Il Papa va in Messico?
Voglia il Cielo che il Papa, tornando al Santuario che custodisce l’immagine più stupefacente della Vergine Maria, stratega della grande missione evangelizzatrice del Cinquecento, ricordi la storia gloriosa dei Martiri messicani e dei Cristeros che innalzarono il grande monumento di Cristo, nel 1942, in cima alla montagna dominatrice alta 2.700 metri.
E da quella memoria infrangibile tragga lezione del diabolico tentativo degli Stati Uniti d’imporre l’apostasia, a partire dall’abdicazione di Iturbide e poi dallo Stato laicista messicano del 1857, tentativo culminato con la persecuzione denunciata da Pio XI nel 1937, insieme alla denuncia della persecuzione comunista e nazista in Europa.
E quale altra lezione, se non quella di animare la fede nella vittoria di Cristo? Questa lezione dal Messico è forte, è capace di scuotere la riscossa di chi è rimasto fedele.
Don Ennio Innocenti
Oscillazioni nella strategia missionaria
La strategia “incarnazionista” in America fu svolta dai missionari venuti da Roma nella luce che emanava da Guadalupe la Vergine Morenita, anche se talvolta fu frenata ora da cattive interpretazioni del “patronato” concesso da Roma all’autorità civile ora da “fughe in avanti” compiute da irrealistico zelo gesuitico.
Invece la strategia missionaria in Asia fu turbata dagli intenti selettivi dei gesuiti (De Nobili in India e Ricci in Cina), che non solo erano rivolte alle classi alte (e non ai poveri!), ma mostravano strabilianti indulgenze per la cultura e i riti locali.
Nel 1742 Roma intervenne a correggere questo modo di procedere.
Solo con l’avanzata del secolarismo in Asia cultura e riti perdettero il loro significato originario, sicché, oggi esse non pongono più le riserve di una volta.
Ma la vigilanza è ancora necessaria come provano le sofferenze cristiane in India e le pressioni anti romane in Cina. Pazienza è parola d’ordine.
Don Ennio Innocenti
Marcello Pera: il tiepido dell'Apocalisse
Prima Marcello Pera, riuscito ad accreditarsi come filosofo per l’onore che gli fece Benedetto XVI, lamentò che i diritti liberali si fossero dimenticati del loro fondamento storico, ossia del cristianesimo.
E io dicevo: ma perché non professa la fede cristiana?
Adesso esce fuori a temere che la società secolarizzata prodotta dal liberalismo si rovesci in statalismo.
E io dico: perché è liberale vuole il cristianesimo a servizio del liberalismo.
Quando capirà che il cristianesimo è solo fede in Gesù Vivente, Risorto, Re Assoluto?
Quando capirà che la Chiesa di Gesù è capace di trangugiare e digerire tutte le civiltà (così si chiamano?) come l’oceano è capace di purificare tutti i fiumi.
Il liberalismo è l’errore base della rivoluzione moderna: roba di qualche secolo. Noi abbiamo duemila anni!
Don Ennio Innocenti
I MONUMENTI MASSONICI DI PARIGI CI RICORDANO COSA SI CELA DIETRO IL CULTO DELLA «LAICITÀ»
Se osserviamo l’arte antica, dall’Acropoli di Atene, al teatro di Epidauro, sino alle cattedrali romaniche e gotiche, possiamo notare come queste opere siano «sorte in simbiosi con la natura circostante, dal momento che l’uomo plasmava per le sue creazioni la materia che trovava, senza arrecarle violenza». Di fronte ad esse non si è mai «assaliti da un senso di inquietante impotenza, ma, al contrario, ci si sente reintegrati in una dimensione sapientemente a misura d’uomo» (M. Taufer, Caput anguli, Segno).
Scrive J. Roth, nel suo Le città bianche: «mi resi conto che l’uomo di fronte ad un anfiteatro colossale resta pur sempre uomo, mentre al cospetto di un grattacielo si riduce a formica… La grandezza romana non è titanica, ma umana».
Aspirazione dell’uomo antico, come di quello medievale, infatti, è un’arte che integra nella natura, che ispira un senso di comunità, che spinge l’individuo ad elevarsi, umilmente, verso il cielo, attraverso un cammino che porti dalle bellezze sensibili alle bellezze dello spirito. Niente dunque di titanico, di orgoglioso, di ribelle. Il mito dei titani e di Prometeo, invece, diventa notevole a partire dal Settecento, quando l’uomo comincia, appunto, a voler effettuare la sua scalata solitaria ed autonoma al cielo.
Così il primo grande dittatore della storia, Napoleone, viene accostato a Prometeo in molte opere letterarie di quegli anni. Per i più arditi, come il poeta Rapisardi, Prometeo diviene il volto attraente di Satana, il simbolo della ribellione “eroica” a Dio. Una sorta di “complesso titanico” è presente in genere nella cultura di quest’epoca.
L’arte ne è dimostrazione evidente, specie in Francia, patria della rivoluzione francese, del positivismo, e del laicismo più agguerrito. Si pensi al monumento simbolo della città di Parigi. Siamo nel 1889, nel centenario della rivoluzione, e nella capitale di Francia viene organizzata l’Esposizione Universale, la pomposa parata, già nell’aggettivo che la qualifica, delle meravigliose produzioni dell’uomo e del suo divinizzato Ingegno. L’architetto Gustave Eiffel viene invitato a realizzare un’opera di cui possiamo ancor oggi lodare l’abilità tecnica, l’utilizzo sapiente dei materiali, l’arditezza dello slancio, e che con la sua leggerezza sembra richiamare, come scriverà Hans Sedlmayer, l’idea di una «secolarizzazione del gotico».
Una torre scagliata verso il cielo, titanica, prometeica, simbolo delle illimitate possibilità della Ragione e del Progresso; illuminata, in cima, per irradiare di nuova luce Parigi. Di fronte ad essa l’uomo, l’individuo, la persona nel senso cristiano, dotata di anima individuale ed immortale, cede, annichilita, come dinanzi ai grattacieli di Roth.
Non si eleva ma sbigottisce, e, al tempo stesso, presume. Cent’anni dopo la torre Eiffel, un presidente socialista, fortemente attratto dall’esoterismo, Francois Mitterrand, rispolvera vecchi progetti di alcuni architetti dell’età della rivoluzione, che volevano innalzare una grande piramide, legata al culto dell’Ente Supremo di Robespierre: non più il culto dell’uomo, e della Dea ragione, ma una costruzione sacrale, che richiami la magia e gli antichi misteri egizi, così amati dalla massoneria e dal “laico” Napoleone, durante e dopo il suo viaggio in Egitto.
Sorge così, nel 1989, la piramide del Luovre, simbolica, per la sua forma e per il suo essere composta, ufficialmente, di 666 pannelli: si aggiunge ad un altro “talismano” egizio, l’obelisco innalzato in place de la Concorde, già piazza della ghigliottina, nel 1836, sotto Luigi Filippo. Sempre a Parigi, nello stesso 1989, viene costruito anche il grande Arche de la Fraternitè alla Defense. Si tratta di un immenso cubo, titanico e grottesco, definito dal suo architetto come «un moderno Arco di Trionfo, per celebrare la gloria del trionfo dell’umanità», ma descritto, nella guida ufficiale, come qualcosa che «evoca il senso del sacro…paragonabile alle piramidi d’Egitto».
Accanto all’Arco, nei disegni di Mitterrand, doveva elevarsi anche un grattacielo di quattrocento metri, chiamato addirittura “la Tour Sans Fin”: una vera e propria torre di Babele, ancor più di quella di Eiffel, che avrebbe dovuto apparire trasparente, alla sommità, così da scomparire alla vista! La Torre non verrà poi realizzata, ma la sua progettazione è l’ennesima testimonianza, insieme alla Torre Eiffel e all’egittomania di Parigi, della convivenza, nelle culture atee moderne, del razionalismo coll’irrazionalismo, dell’ateismo dichiarato con le più disparate forme, professate in “segreto”, di spiritualismo esoterico. Anche a Parigi, nota solamente, ai profani, come capitale della laicità.
Scrive J. Roth, nel suo Le città bianche: «mi resi conto che l’uomo di fronte ad un anfiteatro colossale resta pur sempre uomo, mentre al cospetto di un grattacielo si riduce a formica… La grandezza romana non è titanica, ma umana».
Aspirazione dell’uomo antico, come di quello medievale, infatti, è un’arte che integra nella natura, che ispira un senso di comunità, che spinge l’individuo ad elevarsi, umilmente, verso il cielo, attraverso un cammino che porti dalle bellezze sensibili alle bellezze dello spirito. Niente dunque di titanico, di orgoglioso, di ribelle. Il mito dei titani e di Prometeo, invece, diventa notevole a partire dal Settecento, quando l’uomo comincia, appunto, a voler effettuare la sua scalata solitaria ed autonoma al cielo.
Così il primo grande dittatore della storia, Napoleone, viene accostato a Prometeo in molte opere letterarie di quegli anni. Per i più arditi, come il poeta Rapisardi, Prometeo diviene il volto attraente di Satana, il simbolo della ribellione “eroica” a Dio. Una sorta di “complesso titanico” è presente in genere nella cultura di quest’epoca.
L’arte ne è dimostrazione evidente, specie in Francia, patria della rivoluzione francese, del positivismo, e del laicismo più agguerrito. Si pensi al monumento simbolo della città di Parigi. Siamo nel 1889, nel centenario della rivoluzione, e nella capitale di Francia viene organizzata l’Esposizione Universale, la pomposa parata, già nell’aggettivo che la qualifica, delle meravigliose produzioni dell’uomo e del suo divinizzato Ingegno. L’architetto Gustave Eiffel viene invitato a realizzare un’opera di cui possiamo ancor oggi lodare l’abilità tecnica, l’utilizzo sapiente dei materiali, l’arditezza dello slancio, e che con la sua leggerezza sembra richiamare, come scriverà Hans Sedlmayer, l’idea di una «secolarizzazione del gotico».
Una torre scagliata verso il cielo, titanica, prometeica, simbolo delle illimitate possibilità della Ragione e del Progresso; illuminata, in cima, per irradiare di nuova luce Parigi. Di fronte ad essa l’uomo, l’individuo, la persona nel senso cristiano, dotata di anima individuale ed immortale, cede, annichilita, come dinanzi ai grattacieli di Roth.
Non si eleva ma sbigottisce, e, al tempo stesso, presume. Cent’anni dopo la torre Eiffel, un presidente socialista, fortemente attratto dall’esoterismo, Francois Mitterrand, rispolvera vecchi progetti di alcuni architetti dell’età della rivoluzione, che volevano innalzare una grande piramide, legata al culto dell’Ente Supremo di Robespierre: non più il culto dell’uomo, e della Dea ragione, ma una costruzione sacrale, che richiami la magia e gli antichi misteri egizi, così amati dalla massoneria e dal “laico” Napoleone, durante e dopo il suo viaggio in Egitto.
Sorge così, nel 1989, la piramide del Luovre, simbolica, per la sua forma e per il suo essere composta, ufficialmente, di 666 pannelli: si aggiunge ad un altro “talismano” egizio, l’obelisco innalzato in place de la Concorde, già piazza della ghigliottina, nel 1836, sotto Luigi Filippo. Sempre a Parigi, nello stesso 1989, viene costruito anche il grande Arche de la Fraternitè alla Defense. Si tratta di un immenso cubo, titanico e grottesco, definito dal suo architetto come «un moderno Arco di Trionfo, per celebrare la gloria del trionfo dell’umanità», ma descritto, nella guida ufficiale, come qualcosa che «evoca il senso del sacro…paragonabile alle piramidi d’Egitto».
Accanto all’Arco, nei disegni di Mitterrand, doveva elevarsi anche un grattacielo di quattrocento metri, chiamato addirittura “la Tour Sans Fin”: una vera e propria torre di Babele, ancor più di quella di Eiffel, che avrebbe dovuto apparire trasparente, alla sommità, così da scomparire alla vista! La Torre non verrà poi realizzata, ma la sua progettazione è l’ennesima testimonianza, insieme alla Torre Eiffel e all’egittomania di Parigi, della convivenza, nelle culture atee moderne, del razionalismo coll’irrazionalismo, dell’ateismo dichiarato con le più disparate forme, professate in “segreto”, di spiritualismo esoterico. Anche a Parigi, nota solamente, ai profani, come capitale della laicità.
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