In occasione della conclusione del mese islamico di Ramadan, la Conferenza canadese dei vescovi cattolici canadesi ha pubblicato un opuscolo dal titolo Una Chiesa in Dialogo. Cattolici e Musulmani in Canada: Credenti e cittadini nella società. La pubblicazione è stata preceduta da una lettera dell’arcivescovo Paul-André Durocher, presidente della Conferenza in cui si chiariva che il fine dell’opuscolo era «di aiutare i cattolici cristiani a comprendere meglio i loro vicini musulmani». Un’iniziativa da apprezzare in un periodo in cui è facile cadere vittime dell’islamofobia o di dannose generalizzazioni. L’opuscolo canadese si colloca nella scia delle iniziative volte ad aprire ponti e dialogo con il mondo islamico. Numerose sono le iniziative da parte cattolica, decisamente meno numerose quelle da parte islamica.
L’intento dei vescovi canadesi è da valutare positivamente poiché vuole evidenziare, senza infingimenti, punti comuni e differenze tra le due religioni. Tuttavia, molte sono le dimenticanze e le imprecisioni e si nota la tendenza a evitare i nodi spinosi che la religione islamica pone. Purtroppo il confronto/incontro con l’islam non è mai stato semplice, sin dai tempi di Maometto. A maggior ragione oggi, in un periodo in cui si cerca disperatamente un dialogo con la parte moderata dell’islam. Tuttavia, sarebbe necessario procedere con cautela ogniqualvolta ci si appresta, come nel caso del dialogo interreligioso, ad addentrarsi nel ginepraio della rappresentanza islamica. E prima ancora di cercare dei referenti sarebbe bene guardare in faccia la realtà.
L’opuscolo canadese elenca una serie di punti comuni e di differenze tra cristianesimo e islam. Tuttavia cade in alcune contraddizioni e in alcune dimenticanze. Se da un lato si sottolinea che cattolici e musulmani credono in un unico Dio «anche se non ci relazioniamo a Dio nello stesso modo» e si cita la Lumen Gentium laddove si afferma che «non dobbiamo mai dimenticare che “professano di attenersi alla stessa fede di Abramo, e con noi adorano l’unico, misericordioso Dio, che giudicherà l’umanità nel Giorno del Giudizio”», dall’altro si ribadisce che «la presentazione coranica di Abramo, Mosè, Gesù, della preghiera, dell’elemosina e del pellegrinaggio ha un significato che potrebbe non essere condiviso dai cristiani». Quindi, cristianesimo e islam credono in un unico Dio, ma non condividono nemmeno i contenuti relativi ai personaggi biblici fondamentali, primi fra tutti Abramo che per l’islam ha fondato i riti del pellegrinaggio della Mecca e Maria che nella narrazione coranica si confonde con la profetessa Maria dell’Antico Testamento.
L’opuscolo canadese ribadisce giustamente che mentre per i cattolici il divorzio è proibito, il Corano consente – seppur limitandolo – il divorzio. Si dimentica qui un dato fondamentale che riguarda il matrimonio: nell’islam il matrimonio è un contratto di diritto privato, che prevede la poligamia – seppur limitata in molti paesi – e il ripudio unilaterale da parte del marito. Non solo, si dimentica di ricordare che anche la sacralità della vita nell’islam dei “rappresentanti ufficiali” è del tutto relativa ovverosia in caso di resistenza, in caso di opposizione a un oppressore o a un attacco esterno, uccidere diventa lecito. Ed è proprio questa dimenticanza a fare citare a più riprese la lettera “Una parola comune”, inviata nell’ottobre 2007 – a breve distanza dal discorso di Ratisbona - da 138 “saggi” musulmani a papa Benedetto XVI e ad altre autorità cattoliche, con l’intento di sottolineare che sia islam che cristianesimo sono religioni dell’amore. Tuttavia, tra i firmatari compaiono, accanto ad alcune persone perbene, numerosi rappresentanti del movimento dei Fratelli musulmani che giustificano gli attentati suicidi in Israele e molte autorità saudite nel cui Paese i cristiani possono vivere la propria fede solo in clandestinità e i musulmani stessi subiscono il diritto penale islamico comprensivo della legge del taglione.
Merita una riflessione anche il riferimento nella lettera all’incontro di Maometto con i cristiani di Najrancome esempio di dialogo. Ebbene, se è vero che la tradizione islamica narra che nel 631 i cristiani pregarono addirittura nella casa-moschea del Profeta, è anche vero che in seguito venne loro chiesto di convertirsi all’islam. Inoltre nel dibattito teologico che animò il dialogo emersero le notevoli differenze per quanto concerne il tema della Trinità. E l’incontro si concluse con un monito ai cristiani a non maledire l’islam pena la maledizione.
I suddetti tentativi di dialogo interreligioso lasciano aperta e irrisolta questione: qual è il giusto approccio nel dialogo con l’islam? La risposta del Vaticano alla lettera dei 138 saggi offriva qualche spunto. Papa Benedetto XVI dopo avere lodato «lo spirito positivo che ha ispirato il testo e l’appello a un impegno comune per promuovere la pace nel mondo», ribadì che «seppur non ignorando o minimizzando le nostre differenze come cristiani e musulmani, possiamo e dobbiamo guardare a ciò che ci unisce». Il documento canadese, che pare aprire la via a una maggiore conoscenza, dovrebbe aprire un’ulteriore riflessione sul significato profondo del dialogo tra islam e cristianesimo, un dialogo cercato da quest’ultimo e accettato – talvolta strumentalizzato – dai rappresentanti dell’islam organizzato legato ai Fratelli musulmani che mira a detenere il monopolio dell’islam e quindi del dialogo.
Basti pensare che lo scorso gennaio Papa Francesco ha incontrato quattro imam francesi di cui due, Tareq Oubrou e Azzeddine Gaci, legati all’Union des Organisations Islamiques de France (Uoif), organizzazione ideologicamente molto vicina alla Fratellanza. E sarà proprio Azzedine Gaci, membro dell’esecutivo dell’Uoif e responsabile per il dialogo interreligioso, a partecipare all’evento di apertura del prossimo Meeting di Rimini. Gaci, così come Oubrou, hanno fama di moderati, ma la loro appartenenza all’Uoif li affilia a una ideologia che per quanto concerne la sacralità della vita pone dei se e dei ma, che si ricollega agli scritti di Hasan al-Banna, che fa riferimento al Consiglio Europeo della Fatwa e della Ricerca, guidato da Yusuf Qaradawi che giustifica gli attentati suicidi in Israele e invita alla resistenza armata in Egitto. Promuovere questa ideologia, seppur attraverso rappresentanti “moderati”, non contribuisce al vero dialogo e discrimina la maggior arte dei musulmani che non si sentono rappresentati dalla Fratellanza e dai seguaci della sua ideologia.
Il documento canadese e il percorso del dialogo interreligioso confermano quanto arduo sia avviare un dialogo ufficiale e un confronto sano e obiettivo in un’epoca in cui prevale la paura dell’altro. L’unica alternativa sarebbe quella di scendere al livello dell’islam vissuto dalla maggior parte dei musulmani e al dialogo delle persone. Solo allora avremo posto un piccolo mattone nella costruzione di un futuro migliore sulla base dell’umanità che unisce musulmani e cristiani al di là di ogni discorso ufficiale e di ogni apparenza.
12-08-2015
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