Ascoltare uomini di Chiesa, di rango anche elevato o “elevatissimo”, che disprezzano la Dottrina, ridicolizzano la ricerca della Verità, stigmatizzano con ironia chi “cerca le certezze”, fa davvero impressione.
Mi addolora particolarmente constatare come con costoro non si possa discutere, perché rifiutano il confronto, non si possa ragionare, perché odiano la ragione, non si possa argomentare, perché aborriscono chi ha il difetto di pensare.
Costoro procedono per slogan, luoghi comuni, frasi fatte e guai a chi non si conforma al loro stile “pastorale”.
Uno degli slogan più in voga, fra il clero conciliare e fra i laici “impegnati” suona più o meno così: “Indietro non si torna... Voi siete condannati dalla storia”.
Il “mantra” può andar bene per rispondere a chi chiede la Messa Tradizionale, come per replicare a chi osasse contestare la libertà religiosa.
La medesima sentenza può servire a zittire chi sostenesse la necessità di tornare all’abito talare per gli ecclesiastici, come per annichilire il fedele che desiderasse comunicarsi in ginocchio. Una buona risposta insomma per tutti i quesiti e tutte le stagioni.
Ma se proviamo, nonostante gli anatemi di lor signori, a considerare realmente la portata dello slogan, ci rendiamo ben presto conto della sua pochezza ed inconsistenza. Cosa vuole infatti dire, realmente, “non si torna indietro?”.
Appare ovvio che il “mantra”, preso alla lettera, è assolutamente lapalissiano: il tempo non possiamo fermarlo, ciò che abbiamo fatto ieri, nel bene come nel male, non è possibile mutarlo. Peccati, atti virtuosi, eventi naturali accaduti ieri non saranno mai mutati in eterno.
Non sembra tuttavia questo il senso che i novatori attribuiscono alla loro espressione.
Si tratta piuttosto, anche se non viene mai dichiarato esplicitamente, di una professione di fede dal sapore evoluzionistico ed ideologico. Vi si respira la concezione storicistica di un eterno divenire animato da un progresso ineluttabilmente teso alla crescita spirituale dell’umanità, concezione di volta in volta incarnatasi, negli ultimi secoli, nel positivismo scientifico, nel socialismo e nel modernismo teologico.
In altre parole: tutto ciò che è nuovo, solo perché è nuovo, risulta preferibile alla realtà precedente.
Bisogna però far comprendere a questi signori che, anche volendo, per assurdo, scendere sul loro piano di ragionamento, le cose non sono così chiare come loro vorrebbero farci intendere.
Basterà, a tal proposito, qualche semplice esempio storico per disorientarli e metterli in crisi.
Perché, tanto per dire, siete così sensibili alle problematiche “pastorali” relative alla possibile riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati?
Non è questo forse un “tornare indietro” all’antichità classica, ed anche vetero-testamentaria, quando il ripudio ed il divorzio erano situazioni molto diffuse ed accettate in quelle civiltà?
Ma costoro, non di rado, tornano anche indietro, consapevolmente e quasi orgogliosamente, ogni qual volta, per portare avanti le loro velleità ecumeniche, inneggiano alla Chiesa del primo millennio svalutando inspiegabilmente tutte le definizioni dogmatiche successive dopo gli scismi di Oriente ed Occidente.
In altre parole: si può, anzi si deve tornare indietro quando l’operazione è funzionale allo smantellamento del Cattolicesimo.
Ma qual è la posizione filosofica e morale di sempre in questo ambito dottrinale?
Direi che, come in ogni altra situazione, l’insegnamento tradizionale della S. Chiesa è molto chiaro e lineare. La storia non ha una direzione determinata, tanto meno in senso evolutivo sul piano morale e che prescinda dal libero arbitrio degli uomini. La S. Scrittura ci annuncia che ci sarà una fine del mondo e che, nell’approssimarsi del ritorno di Nostro Signore, la situazione della Fede e dell’umanità apparirà comunque negativa e meno felice rispetto ai secoli precedenti.
Al di là tuttavia di questo esito finale, non esistono indicazioni sull’andamento storico generale. La storia della Chiesa, del resto, ci presenta epoche più o meno virtuose, nella società come sul piano religioso, durante tutto il suo corso e senza un ordine preciso.
Esistono però, ed assai chiare, indicazioni morali molto semplici e stringenti.
Vi sono, in altre parole, un bene ed un male oggettivamente riconoscibili dalla ragione umana illuminata dalla Fede soprannaturale. Ebbene: quando un uomo, od una società di uomini, si avvede di aver compiuto un’azione cattiva, o di essersi incamminato sulla via larga della perdizione, non solo può, ma deve obbligatoriamente tornare indietro, senza esitazioni, indipendentemente dalle contingenze storiche e dagli orientamenti sociali della sua epoca.
Quando, al contrario, le riforme sono buone, come al tempo della nascita degli ordini mendicanti o dopo il Concilio di Trento, non si deve assolutamente tornare indietro, non perché così si rischierebbe di apparire “passatisti” o anacronistici, ma per il semplice motivo che tornare indietro dalla via virtuosa significa, più o meno direttamente, rimpiangere una situazione moralmente peggiore.
Quando allora i soliti personaggi “pastoralmente aggiornati” ci ripeteranno il solito mantra, dobbiamo avere il coraggio di spostare il tema del discorso dallo slogan al contenuto. Certo non è facile ma questo ci chiede la nostra coscienza cristiana.
Mi addolora particolarmente constatare come con costoro non si possa discutere, perché rifiutano il confronto, non si possa ragionare, perché odiano la ragione, non si possa argomentare, perché aborriscono chi ha il difetto di pensare.
Costoro procedono per slogan, luoghi comuni, frasi fatte e guai a chi non si conforma al loro stile “pastorale”.
Uno degli slogan più in voga, fra il clero conciliare e fra i laici “impegnati” suona più o meno così: “Indietro non si torna... Voi siete condannati dalla storia”.
Il “mantra” può andar bene per rispondere a chi chiede la Messa Tradizionale, come per replicare a chi osasse contestare la libertà religiosa.
La medesima sentenza può servire a zittire chi sostenesse la necessità di tornare all’abito talare per gli ecclesiastici, come per annichilire il fedele che desiderasse comunicarsi in ginocchio. Una buona risposta insomma per tutti i quesiti e tutte le stagioni.
Ma se proviamo, nonostante gli anatemi di lor signori, a considerare realmente la portata dello slogan, ci rendiamo ben presto conto della sua pochezza ed inconsistenza. Cosa vuole infatti dire, realmente, “non si torna indietro?”.
Appare ovvio che il “mantra”, preso alla lettera, è assolutamente lapalissiano: il tempo non possiamo fermarlo, ciò che abbiamo fatto ieri, nel bene come nel male, non è possibile mutarlo. Peccati, atti virtuosi, eventi naturali accaduti ieri non saranno mai mutati in eterno.
Non sembra tuttavia questo il senso che i novatori attribuiscono alla loro espressione.
Si tratta piuttosto, anche se non viene mai dichiarato esplicitamente, di una professione di fede dal sapore evoluzionistico ed ideologico. Vi si respira la concezione storicistica di un eterno divenire animato da un progresso ineluttabilmente teso alla crescita spirituale dell’umanità, concezione di volta in volta incarnatasi, negli ultimi secoli, nel positivismo scientifico, nel socialismo e nel modernismo teologico.
In altre parole: tutto ciò che è nuovo, solo perché è nuovo, risulta preferibile alla realtà precedente.
Bisogna però far comprendere a questi signori che, anche volendo, per assurdo, scendere sul loro piano di ragionamento, le cose non sono così chiare come loro vorrebbero farci intendere.
Basterà, a tal proposito, qualche semplice esempio storico per disorientarli e metterli in crisi.
Perché, tanto per dire, siete così sensibili alle problematiche “pastorali” relative alla possibile riammissione ai sacramenti dei divorziati risposati?
Non è questo forse un “tornare indietro” all’antichità classica, ed anche vetero-testamentaria, quando il ripudio ed il divorzio erano situazioni molto diffuse ed accettate in quelle civiltà?
Ma costoro, non di rado, tornano anche indietro, consapevolmente e quasi orgogliosamente, ogni qual volta, per portare avanti le loro velleità ecumeniche, inneggiano alla Chiesa del primo millennio svalutando inspiegabilmente tutte le definizioni dogmatiche successive dopo gli scismi di Oriente ed Occidente.
In altre parole: si può, anzi si deve tornare indietro quando l’operazione è funzionale allo smantellamento del Cattolicesimo.
Ma qual è la posizione filosofica e morale di sempre in questo ambito dottrinale?
Direi che, come in ogni altra situazione, l’insegnamento tradizionale della S. Chiesa è molto chiaro e lineare. La storia non ha una direzione determinata, tanto meno in senso evolutivo sul piano morale e che prescinda dal libero arbitrio degli uomini. La S. Scrittura ci annuncia che ci sarà una fine del mondo e che, nell’approssimarsi del ritorno di Nostro Signore, la situazione della Fede e dell’umanità apparirà comunque negativa e meno felice rispetto ai secoli precedenti.
Al di là tuttavia di questo esito finale, non esistono indicazioni sull’andamento storico generale. La storia della Chiesa, del resto, ci presenta epoche più o meno virtuose, nella società come sul piano religioso, durante tutto il suo corso e senza un ordine preciso.
Esistono però, ed assai chiare, indicazioni morali molto semplici e stringenti.
Vi sono, in altre parole, un bene ed un male oggettivamente riconoscibili dalla ragione umana illuminata dalla Fede soprannaturale. Ebbene: quando un uomo, od una società di uomini, si avvede di aver compiuto un’azione cattiva, o di essersi incamminato sulla via larga della perdizione, non solo può, ma deve obbligatoriamente tornare indietro, senza esitazioni, indipendentemente dalle contingenze storiche e dagli orientamenti sociali della sua epoca.
Quando, al contrario, le riforme sono buone, come al tempo della nascita degli ordini mendicanti o dopo il Concilio di Trento, non si deve assolutamente tornare indietro, non perché così si rischierebbe di apparire “passatisti” o anacronistici, ma per il semplice motivo che tornare indietro dalla via virtuosa significa, più o meno direttamente, rimpiangere una situazione moralmente peggiore.
Quando allora i soliti personaggi “pastoralmente aggiornati” ci ripeteranno il solito mantra, dobbiamo avere il coraggio di spostare il tema del discorso dallo slogan al contenuto. Certo non è facile ma questo ci chiede la nostra coscienza cristiana.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1244_Bongi_Non_si_torna_indietro.html
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Il Papa dai valdesi: «Perdonateci per come vi abbiamo trattato»
Nella seconda e ultima giornata di visita torinese, l'incontro storico di Francesco - il primo Pontefice - nella chiesa evangelica metodista: «Scusateci per gli atteggiamenti non cristiani, non umani, contro di voi. Camminiamo insieme»
DOMENICO AGASSO JR.TORINO
L'appuntamento era già storico di per sé: per la prima volta un papa in un tempio valdese. Lo è diventato ancora di più dopo le parole dello stesso Francesco agli evangelici metodisti piemontesi: «Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!». Una richiesta diventata subito una tappa fondamentale nel percorso ecumenico intrapreso fortemente da Jorge Mario Bergoglio.
Questa mattina il Pontefice, nella sua seconda e ultima giornata di visita a Torino, ha lasciato l’arcivescovado e si è trasferito in auto al tempio valdese. All’ingresso è stato accolto dal moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini, dal presidente del concistoro della Chiesa evangelica valdese di Torino, Sergio Velluto, e dal titolare della Chiesa evangelica valdese di Torino, il pastore Paolo Ribet.
Dopo gli interventi iniziali di Ribet e Bernardini, il Papa ha esordito dicendo che «con grande gioia mi trovo oggi tra voi. La cordiale accoglienza che oggi mi riservate mi fa pensare agli incontri con gli amici della Chiesa Evangelica Valdese del Rio della Plata, di cui ho potuto apprezzare la spiritualità e la fede, e imparare tante cose buone». Poi, il Pontefice è entrato nel vivo del tema dell'incontro, sottolineando che «uno dei principali frutti che il movimento ecumenico ha già permesso di raccogliere in questi anni è la riscoperta della fraternità che unisce tutti coloro che credono in Gesù Cristo e sono stati battezzati nel suo nome»; e questo legame «non è basato su criteri semplicemente umani, ma sulla radicale condivisione dell’esperienza fondante della vita cristiana: l’incontro con l’amore di Dio che si rivela a noi in Gesù Cristo e l’azione trasformante dello Spirito Santo che ci assiste nel cammino della vita». Riscoprire «tale fraternità ci consente di cogliere il profondo legame che già ci unisce, malgrado le nostre differenze».
Francesco riconosce che è «una comunione ancora in cammino - l'unità si fa in cammino», ma che, con la preghiera, con la continua conversione personale e comunitaria e con l’aiuto dei teologi, noi speriamo, fiduciosi nell’azione dello Spirito Santo, possa diventare piena e visibile comunione nella verità e nella carità».
Il Pontefice argentino ha precisato: «L’unità che è frutto dello Spirito Santo non significa uniformità. I fratelli infatti sono accomunati da una stessa origine ma non sono identici tra di loro. Ciò è ben chiaro nel Nuovo Testamento, dove, pur essendo chiamati fratelli tutti coloro che condividevano la stessa fede in Gesù Cristo, si intuisce che non tutte le comunità cristiane, di cui essi erano parte, avevano lo stesso stile, né un’identica organizzazione interna. Addirittura - ha ricordato - all’interno della stessa piccola comunità si potevano scorgere diversi carismi e perfino nell’annuncio del Vangelo vi erano diversità e talora contrasti».
Ecco poi il passaggio sul «nervo scoperto»: «Purtroppo, è successo e continua ad accadere che i fratelli non accettino la loro diversità e finiscano per farsi la guerra l’uno contro l’altro. Riflettendo sulla storia delle nostre relazioni, non possiamo che rattristarci di fronte alle contese e alle violenze commesse in nome della propria fede, e chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscerci tutti peccatori e di saperci perdonare gli uni gli altri. È per iniziativa di Dio, il quale non si rassegna mai di fronte al peccato dell’uomo, che si aprono nuove strade per vivere la nostra fraternità, e a questo non possiamo sottrarci. Da parte della Chiesa Cattolica vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani che, nella storia, abbiamo avuto contro di voi. In nome del Signore Gesù Cristo, perdonateci!».
Dopo la richiesta di perdono per il passato, uno sguardo ottimista e speranzoso sul presente e sul futuro: Francesco esprime gratitudine «al Signore nel constatare che le relazioni tra cattolici e valdesi oggi sono sempre più fondate sul mutuo rispetto e sulla carità fraterna. Non sono poche le occasioni che hanno contribuito a rendere più saldi tali rapporti. Penso, solo per citare alcuni esempi, alla collaborazione per la pubblicazione in italiano di una traduzione interconfessionale della Bibbia, alle intese pastorali per la celebrazione del matrimonio e, più recentemente, alla redazione di un appello congiunto contro la violenza alle donne»; e poi un riferimento piemontese: «Tra i molti contatti cordiali in diversi contesti locali, dove si condividono la preghiera e lo studio delle Scritture, vorrei ricordare lo scambio ecumenico di doni compiuto, in occasione della Pasqua, a Pinerolo, dalla Chiesa valdese di Pinerolo e dalla Diocesi. La Chiesa valdese ha offerto ai cattolici il vino per la celebrazione della Veglia di Pasqua e la Diocesi cattolica ha offerto ai fratelli valdesi il pane per la Santa Cena della Domenica di Pasqua. Si tratta di un gesto che va ben oltre la semplice cortesia e che fa pregustare, per certi versi, l’unità della mensa eucaristica alla quale aneliamo».
Per il Papa questi passi consistono in un incoraggiamento «a continuare a camminare insieme». Bergoglio ha proposta in particolare: «Un ambito nel quale si aprono ampie possibilità di collaborazione tra valdesi e cattolici è quello dell’evangelizzazione. Consapevoli che il Signore ci ha preceduti e sempre ci precede nell’amore, andiamo insieme incontro agli uomini e alle donne di oggi, che a volte sembrano così distratti e indifferenti, per trasmettere loro il cuore del Vangelo ossia "la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (esortazione apostolica Evangelii gaudium, 36).
E ancora: «Un altro ambito in cui possiamo lavorare sempre di più uniti è quello del servizio all’umanità che soffre, ai poveri, agli ammalati, ai migranti»; perché «dall'opera liberatrice della grazia in ciascuno di noi deriva l’esigenza di testimoniare il volto misericordioso di Dio che si prende cura di tutti e, in particolare, di chi si trova nel bisogno. La scelta dei poveri, degli ultimi, di coloro che la società esclude, ci avvicina al cuore stesso di Dio, che si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà, e, di conseguenza, ci avvicina di più gli uni agli altri».
Il Papa poi ha invocato che le differenze su «importanti questioni antropologiche ed etiche, che continuano a esistere tra cattolici e valdesi, non ci impediscano di trovare forme di collaborazione in questi e altri campi. Se camminiamo insieme, il Signore ci aiuta a vivere quella comunione che precede ogni contrasto».
Infine, un altro ringraziamento «per questo incontro, che vorrei ci confermasse in un nuovo modo di essere gli uni con gli altri: guardando prima di tutto la grandezza della nostra fede comune e della nostra vita in Cristo e nello Spirito Santo, e, soltanto dopo, le divergenze che ancora sussistono. Vi assicuro del mio ricordo nella preghiera e vi chiedo per favore di pregare per me, ne ho bisogno».
MAH!!DI QUALE UNITA' PARLA IL PAPA CON I VALDESI?E' COME VOLERE ACCOMUNARE IL DIAVOLO E L'ACQUA SANTA!!!QUESTA E' UN ALTRA PICCONATA ALLA DOTTRINA ....VISTO CHE I VALDESI BENEDICONO GAY....NON HANNO VERI SACERDOTI...E' UNA BRUTTA COPPIA DEL VERO CRISTIANESIMO....SIGNORE PIETA' DI NOI!!!
RispondiEliminaBergoglio, uscito dal bunker, ha accarezzato e decorato alcuni strenui guerrieri della Valdojugend. Si è detto certo della vittoria finale, in cammino insieme verso i Gruppi Wenck e Steiner, che certo non possono essere lontani.
RispondiElimina“Indietro non si torna... Voi siete condannati dalla storia” Io risponderei così " caro prete modernista, della condanna della storia non mi importa un fico secco, tanto più se è fatta da gente dapprima rivoluzionaria ed ora tiranna: Mi preme più di non incorrere nella condanna di Nostro Signore, ma di quella a voi non importa più. Godetevela fin che potete, quindi, che di Là saranno cavoli amari per voi, belli miei, molto amari- Ride bene chi ride ultimo, ricordatevelo. tiranni impenitenti !
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