proclamata con una formale definizione dogmatica, tuttavia è insegnata dal Magistero ordinario, anch’esso infallibile, appartiene alla fede della Chiesa e perciò i cattolici non possono metterla in discussione”.
Nell’ottavo capitolo il cardinale Antonelli annota che nella visione del Concilio ecumenico vaticano II (Gaudium et Spes, 48) “il matrimonio non è riconducibile a un contratto giuridico; ma non è riconducibile neppure a una sintonia affettiva, spontanea e senza legami”. Esso è invece “chiaramente delineato come una forma di vita comune plasmata dall’amore coniugale, che per natura sua è ordinato alla procreazione e all’educazione della prole e perciò comporta l’intimità sessuale, la donazione reciproca totalizzante, fedele e indissolubile”. Sono proprio “l’apertura ai figli e l’intimità sessuale che caratterizzano l’amore coniugale rispetto a ogni altro amore”.
Giungiamo quindi al capitolo finale, con le cui citazioni abbiamo aperto la recensione di un testo chiaro, ben argomentato, che merita tanti lettori, pur se non tutti condivideranno la tesi dell’autore. Il saggio appare in traduzione spagnola e inglese sul sito del Pontificio Consiglio per la famiglia (www.familia.va)
SINODO/CARD. ANTONELLI: ATTENTI ALLA CONFUSIONE TRA I FEDELI – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 11 giugno 2015
Sinodo. Il doppio grido d'allarme del cardinale Antonelli
Ha presieduto per cinque anni il pontificio consiglio per la famiglia. La comunione ai divorziati risposati, avverte, segnerebbe non solo lo svilimento dell'eucaristia ma anche la fine del sacramento del matrimonio
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 12 giugno 2015 – Il cardinale Ennio Antonelli, 78 anni, è un'autorità in materia. È stato presidente per cinque anni del pontificio consiglio per la famiglia e ha organizzato i due incontri mondiali che hanno preceduto il prossimo di Philadelphia: a Città del Messico nel 2009 e a Milano nel 2012.
Ha anche accumulato una notevole esperienza pastorale. È stato arcivescovo prima di Perugia e poi di Firenze, oltre che segretario per sei anni della conferenza episcopale italiana. Appartiene al movimento dei Focolari.
Non ha preso parte alla prima sessione del sinodo sulla famiglia tenuta lo scorso ottobre. Ma partecipa attivamente alla discussione in corso, come prova il libro che ha pubblicato in questi giorni:
E. Antonelli, "Crisi del matrimonio ed eucaristia", Edizioni Ares, Milano, 2015, pp. 72, euro 7,00.
È un libro speciale. Agile, di poche pagine, si legge d'un fiato. È introdotto da una prefazione di un altro cardinale esperto in materia, Elio Sgreccia, già presidente della pontificia accademia per la vita.
Il sito web del pontificio consiglio per la famiglia l'ha messo in rete integralmente e in tre lingue, in italiano, in inglese e in spagnolo:
> Crisi del matrimonio ed eucaristia
Qui di seguito se ne offrono alcuni brani d'assaggio.
In essi il cardinale Antonelli ripropone con amabile fermezza e realismo pratico la dottrina e la pastorale vigenti in materia di matrimonio.
E mette in evidenza le conseguenze insostenibili alla quali si arriverebbe con taluni cambiamenti oggi proposti ai vari livelli della Chiesa.
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DA: "CRISI DEL MATRIMONIO ED EUCARISTIA"
di Ennio Antonelli
ANCHE AI CONVIVENTI OMOSESSUALI, PERCHÉ NO?
Oltre che ai divorziati risposati, la posizione pastorale finora vigente dà indicazioni analoghe anche riguardo ai conviventi senza alcun vincolo istituzionale e ai cattolici sposati solo civilmente.
Il trattamento riservato a essi è praticamente lo stesso: non ammissione ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, accoglienza nella vita ecclesiale, vicinanza rispettosa e personalizzata per conoscere concretamente le singole persone, orientarle e accompagnarle verso una possibile regolarizzazione.
Ora, alcuni ipotizzano l’ammissione all’eucaristia ai soli divorziati risposati civilmente, lasciando esclusi i conviventi di fatto, i conviventi registrati, i conviventi omosessuali.
Personalmente ritengo che questa ultima limitazione sia poco realistica, perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati. Per la pressione sociale e per la logica interna delle cose finiranno senz’altro per prevalere le opinioni orientate verso un più largo permissivismo.
L'EUCARISTIA RIDOTTA A GESTO DI CORTESIA
È vero che l’eucaristia è necessaria per la salvezza, ma ciò non significa che di fatto si salvano solo quelli che ricevono questo sacramento. Un cristiano non cattolico o addirittura un credente di altra religione non battezzato potrebbe essere spiritualmente più unito a Dio di un cattolico praticante e tuttavia non può venire ammesso alla comunione eucaristica, perché non è in piena comunione visibile con la Chiesa.
L’eucaristia è vertice e fonte della comunione spirituale e visibile. Anche la visibilità è essenziale, in quanto la Chiesa è sacramento generale della salvezza e segno pubblico di Cristo salvatore nel mondo. Ma, purtroppo, i divorziati risposati e gli altri conviventi irregolari si trovano in una situazione oggettiva e pubblica di grave contrasto con il Vangelo e con la dottrina della Chiesa.
Nell’odierno contesto culturale di relativismo c’è il rischio di banalizzare l’eucaristia e ridurla a un rito di socializzazione. È già successo che persone neppure battezzate si siano accostate alla mensa, pensando di fare un gesto di cortesia, o che persone non credenti abbiano reclamato il diritto di comunicarsi in occasione di nozze o di funerali, semplicemente in segno di solidarietà con gli amici.
PEGGIO CHE NELLE CHIESE D'ORIENTE
Si vorrebbe concedere l’eucarestia ai divorziati risposati affermando l’indissolubilità del primo matrimonio e non riconoscendo la seconda unione come un vero e proprio matrimonio, in modo da evitare la bigamia.
Questa posizione è diversa da quella delle Chiese orientali che concedono ai divorziati risposati civilmente un secondo (e terzo) matrimonio canonico, sia pure connotato in senso penitenziale. Anzi, per certi aspetti, appare più pericolosa, in quanto conduce logicamente ad ammettere il lecito esercizio della sessualità genitale fuori del matrimonio, anche perché i conviventi sono molto più numerosi dei divorziati risposati.
I più pessimisti prevedono che si finirà per ritenere eticamente lecite le convivenze prematrimoniali, le convivenze di fatto registrate e non registrate, i rapporti sessuali occasionali, e forse le convivenze omosessuali e perfino il poliamore e la polifamiglia.
TRA BENE E MALE NON C'È GRADUALITÀ
È senz’altro auspicabile che nella pastorale si assuma un atteggiamento costruttivo, cercando di "cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze" (Relatio Synodi, n. 41).
Certamente anche le unioni illegittime contengono autentici valori umani (per esempio l’affetto, l’aiuto reciproco, l’impegno condiviso verso i figli), perché il male è sempre mescolato al bene e non esiste mai allo stato puro. Tuttavia bisogna evitare di presentare tali unioni in se stesse come valori imperfetti, mentre si tratta di gravi disordini.
La legge della gradualità riguarda solo la responsabilità soggettiva delle persone e non deve essere trasformata in gradualità della legge, presentando il male come bene imperfetto. Tra vero e falso, tra bene e male non c’è gradualità. Mentre si astiene dal giudicare le coscienze, che solo Dio vede, e accompagna con rispetto e pazienza i passi verso il bene possibile, la Chiesa non deve cessare di insegnare la verità oggettiva del bene e del male.
La legge della gradualità serve a discernere le coscienze, non a classificare come più o meno buone le azioni da compiere e tantomeno a elevare il male alla dignità di bene imperfetto.
Riguardo ai divorziati risposati e ai conviventi, lungi dal favorire le proposte innovative, tale legge serve in definitiva a confermare la prassi pastorale tradizionale.
NIENTE PERDONO SENZA CONVERSIONE
L’ammissione dei divorziati risposati e dei conviventi alla mensa eucaristica comporta una separazione tra misericordia e conversione che non sembra in sintonia con il Vangelo.
Questo sarebbe l’unico caso di perdono senza conversione. Dio concede sempre il perdono; ma lo riceve solo chi è umile, si riconosce peccatore e si impegna a cambiar vita.
Invece il clima di relativismo e soggettivismo etico-religioso, che oggi si respira, favorisce l’autogiustificazione, particolarmente in ambito affettivo e sessuale. Si tende a sminuire la propria responsabilità, attribuendo gli eventuali fallimenti ai condizionamenti sociali. È facile inoltre attribuire la colpa del fallimento all’altro coniuge e proclamare la propria innocenza.
Non si deve però tacere il fatto che, se la colpa del fallimento può qualche volta essere di uno solo, almeno la responsabilità della nuova unione (illegittima) è di ambedue i conviventi ed è questa soprattutto che, finché perdura, impedisce l’accesso all’eucaristia.
Non ha fondamento teologico la tendenza a considerare positivamente la seconda unione e a circoscrivere il peccato alla sola precedente separazione. Non basta fare penitenza per questa soltanto. Occorre cambiare vita.
INDISSOLUBILITÀ ADDIO
Di solito i favorevoli alla comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi affermano che non si mette in discussione l’indissolubilità del matrimonio.
Ma, al di là delle loro intenzioni, stante l’incoerenza dottrinale tra l’ammissione di queste persone all’eucaristia e l’indissolubilità del matrimonio, si finirà per negare nella prassi concreta ciò che si continuerà ad affermare teoricamente in linea di principio, rischiando di ridurre il matrimonio indissolubile a un ideale, bello forse, ma realizzabile solo da alcuni fortunati.
Istruttiva al riguardo è la prassi pastorale sviluppatasi nelle Chiese orientali ortodosse.
Esse nella dottrina affermano l’indissolubilità del matrimonio cristiano. Tuttavia nella loro prassi si sono progressivamente moltiplicati i motivi di scioglimento del precedente matrimonio e di concessione di un secondo (o terzo) matrimonio. Inoltre sono diventati numerosissimi i richiedenti. Ormai chiunque presenta un documento di divorzio civile ottiene anche dall’autorità ecclesiastica l’autorizzazione al nuovo matrimonio, senza neppure dover passare attraverso un’indagine e valutazione canonica della causa.
È prevedibile che anche la comunione eucaristica dei divorziati risposati e dei conviventi diventi rapidamente un fatto generalizzato. Allora non avrà più molto senso parlare di indissolubilità del matrimonio e perderà rilevanza pratica la stessa celebrazione del sacramento del matrimonio.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351065
Card. Muller: non si può organizzare la verità
Lo scorso 6 giugno, in una intervista al quotidiano tedesco Die Tagespost, il cardinale Gherard Ludwid Muller è intervenuto sul dibattito sinodale, ribadendo che non è possibile adattare l’insegnamento della Chiesa a stili di vita che nulla hanno a che fare con la parola di Dio.
“Il sì degli irlandesi al matrimonio omosessuale”, ha dichiarato il prefetto dell’ex Sant’Uffizio, è “una discriminazione dell’alleanza matrimoniale tra uomo e donna, e quindi della famiglia”. A questo proposito il cardinale ha ringraziato quelli “che non hanno piegato il ginocchio” di fronte a “un idolo di auto-creazione e auto-redenzione, che ci condurrà infallibilmente all’auto-distruzione”.
Il problema è che dietro la falsa moneta della non discriminazione, “una dolce caramella” ha chiosato il cardinale, si nasconde una faccia della medaglia che attacca direttamente il significato profondo di matrimonio e famiglia. Il matrimonio, infatti, non è un contenitore buono per essere “riempito con qualunque contenuto”.
Nell’intervista il cardinale ha parlato anche delle chiacchierate conclusioni dei laici tedeschi dello Zdk. In particolare, visti i risultati, non è chiaro se il Comitato Zdk è stato convocato “per interpretare il contenuto essenziale del Magistero e della Rivelazione, o per svuotarne il contenuto.”
“La domanda di benedizione delle coppie dello stesso sesso”, ha concluso il cardinale a proposito del documento dello Zdk, “e di un secondo matrimonio in chiesa, è incompatibile con l’insegnamento e la tradizione della Chiesa”.
Riferendosi poi al recente incontro a porte chiuse che ha avuto luogo nei locali della Gregoriana il card. Muller ha sottolineato che è corretto incontrarsi per scambiare idee su problemi importanti. Ma, ha aggiunto, non si può “organizzare la verità”, se questo principio fosse applicato la Chiesa ne sarebbe “scossa nelle sue fondamenta”.
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