Papa a Sinodo valdese: camminiamo verso la piena comunione
“Il Signore conceda a tutti i cristiani di camminare con sincerità di cuore verso la piena comunione”. L’auspicio è di Papa Francesco ed è diretto, in un telegramma a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, ai partecipanti al Sinodo della Chiesa valdese-metodista che si svolge a Torre Pellice, in provincia di Torino, da oggi al 28 agosto prossimo.
Il cammino verso la piena unità permetta, prosegue il Papa, di “testimoniare Gesù Cristo e il suo Vangelo, cooperando al servizio dell'umanità, in particolare in difesa della dignità della persona umana, nella promozione della giustizia e della pace e nel dare risposte comuni alla sofferenza che affligge tanta gente, specialmente i poveri e i più deboli”.
La visita di papa Francesco al tempio valdese di Torino, lo scorso 22 giugno, ha acceso una vivace discussione dentro la comunità protestante più famosa d’Italia, che si è protratta per tutta l’estate sul suo settimanale “Riforma“, con interventi quasi tutti critici.
Il commento più ufficiale è stato quello del moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini, in un intervista di fine luglio, un mese prima dell’annuale sinodo della comunità, in programma a Torre Pellice dal 23 agosto prossimo.
Bernardini si è felicitato con Francesco per aver “rimesso al centro il rapporto ecumenico con le Chiese protestanti, dopo che i due papi precedenti avevano invece privilegiato il dialogo con gli ortodossi, disinteressandosi abbastanza del protestantesimo, forse considerandolo una forma residuale”.
Positivo è stato anche il primo commento apparso su “Riforma” dopo l’incontro di Torino, affidato a Fulvio Ferrario, docente di teologia sistematica alla facoltà valdese di teologia di Roma e coordinatore delle relazioni ecumeniche.
Ma la sua nota è stata pubblicata come semplice “opinione”. E tutti i successivi interventi sono stati un fuoco di fila di dubbi e di critiche.
Lorenzo Scornaleschi, su “Riforma” del 10 luglio, ha giudicato “effimero” il successo dell’incontro. Perché Francesco resta pur sempre un papa “che ha scommesso tutto sulla sua forza mediatica”, come già i papi precedenti “tranne la breve parentesi ratzingeriana”, cioè per un “cristianesimo di massa che non chiede altro che di avere un divo che unisca, come potrebbe essere un divo dello spettacolo”, un papa, quindi, che “si ripropone come modello autoritario indiscutibile, com’è nella sua natura e nella sua origine”.
Sullo stesso numero di “Riforma” Joachim Langeneck ha criticato come “troppo facile” la richiesta di perdono fatta da Francesco per le colpe commesse dalla Chiesa cattolica nei secoli passati. Perché invece sulle colpe presenti il papa ha taciuto, “non avendo particolarmente voglia di astenersi dal commetterle”. E tra queste colpe c’è “la sofferenza delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali, dal medesimo papa definite ‘frustrate’ e la cui difficoltà a ottenere diritti civili è legata anche alle pressioni della Chiesa”.
Su “Riforma” del 24 luglio Marco Rostan, già figura di spicco dei giovani valdesi negli anni ruggenti della contestazione extraparlamentare, ha scritto che le differenze tra cattolici e protestanti restano troppo forti per essere conciliate, e che “proprio Francesco, con tutta la sua simpatia, disponibilità, coraggio, rappresenta comunque l’istituzione papale, vale a dire il più grande ostacolo ecumenico, anche se in un domani improbabile si realizzasse una forma di papato conciliare”.
Altri intervenuti hanno spostato le critiche sui rimbalzi mediatici dell’incontro.
Paolo Ribet, pastore della comunità valdese di Torino, nell’editoriale di “Riforma” del 10 luglio si detto in particolare “turbato” dalla descrizione dei valdesi fatta da Eugenio Scalfari su “la Repubblica” dopo il loro incontro con Francesco, per “la ricostruzione storica che lascia allibiti e che non si comprende da dove sia stata tratta”, nella quale “l’unica cosa che si salva è il nome del fondatore, Valdo”.
E conclude:
“Scalfari sostiene che ‘l’obiettivo di Francesco è di aprire la Chiesa a tutte le comunità protestanti e riunirle’. Ma se così fosse, sarebbe esattamente il contrario di quanto si è affermato con una certa solennità il 22 giugno, e cioè che l’ecumenismo che noi prospettiamo è l’unità nella diversità, nel riconoscimento reciproco di ciò che si è. Francamente, mi pare che di un ‘ritorno a Roma’ o di una unità sotto il papato non si sia parlato e non sia assolutamente in agenda. La sensazione è che il cattolicesimo sia più avanti dei suoi ammiratori laici”.
Altri ancora hanno invece aggiunto alle critiche al papa la richiesta alla comunità valdese di fare a sua volta autocritica in casa propria.
Massimo Marottoli, su “Riforma” del 24 luglio, ha scritto che anche la Chiesa valdese, come quella cattolica, non è immune da “un autoritarismo al suo interno”. E prova ne sarebbe che ad accogliere il papa nel tempio di Torino c’era il moderatore della Tavola, come a rappresentarne il “capo”, quando invece “l’unico luogo in cui il potere della Chiesa valdese si esprime in tutta la sua autorevolezza è il sinodo”.
Ma l’autocritica più forte è venuta dal pastore Claudio Pasquet, della commissione per l’evangelizzazione.
“Non credo che la visita del papa cambierà molto per la vita della nostra Chiesa”, scrive. “Avverto infatti insinuarsi nella nostra Chiesa un senso di rassegnazione alla secolarizzazione, che ci accomuna purtroppo a gran parte delle Chiese europee. Ogni anno le statistiche sinodali ci presentano un numero crescente di chiese dove scuole domenicali e catechismi sono ridotti al lumicino, se non inesistenti”.
E prosegue:
“Etica, solidarietà e laicità: non credo di sbagliare dicendo che questi temi monopolizzano l’attuale dibattito all’interno delle Chiese valdesi e metodiste. Sono argomenti che sicuramente ci danno una certa popolarità, anche fra i radical chic, ma quanto incidono come predicazione dell’Evangelo? A volte leggendo la nostra stampa si ha l’impressione di leggere il bollettino di una serie di ONG di orientamento progressista, mentre l’esplicito e forte riferimento al Signore che ci spinge all’impegno resta sottinteso o non traspare”.
E ancora:
“Ci siamo vantati di non essere la Chiesa degli assoluti e della certezza, abbiamo detto che il dubbio è e resta fondamentale nella ricerca della fede, ma non abbiamo in questo modo assolutizzato il dubbio, mettendo in dubbio l’Assoluto? Grazia, speranza, resurrezione, giudizio di Dio, quanto sono rimasti al centro della nostra fede? Dobbiamo riappropriarcene nella nostra predicazione e nelle nostre riflessioni comuni. Chi oggi si interroga su Dio non ci chiede forse di affrontare una riflessione sulle cose ultime?”.
Ha fatto eco al pastore Pasquet, su “Riforma” del 30 luglio, Agostino Garufi:
“Come cristiani, sappiamo che la nostra missione essenziale è annunziare Gesù Cristo e il suo Evangelo anche a coloro che vogliamo beneficare nei loro diritti. Infatti, parafrasando le parole di Gesù (Mt 16, 26), se con la nostra azione sociale riuscissimo a far ottenere a tutti ogni bene terreno, che vero beneficio avrebbero se poi perdessero l’anima loro?”.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.