Non passa giorno che non arrivino nuove reazioni al colloquio-intervista tra il domenicano Jean-Miguel Garrigues e il gesuita Antonio Spadaro, sull’ultimo numero de “La Civiltà Cattolica”, di cui ha dato ampiamente conto www.chiesa:
Padre Garrigues è un teologo di prim’ordine. Amico del cardinale Christoph Schönborn, anch’egli domenicano, ha tra l’altro collaborato con lui nella scrittura del Catechismo della Chiesa cattolica.
Ma nell’intervista a Spadaro, in vista del prossimo sinodo, non ha esitato a rompere con la disciplina vigente della Chiesa, sostenendo due eccezioni al divieto della comunione per i divorziati risposati.
Entrambe le eccezioni sono state da più parti vivacemente contestate.
L’ultima voce critica è di Thibaud Collin, docente di filosofia a Parigi, sposato e padre di quattro figli, già autore nel 2014 di un libro sull’argomento: “Divorcés remariés, l’Église va-t-elle enfin évoluer?“, edito da Desclée de Brouwer.
Collin si dice “scandalizzato” non solo dalle tesi di padre Garrigues, ma anche da quanto sostenuto di recente nel medesimo senso da un altro illustre domenicano, il vescovo di Orano Jean-Paul Vesco, contro i cui “sofismi” ha polemizzato nel suo blog sul quotidiano cattolico “La Croix”:
La replica di Collin a padre Garrigues è uscita su “Famille Chrétienne” ed è riprodotta integralmente in quest’altra pagina web:
Qui basti citare ciò che Collin scrive a proposito della prima delle due eccezioni sostenute da padre Garrigues.
Dopo aver ricordato che tale eccezione è la stessa rivendicata da alcuni vescovi tedeschi negli anni Novanta e confutata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger d’intesa con Giovanni Paolo II, Collin così prosegue:
“Teniamo presente che ogni fedele che intraprende una causa di riconoscimento di nullità del suo matrimonio è soggettivamente convinto che il suo matrimonio è invalido. Se quindi non è in grado di offrire al tribunale le prove di ciò (e ricordiamo che il dubbio pesa a favore della validità del matrimonio e non della sua nullità) è ingenuo credere che un sacerdote sperimentato o un vescovo siano più competenti di un tribunale la cui missione è di cercare la verità sull’esistenza o l’inesistenza del vincolo coniugale.
“Si manifesta in questa ’soluzione’ una concezione spiritualizzante, per non dire eterea, della mediazione della Chiesa, che in questi tempi di soggettivismo estremo demolirebbe l’uno dopo l’altro gli ordini oggettivi della morale, del diritto e della stessa sacramentalità.
“Inoltre, il rimando al foro interno nega il carattere intrinsecamente pubblico del matrimonio. Se la convinzione di coscienza dell’invalidità del matrimonio fosse riconosciuta come determinante, occorrerebbe logicamente accettare che un nuovo matrimonio sacramentale possa essere celebrato; il che sarebbe effettivamente causa di scandalo, poiché per gli altri la persona sarebbe ancora sposata, segno supplementare che l’ordine del matrimonio non può mai essere ridotto alla sua sola dimensione personale e privata.
“Infine, la condizione prospettata per beneficiare di questa ‘deroga’ è estensibile: se è sufficiente che questi fedeli manifestino ‘una vita cristiana e un attaccamento sincero alla Chiesa’, allora praticamente tutti i cattolici praticanti divorziati e risposati potrebbero anch’essi reclamarla per loro, il che la renderebbe non più eccezionale ma quasi universale”.
Nel suo intervento, Collin cita a proprio sostegno anche il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna e primo presidente del pontificio istituto di studi su matrimonio e famiglia fondato nel 1981 da Giovanni Paolo II, nonché personalmente molto apprezzato da papa Francesco:
Settimo Cielo http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/06/09/un-filosofo-di-parigi-contro-la-civilta-cattolica/L’oblio di Dio e la sessualità, un vescovo tedesco parla
Il mensile francese “La Nef” pubblica sul numero di giugno (n°271/2015) l’intervento integrale del vescovo di Passau (Germania),monsignor Stefan Oster. Si tratta di una delle voci dell’episcopato tedesco più impegnate a fronteggiare le tendenze di molti suoi confratelli rispetto ai temi più discussi del Sinodo. Offriamo ai lettori una breve sintesi dell’intervento intitolato “Oblio di Dio e la sessualità”.
La domanda da cui parte il vescovo, quella che ritiene centrale nel dibattito, riguarda quale forma di sessualità si può ritenere “giusta”, alla luce della fede, della Scrittura, della Tradizione, della Chiesa. Coloro che propongono il cambiamento, dice, portano alcuni argomenti: “i tempi sono cambiati, le persone sono cambiate, la società è cambiata, i modelli di relazione sono cambiati, le rappresentazioni sulla sessualità umana sono cambiate, è giunto il momento che l’insegnamento della Chiesa cambi.”
“A dire il vero”, scrive Oster, “il fatto che questo problema e la sua chiarificazione sia già presente nella Sacra Scrittura, testimonia piuttosto il contrario, e cioè che questa richiesta imperiosa di chiarimenti dottrinali non è stata avviata oggi, ma è ben radicata nelle origini del cristianesimo.” (…)
“Una semplice lettura del Vangelo è sufficiente per riconoscere questo: in fondo, ai sensi della Scrittura, tutte le forme di sessualità al di fuori del matrimonio devono essere classificate come lussuria o adulterio. Possiamo anche vedere che la Scrittura dà grande importanza a questo tema della sessualità. Ma soprattutto, possiamo rilevare la presenza di un legame tra, da un lato, come Dio vede l’uomo, o desidera che sia, e, dall’altra parte, la purezza morale e sessuale (Mt 5, 28; Ef 5, 3 ss; 1 Cor 6, 18-20; Rm 1, 21 ss; Gi 4, 3 e, Eb 12, 14 e seguenti).” (…)
“Dio vuole rendere l’uomo suo figlio. Lo fornirà della grazia e della forza per vivere una vita santa. Qui non si dovrebbe confondere la santità come una sorta di “sport religioso”, in cui mobilitare sforzi smisurati nell’esercizio delle virtù. La santità, innanzitutto, è essere riempiti dalla presenza di Dio, è il dono di una grazia sovrabbondante che viene da Lui, Dio stesso. E’ solo in un secondo momento, dopo aver fatto l’esperienza dei benefici concessi da Dio e della vita nella Sua presenza, che deriva la capacità di vivere in modo buono, disinteressato, e quindi, per estensione, virtuosa, nella libertà cristiana”. (…)
Il cuore del problema, rispetto ai temi del dibattito sinodale, “è l’oblio di Dio”. Dicendo questo monsignor Oster si colloca vicinissimo a una constatazione che fece papa Benedetto XVI, quando nel 2011 parlò della crisi della famiglia come manifestazione dell’eclissi di Dio. “E ‘lì”, scrive oggi il vescovo di Passau, che “si tocca il cuore del problema, vale a dire il saper prendere sul serio la presenza di Dio, e – soprattutto – nella Sua santità, nella Sua maestà, nella Sua differenza abissale da qualsiasi creatura.” Questo oblio pone molte domande: “Quanti sono coloro che ancora credono che Cristo può veramente rinnovare la vita degli uomini in modo tangibile, qui e ora? Quanti sono coloro che credono ancora che sono veramente “nati di nuovo” per l’azione di Cristo (Giovanni 3: 3), sono in realtà una “nuova creazione” (2 Cor 5, 17)? E quanti si aggrappano a questa fede nel loro percorso di vita reale e concreto?”
Purtroppo “l’esigenza di essere santificati dalla presenza di Dio nella Chiesa è quasi del tutto dimenticata. Una vita “buona” è ora definita alla luce di quello che il mondo giudica “buono” (…) Ecco come la Chiesa è stata retrocessa a un’istituzione obsoleta, inoperante, per il semplice motivo che non apprezza la nostra vita presente, il cosiddetto “buono”! Se questa diagnosi risulta corretta, noi, ministri ordinati, non possiamo sfuggire alle nostre responsabilità. (…) Forse noi stessi non abbiamo dato una limpida proclamazione un interpretazione appassionata e credente della presenza di Dio?”
“Ciò che è notevole dunque è il fatto che già nel percorso concreto del matrimonio, Dio fornisce un cammino di trasformazione – una trasformazione che comprende anche la sessualità dei partner, il suo orientamento e la sua integrazione. Un amore sincero, che si sente toccato dalla grazia di Dio, si trasforma, guarisce e integra il desiderio sessuale, le aspirazioni e le esigenze. Come è stato detto, tutto questo presuppone che io creda nella presenza di Cristo nella mia vita, che può e vuole trasformare la mia vita qui e ora. Solo sulla base di questo presupposto la nostra riflessione sulla sessualità dimostra di avere un significato! In mancanza di ciò, i cristiani non potranno mai (più) essere realmente intesi nelle loro considerazioni sulla sessualità” (…)
“Dove Dio non esiste più”, scrive Oster, “là in fondo (per usare una formula provocatoria di Dostoevskij) tutto è permesso, e nelle questioni morali particolarmente ciò che viene approvato dalla maggioranza. L’approvazione della maggioranza non può evidentemente essere una garanzia sufficiente di verità.” (…)
“Sono quindi del parere che la fede nella presenza reale del Signore e la sua forza trasformatrice è davvero l’aspetto decisivo. Se questa fede è profondamente radicata nel cuore di molti uomini, l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana sarà più comprensibile e indiscutibile. Ma se questa fede evapora, con lei evapora anche la comprensione di ciò che significa conversione, tornare a Dio, la grazia, la santificazione della vita.” (…)
“Il vero sfondo del dibattito sulla liberalizzazione sessuale all’interno della Chiesa è, per me, prima di tutto di natura spirituale. Le risposte quindi devono essere prima di tutto di natura teologica e spirituale, e non solo in primo luogo considerazioni pragmatiche sui cambiamenti intervenuti nelle relazioni sociali. Dobbiamo far sì che ogni nuova cultura non dia solo una nuova espressione concreta del Vangelo per quel dato momento, è necessario anche il movimento opposto: il Vangelo (o meglio, Cristo stesso!) Vuole essere incarnato nella cultura affinché la cultura stessa sia cambiata, trasfigurata e rinnovata.”
Il mensile francese “La Nef” pubblica sul numero di giugno (n°271/2015) l’intervento integrale del vescovo di Passau (Germania),monsignor Stefan Oster. Si tratta di una delle voci dell’episcopato tedesco più impegnate a fronteggiare le tendenze di molti suoi confratelli rispetto ai temi più discussi del Sinodo. Offriamo ai lettori una breve sintesi dell’intervento intitolato “Oblio di Dio e la sessualità”.
La domanda da cui parte il vescovo, quella che ritiene centrale nel dibattito, riguarda quale forma di sessualità si può ritenere “giusta”, alla luce della fede, della Scrittura, della Tradizione, della Chiesa. Coloro che propongono il cambiamento, dice, portano alcuni argomenti: “i tempi sono cambiati, le persone sono cambiate, la società è cambiata, i modelli di relazione sono cambiati, le rappresentazioni sulla sessualità umana sono cambiate, è giunto il momento che l’insegnamento della Chiesa cambi.”
“A dire il vero”, scrive Oster, “il fatto che questo problema e la sua chiarificazione sia già presente nella Sacra Scrittura, testimonia piuttosto il contrario, e cioè che questa richiesta imperiosa di chiarimenti dottrinali non è stata avviata oggi, ma è ben radicata nelle origini del cristianesimo.” (…)
“Una semplice lettura del Vangelo è sufficiente per riconoscere questo: in fondo, ai sensi della Scrittura, tutte le forme di sessualità al di fuori del matrimonio devono essere classificate come lussuria o adulterio. Possiamo anche vedere che la Scrittura dà grande importanza a questo tema della sessualità. Ma soprattutto, possiamo rilevare la presenza di un legame tra, da un lato, come Dio vede l’uomo, o desidera che sia, e, dall’altra parte, la purezza morale e sessuale (Mt 5, 28; Ef 5, 3 ss; 1 Cor 6, 18-20; Rm 1, 21 ss; Gi 4, 3 e, Eb 12, 14 e seguenti).” (…)
“Dio vuole rendere l’uomo suo figlio. Lo fornirà della grazia e della forza per vivere una vita santa. Qui non si dovrebbe confondere la santità come una sorta di “sport religioso”, in cui mobilitare sforzi smisurati nell’esercizio delle virtù. La santità, innanzitutto, è essere riempiti dalla presenza di Dio, è il dono di una grazia sovrabbondante che viene da Lui, Dio stesso. E’ solo in un secondo momento, dopo aver fatto l’esperienza dei benefici concessi da Dio e della vita nella Sua presenza, che deriva la capacità di vivere in modo buono, disinteressato, e quindi, per estensione, virtuosa, nella libertà cristiana”. (…)
Il cuore del problema, rispetto ai temi del dibattito sinodale, “è l’oblio di Dio”. Dicendo questo monsignor Oster si colloca vicinissimo a una constatazione che fece papa Benedetto XVI, quando nel 2011 parlò della crisi della famiglia come manifestazione dell’eclissi di Dio. “E ‘lì”, scrive oggi il vescovo di Passau, che “si tocca il cuore del problema, vale a dire il saper prendere sul serio la presenza di Dio, e – soprattutto – nella Sua santità, nella Sua maestà, nella Sua differenza abissale da qualsiasi creatura.” Questo oblio pone molte domande: “Quanti sono coloro che ancora credono che Cristo può veramente rinnovare la vita degli uomini in modo tangibile, qui e ora? Quanti sono coloro che credono ancora che sono veramente “nati di nuovo” per l’azione di Cristo (Giovanni 3: 3), sono in realtà una “nuova creazione” (2 Cor 5, 17)? E quanti si aggrappano a questa fede nel loro percorso di vita reale e concreto?”
Purtroppo “l’esigenza di essere santificati dalla presenza di Dio nella Chiesa è quasi del tutto dimenticata. Una vita “buona” è ora definita alla luce di quello che il mondo giudica “buono” (…) Ecco come la Chiesa è stata retrocessa a un’istituzione obsoleta, inoperante, per il semplice motivo che non apprezza la nostra vita presente, il cosiddetto “buono”! Se questa diagnosi risulta corretta, noi, ministri ordinati, non possiamo sfuggire alle nostre responsabilità. (…) Forse noi stessi non abbiamo dato una limpida proclamazione un interpretazione appassionata e credente della presenza di Dio?”
“Ciò che è notevole dunque è il fatto che già nel percorso concreto del matrimonio, Dio fornisce un cammino di trasformazione – una trasformazione che comprende anche la sessualità dei partner, il suo orientamento e la sua integrazione. Un amore sincero, che si sente toccato dalla grazia di Dio, si trasforma, guarisce e integra il desiderio sessuale, le aspirazioni e le esigenze. Come è stato detto, tutto questo presuppone che io creda nella presenza di Cristo nella mia vita, che può e vuole trasformare la mia vita qui e ora. Solo sulla base di questo presupposto la nostra riflessione sulla sessualità dimostra di avere un significato! In mancanza di ciò, i cristiani non potranno mai (più) essere realmente intesi nelle loro considerazioni sulla sessualità” (…)
“Dove Dio non esiste più”, scrive Oster, “là in fondo (per usare una formula provocatoria di Dostoevskij) tutto è permesso, e nelle questioni morali particolarmente ciò che viene approvato dalla maggioranza. L’approvazione della maggioranza non può evidentemente essere una garanzia sufficiente di verità.” (…)
“Sono quindi del parere che la fede nella presenza reale del Signore e la sua forza trasformatrice è davvero l’aspetto decisivo. Se questa fede è profondamente radicata nel cuore di molti uomini, l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana sarà più comprensibile e indiscutibile. Ma se questa fede evapora, con lei evapora anche la comprensione di ciò che significa conversione, tornare a Dio, la grazia, la santificazione della vita.” (…)
“Il vero sfondo del dibattito sulla liberalizzazione sessuale all’interno della Chiesa è, per me, prima di tutto di natura spirituale. Le risposte quindi devono essere prima di tutto di natura teologica e spirituale, e non solo in primo luogo considerazioni pragmatiche sui cambiamenti intervenuti nelle relazioni sociali. Dobbiamo far sì che ogni nuova cultura non dia solo una nuova espressione concreta del Vangelo per quel dato momento, è necessario anche il movimento opposto: il Vangelo (o meglio, Cristo stesso!) Vuole essere incarnato nella cultura affinché la cultura stessa sia cambiata, trasfigurata e rinnovata.”
Il matrimonio cristiano prima e dopo il Vaticano II
“Il primo schema sulla famiglia e sul matrimonio del Concilio Vaticano II” – a cura e introduzione di Roberto de Mattei – ed. Fiducia
di Piero Vassallo
.
Dai torchi delle Edizioni Fiducia è uscito in questi giorni un volume, che, insieme con lo schema Castità, Matrimonio, Famiglia e Verginità, elaborato dai teologi incaricati da Giovanni XXIII della preparazione del Concilio Vaticano II e bocciato dai vescovi progressisti, propone un ampio, puntuale saggio scritto dall’autorevole Roberto de Mattei per rammentare che “la svolta conciliare favorì l’esplosione del Sessantotto e ne moltiplicò la forza propulsiva”.
Preambolo alla severa ma motivata critica che De Mattei indirizza alla dottrina conciliare intorno al matrimonio è la confutazione della teologia di Bernard Haring (1912-1998), un prodotto novista, che proponeva l’arbitraria sostituzione del concetto di natura con quello di persona.
Al proposito De Mattei, che si colloca sulla linea critica tracciata da Paolo Pasqualucci e da Maria Guarini, rammenta che “secondo la filosofia classica, infatti, la natura viene prima della persona. La natura umana è l’essenza dell’uomo, ciò che egli è prima di essere una persona. L’uomo è soggetto di diritti e di doveri perché è una persona, ma è una persona in seguito alla sua natura umana. Tutta l’opera di Haring [concepita al seguito delle fumose opinioni di Teilhard de Chardin] è tesa a vanificare la legge naturale in nome di un personalismo esistenziale cristiano”.
Lo schema elaborato dai teologi incaricati da Giovanni XXIII, invece, aveva fondamento nella legge naturale e coerentemente affermava che “il fine primario del matrimonio è unicamente la procreazione e l’educazione della prole. Il diritto perpetuo ed esclusivo ad atti per sé capaci di generare figli in via naturale deve essere considerato come l’oggetto proprio del consenso matrimoniale”.
Da tale inequivocabile definizione discendeva la condanna delle teorie messe in circolazione dai teologi modernizzanti, già sconfessati da Pio XII, i quali “invertendo l’ordine giusto dei valori, mettono il fine primario del matrimonio in secondo piano rispetto ai valori biologici e personali dei coniugi e che, nello stesso ordine oggettivo, indicano l’amore coniugale quale fine primario”.
I teologi incaricati della preparazione del concilio, definiva erronea l’opinione, divulgata dagli scolarchi personalisti e applaudita dal giornalismo di conio laico, opinione secondo cui “dalla sola mancanza di amore il matrimonio si possa considerare invalido e sciogliere”.
Per contrastare l’opinione malthusiana nutrita dai poteri forti e condivisa nel sottosuolo della nuova teologia, gli autori del documento preparatorio condannavano severamente “chi raccomanda o diffonde l’uso di disonesti mezzi anticoncezionali con lo scopo di limitare il numero dei figli; con tali mezzi non si difende il bene dei popoli, come oggi viene sostenuto falsamente, ma si corrompe l’ordine sociale”.
Il documento sulla famiglia, insieme con i testi preparati dalle altre commissioni istituite da Giovanni XXIII, inducevano a prevedere una breve durata del Concilio. Il papa pensava a un arco di tre mesi. Invece il Vaticano II ebbe una durata e uno svolgimento alluvionale e catastrofico.
De Mattei indica la causa di una tale infelice svolta: “Un gruppo di padri conciliari centro-europei e latino-americani, che avevano come esperti i principali rappresentanti della nouvelle théologie, aveva deciso di rigettare gli schemi preparatori delle commissioni romane, considerati troppo tradizionali, e di riscriverli”.
Promotore della rivolta contro la teologia tradizionale fu l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, il cardinale Léon-Joseph Suenens (1904-1996), il quale trasformò la minoranza progressista in quella invincibile macchina da guerra, che usò con alta spregiudicatezza (lo ha testimoniato don Giuseppe Dossetti) le arti in uso nelle fazioni parlamentari dedite all’intrallazzo.
Fu avviato “un processo che il filosofo del diritto Paolo Pasqualucci ha definito brigantaggio procedurale. Gli schemi preparatori furono buttati a mare e riscritti con uno spirito e un taglio completamente diversi. Lo schema sulla famiglia e sul matrimonio era destinato a conoscere una tormentata rielaborazione”.
Incapaci di vedere la discesa dell’ateismo trionfante in un nichilismo infangato dall’abortismo francofortese e incipriato dalla pederastia californiana, i rappresentanti della minoritaria teologia progressista, ubriacati e agitati dallo squillo e dall’applauso scrosciante nell’obitorio della modernità, balzarono oltre il confine segnato dalla tradizione perenne, per stabilire un dialogo con gli spettri danzanti nelle colonne dei giornali illuminati.
Il risultato del pio intrallazzo conciliare fu il discorso del cardinale progressista/conformista Suenens, che invocò il controllo delle nascite appiattendo il suo pensiero sulle sragioni squillanti nelle colonne del giornalismo ateista: “Può darsi che abbiamo accentuato la parola delle Scritture Crescete e moltiplicatevi, fino al punto di lasciare nell’ombra l’altra parole divina, I due saranno una sola carne. Spetterà alla commissione dirci se non abbiamo sottolineato troppo il fine primario, che è la procreazione, a scapito di una finalità altrettanto imperativa, che è la crescita dell’unità coniugale … La commissione dovrà esaminare se la dottrina classica, soprattutto quella dei manuali, tiene sufficientemente conto dei nuovi dati della scienza di oggi. … Seguiamo il progresso della scienza, Vi scongiuro fratelli” .
Di qui l’avvio di quell’avventuroso inseguimento della moderna pornolatria, che fu contrastato da Paolo VI, autore dell’inascoltata enciclica Humanae vitae. Di qui la corsa cieca nel vuoto della modernità indirizzata alla consacrazione della intoccabile palude sodomitica, in cui sta affondando la filosofia laica, democratica e progressista. Di qui infine l’ecumenica,rugiadosa capitolazione dei catto-buonisti di fronte all’urgente massa degli islamici, agenti di una falsa religione, che contempla il capovolgimento della vera fede e la restaurazione della tirannia contro cui gli italiani si sono battuti strenuamente e vittoriosamente nel secolo di Lepanto.
.
fonte: blog dell’Autore
di Piero Vassallo
.
Dai torchi delle Edizioni Fiducia è uscito in questi giorni un volume, che, insieme con lo schema Castità, Matrimonio, Famiglia e Verginità, elaborato dai teologi incaricati da Giovanni XXIII della preparazione del Concilio Vaticano II e bocciato dai vescovi progressisti, propone un ampio, puntuale saggio scritto dall’autorevole Roberto de Mattei per rammentare che “la svolta conciliare favorì l’esplosione del Sessantotto e ne moltiplicò la forza propulsiva”.
Preambolo alla severa ma motivata critica che De Mattei indirizza alla dottrina conciliare intorno al matrimonio è la confutazione della teologia di Bernard Haring (1912-1998), un prodotto novista, che proponeva l’arbitraria sostituzione del concetto di natura con quello di persona.
Al proposito De Mattei, che si colloca sulla linea critica tracciata da Paolo Pasqualucci e da Maria Guarini, rammenta che “secondo la filosofia classica, infatti, la natura viene prima della persona. La natura umana è l’essenza dell’uomo, ciò che egli è prima di essere una persona. L’uomo è soggetto di diritti e di doveri perché è una persona, ma è una persona in seguito alla sua natura umana. Tutta l’opera di Haring [concepita al seguito delle fumose opinioni di Teilhard de Chardin] è tesa a vanificare la legge naturale in nome di un personalismo esistenziale cristiano”.
Lo schema elaborato dai teologi incaricati da Giovanni XXIII, invece, aveva fondamento nella legge naturale e coerentemente affermava che “il fine primario del matrimonio è unicamente la procreazione e l’educazione della prole. Il diritto perpetuo ed esclusivo ad atti per sé capaci di generare figli in via naturale deve essere considerato come l’oggetto proprio del consenso matrimoniale”.
Da tale inequivocabile definizione discendeva la condanna delle teorie messe in circolazione dai teologi modernizzanti, già sconfessati da Pio XII, i quali “invertendo l’ordine giusto dei valori, mettono il fine primario del matrimonio in secondo piano rispetto ai valori biologici e personali dei coniugi e che, nello stesso ordine oggettivo, indicano l’amore coniugale quale fine primario”.
I teologi incaricati della preparazione del concilio, definiva erronea l’opinione, divulgata dagli scolarchi personalisti e applaudita dal giornalismo di conio laico, opinione secondo cui “dalla sola mancanza di amore il matrimonio si possa considerare invalido e sciogliere”.
Per contrastare l’opinione malthusiana nutrita dai poteri forti e condivisa nel sottosuolo della nuova teologia, gli autori del documento preparatorio condannavano severamente “chi raccomanda o diffonde l’uso di disonesti mezzi anticoncezionali con lo scopo di limitare il numero dei figli; con tali mezzi non si difende il bene dei popoli, come oggi viene sostenuto falsamente, ma si corrompe l’ordine sociale”.
Il documento sulla famiglia, insieme con i testi preparati dalle altre commissioni istituite da Giovanni XXIII, inducevano a prevedere una breve durata del Concilio. Il papa pensava a un arco di tre mesi. Invece il Vaticano II ebbe una durata e uno svolgimento alluvionale e catastrofico.
De Mattei indica la causa di una tale infelice svolta: “Un gruppo di padri conciliari centro-europei e latino-americani, che avevano come esperti i principali rappresentanti della nouvelle théologie, aveva deciso di rigettare gli schemi preparatori delle commissioni romane, considerati troppo tradizionali, e di riscriverli”.
Promotore della rivolta contro la teologia tradizionale fu l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, il cardinale Léon-Joseph Suenens (1904-1996), il quale trasformò la minoranza progressista in quella invincibile macchina da guerra, che usò con alta spregiudicatezza (lo ha testimoniato don Giuseppe Dossetti) le arti in uso nelle fazioni parlamentari dedite all’intrallazzo.
Fu avviato “un processo che il filosofo del diritto Paolo Pasqualucci ha definito brigantaggio procedurale. Gli schemi preparatori furono buttati a mare e riscritti con uno spirito e un taglio completamente diversi. Lo schema sulla famiglia e sul matrimonio era destinato a conoscere una tormentata rielaborazione”.
Incapaci di vedere la discesa dell’ateismo trionfante in un nichilismo infangato dall’abortismo francofortese e incipriato dalla pederastia californiana, i rappresentanti della minoritaria teologia progressista, ubriacati e agitati dallo squillo e dall’applauso scrosciante nell’obitorio della modernità, balzarono oltre il confine segnato dalla tradizione perenne, per stabilire un dialogo con gli spettri danzanti nelle colonne dei giornali illuminati.
Il risultato del pio intrallazzo conciliare fu il discorso del cardinale progressista/conformista Suenens, che invocò il controllo delle nascite appiattendo il suo pensiero sulle sragioni squillanti nelle colonne del giornalismo ateista: “Può darsi che abbiamo accentuato la parola delle Scritture Crescete e moltiplicatevi, fino al punto di lasciare nell’ombra l’altra parole divina, I due saranno una sola carne. Spetterà alla commissione dirci se non abbiamo sottolineato troppo il fine primario, che è la procreazione, a scapito di una finalità altrettanto imperativa, che è la crescita dell’unità coniugale … La commissione dovrà esaminare se la dottrina classica, soprattutto quella dei manuali, tiene sufficientemente conto dei nuovi dati della scienza di oggi. … Seguiamo il progresso della scienza, Vi scongiuro fratelli” .
Di qui l’avvio di quell’avventuroso inseguimento della moderna pornolatria, che fu contrastato da Paolo VI, autore dell’inascoltata enciclica Humanae vitae. Di qui la corsa cieca nel vuoto della modernità indirizzata alla consacrazione della intoccabile palude sodomitica, in cui sta affondando la filosofia laica, democratica e progressista. Di qui infine l’ecumenica,rugiadosa capitolazione dei catto-buonisti di fronte all’urgente massa degli islamici, agenti di una falsa religione, che contempla il capovolgimento della vera fede e la restaurazione della tirannia contro cui gli italiani si sono battuti strenuamente e vittoriosamente nel secolo di Lepanto.
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fonte: blog dell’Autore
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Dai torchi delle Edizioni Fiducia è uscito in questi giorni un volume, che, insieme con lo schema Castità, Matrimonio, Famiglia e Verginità, elaborato dai teologi incaricati da Giovanni XXIII della preparazione del Concilio Vaticano II e bocciato dai vescovi progressisti, propone un ampio, puntuale saggio scritto dall’autorevole Roberto de Mattei per rammentare che “la svolta conciliare favorì l’esplosione del Sessantotto e ne moltiplicò la forza propulsiva”.
Preambolo alla severa ma motivata critica che De Mattei indirizza alla dottrina conciliare intorno al matrimonio è la confutazione della teologia di Bernard Haring (1912-1998), un prodotto novista, che proponeva l’arbitraria sostituzione del concetto di natura con quello di persona.
Al proposito De Mattei, che si colloca sulla linea critica tracciata da Paolo Pasqualucci e da Maria Guarini, rammenta che “secondo la filosofia classica, infatti, la natura viene prima della persona. La natura umana è l’essenza dell’uomo, ciò che egli è prima di essere una persona. L’uomo è soggetto di diritti e di doveri perché è una persona, ma è una persona in seguito alla sua natura umana. Tutta l’opera di Haring [concepita al seguito delle fumose opinioni di Teilhard de Chardin] è tesa a vanificare la legge naturale in nome di un personalismo esistenziale cristiano”.
Lo schema elaborato dai teologi incaricati da Giovanni XXIII, invece, aveva fondamento nella legge naturale e coerentemente affermava che “il fine primario del matrimonio è unicamente la procreazione e l’educazione della prole. Il diritto perpetuo ed esclusivo ad atti per sé capaci di generare figli in via naturale deve essere considerato come l’oggetto proprio del consenso matrimoniale”.
Da tale inequivocabile definizione discendeva la condanna delle teorie messe in circolazione dai teologi modernizzanti, già sconfessati da Pio XII, i quali “invertendo l’ordine giusto dei valori, mettono il fine primario del matrimonio in secondo piano rispetto ai valori biologici e personali dei coniugi e che, nello stesso ordine oggettivo, indicano l’amore coniugale quale fine primario”.
I teologi incaricati della preparazione del concilio, definiva erronea l’opinione, divulgata dagli scolarchi personalisti e applaudita dal giornalismo di conio laico, opinione secondo cui “dalla sola mancanza di amore il matrimonio si possa considerare invalido e sciogliere”.
Per contrastare l’opinione malthusiana nutrita dai poteri forti e condivisa nel sottosuolo della nuova teologia, gli autori del documento preparatorio condannavano severamente “chi raccomanda o diffonde l’uso di disonesti mezzi anticoncezionali con lo scopo di limitare il numero dei figli; con tali mezzi non si difende il bene dei popoli, come oggi viene sostenuto falsamente, ma si corrompe l’ordine sociale”.
Il documento sulla famiglia, insieme con i testi preparati dalle altre commissioni istituite da Giovanni XXIII, inducevano a prevedere una breve durata del Concilio. Il papa pensava a un arco di tre mesi. Invece il Vaticano II ebbe una durata e uno svolgimento alluvionale e catastrofico.
De Mattei indica la causa di una tale infelice svolta: “Un gruppo di padri conciliari centro-europei e latino-americani, che avevano come esperti i principali rappresentanti della nouvelle théologie, aveva deciso di rigettare gli schemi preparatori delle commissioni romane, considerati troppo tradizionali, e di riscriverli”.
Promotore della rivolta contro la teologia tradizionale fu l’arcivescovo di Malines-Bruxelles, il cardinale Léon-Joseph Suenens (1904-1996), il quale trasformò la minoranza progressista in quella invincibile macchina da guerra, che usò con alta spregiudicatezza (lo ha testimoniato don Giuseppe Dossetti) le arti in uso nelle fazioni parlamentari dedite all’intrallazzo.
Fu avviato “un processo che il filosofo del diritto Paolo Pasqualucci ha definito brigantaggio procedurale. Gli schemi preparatori furono buttati a mare e riscritti con uno spirito e un taglio completamente diversi. Lo schema sulla famiglia e sul matrimonio era destinato a conoscere una tormentata rielaborazione”.
Incapaci di vedere la discesa dell’ateismo trionfante in un nichilismo infangato dall’abortismo francofortese e incipriato dalla pederastia californiana, i rappresentanti della minoritaria teologia progressista, ubriacati e agitati dallo squillo e dall’applauso scrosciante nell’obitorio della modernità, balzarono oltre il confine segnato dalla tradizione perenne, per stabilire un dialogo con gli spettri danzanti nelle colonne dei giornali illuminati.
Il risultato del pio intrallazzo conciliare fu il discorso del cardinale progressista/conformista Suenens, che invocò il controllo delle nascite appiattendo il suo pensiero sulle sragioni squillanti nelle colonne del giornalismo ateista: “Può darsi che abbiamo accentuato la parola delle Scritture Crescete e moltiplicatevi, fino al punto di lasciare nell’ombra l’altra parole divina, I due saranno una sola carne. Spetterà alla commissione dirci se non abbiamo sottolineato troppo il fine primario, che è la procreazione, a scapito di una finalità altrettanto imperativa, che è la crescita dell’unità coniugale … La commissione dovrà esaminare se la dottrina classica, soprattutto quella dei manuali, tiene sufficientemente conto dei nuovi dati della scienza di oggi. … Seguiamo il progresso della scienza, Vi scongiuro fratelli” .
Di qui l’avvio di quell’avventuroso inseguimento della moderna pornolatria, che fu contrastato da Paolo VI, autore dell’inascoltata enciclica Humanae vitae. Di qui la corsa cieca nel vuoto della modernità indirizzata alla consacrazione della intoccabile palude sodomitica, in cui sta affondando la filosofia laica, democratica e progressista. Di qui infine l’ecumenica,rugiadosa capitolazione dei catto-buonisti di fronte all’urgente massa degli islamici, agenti di una falsa religione, che contempla il capovolgimento della vera fede e la restaurazione della tirannia contro cui gli italiani si sono battuti strenuamente e vittoriosamente nel secolo di Lepanto.
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fonte: blog dell’Autore
Divorziati risposati, il pensiero del Vescovo di Ajaccio
Anche nella Conferenza episcopale francese vi sono pastori che riflettono sui temi del sinodo, mostrando una sensibilità decisamente diversa da quella di alcuni confratelli che, invece, si dirigono verso aperture poco collaudate.
Sul quotidiano La Croix è apparso un pensiero del Vescovo di Ajaccio,mons. Olivier de Germay, sul tema dell’accesso dei divorziati risposati alla Santa Eucaristia.
“La Chiesa”, scrive il vescovo, “deve essere capace di accompagnare meglio queste situazioni nella fedeltà al Vangelo”. Secondo molti questo “accompagnamento” si dovrebbe tradurre in un accesso all’eucaristia “sotto certe condizioni”, e queste proposte sono sostenute dal “desiderio di mostrare meglio la misericordia” del Padre.
“Ma la difficoltà pastorale incontrata oggi è legata”, secondo mons. Olivier de Germay, “ad altre realtà che dobbiamo affrontare se vogliamo raggiungere la radice del problema. Se non facciamo questo rischiamo di accompagnare la secolarizzazione della Chiesa sotto una falsa apparenza di misericordia”
Il percorso spirituale con cui accogliere i divorziati risposati deve “sentire l’espressione dei loro desideri, ma anche la loro sofferenza, per dire loro che sono amati da Dio”. Essi “hanno il loro posto nella Chiesa” e allo stesso tempo vanno “aiutati a rileggere la loro storia alla luce della fede, nella comprensione di come Dio è coinvolto nel loro matrimonio sacramentale e nel legame con il sacramento dell’eucaristia”.
“Così accompagnati possono capire il significato di ciò che viene chiesto. Accettando umilmente di partecipare all’Eucaristia senza comunicarsi, essi pongono un atto di obbedienza e di fedeltà alla Chiesa e a Cristo. In un certo senso, arrivano davanti al Signore dicendo: “Signore, riconosco che oggi la mia vita non è più coerente con il segno dell’alleanza, ma so che Tu non mi riduci a questo aspetto della mia vita e ancora mi chiami a seguirti. Nel presentare me stesso davanti a Te come il pubblicano del Vangelo, io vengo a dirti il mio desiderio di fedeltà.”
Il punto critico, secondo il vescovo di Ajaccio, riguarda una errata concezione della partecipazione liturgica così come scaturita dalla riforma post conciliare. “Questo percorso spirituale è possibile solo attraverso una pastorale che aiuti i fedeli a “partecipare attivamente” nell’Eucaristia. Ora, questa è, a me sembra, la vera difficoltà pastorale oggi. Mentre il Concilio Vaticano II, sottolineando le due dimensioni di sacrificio e pasto eucaristico, ha parlato della partecipazione dei fedeli come articolazione dell’offerta e della comunione, noi abbiamo massicciamente trascurato la dimensione sacrificale mentre si diffondeva la comunione sistematica dei fedeli. La stragrande maggioranza dei nostri praticanti ignorano che essi sono invitati dal loro battesimo, per offrire il sacrificio di Cristo al Padre e a rinnovare l’offerta spirituale della loro vita. In tale contesto, parlare di partecipare all’Eucaristia senza comunicarsi diventa incomprensibile.”
Riscoprire questo senso della partecipazione all’eucaristia ha portato alcune coppie di divorziati risposati a divenire “una testimonianza per tutti noi che ci comunichiamo spesso con disinvoltura”, in questo modo “essi dimostrano di prendere sul serio l’indissolubilità del matrimonio e quindi la fedeltà incrollabile di Cristo per la Sua Chiesa”.
Confidiamo, conclude, “che lo Spirito Santo ci guiderà verso soluzioni pastorali che non alterino la leggibilità e la radicalità dell’Alleanza”.
Anche nella Conferenza episcopale francese vi sono pastori che riflettono sui temi del sinodo, mostrando una sensibilità decisamente diversa da quella di alcuni confratelli che, invece, si dirigono verso aperture poco collaudate.
Sul quotidiano La Croix è apparso un pensiero del Vescovo di Ajaccio,mons. Olivier de Germay, sul tema dell’accesso dei divorziati risposati alla Santa Eucaristia.
“La Chiesa”, scrive il vescovo, “deve essere capace di accompagnare meglio queste situazioni nella fedeltà al Vangelo”. Secondo molti questo “accompagnamento” si dovrebbe tradurre in un accesso all’eucaristia “sotto certe condizioni”, e queste proposte sono sostenute dal “desiderio di mostrare meglio la misericordia” del Padre.
“Ma la difficoltà pastorale incontrata oggi è legata”, secondo mons. Olivier de Germay, “ad altre realtà che dobbiamo affrontare se vogliamo raggiungere la radice del problema. Se non facciamo questo rischiamo di accompagnare la secolarizzazione della Chiesa sotto una falsa apparenza di misericordia”
Il percorso spirituale con cui accogliere i divorziati risposati deve “sentire l’espressione dei loro desideri, ma anche la loro sofferenza, per dire loro che sono amati da Dio”. Essi “hanno il loro posto nella Chiesa” e allo stesso tempo vanno “aiutati a rileggere la loro storia alla luce della fede, nella comprensione di come Dio è coinvolto nel loro matrimonio sacramentale e nel legame con il sacramento dell’eucaristia”.
“Così accompagnati possono capire il significato di ciò che viene chiesto. Accettando umilmente di partecipare all’Eucaristia senza comunicarsi, essi pongono un atto di obbedienza e di fedeltà alla Chiesa e a Cristo. In un certo senso, arrivano davanti al Signore dicendo: “Signore, riconosco che oggi la mia vita non è più coerente con il segno dell’alleanza, ma so che Tu non mi riduci a questo aspetto della mia vita e ancora mi chiami a seguirti. Nel presentare me stesso davanti a Te come il pubblicano del Vangelo, io vengo a dirti il mio desiderio di fedeltà.”
Il punto critico, secondo il vescovo di Ajaccio, riguarda una errata concezione della partecipazione liturgica così come scaturita dalla riforma post conciliare. “Questo percorso spirituale è possibile solo attraverso una pastorale che aiuti i fedeli a “partecipare attivamente” nell’Eucaristia. Ora, questa è, a me sembra, la vera difficoltà pastorale oggi. Mentre il Concilio Vaticano II, sottolineando le due dimensioni di sacrificio e pasto eucaristico, ha parlato della partecipazione dei fedeli come articolazione dell’offerta e della comunione, noi abbiamo massicciamente trascurato la dimensione sacrificale mentre si diffondeva la comunione sistematica dei fedeli. La stragrande maggioranza dei nostri praticanti ignorano che essi sono invitati dal loro battesimo, per offrire il sacrificio di Cristo al Padre e a rinnovare l’offerta spirituale della loro vita. In tale contesto, parlare di partecipare all’Eucaristia senza comunicarsi diventa incomprensibile.”
Riscoprire questo senso della partecipazione all’eucaristia ha portato alcune coppie di divorziati risposati a divenire “una testimonianza per tutti noi che ci comunichiamo spesso con disinvoltura”, in questo modo “essi dimostrano di prendere sul serio l’indissolubilità del matrimonio e quindi la fedeltà incrollabile di Cristo per la Sua Chiesa”.
Confidiamo, conclude, “che lo Spirito Santo ci guiderà verso soluzioni pastorali che non alterino la leggibilità e la radicalità dell’Alleanza”.
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