ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 8 settembre 2015

Scisma & controscisma?

Sinodo: Bagnate le polveri...
Le modifiche rese note oggi alla disciplina e alla pratica del riconoscimento di nullità matrimoniali nella Chiesa cattolica con ogni probabilità riporteranno il Sinodo di ottobre sulla Famiglia a una visione più ampia ed equilibrata dei problemi della famiglia stessa.

Le modifiche rese note oggi alla disciplina e alla pratica del riconoscimento di nullità matrimoniali nella Chiesa cattolica con ogni probabilità riporteranno il Sinodo di ottobre sulla Famiglia a una visione più ampia ed equilibrata dei problemi della famiglia stessa.
Nella sua versione straordinaria dell’ottobre 2014, e nel dibattito mediatico e pubblicistico che l’aveva preceduto, accompagnato e seguito gran parte dell’interesse si era accentrato sul problema dei divorziati-risposati, e del loro accesso ai sacramenti.

 E’ assai probabile che alla luce dei cambiamenti operati dalla nuova legislazione in materia quel problema perda molto del suo vigore: se è possibile ottenere un riconoscimento di nullità in tempi super brevi, e gratuiti o quasi, che senso ha continuare a fare a sciabolate su un problema che provocherebbe spaccature profonde nella Chiesa, con molti vescovi e cardinali contrari, e che sembra comunque, alla luce dei testi evangelici, spinoso da gestire? 

La Commissione creata da papa Francesco, presentando opportunamente i risultati del suo lavoro a poche settimane dall’inizio del Sinodo, e aprendo la chiusa delle difficoltà procedurali per le nullità (e forse anche qualche cosa di più) ha evitato al Papa di dover gestire non senza difficoltà una situazione che rischiava di diventare esplosiva, come aveva solo qualche giorno fa sottolineato il Prefetto per la Congregazione della Fede , con addirittura il rischio di uno scisma.  
MARCO TOSATTI


Ancora sui divorziati risposati. No e sì alla comunione

divorziati
Ricevo e pubblico questi due commenti diversamente orientati.
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I.
UNA SPECIE IN VIA DI ESTINZIONE
Gentile Magister,
le scrivo in merito alla “quaestio disputata” cui lei ha dato spazio, inerente la comunione ai divorziati risposati. Credo che nel dibattito manchi un’ulteriore argomentazione capace di confutare il fronte aperturista. La condivido con lei, sperando vivamente che anche qualche fine teologo la possa valutare.
In sintesi, nei paesi occidentali e in Italia avviene che:
1 – ci sono in assoluto sempre meno matrimoni sia civili sia religiosi (1), dato che la privata convivenza stabile soppianta la regolarizzazione pubblica dell’unione;
2 – anche i cosiddetti “secondi matrimoni” calano (2);
3 – la popolazione cattolica praticante (ma anche i cattolici nominali) è in sensibile diminuzione e confinata in fasce demografiche anziane;
4 – dati i fattori suddetti è quindi prevedibile nei prossimi anni un’ulteriore diminuzione dei matrimoni religiosi, secondo il trend attuale (3);
5 – i cattolici minoritari dei prossimi anni tenderanno a sposarsi con maggior cognizione di causa e serietà, viceversa saranno celebrati meno matrimoni religiosi scelti solo per motivi culturali e quindi più fragili;
6 – al diminuire dei matrimoni civili e religiosi diminuiranno anche i conseguenti divorzi (oggi il tasso di fallimento matrimoniale è di circa il 40 per cento);
7 – ergo: nel giro di 15 o 20 anni i divorziati risposati civilmente dopo il matrimonio religioso saranno una categoria statisticamente in diminuzione. Molti di più saranno i divorziati risposati dopo matrimonio civile o gli sposati in prime nozze dopo lunga convivenza.
Dato questo contesto ecco la domanda: a che pro svendere in modo sacrilego il sacramento dell’eucarestia per medicare una temporanea piaga che tra soli vent’anni sarà molto più circoscritta e che è dovuta principalmente alla fase transitoria attuale?
Dobbiamo dedurre che l’obiettivo vero dei novatori non è includere i divorziati risposati nella Chiesa ma modificare la dottrina in sé per sé, avvalendosi di un “misericordioso” cavallo di Troia?
Un cordiale saluto.
Roberto Ciccolella
Roma
(1) Istat 2012: “In particolare, negli ultimi 20 anni il calo annuo è stato in media dell’1,2 per cento, mentre dal 2008 al 2011 si sono avute oltre 45 mila celebrazioni in meno (in termini relativi -4,8 per cento annuo tra il 2007 e il 2011)”.
(2) Istat 2012: I secondi matrimoni calano da 34.137 del 2008 a 32.555 del 2012. La loro quota sul totale è tuttavia in crescita dal 13,8 per cento del 2008 al 15,7 per cento del 2012.
(3) Istat: Nel 2012 sono state celebrate con rito religioso 122.297 nozze. Il loro numero cala di 33 mila unità negli ultimi 4 anni. I matrimoni civili, invece, hanno visto un recupero negli ultimi due anni pari a 5.340 cerimonie, arrivando a rappresentare il 41 per cento del totale a livello nazionale. Al Nord i matrimoni con rito civile (53,4 per cento) superano quelli religiosi e al Centro sono ormai uno su due (49,4 per cento).
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II.
NON SI DEVE FARE, MA AVVIENE. E ALLORA TUTTI ASSOLTI
Gentile Sandro Magister
provi a vedere se questo mio intervento può essere utile alla riflessione comune.
Gesù ha detto che solo il peccato contro lo Spirito Santo non può essere perdonato, mentre in tutti gli altri casi ci può essere perdono e dunque comunione con il Signore Gesù, con il Padre celeste ed i fratelli.
Cosa c’è di più grave di ciò che fece Pietro rinnegando la sua amicizia con Gesù? Eppure Pietro pentitosi fu perdonato e addirittura confermato capo degli apostoli. Gesù dice: Non osi nessuno separare ciò che Dio ha unito. Ma avrebbe potuto benissimo dire: Nessuno osi rinnegare il Figlio dell’uomo. Eppure proprio questo è successo. Ha anche detto di non uccidere, e questo avviene anche ad opera di chi ha creduto in Lui. Eppure quanta festa si fa in cielo e sulla terra per chi si pente di un simile esecrabile peccato.
Il caso di un uomo o di una donna cristiani che lasciano il primo matrimonio e si formano una seconda famiglia fa parte di ciò che assolutamente non si deve fare (”non commettere adulterio”, sta scritto). Ma avviene, e allora dobbiamo dire che per loro non esista una soluzione o che per offrirla la Chiesa debba ammettere il divorzio e accettare le seconde nozze? No assolutamente. Tuttavia occorre liberare la mente dei cristiani da pensieri che suonano così: “Ecco che adesso con la scusa del perdono é permesso divorziare e risposarsi e poi come se niente fosse essere riammessi nella comunità cristiana”.
Questo modo di pensare sembra voler essere giusto, ma è privo di quella misericordia per cui il Padre celeste vuole davvero tutti salvi. Questo “tutti” è importante non solo per il suo carattere estensivo ed inclusivo ma perché è rivolto, nell’intenzione di Gesù che l’ha pronunciato, anche a coloro che, avendo nella Chiesa il potere di sciogliere e legare, si cimentino nel trovare il modo di attuare il principio secondo cui solo un peccato non è perdonabile, quello contro lo Spirito Santo, ma tutti gli altri sì, e perdonabili non solo da Dio ma dal vissuto umano della comunità cristiana.
Il nostro punto di vista allora dovrebbe essere quello che, guardando a un peccatore che si pente, si pone nell’ottica del Padre che vuole tutti salvi e in reale comunione e non nell’ottica un po’ pilatesca di lasciarlo solo alla sua misericordia ma escludendolo di fatto dalla comunione con il corpo e il sangue del nostro Signore Gesù che ha accettato di soffrire la sua passione perché fosse chiaro che nessuno possa essere escluso dal mangiare il suo corpo e bere il suo sangue, se davvero lo vuole.
Noi non possiamo giudicare come se il regno di Dio fosse perfettamente attuato su questa terra o da un luogo che non intercetta a fondo la volontà salvifica del Padre che fin dai nostri primi progenitori e per tutta la storia della salvezza ha cercato di inventare infinite soluzioni pur di poter abbracciare il figlio perduto. Se lo facessimo rischieremmo di somigliare al fratello del figliol prodigo, non per gelosia (perché infatti crediamo di far opera di giustizia e di fedeltà a Gesù ed al suo regno) ma per il fatto che con il nostro modo di pensare e i nostri atti nell’ambito della Chiesa non permettiamo alla misericordia divina di attuarsi senza “se” e senza “ma”.
La verità è che si è sovraccaricato di senso il sacramento del matrimonio. È vero infatti che per il cristiano fedele il sacramento è simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa, ma questa assoluta verità che ha una valenza eterna ed è perfetta per chi la vive e con essa muore non può essere presa come argomento per non riconoscere la possibilità di un nuovo inizio a chi nel frattempo si è creato una nuova situazione familiare. Pietro che rinnega Gesù ha potuto riprendere il suo cammino, incarnando nella sua vita il valore che aveva tradito, la fedeltà, e l’adultera viene congedata da Gesù dicendole di non più peccare, e così è avvenuto nella Chiesa per tanti che pur avendo commesso terribili peccati (addirittura ucciso delle persone) sono stati riammessi a pieno titolo nella comunità cristiana.
Il compito allora dei teologi potrebbe essere quello di ricontestualizzare meglio il sacramento del matrimonio all’interno del panorama degli altri sacramenti e di tracciare un percorso per il pieno reinserimento nella comunità ecclesiale di quanti vi vogliono far parte. Quanto alla parte offesa, e cioè quella lasciata dal coniuge, essa con l’aiuto della comunità cristiana deve saper perdonare proprio come ha fatto Gesù verso i suoi crocifissori.
In conclusione o il matrimonio non è valido per un suo vizio intrinseco, e allora la cosa si risolve così, oppure se è stato valido, ma tradito, la via da percorrere é quella penitenziale attraverso il sacramento del perdono dei peccati. Questi miei pensieri li offro al popolo di Dio da cui in ultima istanza ogni cristiano aspetta la luce che illumina i suoi passi.
Cordialmente.
Michele Sebregondio
Milano
__________
POST SCRIPTUM – Al secondo commento è arrivata prontamente la seguente replica.
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Gentile Sandro Magister,
Ho letto poco fa la lettera di Michele Sebregondio e se non sono rimasto allibito per il contenuto è solo perché, ormai da tempo, vedo che non è tanto la retta dottrina, ad essere demolita, quanto e soprattutto la buona logica.
Come si può paragonare un peccato “una tantum”, quale può essere il rinnegamento di Pietro, o anche un omicidio, rispetto a un peccato – di diversa gravità, ma sempre facente parte dei peccati gravi – protratto nel tempo, quale è ad esempio il portare avanti una situazione che giorno per giorno contraddice il disegno trinitario del Signore sulla famiglia?
Esiste infatti una differenza fondamentale: un conto è parlare di un grave peccato, quando però  l’autore, ravveduto e pentito, chiede perdono al Signore e cambia decisamente la direzione della sua vita; e un conto è riferirsi a un peccato ostinatamente protratto nel tempo.
Altro che “privo di quella misericordia per cui il Padre celeste vuole davvero tutti salvi”: lo stato del peccatore impenitente che continua per la sua strada di comodo è un affronto alla divina misericordia, perché mette alla prova, per usare un linguaggio antropomorfico, la pazienza di Dio.
Il quale, se è vero che vuole tutti salvi – e per questo ha mandato Suo Figlio a morire, fra dolori inenarrabili –, è parimenti vero che, proprio per rispetto verso il sacrificio della Seconda Persona, ha posto come condizione tassativa il pentimento dei propri peccati. Al punto che, se non c’è vero pentimento, pure la confessione è invalida.
In quest’ottica la privazione dell’eucaristia, lungi dall’essere una “punizione”, diviene una “protezione”: si impedisce al peccatore ostinato di aggiungere peccato a peccato.
La Chiesa invita ad evitare l’ulteriore peccato di sacrilegio – sia in riferimento al sacramento del matrimonio, che a quello dell’eucaristia – e a rimettersi in grazia di Dio.
Sono ben consapevole della croce che pesa sulle spalle di chi sperimenta il fallimento del suo matrimonio, ma la misericordia, in questo caso, sta nel seguente invito: la vita eterna ha un valore tale (un valore infinito, direi) che nessuno sforzo sarà “troppo grande”, al fine di conseguirla.
E a chi parla sempre e solo di misericordia – di fatto avallando semplicemente un buonismo spesso ipocrita – sarebbe utile ricordare che la misericordia, così come la carità, non possono essere disgiunte dalla verità. E la verità è espressa nella retta dottrina, basata sulle Sacre Scritture e sulla tradizione apostolica.
Il “se davvero lo vuole” di Sebregondio non deve rimanere un pio desiderio, ma va concretizzato, in primis rinunciando al peccato, e tenendo ben presente l’insegnamento del Maestro: Iddio non convive con Mammona, e chi vuole davvero seguire Gesù è chiamato a prendere la propria croce, più o meno pesante, mantenendosi sulla via diritta. Giorno dopo giorno.
Ricordiamo anche che l’invitato a nozze, che venne trovato privo dell’abito nuziale, venne poi gettato nelle tenebre esteriori.
Mi fermo qui: veda lei se questo mio contributo può essere utile.
Con rinnovata stima
Gustavo Pares

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