Nuovo incontro di Papa Francesco con Putin
L’annuncio odierno (5 giugno) dell’imminente incontro del Papa con Putin, in coincidenza con la proclamazione della stampa statunitense che indica in Putin “il nemico”, non ci suggerisce illusioni geopolitiche, ma qualche speranza ecclesiologica a breve scadenza.
Infatti, dopo la comune adesione ecclesiologica dell’Arcivescovo di Leningrado, rivelata da Giovanni Paolo I, abbiamo avuto la perfetta adesione del suo successore del Patriarcato di Mosca alla dottrina sociale della Chiesa, sicché non ci sono più remore che ostacolino l’accettazione del ripetuto invito di Putin al viaggio del Papa a Mosca.
La nostra speranza è legata a questo viaggio che, secondo noi, è la chiave per avere il consenso del Patriarcato Ortodosso per consacrare la Russia con l’intera Chiesa al Cuore di Maria Santissima.
La Madonna ha promesso la pace se il Papa promuoverà questa consacrazione, che, come è ovvio, implica un processo di conversione dell’intera Chiesa alla carità, di cui è emblema il Cuore di Gesù e di Maria.
Don Ennio Innocenti
Il Papa e Putin di nuovo a tu per tu
Nel pomeriggio di mercoledì 10 giugno, Papa Francesco riceverà nuovamente in udienza – dopo quella del 25 novembre del 2013 - il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, impegnato in una visita in Italia in cui andrà tra l’altro anche all’Expo di Milano, in occasione della 'Giornata russa' nell'ambito dell'esposizione, mentre poi a Roma incontrerà tra gli altri anche il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e con il premier, Matteo Renzi.
L'eventualità di un incontro tra Putin e Francesco era stata già anticipata dal vaticanista Giuseppe Rusconi in un articolo pubblicato il 1° giugno scorso sul blog Rosso Porpora dove - citando fonti bene informate - affermava che era "grande desiderio" del presidente incontrare nuovamente il Papa. Il desiderio di Putin è ben comprensibile, scriveva Rusconi ripreso ieri anche dall’agenzia Zenit, “per la necessità di sfuggire all’isolamento in cui da mesi vogliono confinarlo diversi Paesi occidentali, interessati per ragioni politiche ed economiche a un indebolimento del presidente russo”.
Putin dal Papa per la seconda volta
Il prossimo 10 giugno sarà la quinta occasione in cui il Presidente russo visiterà il Vaticano
Il 10 giugno sarà per Vladimir Putin la quinta udienza da un Papa. Infatti, è stato ricevuto nel 2000 e nel 2003 da Giovanni Paolo II, nel 2007 da Benedetto XVI e il 25 novembre 2013 da Francesco. L'udienza del prossimo 10, confermata dal vicedirettore della Sala stampa vaticana, padre Ciro Benedettini, si terrà nel pomeriggio.
Durante la prima udienza con il Pontefice argentino, al centro del colloquio c'era la crisi siriana, perché in settembre il Presidente russo e il Vescovo di Roma avevano scongiurato insieme i bombardamenti alleati che si stavano preparando. È probabile che siano invece la crisi in Ucraina e le reazioni internazionali avverse alla Russia a tenere banco questa volta. In merito a questa vicenda Bergoglio si è mantenuto fin qui molto prudente, ricevendo per questo anche critiche più o meno velate: la comunità greco-cattolica dell'Ucraina desiderava infatti che la Santa Sede esprimesse maggiore solidarietà al governo di Kiev.
Il 25 novembre 2013, Vladimir Putin era arrivato in Vaticano con 50 minuti di ritardo sull'orario previsto, fermandosi poi a conversare con il Pontefice nella biblioteca privata alla seconda loggia per 35 minuti. Erano presenti due interpreti. Putin era accompagnato da un seguito di dieci persone, tra i quali il ministro della difesa Sergeij Shoigu, quello degli esteri Sergeij Lavrov, e il vice-premier Arcady Dvorkovich. C'erano anche gli ambasciatori presso la Santa Sede e il Quirinale. Nel cortile di San Damaso, dove erano arrivate otto auto, Putin e i suoi dignitari sono stati accolti dal prefetto della casa Pontificia monsignor Georg Gänswein. L'incontro aveva fatto seguito alla lettera che il Pontefice scrisse ai primi di settembre allo stesso Putin in quanto presidente del G20 che si teneva a Pietroburgo: tramite lui Bergoglio, proprio alla vigilia della giornata di preghiera e digiuno proclamata per la pace in Siria, faceva appello ai grandi della terra a «trovare una soluzione che evitasse l'inutile massacro a cui stiamo assistendo». E il messaggio del Papa non è rimasto inascoltato, tanto che l'intervento armato voluto da Obama - grazie alle aperture di Assad sulla rinuncia all'arsenale chimico- era stato bloccato.
Putin-Papa Francesco: il 10 giugno un nuovo incontro in Vaticano
Nel pomeriggio di mercoledì 10 giugno, Papa Francesco riceverà in udienza il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin. Lo conferma il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ricordando che il Pontefice aveva già ricevuto Putin il 25 novembre 2013. Quello stesso giorno, il Capo di Stato visiterà l’Expo di Milano, in occasione della 'Giornata russa' nell'ambito dell'esposizione. Previsto anche un incontro con il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, e con il premier, Matteo Renzi.
L'eventualità di un incontro tra Putin e Francesco era stata già anticipata dal vaticanista Giuseppe Rusconi in un articolo pubblicato il 1° giugno sul blog RossoPorpora, dove - citando fonti bene informate - affermava che era "grande desiderio" del presidente incontrare nuovamente il Papa. Il desiderio di Putin è ben comprensibile, osserva Rusconi, per la necessità di sfuggire all’isolamento in cui da mesi vogliono confinarlo diversi Paesi occidentali, interessati per ragioni politiche ed economiche a un indebolimento del presidente russo.
Nell'analisi il giornalista spiegava inoltre che l’irrisolta questione ucraina continua, a dispetto degli accordi di Minsk, a mietere vittime da una parte e dall’altra: è un conflitto tra fratelli che il Papa ha giustamente denunciato nell’Udienza generale del 4 febbraio scorso. L’arcivescovo maggiore della Chiesa ucraina greco-cattolica, Svjatoslav Shevchuk, lancia ricorrenti appelli a Roma perché intervenga con decisione contro quella che ritiene “l’invasione russa” del Paese.
La settimana scorsa il ministro degli esteri Pavel Klimkin ha poi incontrato a Roma lo stesso Shevchuk e ha di nuovo invitato il Papa a visitare l’Ucraina. Ma per il momento non se parla, anche perché l’agenda di Francesco è già carica di appuntamenti importanti: tuttavia può darsi che il Segretario di Stato cardinale Parolin possa recarsi in tempi non lontani, dopo Minsk, anche a Kiev, sempre con l’intenzione di tessere la tela fragilissima di una vera tregua e di un’auspicabile pace in quello scacchiere.
Il 5 maggio - si sottolineava nell'articolo - il patriarca ortodosso Kirill ha rilevato che “papa Francesco e il Segretario di Stato hanno adottato una posizione apprezzabile sulla questione ucraina, evitando pronunciamenti unilaterali e chiedendo la fine della guerra fratricida”. Jorge Mario Bergoglio rassicura poi gli ortodossi russi per il suo atteggiamento contro “il proselitismo”, tradizionale spina nel fianco dei rapporti Roma-Mosca.
Tra la Russia e il Vaticano permangono poi interessi oggettivamente convergenti nella questione mediorientale: ambedue puntano a una soluzione negoziata dei diversi conflitti regionali, in modo da dare una minima stabilità all’area così da riuscire a mantenere in essa una presenza cristiana, purtroppo ormai molto ridotta (salvo che in Libano). Per la Russia poi occorre evitare che l’Isis riesca a mettere in pericolo le frontiere nazionali e che si crei in qualche modo una convergenza tra Turchia e fondamentalismo islamico in grado di destabilizzare alcune parti del Paese e rendere problematico l’accesso russo al Mediterraneo.
Altra assonanza c’è tra Russia e Vaticano sul tema dei ‘valori non negoziabili’, da difendere e promuovere in sede internazionale. La valutazione espressa dal cardinale Parolin a proposito del referendum irlandese pro- ‘matrimonio gay’ (“anche una sconfitta per l’umanità”) non lascia dubbi sull’atteggiamento in materia della Santa sede, a dispetto degli alti lai levatisi da settori ‘progressisti’ o da questo o quel vescovo irlandese o tedesco.
Secondo Giuseppe Rusconi, c'è poi un altro motivo che renderebbe interessante il nuovo incontro a breve tra Francesco e Putin. Si sa del grande interesse della Santa Sede a una ‘normalizzazione’ dei rapporti con il gigante cinese. E si sa che, respinto come ‘indesiderato’ da buona parte delle potenze occidentali, Putin coltiva sempre più i rapporti con le Potenze asiatiche, tra le quali primeggia proprio la Cina. Il cui presidente Xi Jinping, a Mosca per le celebrazioni, l’8 maggio, del 70° della vittoria sul nazismo, ha addirittura pubblicamente lodato la Chiesa ortodossa russa per aver contribuito in modo rilevante alla guerra unitaria contro il nazismo. Si può legittimamente pensare che Putin possa dunque diventare un alleato importante anche per la ‘costruzione’ di rapporti diplomatici fruttuosi tra Vaticano e Cina.
Infine, nell’ambito dei rapporti tra cattolici e ortodossi russi, il vaticanista ricorda la recente visita del cardinale Kurt Koch a Belgrado, sede di un Patriarcato da sempre vicino a quello di Mosca, in nome della ‘fratellanza slava’. Il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani ha incontrato per l’occasione sia il patriarca Ireneo che il presidente della Repubblica Tomislav Nikolic: in ambedue le occasioni si è prospettata una visita del Papa in Serbia. Forse propedeutica all’agognato incontro tra Francesco e Kirill?
http://www.zenit.org/it/articles/putin-papa-francesco-il-10-giugno-un-nuovo-incontro-in-vaticano
Perché il Papa non chiude a Putin
L’incontro di domani è un tentativo di evitare una nuova guerra fredda con Usa e Ue sull’Ucraina
Domenica il Papa ha ricevuto per un’ora e quaranta il presidente argentino Cristina Kirchner. Ma in realtà da diversi giorni il Vaticano è proiettato su un’altra udienza: quella di domani (mercoledì 10 giugno) con Vladimir Putin. Sembra che il leader della Federazione Russa approfitterà dell’incontro per chiedere che sia tolto il blocco del governo ucraino ai controversi aiuti russi destinati ai territori orientali: quelli contesi con i «ribelli» filo-Mosca. Non solo. Nei giorni scorsi il patriarca ortodosso Ilarione ha ribadito discretamente l’apprezzamento per la linea equilibrata e indipendente del Vaticano: un riconoscimento condiviso evidentemente dal Cremlino, del quale l’ortodossia è l’interfaccia religiosa.
L’intervistarilasciata dal presidente russo al Corriere è stata analizzata con la massima attenzione in Segreteria di Stato; e, riferiscono nella cerchia papale, piuttosto apprezzata. Quella frase di Putin, «io non sono un aggressore», a molti sarà parsa sorprendente, sullo sfondo del conflitto in Ucraina. In realtà, per la Santa Sede, Putin rimane un interlocutore inevitabile, e ritenuto prezioso, per arginare il terrorismo islamico in Medio Oriente, e non solo. Per questo, nonostante le pressioni degli Stati Uniti, del governo di Kiev e di un’Europa riluttante, il Vaticano continua a non schierarsi contro la Russia sulla questione ucraina.
L’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica a Kiev, ha tentato inutilmente di indurre la Santa Sede a pronunciarsi contro Putin. E se qualcuno fosse capitato il 12 maggio all’International institute for strategic studies di Londra, avrebbe ricevuto la conferma di un Vaticano ancorato all’Occidente, ma non disposto a schiacciarsi pregiudizialmente sulla sua politica estera. Parlando ad una quarantina di analisti della strategia della Santa Sede, il nunzio in Gran Bretagna monsignor Antonio Mennini, in passato «ambasciatore» a Mosca per otto anni, ha ricordato che il Papa non ha mai definito Putin un aggressore.
Sono riflessi di una corrente fortemente maggioritaria all’interno del Vaticano. Spiegano perché la strategia internazionale di Francesco sia guardata oltre Atlantico con un misto di curiosità, ammirazione e perplessità. La diplomazia statunitense avrebbe raccomandato al Vaticano di diffidare di Putin. «Vuole soltanto usare la Chiesa cattolica per coprirsi le spalle», è la tesi di un’America preoccupata dalle capacità di propaganda del Cremlino. Ma il Papa argentino ha sempre mantenuto la sua strategia cauta e autonoma, in piena sintonia con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.
Prevale la consapevolezza delle implicazioni geopolitiche ma soprattutto georeligiose di un’impennata delle tensioni tra Ovest ed Est; e la determinazione ad attenuarle e non ad assecondarle. L’assillo vaticano è di scongiurare che una nuova guerra fredda tra Usa e Russia blocchi la distensione tra mondo cattolico e ortodosso; spacchi quello ortodosso tra filo e anti-russi; e alla fine diventi guerra fredda religiosa. La visione ripresa da Jorge Mario Bergoglio è quella di Giovanni Paolo II, secondo il quale l’Europa per respirare bene doveva avere «due polmoni: uno orientale e uno occidentale».
Sotto voce, in Vaticano si spiega che la vera mossa vincente di Putin sarebbe quella di convincere il patriarca Ilarione a invitare Francesco a Mosca. Significherebbe bloccare la deriva conflittuale; e favorire la riconciliazione religiosa. Il patriarca verrà a Roma intorno al 20 giugno per incontrare il cardinale Parolin, ma non si esclude anche un colloquio con Francesco. Finora, le difficoltà per una visita del Papa in Russia si sono rivelate insormontabili per la competizione all’interno del mondo ortodosso, e per le diffidenze storiche nei confronti del cattolicesimo: anche se Francesco sarebbe pronto a concedere molto all’ortodossia di Mosca.
L’intervistarilasciata dal presidente russo al Corriere è stata analizzata con la massima attenzione in Segreteria di Stato; e, riferiscono nella cerchia papale, piuttosto apprezzata. Quella frase di Putin, «io non sono un aggressore», a molti sarà parsa sorprendente, sullo sfondo del conflitto in Ucraina. In realtà, per la Santa Sede, Putin rimane un interlocutore inevitabile, e ritenuto prezioso, per arginare il terrorismo islamico in Medio Oriente, e non solo. Per questo, nonostante le pressioni degli Stati Uniti, del governo di Kiev e di un’Europa riluttante, il Vaticano continua a non schierarsi contro la Russia sulla questione ucraina.
L’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica a Kiev, ha tentato inutilmente di indurre la Santa Sede a pronunciarsi contro Putin. E se qualcuno fosse capitato il 12 maggio all’International institute for strategic studies di Londra, avrebbe ricevuto la conferma di un Vaticano ancorato all’Occidente, ma non disposto a schiacciarsi pregiudizialmente sulla sua politica estera. Parlando ad una quarantina di analisti della strategia della Santa Sede, il nunzio in Gran Bretagna monsignor Antonio Mennini, in passato «ambasciatore» a Mosca per otto anni, ha ricordato che il Papa non ha mai definito Putin un aggressore.
Sono riflessi di una corrente fortemente maggioritaria all’interno del Vaticano. Spiegano perché la strategia internazionale di Francesco sia guardata oltre Atlantico con un misto di curiosità, ammirazione e perplessità. La diplomazia statunitense avrebbe raccomandato al Vaticano di diffidare di Putin. «Vuole soltanto usare la Chiesa cattolica per coprirsi le spalle», è la tesi di un’America preoccupata dalle capacità di propaganda del Cremlino. Ma il Papa argentino ha sempre mantenuto la sua strategia cauta e autonoma, in piena sintonia con il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin.
Prevale la consapevolezza delle implicazioni geopolitiche ma soprattutto georeligiose di un’impennata delle tensioni tra Ovest ed Est; e la determinazione ad attenuarle e non ad assecondarle. L’assillo vaticano è di scongiurare che una nuova guerra fredda tra Usa e Russia blocchi la distensione tra mondo cattolico e ortodosso; spacchi quello ortodosso tra filo e anti-russi; e alla fine diventi guerra fredda religiosa. La visione ripresa da Jorge Mario Bergoglio è quella di Giovanni Paolo II, secondo il quale l’Europa per respirare bene doveva avere «due polmoni: uno orientale e uno occidentale».
Sotto voce, in Vaticano si spiega che la vera mossa vincente di Putin sarebbe quella di convincere il patriarca Ilarione a invitare Francesco a Mosca. Significherebbe bloccare la deriva conflittuale; e favorire la riconciliazione religiosa. Il patriarca verrà a Roma intorno al 20 giugno per incontrare il cardinale Parolin, ma non si esclude anche un colloquio con Francesco. Finora, le difficoltà per una visita del Papa in Russia si sono rivelate insormontabili per la competizione all’interno del mondo ortodosso, e per le diffidenze storiche nei confronti del cattolicesimo: anche se Francesco sarebbe pronto a concedere molto all’ortodossia di Mosca.
La sua mediazione nelle crisi mondiali lo consacra come un protagonista, che la guerriglia insistente e sotterranea dei suoi avversari nella Curia romana non intacca. Si intuisce anche dall’attenzione con la quale gli Stati Uniti si preparano a riceverlo a fine settembre. La previsione è che sarà una festa popolare, accompagnata dall’ostilità di chi somma le aperture a Putin a quelle al cubano Raul Castro per criticarlo. L’incontro con il dittatore cubano a Roma circa un mese fa ha fatto scrivere il 19 maggio scorso al Wall Street Journal , portavoce della comunità finanziaria statunitense, che «molti cattolici» sarebbero rimasti «perplessi, e a ragione».
Il Pontefice latinoamericano avrebbe mostrato con quell’udienza cordiale un riflesso dell’«antipatia» verso gli Usa. Gli ambienti nostalgici delle sanzioni contro Cuba, tra i repubblicani ma anche tra i democratici, non digeriscono la mediazione del Vaticano. E sono pronti a farsi sentire in vista delle elezioni presidenziali del 2016: un modo per attaccare sia Barack Obama, sia i candidati moderati repubblicani come Jeb Bush, prudente sul ruolo papale. La Casa bianca sarebbe rimasta sorpresa dalla decisione di Francesco di arrivare a Washington fermandosi prima all’Avana: un «passaggio a Sud» che il Papa ha pensato e voluto fin dall’inizio, sfidando anche qualche perplessità.
La domanda che gli Stati uniti si sono posti è perché Bergoglio abbia deciso di fare tappa nell’ultimo baluardo del comunismo caraibico. Il cliché del «Papa socialista», cara ad alcuni esponenti conservatori, appare risibile. L’anticomunismo di Bergoglio risale ai tempi della Compagnia di Gesù in Argentina. Che ora Francesco si mostri disponibile al dialogo con i teologi della liberazione con i quali in passato era in urto, si spiega soprattutto col fatto che il marxismo è morto; e non rappresenta più il pericolo di un tempo per la Chiesa. La spiegazione, dunque, è diversa.
Il cattolicesimo cubano, guidato dal cardinale Jaime Ortega, e lo stesso regime castrista non vogliono che i negoziati iniziatisi alla fine del 2014 si riducano ad una trattativa bilaterale Cuba-Usa. Castro avrebbe chiesto con insistenza al Pontefice di accompagnare la transizione. In cambio, Francesco avrebbe ricevuto l’assicurazione che saranno ampliate le libertà oggi ancora represse. È una partita delicata: tanto che il cardinale Ortega, quasi settantanovenne, non dovrebbe essere sostituito neanche al compimento degli ottant’anni. Ha un ruolo troppo strategico per essere cambiato in questa fase.
Il cattolicesimo cubano, guidato dal cardinale Jaime Ortega, e lo stesso regime castrista non vogliono che i negoziati iniziatisi alla fine del 2014 si riducano ad una trattativa bilaterale Cuba-Usa. Castro avrebbe chiesto con insistenza al Pontefice di accompagnare la transizione. In cambio, Francesco avrebbe ricevuto l’assicurazione che saranno ampliate le libertà oggi ancora represse. È una partita delicata: tanto che il cardinale Ortega, quasi settantanovenne, non dovrebbe essere sostituito neanche al compimento degli ottant’anni. Ha un ruolo troppo strategico per essere cambiato in questa fase.
«Nessuno vuole che Cuba diventi un’appendice di Miami», spiegano in Vaticano. La Chiesa dovrebbe funzionare come un antidoto contro lo scivolamento verso una società consumistica. Eppure, è probabile che la conquista della libertà, seppure a tappe, accentui il richiamo potente dello stile di vita americano: anche se la parola «yankee», nel mondo cubano, continua ad avere un’eco inquinata da oltre mezzo secolo di dittatura e di guerra fredda.
http://www.corriere.it/esteri/15_giugno_09/vaticano-russia-perche-papa-non-chiude-putin-739226a0-0e70-11e5-89f7-3e9b1062ea42.shtml
Papa Francesco e Putin, sintonie e divergenze
09 - 06 - 2015Matteo Matzuzzi
E’ la seconda volta in poco meno di due anni che Vladimir Putin entrerà in Vaticano per parlare a quattr’occhi con il Pontefice. Accadrà mercoledì 10 giugno alle 17, ritardi (abitudine per il presidente russo) permettendo. L’altra volta, ed era il novembre del 2013, l’appuntamento cadeva solo due mesi dopo la profonda sintonia che s’era venuta a determinare tra Santa Marta e Cremlino sulla crisi siriana.
GLI SVILUPPI DELLA CRISI SIRIANA
Mentre, sul finire dell’estate, Washington e Parigi premevano per i bombardamenti su Damasco, la Santa Sede con una straordinaria mobilitazione organizzò una veglia di preghiera in piazza San Pietro con annesso digiuno. L’input partì da Papa Francesco, che nell’Angelus domenicale richiamò la comunità internazionale al dovere di garantire la pace e non la guerra. Intervento assai apprezzato da Vladimir Putin, al quale sarebbe giunta – pochi giorni più tardi – una lunga lettera in cui il Pontefice raccomandava al Cremlino di impegnare il G20 a trovare una soluzione pacifica alla crisi. Il presidente russo ebbe gioco facile, allora, a rivendicare per sé il titolo di protettore dei cristiani d’oriente: mentre le potenze occidentali facevano rullare i cacciabombardieri per detronizzare Assad – percepito in Siria come il baluardo a difesa della comunità cristiana – lui si schierava al suo fianco.
IL BARCIENTRO DELLA POLITICA ESTERA VATICANA
Diversi osservatori notarono come il baricentro della politica estera vaticana si stesse spostando progressivamente verso Mosca, mentre nei decenni precedenti il focus era sempre stato rappresentato dagli Stati Uniti, soprattutto durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, che con Ronald Reagan stabilì un’intesa che portò a un cambiamento della percezione della Chiesa cattolica in terra americana. E non è un mistero che Putin abbia accarezzato in più d’una occasione la speranza di far leva sulla grande capacità di mediazione di Papa Francesco per tentare di rompere l’isolamento cui era stato costretto dall’Occidente dopo l’occupazione e la conseguente annessione dell’Ucraina. Nel colloquio rientrerà con ogni probabilità anche il tema delle sanzioni, che sempre più problemi stanno creando alla Russia.
IL PROBLEMA UCRAINO
Su questo punto, la situazione è complessa anche in virtù della profonda ostilità tra la Chiesa ortodossa che fa capo al Patriarcato di Mosca e quella greco-cattolica. Un anno fa, il presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne di Mosca, Hilarion, aveva usato parole durissime: “L’arcivescovo maggiore di Kiev e il suo predecessore hanno preso una posizione molto chiara fin dall’inizio del conflitto civile, poi, purtroppo, trasformatosi in un sanguinoso conflitto armato”. L’accusa di Hilarion ai greco-cattolici consisteva anche nell’aver “chiesto ai Paesi occidentali un intervento più attivo nella situazione ucraina”. Non a caso, ricordava che la presenza della Chiesa greco-cattolica rappresenta un grande ostacolo nei rapporti tra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede”. Quando, lo scorso febbraio, il Papa – ricevendo i vescovi greco-cattolici ucraini – parlò di “guerra fratricida”, s’alzò un polverone, con il direttore della Sala Stampa, padre Lombardi, costretto a precisare che il Pontefice ha “sempre inteso rivolgersi a tutte le parti interessate”.
IL LOW-PROFILE DELLA SANTA SEDE
Sul punto, l’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, capo della chiesa greco-cattolica, da tempo perora un atteggiamento più duro nei confronti della Russia, trovando però un muro da parte delle autorità vaticane. “Il nunzio in Gran Bretagna, monsignor Antonio Mennini, in passato ambasciatore a Mosca per otto anni, ha ricordato che il Papa non ha mai definito Putin un aggressore”, scrive sul Corriere della Sera Massimo Franco, aggiungendo che “sono riflessi di una corrente fortemente maggioritaria all’interno del Vaticano. Spiegano perché la strategia internazionale di Francesco sia guardata oltre Atlantico con un misto di curiosità, ammirazione e perplessità”.
IL NODO DEI RAPPORTI CON IL PATRIARCATO DI MOSCA
Ma i fini della Santa Sede non sono politici, quanto rivolti a stabilire un rapporto “tranquillo” con Mosca, al momento ancora un’utopia. E’ di qualche giorno fa, infatti, la decisione – scontata – del Patriarca Kirill di non recarsi a Cracovia per la Giornata mondiale della gioventù del 2016. Il cardinale della città polacca, Dziwisz si era detto “rammaricato” per la mancata partecipazione della massima autorità ortodossa russa, mentre da Mosca si faceva sapere che “la discussione sulla possibilità di un incontro tra il Patriarca e il Papa di Roma non è mai stata tolta dall’ordine del giorno, ma non è indicata una data esatta del suo svolgimento, per la necessità di una valutazione preliminare di alcune questioni complesse nelle relazioni tra le due Chiese”.
http://www.formiche.net/2015/06/09/papa-putin-russia-vaticano/
Convitato di pietra all’ultimo G7, Vladimir Putin si riprende la scena con l’udienza da Papa Francesco. È già la seconda volta che il presidente russo incontra Bergoglio (la precedente fu il 25 novembre 2013), più le altre concesse dai predecessori. La disponibilità del pontefice con Putin conferma e rende esplicita una delle direttrici di azione del nuovo pontificato che si stanno già delineando in questi primi mesi. Vale a dire un’attenzione significativa a Est, partendo dalla Russia fino all’Estremo Oriente, e una cura particolare nel dialogo con il mondo ortodosso.
L’udienza al presidente Putin registra tre elementi indubbiamente positivi per la diplomazia della Santa Sede ma, allo stesso tempo, anche tre fattori di criticità. I tre elementi positivi sono: il proporsi della Santa Sede come soggetto protagonista nel contesto multipolare delle relazioni internazionali; l’asse con la Russia nella difesa dei cristiani nel mondo a partire dal Medio Oriente; la costruzione delle premesse per l’atteso incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca, Kirill. I tre fattori di criticità sono: la grave questione del rispetto dei diritti umani in Russia che pesa nel dialogo con la Santa Sede, in particolare la questione Ucraina; l’eventuale reazione degli Stati Uniti a questa legittimazione forte della leadership di Putin da parte del Vaticano; l’irritazione delle Chiese ortodosse greche che continuano a veder crescere il ruolo internazionale del Patriarca Kirill anche nei rapporti con la Chiesa cattolica.
Il multipolarismo della Santa Sede
Dopo il ruolo centrale giocato dalla diplomazia della Santa Sede fino alla morte di Wojtyla, nel corso del papato di Benedetto XVI si è registrato un significativo appannamento. Il collegio dei cardinali, nel corso dell’ultimo conclave, ha dato mandato al nuovo pontefice di impegnarsi a ridare smalto e incisività all’azione internazionale vaticana. Per questa ragione Bergoglio ha scelto come nuovo Segretario di Stato monsignor Pietro Parolin, già sottosegretario per i rapporti con gli Stati, che può vantare una solida e apprezzata esperienza diplomatica. Il progetto è quello di ricalcare le orme della più prestigiosa storia delle relazioni internazionali della Santa Sede in una prospettiva multipolare.
Come ha riconosciuto lo stesso Parolin si tratta di un obiettivo più ambizioso e complesso rispetto al passato quando il mondo era diviso in due o tutt’al più tre blocchi contrapposti (Est, Ovest e movimento dei Paesi non allineati). Questa complessità si riflette nella lettera che il Papa ha inviato al presidente Putin già il 4 settembre 2013 in occasione del Vertice del G20 a San Pietroburgo. In quella lettera, volta anzitutto a scongiurare un possibile intervento armato in Siria guidato dagli Stati Uniti, il pontefice elencava l’agenda dei principali temi da affrontare in seno alla comunità internazionale: la riforma della finanza internazionale, uno sviluppo economico equo per tutti, la pace e la difesa dei diritti umani, la giustizia. In tale prospettiva, la Russia risulta essere un partner naturale del Vaticano, proprio perché caratterizza la sua azione diplomatica in prospettiva multipolare (seppure in chiave spesso antiamericana, a differenza del Vaticano). Senza dimenticare la linea indicata da Wojtyla, di un’Europa che deve respirare con i suoi due polmoni: Oriente e Occidente.
Dopo il ruolo centrale giocato dalla diplomazia della Santa Sede fino alla morte di Wojtyla, nel corso del papato di Benedetto XVI si è registrato un significativo appannamento. Il collegio dei cardinali, nel corso dell’ultimo conclave, ha dato mandato al nuovo pontefice di impegnarsi a ridare smalto e incisività all’azione internazionale vaticana. Per questa ragione Bergoglio ha scelto come nuovo Segretario di Stato monsignor Pietro Parolin, già sottosegretario per i rapporti con gli Stati, che può vantare una solida e apprezzata esperienza diplomatica. Il progetto è quello di ricalcare le orme della più prestigiosa storia delle relazioni internazionali della Santa Sede in una prospettiva multipolare.
Come ha riconosciuto lo stesso Parolin si tratta di un obiettivo più ambizioso e complesso rispetto al passato quando il mondo era diviso in due o tutt’al più tre blocchi contrapposti (Est, Ovest e movimento dei Paesi non allineati). Questa complessità si riflette nella lettera che il Papa ha inviato al presidente Putin già il 4 settembre 2013 in occasione del Vertice del G20 a San Pietroburgo. In quella lettera, volta anzitutto a scongiurare un possibile intervento armato in Siria guidato dagli Stati Uniti, il pontefice elencava l’agenda dei principali temi da affrontare in seno alla comunità internazionale: la riforma della finanza internazionale, uno sviluppo economico equo per tutti, la pace e la difesa dei diritti umani, la giustizia. In tale prospettiva, la Russia risulta essere un partner naturale del Vaticano, proprio perché caratterizza la sua azione diplomatica in prospettiva multipolare (seppure in chiave spesso antiamericana, a differenza del Vaticano). Senza dimenticare la linea indicata da Wojtyla, di un’Europa che deve respirare con i suoi due polmoni: Oriente e Occidente.
Insieme in difesa dei cristiani perseguitati
Il secondo elemento positivo dell’incontro di Bergoglio con Putin risiede nel comune impegno a difendere i cristiani minacciati, soprattutto in Medio Oriente. Due vescovi siriani e un sacerdote cattolico italiano (padre Paolo Dall’Oglio) sono stati rapiti in Siria; la Russia ha messo a disposizione la sua intelligence per ritrovarli e sta seguendo le trattative con i rapitori. E proprio da Mosca sono giunti alcuni tra gli appelli più forti e decisi in seno alla comunità internazionale per la protezione dei cristiani, non solo in Medio Oriente dove la Russia è molto attiva e presente, ma anche in Pakistan e in Nigeria.
Il secondo elemento positivo dell’incontro di Bergoglio con Putin risiede nel comune impegno a difendere i cristiani minacciati, soprattutto in Medio Oriente. Due vescovi siriani e un sacerdote cattolico italiano (padre Paolo Dall’Oglio) sono stati rapiti in Siria; la Russia ha messo a disposizione la sua intelligence per ritrovarli e sta seguendo le trattative con i rapitori. E proprio da Mosca sono giunti alcuni tra gli appelli più forti e decisi in seno alla comunità internazionale per la protezione dei cristiani, non solo in Medio Oriente dove la Russia è molto attiva e presente, ma anche in Pakistan e in Nigeria.
Si prepara l’incontro con il patriarca di Mosca?
Il terzo elemento positivo va infine nella direzione di costruire i presupposti per un’incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca Kirill, per cancellare secoli di diffidenze e paure reciproche. E’ ancora presto per prevedere i tempi dell’incontro tra Francesco e Kirill, e per la Santa Sede è più semplice compiere questo passo mentre per la Chiesa russa la situazione è più delicata. Il 25 giugno sarà la volta del metropolita Hilarion, responsabile delle relazioni esterne del patriarcato, a incontrare il pontefice. Il patriarca Kirill si appresterà a farlo quando sarà certo di poter controllare e attutire i contraccolpi all’interno della Chiesa di Mosca da parte di coloro che ancora si oppongono al dialogo con la Chiesa cattolica.
Il terzo elemento positivo va infine nella direzione di costruire i presupposti per un’incontro tra il Papa e il patriarca di Mosca Kirill, per cancellare secoli di diffidenze e paure reciproche. E’ ancora presto per prevedere i tempi dell’incontro tra Francesco e Kirill, e per la Santa Sede è più semplice compiere questo passo mentre per la Chiesa russa la situazione è più delicata. Il 25 giugno sarà la volta del metropolita Hilarion, responsabile delle relazioni esterne del patriarcato, a incontrare il pontefice. Il patriarca Kirill si appresterà a farlo quando sarà certo di poter controllare e attutire i contraccolpi all’interno della Chiesa di Mosca da parte di coloro che ancora si oppongono al dialogo con la Chiesa cattolica.
Il problema dell’Ucraina
I fattori di criticità che pesano nei rapporti con la Russia riguardano invece anzitutto il problema del rispetto dei diritti umani, a cominciare dall’Ucraina. Per la Santa Sede questo rappresenta un capitolo irrinunciabile che non attiene solo alla sfera della libertà religiosa ma riguarda altresì il versante della difesa delle minoranze, la libertà di espressione, il divieto di ricorrere a forme di tortura e il dovere di rispettare la dignità dei detenuti. Un secondo problema è che proprio un dialogo così intenso del Papa con Putin rischia di irritare il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Così come non è da sottovalutare la preoccupazione di Israele per un avvicinamento troppo stretto tra la prima e la terza Roma (il Vaticano e Mosca).
I fattori di criticità che pesano nei rapporti con la Russia riguardano invece anzitutto il problema del rispetto dei diritti umani, a cominciare dall’Ucraina. Per la Santa Sede questo rappresenta un capitolo irrinunciabile che non attiene solo alla sfera della libertà religiosa ma riguarda altresì il versante della difesa delle minoranze, la libertà di espressione, il divieto di ricorrere a forme di tortura e il dovere di rispettare la dignità dei detenuti. Un secondo problema è che proprio un dialogo così intenso del Papa con Putin rischia di irritare il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Così come non è da sottovalutare la preoccupazione di Israele per un avvicinamento troppo stretto tra la prima e la terza Roma (il Vaticano e Mosca).
L'irritazione di Costantinopoli
Un problema analogo si presenta nei confronti del mondo ortodosso greco, in particolare del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo con il quale Francesco dovrebbe incontrarsi nel maggio prossimo, se riuscirà ad andare a Gerusalemme, per ripetere lo storico abbraccio tra Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora mezzo secolo fa, nel 1964. Kirill rappresenta un ricco e temibile concorrente per Bartolomeo in seno all’ortodossia. Il Patriarca di Mosca di fatto contende la leadership del mondo ortodosso al Patriarca ecumenico di Costantinopoli e nel 2016 ci sarà anche l’atteso e delicato Sinodo panortodosso. Per Bergoglio questo è un motivo in più per affrontare con prudenza i colloqui con lo zar Putin.
Un problema analogo si presenta nei confronti del mondo ortodosso greco, in particolare del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo con il quale Francesco dovrebbe incontrarsi nel maggio prossimo, se riuscirà ad andare a Gerusalemme, per ripetere lo storico abbraccio tra Papa Paolo VI e il patriarca Atenagora mezzo secolo fa, nel 1964. Kirill rappresenta un ricco e temibile concorrente per Bartolomeo in seno all’ortodossia. Il Patriarca di Mosca di fatto contende la leadership del mondo ortodosso al Patriarca ecumenico di Costantinopoli e nel 2016 ci sarà anche l’atteso e delicato Sinodo panortodosso. Per Bergoglio questo è un motivo in più per affrontare con prudenza i colloqui con lo zar Putin.
il nemico dell'umanità non è Putin ma Obama e il nuovo ordine mondiale che vogliono soggiogare il mondo e rendere le persone come burattini nelle loro mani!!!ma stiano attenti IL SIGNORE HA ALTRI PROGETTI X NOI..........
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