ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 21 ottobre 2015

Di collasso in collasso..

Chi ha capito di più la lettera dei tredici cardinali? Un grande teologo valdese



riforma
È Fulvio Ferrario, professore di dogmatica presso la facoltà valdese di teologia di Roma, docente invitato presso l'istituto di studi ecumenici "San Bernardino" di Venezia, direttore della rivista teologica "Protestantesimo" e autore di molti saggi, tra i quali un eccellente "La teologia del Novecento", edito da Carocci e presentato a suo tempo in questo servizio di www.chiesa:
Sull'ultimo numero del settimanale dei valdesi "Riforma", il professor Ferrario dedica l'intero editoriale di prima pagina alla lettera dei tredici cardinali al papa. E precisamente alla questione sollevata nel suo ultimo capoverso, che egli cita e poi commenta.
L'incontro/scontro tra la Chiesa e il mondo è al centro della sua riflessione da protestante, come lo è anche del sinodo.
Un editoriale tutto da leggere. Eccolo.

"COLLASSO" PROTESTANTE?
di Fulvio Ferrario
L’episodio è di quelli che fanno la gioia dei vaticanisti. Un gruppo di membri del sinodo sulla  famiglia, in corso in Vaticano, scrive una bella letterina al papa, riassumendo le preoccupazioni  della parte che alcuni definiscono "conservatrice". Naturalmente, questo testo "riservato" atterra  sul web e sui giornali, che lo presentano come un "giallo". Il  thrilling  non riguarda tanto  l’autenticità del testo, quanto il fatto che alcuni presunti firmatari prendono le distanze, forse  incoraggiati in questo da un certo disappunto della sala stampa vaticana.
I contenuti teologici e  pastorali della missiva non sono nuovi: cerchiamo di non innovare troppo, anzi, meglio se lasciamo  tutto com’è. Dal punto di vista delle dinamiche interne al cattolicesimo romano, è più interessante  un altro aspetto: la lettera manifesta il timore che i metodi di discussione siano orientati a "facilitare dei risultati predeterminati su importanti questioni controverse". Insomma, si teme un sinodo  "pilotato" e, quel che è peggio, non nel senso auspicato dai mittenti.
Fin qui, siamo di fronte a un frammento di un dibattito cattolico assai serrato, che le chiese  evangeliche seguono con discrezione e rispetto. Un passo della lettera, tuttavia, suscita, nei lettori  protestanti, un’attenzione più diretta.
Secondo gli estensori, se le manovre che essi temono avessero successo, "ciò solleverà inevitabilmente questioni ancora più fondamentali su come la Chiesa  dovrebbe interpretare e applicare la Parola di Dio, le sue dottrine e le sue discipline ai cambiamenti  nella cultura. Il collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell’adattamento  pastorale, giustifica una grande cautela nelle nostre discussioni sinodali".
Le chiese protestanti  "liberali" sono quelle luterane, riformate, unite, anglicane, molte chiese metodiste, alcune chiese  battiste. Esse sono al "collasso", perché hanno abbandonato "elementi chiave della fede [!] e della  pratica cristiana". Ciò sarebbe accaduto "in nome dell’adattamento pastorale", espressione che, in  un simile contesto, sembra indicare un atteggiamento servile nei confronti del secolarismo, il che, in realtà, tutto sarebbe tranne che "pastorale".
È bene essere in chiaro su alcuni punti.
1) Non si tratta di opinioni proprie soltanto di minoranze conservatrici. Nel recente passato, diversi  autorevolissimi esponenti cattolici (compreso quello allora più autorevole tra tutti) si sono espressi  in termini analoghi nella sostanza, anche se a volte meno drastici nella forma. L’Ortodossia, le  chiese evangelicali e anche molti settori protestanti "classici" del sud del mondo la pensano allo  stesso modo.
2) Al giudizio teologico ed etico si unisce la valutazione "politica": le nostre chiese sarebbero al  "collasso": perdono membri, sono ininfluenti nella società e dunque risultano poco interessanti  come interlocutrici.
3) Un cristianesimo degno  di tal nome dovrebbe, secondo questa analisi, adottare una linea opposta  rispetto a quella delle chiese ritenute "liberali": non adattarsi, abbandonando la verità dell’evangelo, bensì rendere una testimonianza coraggiosa che, alla fine, "pagherà " anche in termini di consenso.
Mentre, dunque, le nostre chiese protestanti salutano con speranza il clima ecumenico  indubbiamente nuovo determinato dalla figura dell’attuale pontefice, esse devono constatare un  certo sospetto e anche, sembra di poter dire, una stima non sempre elevatissima da parte di ampi  settori del cristianesimo. È giusto prenderne atto e dispiacersene. Si tratta anche, però, di un’occasione per approfondire la riflessione sui passi compiuti, soprattutto  negli ultimi decenni.
Molti protestanti (non so se tutti, ma lo spero) non li hanno intesi come  "adattamento", meno ancora come appiattimento, bensì come tentativi di obbedire alla volontà di  Dio in contesti nuovi. Che la Parola di Dio debba essere vissuta nella storia e che questo richieda  cambiamenti etici, e anche nuove formulazioni dottrinali, non è una novità, credo nemmeno per  coloro che condividono i giudizi pesanti sulle chiese della Riforma.
Forse però non siamo stati  abbastanza chiari nel dire che, per noi, determinate scelte intendono testimoniare le possibilità di  vita generate dalla grazia di Dio. Per essere espliciti e brevi: noi cerchiamo di rendere testimonianza a Gesù, che era una persona per bene, ma non un perbenista.
Non è detto, naturalmente, che tutti i  tentativi operati in tal senso siano stati fedeli all’evangelo: essi sono sempre rivedibili, alla luce del  confronto, anche ecumenico. Perché tale confronto sia autentico, tuttavia, è necessario che gli  interlocutori si comprendano reciprocamente come cristiane e cristiani in ricerca. La patente di  pavido collaborazionista di questa generazione incredula e perversa difficilmente aiuta chi la riceve  e chi la affibbia a discutere in modo fraterno e spregiudicato.
La testimonianza a questo Gesù per bene, ma non perbenista, è un eccellente motivo per essere  protestanti e, a mio parere, anche per diventarlo. Non è monopolio delle nostre chiese, certo: ma, a  quanto pare, nemmeno si tratta di una convinzione così diffusa. Se le nostre chiese giocano la loro  credibilità  su questo , su un Gesù che infrange gli schemi, i "principi", le barriere create anche dalla  religione; se è questo Gesù che ci invita a cambiare, e a rischiare, allora persino il "collasso" fa  meno paura.
Non è affatto detto che porre la questione in questi termini faciliti il confronto: anzi,  alzando il profilo del dibattito, lo radicalizza. Ma appunto di questo si tratta, della radice, di ciò che  conta: di Gesù e del suo messaggio, quello di sempre, vissuto oggi. Il Cristo di sempre, vissuto nel  presente, è stato il programma della Riforma: forse non è un caso che alcuni si apprestino a  celebrarla, e altri no.

Settimo Cielodi Sandro Magister  21 ott

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