PELL: IL TESTO DELLA RELATIO FINALIS VIENE FRAINTESO, DI COMUNIONE AI DIVORZIATI RISPOSATI NON SI PARLA
Dall’intervista del cardinale George Pell, prefetto del Segreteria per l’Economia, al Catholic News Service, agenzia di informazione della Conferenza episcopale statunitense:
«I testi (della Relatio finalis) sono stati sostanzialmente fraintesi (si riferisce al modo in cui certa stampa ha informato sulle conclusioni del Sinodo, ndr). Prima di tutto non c'è nessun riferimento, sia nel paragrafo 85 che in ogni altra parte del documento, alla comunione per i divorziati risposati. Questo è fondamentale!
E anche nel paragrafo 63 c’è una sezione adeguata sulla comprensione appropriata di cosa s’intenda per “retta coscienza” che deve essere formata alla luce della Parola di Dio. E il discernimento che viene incoraggiato, nel paragrafo 85, deve essere basato, in questa materia particolare, sull’intero insegnamento della Familiaris Consortio di san Giovanni Paolo II e - dice un altro riferimento - sull'insegnamento della Chiesa.
Sarebbe stato di grande aiuto se ci fosse stata maggior chiarezza, ho pensato al momento in cui veniva definita la Relatio. Ma non c'è nulla nei paragrafi, così come stanno, che sia radicale o falsa dottrina o che sostenga una pratica falsa.
Credo che sia essenziale per noi, per andare avanti, come comunione uniti attorno al buon Dio, il fatto di non distorcere l’insegnamento di questo Sinodo, sia che ci piaccia sia che non ci piaccia, sia che ci piaccia in un altro modo.
Non dobbiamo né esagerarlo, né diminuirlo, ma prenderlo così come è. E cosi come è, il testo è pienamente in conformità con gli insegnamenti e le pratiche fondamentali della Chiesa».
Dal sito di apologetica e catechesi Cooperatores Veritatis.
La gradualità della legge indica che la
legge stessa sarebbe graduale, quindi che si potrebbe scegliere quello
che più conviene, invece legge della gradualità o cammino graduale,
accezione corretta, esprime piuttosto l’esigenza di un’opera maieutica
per entrare nel cuore della legge e per osservarla non solo in modo
esteriore, ma con la mente e il cuore. Posso cioè essere educato a
capire gradualmente il valore della legge, che in sé rimane intangibile e
comunque la via al bene da perseguire.
La gradualità non può essere manipolata
per avere uno sguardo misericordioso su chi vive in situazioni non
conformi alla legge di Dio. Il principio della gradualità, pertanto, non
è per se stesso la soluzione ai problemi di chi vive in situazioni
matrimoniali difficili o disordinate, ma richiede una spiegazione morale
giusta, altrimenti degenera in un grande equivoco…
Abbiamo trovato una intervista del
dicembre 2014, molto interessante, fatta al Prof. Marcelo Fiaes, Maestro
in Scienze del Matrimonio e Famiglia, vedi qui, e dalla quale
riportiamo questi ulteriori passaggi fondamentali:
“Penso che tra autori più importanti c’è
appunto Rahner nel suo famoso libro “Il problema di una etica
esistenziale formale” del 1969, dove propone un’etica centrata sui gradi
evolutivi della coscienza nella percezione della legge. In parole
povere, Rahner critica la formalità della legge morale e punta come
principio essenziale della moralità la coscienza della persona nel
confronto di essa. Dire che l’adulterio è sempre e ovunque un atto
disordinato sembrerebbe per Rahner un “formalismo” che non considera
adeguatamente la dimensione soggettiva dell’agire umano. Un cristiano
potrebbe vivere in adulterio per ragioni che la sua propria coscienza
giustifica e non per questo lasciare di essere un uomo o una donna di
buona volontà, quindi orientata al vero bene. Da qui l’idea della
gradualità della legge, tema centrale nella Relatio post disceptationem
dell’ ultimo Sinodo. Poi esclusa della Relatio finale…”
Quale danno ne deriva?
“…. la gradualità della legge consiste
nel presentare la legge morale “a tappe”, adeguandola al soggetto che la
ascolta. Ci sarebbe una separazione tra fede e vita morale, kerigma e
didaké. Ci sarebbe una priorità della fede sulla morale, della
misericordia sulla legge. Quest’ultima sarebbe una verità strumentale a
servizio della fede. Quindi una verità di seconda categoria, da
presentare in un “secondo momento”, in un “dopo la conversione”. La vita
morale è concepita come una scala, con vari gradini. La persona non
sarebbe obbligata a vivere tutta la legge (naturale o rivelata), ma un
pezzo di essa, fino a quando sia in grado di vivere il livello seguente.
Così non si dovrebbe chiedere a tutti gli uomini la totalità della
legge, ma proporla a seconda della cultura, stato di vita, circostanze,
etc. La legge morale si aggiusterebbe alla condizione di ognuno.
Un esempio potrebbe aiutare. Se per la
extra grande maggioranza dei giovani europei il sesso prematrimoniale è
pane quotidiano, è inutile insistere a dire che i rapporti
prematrimoniali sono peccato per i giovani europei. Magari in Africa
andrebbe bene dirlo, ma non nelle diocesi europee. Nella pratica la
“nuova morale” se la prende principalmente con la morale sessuale. È la
morale sessuale la pietra di scandalo della nuova morale.”
(…)
La
legge non è graduale. La legge è dato di natura o rivelazione. La legge
è fonte di gioia e descrizione di cosa è genuinamente umano. Non è un
peso sulla spalla degli uomini, ma la condizione sine qua non della sua
libertà.
La legge non è neppure “formale” come
intendono gli uomini di oggi, ma una descrizione di cosa è l’amore, la
giustizia e la misericordia. La legge di Dio è la forma dell’amore, è la
forma della misericordia. La legge è Cristo stesso, la rivelazione
dell’uomo all’uomo. Tutti gli atti intrinsecamente cattivi, quelli cui
presentazione si fa in forma negativa. Il non uccidere, non rubare, non
commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, il non desiderare la
roba d’altri, non desiderare la donna d’altri, non sono dei “no” che
limitano la nostra libertà, piuttosto sono dei “sì” alla vita che Dio ha
voluto per noi, sono quegli atti che i cristiani sempre hanno capito e
vissuto come intrinsecamente disordinati, e non sono passibili di
gradualità, perché sono la soglia minima per così dire della conversione
a Gesù….
(…)
L’esempio concreto è la scena
dell’adultera, ricordate? Tutti la ricordano, ricordano “chi è senza
peccato scagli la prima pietra”, ricordano “neppure io ti condanno”, ma
ciò che molti omettono è l’ultima frase: «va’ e d’ora in poi non peccare
più» (Gv 8,9). Non sapeva forse Gesù che l’uomo è facile alle cadute?
Ma è per questo che ci ha dato la grazia del Sacramento della
Penitenza…. ma se la nostra intenzione è quella di continuare a vivere
nel peccato, no scusate, non c’è gradualità che tenga…. Il gesto e tutta
la scena lasciano ben sperare che, in forza del pentimento della donna
adultera, la quale si attendeva invece la lapidazione come diceva la
legge, e a seguire quel perdono e quell’esperienza di salvezza fatta
nell’incontro con Gesù, ella sia stata capace di cambiare veramente
vita. Non nel senso che non abbia poi più commesso nessun tipo di
peccato, ma nel senso che non è stata più adultera, tanto che la
Tradizione patristica la inserisce nella sequela al Cristo, altre fonti
la riconoscono nella figura della Maddalena.
Ciò che dobbiamo fare a nostra volta è
questo: non scagliare la prima pietra, non voler lapidare il peccatore, e
a questo sono i tanti Santi che ci insegnano la vera misericordia. Il
Sacramento della Penitenza non è una bacchetta magica, ma è una vera
scuola per chi, come il Figliol prodigo vuole fare ritorno a Casa. La
salvezza entra nella casa di Zaccheo, sì, ma quando lui decide di
riparare il male fatto (Lc 19,1-10). Ma non soltanto. Gesù si fida degli
uomini, sa che siamo deboli, per questo è venuto, ma non pensa che
siamo incapaci alle altezze della vita morale, i Santi lo dimostrano e
migliaia di famiglie sane lo attestano.
Gesù non ha una visione pessimistica e
negativa dell’uomo, è fiducioso che essi sono in grado di seguirlo (Mc
2, 13-17). Il suo processo pedagogico, per così dire, non ha radice nel
peccato ma nella conversione che è dal principio negazione di ogni forma
di peccato. La Chiesa primitiva, che nessuno potrebbe in sana coscienza
giudicare non misericordiosa e accogliente, chiedeva ai catecumeni
l’abbandono di ogni forma di peccato.
Del resto è San Paolo che sempre afferma:
“Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un
vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!
L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo
diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il
favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di
Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli
uomini, non sarei più servitore di Cristo!
Vi dichiaro dunque, fratelli, che il
vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo…” (Gal.1, 8-12), un
passo che oggi non viene più citato.
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