Claudio Hummes: "Quei due terzi per il sì sono il via libera a Bergoglio per cambiare la Chiesa"
Il cardinale: "Da oggi siamo tutti meno timorosi, il Vangelo va portato senza paura dentro il mondo e le sue sfide"
A parlare con Repubblica non è un cardinale qualunque. Bensì Claudio Hummes, 81 anni, francescano, arcivescovo emerito di San Paolo, colui che in conclave era seduto accanto a Bergoglio. Suo grande amico, appena eletto gli disse: "Non dimenticarti dei poveri". Parole che portarono Bergoglio a scegliere un nome che nessun Papa prima di lui aveva mai preso.
Eminenza, Bergoglio è stato fedele a quel nome così impegnativo?
"Assolutamente sì. È un Papa amico dei poveri, della pace e che lavora per la cura del creato. Ha fatto tutto e continua a fare tutto per perseguire queste tre istanze, lasciando che san Francesco lo guidi. È davvero il pastore dei poveri e sono contento di averlo ispirato nella scelta del nome".
Che percorso ha visto la Chiesa ha intrapreso con questo Sinodo?
"Un percorso di comunione e di coraggio. Non c'è stato alcun compromesso, ma un generale appoggio a una nuova strada di apertura".
Però un terzo dei padri sinodali ha votato "no" ai paragrafi dedicati ai divorziati risposati.
"Preferisco partire dai due terzi che hanno votato "sì". È un bel risultato. È normale che su un punto così delicato vi sia chi non è d'accordo, ma occorre riconoscere che quei due terzi rappresentano per Francesco un bell'incoraggiamento. "Vai avanti", è come se gli avessero detto".
Il Sinodo sembrava diviso fra coloro che guardano al mondo con sospetto, e coloro che lo guardano senza paura. È così?
"Non ero presente al Sinodo e, dunque, non posso avere un giudizio preciso. Però mi sembra chiaro che oggi la Chiesa esce meno timorosa. E consapevole che il Vangelo va portato
http://www.repubblica.it/esteri/2015/10/26/news/claudio_hummes_quei_due_terzi_per_il_si_sono_il_via_libera_a_bergoglio_per_cambiare_la_chiesa_-125921883/?rss
Ecco cosa pensava Padre Pio della comunione ai conviventi. (Replay)
Alla messa vespertina del sabato, che nel nuovo rito ambrosiano si chiama vigiliare e non corrisponde alla pre-festiva, incontro sempre una vedova, che chiamerò Camilla, molto composta, che sta seduta quando c’è da stare in piedi, sta in piedi quando c’è da inginocchiarsi, non risponde quasi mai alle preghiere dell’assemblea e, dopo aver ricevuto la comunione all’altare centrale, si reca per pochi istanti a fare il ringraziamento ad uno laterale, chiamato della Madonna per un’immagine miracolosa lì raffigurata. Quindi torna al suo posto e sta seduta finché la messa è finita.
All’uscita le domando se il giorno successivo, domenica, la rivedrò in chiesa e mi risponde che ha già preso la pre-festiva. Comincio quindi a tenerle una catechesi sull’importanza di assolvere il precetto nel giorno stabilito dal Signore, visto che non ha motivi per astenersene, e le racconto di quando Padre Pio rimproverò una vedova poverissima che gli aveva confessato di lavorare anche la domenica per consegnare in tempo gli abiti che le signore le affidavano per ripararli.
Però non faccio in tempo a svolgere tutto il discorso che la mia interlocutrice, nel sentire nominare Padre Pio, ha un moto di stizza e mi interrompe dichiarando: “Padre Pio mi è antipatico.” Rimango di sasso e le domando spiegazioni. “Sì – mi chiarisce – mi è antipatico perché non volle dare la comunione a due miei cugini fidanzati”.
Va saputo che, una volta, per ricevere l’eucarestia ci si inginocchiava alla balaustra dell’altare e il sacerdote passava da destra a sinistra, e ritorno, deponendo l’ostia nella bocca dei fedeli intanto che il sagrestano, o un chierichetto, reggeva il piattino affinché, nel caso di un movimento maldestro, la particola non finisse in terra.
Velocemente mi raffiguro nella mente l’immagine dei due fidanzati inginocchiati e di Padre Pio che passa oltre, mentre intanto ribatto a Camilla: “Padre Pio aveva, tra gli altri, il dono della scrutazione dei cuori, i tuoi cugini saranno stati sicuramente in difetto”
Abbandonato il tono aggressivo, mi risponde: “Convivevano – aggiungendo subito – però poi si sono sposati.” Come a dire: “E lui doveva saperlo che era un peccatuccio temporaneo…”
Per farle comprendere come quel grandissimo mistico giudicava le convivenze fuori dal matrimonio, nella speranza anche che si riconcili in cuor suo con lui, le racconto due episodi che al giorno d’oggi costituirebbero dei gossip.
Negli anni cinquanta-sessanta, grazie ai buoni uffici di Carlo Campanini, un attore che era diventato figlio spirituale di Padre Pio, molti artisti si recavano a S. Giovanni Rotondo accompagnati da lui, oppure autonomamente per chiedere grazie.
Un giorno capitò lì una bell’attrice di successo, di cui è inutile fare il nome perché è passata quell’epoca e lei è scomparsa da molti anni. La donna si rivolse al Santo per ottenere la guarigione del suo innamorato, colpito da un cancro inguaribile. “Non posso ottenerti questa grazia – le rispose – perché quell’uomo non ti appartiene, è di un’altra donna da cui ha avuto anche dei figli. Se vuoi che guarisca lo devi lasciare e mettere te e lui in grazia di Dio.”
La poveretta, che era follemente invaghita di quell’uomo, all’udir la sentenza si sentì morire e non trovò la forza di decidersi immediatamente per quell’estremo atto di amore. Uscita dal confessionale si sciolse in singhiozzi disperati, incurante degli sguardi di coloro che l’avevano riconosciuta.
La videro per vari giorni in chiesa, raccolta in preghiera e in lacrime, mentre Padre Pio, a cui nulla sfuggiva, certamente pregava per lei. Infatti, tornata in confessionale, dichiarò la sua decisione di accettare quanto il Signore le chiedeva. L’uomo, com’era da aspettarsi, guarì e lei non risulta che abbia avuto altre storie.
Molto diversamente andò invece con un famosissimo presentatore, che il buon Campanini portò varie volte a S. Giovanni perché cambiasse vita, come aveva fatto lui stesso.
Costui, separato dalla moglie, conviveva con un’attrice, ma non aveva alcuna intenzione di lasciarla, nonostante fosse un credente. Racconta Renzo Allegri nel terzo volume del libro Vita e miracoli di Padre Pio che un giorno l’uomo giunse a S. Giovanni per incontrare il Padre e, vistolo, tirò fuori dalla tasca un rotolo di biglietti da diecimila che offrì per la costruzione dell’ospedale.
Padre Pio lo trattò molto freddamente e preso uno dei biglietti, fattosi dare la penna stilografica che l’uomo teneva nel taschino dell’abito, vi scrisse sopra qualcosa e glielo porse. Il presentatore, a leggere, impallidì.
Ad un giovane frate che poi gli chiese spiegazione dei suoi modi rispose: “Tu non sai com’è inguaiato questo disgraziato!” Il “disgraziato” morì poco dopo in seguito ad un incidente.
Ma Padre Pio non è stato l’unico mistico a conoscere lo stato dell’anima di chi gli si rivolgeva e quale debba essere la disposizione giusta per ricevere Nostro Signore.
Nel suo documentatissimo libro sul Curato d’Ars, François Trochu, che ha utilizzato come fonti gli atti della causa di canonizzazione, riferisce di un giorno in cui arrivò in quel villaggio una giovane ammiratrice di quel Santo, che voleva far conoscere alla sue amiche.
Giunsero da Parigi in carrozza ridendo e scherzando, contente del prossimo incontro, e in quello stato d’animo gaio parteciparono alla messa. Al momento di ricevere la comunione però S. Giovanni Maria Vianney restò fermo con l’ostia sospesa dinnanzi alla giovane inginocchiata, in atteggiamento di attendere qualcosa.
La poveretta, turbata e imbarazzata, non sapeva il da farsi e, in quegli interminabili attimi, cominciò a recitare dentro di sé prima l’atto di fede, poi quello di speranza, dopo quello di carità… finché il Curato giudicò arrivato il momento di porle la particola.
Recatasi poi in sagrestia per salutarlo, si sentì rimbrottare da lui: “Non si può ricevere Gesù senza aver pregato”, le disse benevolmente.
Non risultano suoi episodi riguardanti i conviventi, ma sicuramente nelle stesse circostanze si sarebbe comportato esattamente come Padre Pio. Infatti quello che pensava è chiarito da un colloquio riferito sempre dal Trochu. Un giorno, mentre tornava dall’aver portato l’eucarestia ad un’anziana ammalata, trovò davanti alla chiesa la solita folla di fedeli che l’attendevano. Si fece avanti un giovane arrogante che l’apostrofò: “Curato, voglio parlare con lei di religione.” Senza nemmeno voltarsi, il Santo procedette rispondendogli calmo: “Che vuoi parlare, ché ne sai quanto un bambino!”
Per quanto riguarda invece Camilla, sembra che dopo tutto il mio raccontare abbia appreso qualcosa, perché ora si reca a messa anche la domenica.
Più difficile però è far capire ai credenti Chi è Colui che si va a ricevere e in quali disposizioni di grazia interiore ci si debba accostare a Lui.
Paola de Lillo
http://www.lamadredellachiesa.it/ecco-cosa-pensava-padre-pio-della-comunione-ai-conviventi/
All’uscita le domando se il giorno successivo, domenica, la rivedrò in chiesa e mi risponde che ha già preso la pre-festiva. Comincio quindi a tenerle una catechesi sull’importanza di assolvere il precetto nel giorno stabilito dal Signore, visto che non ha motivi per astenersene, e le racconto di quando Padre Pio rimproverò una vedova poverissima che gli aveva confessato di lavorare anche la domenica per consegnare in tempo gli abiti che le signore le affidavano per ripararli.
Però non faccio in tempo a svolgere tutto il discorso che la mia interlocutrice, nel sentire nominare Padre Pio, ha un moto di stizza e mi interrompe dichiarando: “Padre Pio mi è antipatico.” Rimango di sasso e le domando spiegazioni. “Sì – mi chiarisce – mi è antipatico perché non volle dare la comunione a due miei cugini fidanzati”.
Va saputo che, una volta, per ricevere l’eucarestia ci si inginocchiava alla balaustra dell’altare e il sacerdote passava da destra a sinistra, e ritorno, deponendo l’ostia nella bocca dei fedeli intanto che il sagrestano, o un chierichetto, reggeva il piattino affinché, nel caso di un movimento maldestro, la particola non finisse in terra.
Velocemente mi raffiguro nella mente l’immagine dei due fidanzati inginocchiati e di Padre Pio che passa oltre, mentre intanto ribatto a Camilla: “Padre Pio aveva, tra gli altri, il dono della scrutazione dei cuori, i tuoi cugini saranno stati sicuramente in difetto”
Abbandonato il tono aggressivo, mi risponde: “Convivevano – aggiungendo subito – però poi si sono sposati.” Come a dire: “E lui doveva saperlo che era un peccatuccio temporaneo…”
Per farle comprendere come quel grandissimo mistico giudicava le convivenze fuori dal matrimonio, nella speranza anche che si riconcili in cuor suo con lui, le racconto due episodi che al giorno d’oggi costituirebbero dei gossip.
Negli anni cinquanta-sessanta, grazie ai buoni uffici di Carlo Campanini, un attore che era diventato figlio spirituale di Padre Pio, molti artisti si recavano a S. Giovanni Rotondo accompagnati da lui, oppure autonomamente per chiedere grazie.
Un giorno capitò lì una bell’attrice di successo, di cui è inutile fare il nome perché è passata quell’epoca e lei è scomparsa da molti anni. La donna si rivolse al Santo per ottenere la guarigione del suo innamorato, colpito da un cancro inguaribile. “Non posso ottenerti questa grazia – le rispose – perché quell’uomo non ti appartiene, è di un’altra donna da cui ha avuto anche dei figli. Se vuoi che guarisca lo devi lasciare e mettere te e lui in grazia di Dio.”
La poveretta, che era follemente invaghita di quell’uomo, all’udir la sentenza si sentì morire e non trovò la forza di decidersi immediatamente per quell’estremo atto di amore. Uscita dal confessionale si sciolse in singhiozzi disperati, incurante degli sguardi di coloro che l’avevano riconosciuta.
La videro per vari giorni in chiesa, raccolta in preghiera e in lacrime, mentre Padre Pio, a cui nulla sfuggiva, certamente pregava per lei. Infatti, tornata in confessionale, dichiarò la sua decisione di accettare quanto il Signore le chiedeva. L’uomo, com’era da aspettarsi, guarì e lei non risulta che abbia avuto altre storie.
Molto diversamente andò invece con un famosissimo presentatore, che il buon Campanini portò varie volte a S. Giovanni perché cambiasse vita, come aveva fatto lui stesso.
Costui, separato dalla moglie, conviveva con un’attrice, ma non aveva alcuna intenzione di lasciarla, nonostante fosse un credente. Racconta Renzo Allegri nel terzo volume del libro Vita e miracoli di Padre Pio che un giorno l’uomo giunse a S. Giovanni per incontrare il Padre e, vistolo, tirò fuori dalla tasca un rotolo di biglietti da diecimila che offrì per la costruzione dell’ospedale.
Padre Pio lo trattò molto freddamente e preso uno dei biglietti, fattosi dare la penna stilografica che l’uomo teneva nel taschino dell’abito, vi scrisse sopra qualcosa e glielo porse. Il presentatore, a leggere, impallidì.
Ad un giovane frate che poi gli chiese spiegazione dei suoi modi rispose: “Tu non sai com’è inguaiato questo disgraziato!” Il “disgraziato” morì poco dopo in seguito ad un incidente.
Ma Padre Pio non è stato l’unico mistico a conoscere lo stato dell’anima di chi gli si rivolgeva e quale debba essere la disposizione giusta per ricevere Nostro Signore.
Nel suo documentatissimo libro sul Curato d’Ars, François Trochu, che ha utilizzato come fonti gli atti della causa di canonizzazione, riferisce di un giorno in cui arrivò in quel villaggio una giovane ammiratrice di quel Santo, che voleva far conoscere alla sue amiche.
Giunsero da Parigi in carrozza ridendo e scherzando, contente del prossimo incontro, e in quello stato d’animo gaio parteciparono alla messa. Al momento di ricevere la comunione però S. Giovanni Maria Vianney restò fermo con l’ostia sospesa dinnanzi alla giovane inginocchiata, in atteggiamento di attendere qualcosa.
La poveretta, turbata e imbarazzata, non sapeva il da farsi e, in quegli interminabili attimi, cominciò a recitare dentro di sé prima l’atto di fede, poi quello di speranza, dopo quello di carità… finché il Curato giudicò arrivato il momento di porle la particola.
Recatasi poi in sagrestia per salutarlo, si sentì rimbrottare da lui: “Non si può ricevere Gesù senza aver pregato”, le disse benevolmente.
Non risultano suoi episodi riguardanti i conviventi, ma sicuramente nelle stesse circostanze si sarebbe comportato esattamente come Padre Pio. Infatti quello che pensava è chiarito da un colloquio riferito sempre dal Trochu. Un giorno, mentre tornava dall’aver portato l’eucarestia ad un’anziana ammalata, trovò davanti alla chiesa la solita folla di fedeli che l’attendevano. Si fece avanti un giovane arrogante che l’apostrofò: “Curato, voglio parlare con lei di religione.” Senza nemmeno voltarsi, il Santo procedette rispondendogli calmo: “Che vuoi parlare, ché ne sai quanto un bambino!”
Per quanto riguarda invece Camilla, sembra che dopo tutto il mio raccontare abbia appreso qualcosa, perché ora si reca a messa anche la domenica.
Più difficile però è far capire ai credenti Chi è Colui che si va a ricevere e in quali disposizioni di grazia interiore ci si debba accostare a Lui.
Paola de Lillo
http://www.lamadredellachiesa.it/ecco-cosa-pensava-padre-pio-della-comunione-ai-conviventi/
Sui divorziati i parroci frenano «Per adesso non cambia nulla»
Il Messaggero
(Franca Giansoldati) Si spengono le luci. I padri sinodali tornano a casa, la maggior parte di loro risiede in altri continenti e dovrà affrontare viaggi molto lunghi. Nel piccolo Stato pontificio, così come nell'aula sinodale all'interno della Sala Nervi dove per tre settimane si sono ascoltati oltre 700 interventi, regna la quiete.
I grandi network televisivi hanno provveduto a smontare le postazioni e la selva di telecamere pigiata dietro le transenne, è svanita come d'incanto, lasciando spazio a una lunga sequela di interrogativi. Nelle parrocchie dove scorre la quotidianità dei fedeli, dove ci si confronta con la vita reale, dove le famiglie fragili e problematiche misurano il grado di inclusione o esclusione, ci si chiede: E adesso? Bella domanda.
LA DELOCALIZZAZIONE
Nel documento finale del Sinodo sono stati delineati alcuni passaggi che permetteranno una fase più misericordiosa verso i divorziati risposati o verso i gay e le loro famiglie. È stato detto: sui divorziati si decide caso per caso; la strada è quella del discernimento che serve per valutare se concedere o meno l'eucarestia oppure no. È stato anche votato se accogliere i divorziati in ruoli nuovi, facendo fare loro i padrini o le madrine ai battesimi o alle cresime, cosa che prima era interdetto. Insomma una “delocalizzazione” importante che all'indomani del Sinodo sulla Famiglia non può che essere foriera di aspettative ma anche tanta confusione. Perché ancora nessuno può sapere quando la nuova fase avrà inizio, né come. «È chiaro che per ora non cambia nulla. Il documento sinodale, frutto di queste tre settimane, ha valore consultivo e non deliberativo. Spetta al Papa elaborare una Esortazione» spiega don Walter Insero, portavoce del Vicariato dal quale dipendono le oltre 300 parrocchie romane. Impossibile dire quando sarà, forse fra un anno, forse meno, tutto è nelle mani di Francesco. «In ogni caso mi auguro che ogni sacerdote nel frattempo legga il testo per una riflessione personale. Ma immaginare una modifica attuativa dall'oggi al domani è prematuro».Il timore, però, è anche un altro. «A causa della confusione fatta dai mass media, non vorrei che i fedeli si presentassero in parrocchia».
LA CONFUSIONE
Che tutto sia prematuro, un po’ confuso e non immediato, lo fa capire anche monsignor Guerino di Tora, uno dei vescovi ausiliari di Roma. «Io personalmente non ho ancora letto il documento, tra ieri e oggi sono stato a visitare parrocchie. La situazione al momento è quella di sempre. Ai divorziati risposati non è mai stato chiuso nessuno spazio possibile. Certo ci sono dei divieti canonici che rimangono in vigore, tuttavia il lavoro è di garantire accoglienza». Don Guerino considera la situazione romana con una certa soddisfazione. «Le nostre parrocchie in genere sono accoglienti e lo posso testimoniare. Vi possono essere sfumature, ma questo dipende dalla sensibilità del parroco. Ci sono parroci pronti ad andare più incontro alle fragilità umane, altri invece che posano l'accento più sul metodo o sulla prassi. Ma l'accoglienza ai divorziati c'è già, per esempio sul fronte della carità, vengono incaricati di andare a trovare i malati, o lavorare nelle strutture delle Caritas».
LA CAPACITÀ DI ASCOLTARE
Don Fernando Altieri, parroco di lungo corso, 11 anni alla parrocchia di San Carlo Borromeo sulla Laurentina e altrettanti a fare il rettore del santuario del Divino Amore, non ha dubbi. Bisogna solo attendere l'uscita della Esortazione Apostolica e vedere che tipo di applicazioni pratiche ci saranno. In ogni caso, assicura, il grado di inclusione e di misericordia dipende già dal parroco, dalla sua capacità di ascolto. «Quando mi trovavo alla parrocchia della Fonte Laurentina, un quartiere nuovo cresciuto tantissimo, fino ad arrivare a 20 mila abitanti, mi sono reso subito conto che il contesto sociale era composto da famiglie nate dalle ceneri di precedenti unioni e matrimoni. La realtà è questa e non possiamo non prenderne atto. La linea che ho tenuto era quella della massima apertura,garantendo inclusione a tutti».
I grandi network televisivi hanno provveduto a smontare le postazioni e la selva di telecamere pigiata dietro le transenne, è svanita come d'incanto, lasciando spazio a una lunga sequela di interrogativi. Nelle parrocchie dove scorre la quotidianità dei fedeli, dove ci si confronta con la vita reale, dove le famiglie fragili e problematiche misurano il grado di inclusione o esclusione, ci si chiede: E adesso? Bella domanda.
LA DELOCALIZZAZIONE
Nel documento finale del Sinodo sono stati delineati alcuni passaggi che permetteranno una fase più misericordiosa verso i divorziati risposati o verso i gay e le loro famiglie. È stato detto: sui divorziati si decide caso per caso; la strada è quella del discernimento che serve per valutare se concedere o meno l'eucarestia oppure no. È stato anche votato se accogliere i divorziati in ruoli nuovi, facendo fare loro i padrini o le madrine ai battesimi o alle cresime, cosa che prima era interdetto. Insomma una “delocalizzazione” importante che all'indomani del Sinodo sulla Famiglia non può che essere foriera di aspettative ma anche tanta confusione. Perché ancora nessuno può sapere quando la nuova fase avrà inizio, né come. «È chiaro che per ora non cambia nulla. Il documento sinodale, frutto di queste tre settimane, ha valore consultivo e non deliberativo. Spetta al Papa elaborare una Esortazione» spiega don Walter Insero, portavoce del Vicariato dal quale dipendono le oltre 300 parrocchie romane. Impossibile dire quando sarà, forse fra un anno, forse meno, tutto è nelle mani di Francesco. «In ogni caso mi auguro che ogni sacerdote nel frattempo legga il testo per una riflessione personale. Ma immaginare una modifica attuativa dall'oggi al domani è prematuro».Il timore, però, è anche un altro. «A causa della confusione fatta dai mass media, non vorrei che i fedeli si presentassero in parrocchia».
LA CONFUSIONE
Che tutto sia prematuro, un po’ confuso e non immediato, lo fa capire anche monsignor Guerino di Tora, uno dei vescovi ausiliari di Roma. «Io personalmente non ho ancora letto il documento, tra ieri e oggi sono stato a visitare parrocchie. La situazione al momento è quella di sempre. Ai divorziati risposati non è mai stato chiuso nessuno spazio possibile. Certo ci sono dei divieti canonici che rimangono in vigore, tuttavia il lavoro è di garantire accoglienza». Don Guerino considera la situazione romana con una certa soddisfazione. «Le nostre parrocchie in genere sono accoglienti e lo posso testimoniare. Vi possono essere sfumature, ma questo dipende dalla sensibilità del parroco. Ci sono parroci pronti ad andare più incontro alle fragilità umane, altri invece che posano l'accento più sul metodo o sulla prassi. Ma l'accoglienza ai divorziati c'è già, per esempio sul fronte della carità, vengono incaricati di andare a trovare i malati, o lavorare nelle strutture delle Caritas».
LA CAPACITÀ DI ASCOLTARE
Don Fernando Altieri, parroco di lungo corso, 11 anni alla parrocchia di San Carlo Borromeo sulla Laurentina e altrettanti a fare il rettore del santuario del Divino Amore, non ha dubbi. Bisogna solo attendere l'uscita della Esortazione Apostolica e vedere che tipo di applicazioni pratiche ci saranno. In ogni caso, assicura, il grado di inclusione e di misericordia dipende già dal parroco, dalla sua capacità di ascolto. «Quando mi trovavo alla parrocchia della Fonte Laurentina, un quartiere nuovo cresciuto tantissimo, fino ad arrivare a 20 mila abitanti, mi sono reso subito conto che il contesto sociale era composto da famiglie nate dalle ceneri di precedenti unioni e matrimoni. La realtà è questa e non possiamo non prenderne atto. La linea che ho tenuto era quella della massima apertura,garantendo inclusione a tutti».
Chiesa: spaccata (e unita).
Chiesa unita e spaccata. L’immagine che esce dal Sinodo appena concluso è quello di una Chiesa unita su molti grandi temi, ma con forti e significative resistenze e perplessità a correre il rischio di voler bypassare in confessionale una tradizione secolare, e il senso comunente dato alle parole evangeliche sul matrimonio.
Chiesa unita e spaccata. L’immagine che esce dal Sinodo appena concluso è quello di una Chiesa unita su molti grandi temi, ma con forti e significative resistenze e perplessità a correre il rischio di voler bypassare in confessionale una tradizione secolare, e il senso comunente dato alle parole evangeliche sul matrimonio.
Il Sinodo non decide, ci è stato detto molte volte, anche se adesso, improvvisamente, grazie a questo voto sul paragrafo che riguarda i divorziati risposati sembra che sì, abbia deciso. E’ inutile ricordare che già dai tempi della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II questo tipo di discernimento era pratica corrente per molti, moltissimi confessori; la inevitabile semplificazione mediatica, favorita da chi desidera sottolineare la carica di innovazione, non tiene conto di realtà e sottigliezze.
Il Papa recepirà la Relatio finale, e poi ne farà l’uso che vuole. Facile immaginare che l’esito sarà nella linea che papa Francesco ha appoggiato e favorito sin dal febbraio 2014, quando parlò delle parole di Kasper come di una “teologia in ginocchio”.
Segreteria del Sinodo e il partito filo-tedesco, organizzato, capillare e attivo - a quanto ci viene detto – hanno lavorato bene, come la vecchia talpa di buona memoria. Non è stato trascurato niente che potesse aiutare allo scopo. Compreso il numero monstre di invitati papali con diritto di voto – quarantacinque su 270 – in larghissima maggioranza favorevoli alla tesi tedesca. Per bilanciare, forse, la reale rappresentanza del Sinodo, quella eletta dalle Conferenze Episcopali.
Anche se l’appariscente esiguità del consenso, e la posizione di Chiese certamente non accusabili di merletti curiali, come quelle del continente africano, o dell'America del Nord, per esempio, forse ora consiglierebbe prudenza, più che slancio.
http://www.lastampa.it/2015/10/25/blogs/san-pietro-e-dintorni/chiesa-spaccata-e-unita-90gTSkECcSbpNzqxHMlBTP/pagina.html
La Stampa
La Stampa
(Giacomo Galeazzi e Lodovico Poletto) Non è una domenica come le altre nelle parrocchie. È il giorno dell’«emersione» della comunione ai divorziati risposati. Prassi già diffusa e ora «sdoganata» dal Sinodo. A San Giuseppe nella periferica Valle Aurelia la messa è affollata. «Chiedono di fare la comunione, mi regolo caso per caso», spiega don Giuseppe Grazioli. Sempre a Roma, un altro parroco di borgata don Renzo Chiesa attende a San Gregorio Magno alla Magliana «istruzioni dal Papa dopo il Sinodo».
Fine delle incomprensioni
Fine delle incomprensioni
«Continuerò a comportarmi come ho sempre fatto, ascoltando le persone perché ogni situazione è diversa dall’altra - afferma il parroco di San Pio V, don Donato Le Pera nel quartiere romano Aurelio -. Il Sinodo conferma un modo di agire». Due ascoltano e abbracciano il sacerdote: «Siamo grati a Francesco, è come uscire dalle catacombe», osservano. Non solo nella città eterna. Stesse reazioni a Torino: «La prima impressione? Il Sinodo ha stabilito cose che, in molte parrocchie, già si facevano. E che supera certe rigidità che forse non avevano senso». Alle sette di sera Giancarlo Andrà, membro del Consiglio pastorale della parrocchia San Giulio d’Orta, butta lì la sua impressione di uomo di fede operosa in una delle decine di chiese di Torino. Dire che è contento è un po’ complicato.
Ma lui, come tutti quei fedeli che, ieri, domenica, hanno ascoltato le parole dei sacerdoti a commento del vangelo di Matteo, dice: «È presto per capire pienamente la portata delle aperture operate dai padri Sinodali. Occorrerà del tempo per meglio comprendere la portata di questo cambiamento». Che poi, in pratica, come dice Andrà, ufficializza pratiche che già si esistevano. Ma non se ne parlava. E per capirle meglio bisogna bussare alla porta della chiesa dei padri camilliani, nel cuore della Torino storica. È qui, in questa strada del centro che i Camilliani hanno sempre accolto chi, seppur divorziato, cercava il conforto della fede e dell’eucarestia. Padre Antonio Menegon, che di questo gruppo di sacerdoti è il responsabile non nasconde le scelte - fino a ieri controcorrente - che lui, e gli altri padri, hanno sempre fatto. Dice: «Noi siamo a servizio dei malati. E salvezza e la consolazione abbiamo sempre cercato di darla oltre che al corpo anche allo spirito». Il motivo è semplice: «Chi, divorziato, chiede l’eucarestia, lo fa perchè ne sente il bisogno. Perchè è un’esigenza dell’anima. Come avremmo potuto dire no ad una persona che soffre, che ha fatto un percorso? La nostra Chiesa è accoglienza, e l’abbiamo praticata anche così».
Porte aperte in chiesa
Prassi già in parte diffusa, e sulla quale ci sono delle iniziali aperture nel documento finale del Sinodo. In silenzio. E spesso guardati di traverso - ma anche aspramente criticati - da chi, purista del dogma e della legge, avrebbe voluto che questa piccola chiesa non fosse terreno di sperimentazioni che all’epoca sembravano molto lontane. «Invece Francesco ha capito - commenta ancora padre Menegon -. Questo Papa meraviglioso è andato al cuore del vangelo, perchè Dio è misericordia».
Certo non è tutto così facile, così scontato. Se davanti alla Gran Madre di Dio, uno dei templi simbolo della Torino cattolica, i fedeli preferiscono glissare, parlare di apertura di «un Papa che sa parlare al cuore della gente», è nelle sagrestie che ci si interroga di più. Ancora Menegon: «La discrezionalità lasciata ai sacerdoti è forse l’unico aspetto sul quale si potrebbe discutere». Scusi, padre, per quale ragione? «Ce ne sono due», precisa. La prima è che non tutti i sacerdoti sono uguali, e pensano allo stesso modo. Così potrebbe verificarsi che qualcuno sia più aperto ed altri più intransigenti. E questo potrebbe causare quale problema». Il secondo? «Che i i fedeli potrebbero andare alle ricerca di quei preti più disponibili. Ma è un guaio da poco. Ciò che conta è l’apertura». Passo dopo passo, la rivoluzione pastorale.
Ma lui, come tutti quei fedeli che, ieri, domenica, hanno ascoltato le parole dei sacerdoti a commento del vangelo di Matteo, dice: «È presto per capire pienamente la portata delle aperture operate dai padri Sinodali. Occorrerà del tempo per meglio comprendere la portata di questo cambiamento». Che poi, in pratica, come dice Andrà, ufficializza pratiche che già si esistevano. Ma non se ne parlava. E per capirle meglio bisogna bussare alla porta della chiesa dei padri camilliani, nel cuore della Torino storica. È qui, in questa strada del centro che i Camilliani hanno sempre accolto chi, seppur divorziato, cercava il conforto della fede e dell’eucarestia. Padre Antonio Menegon, che di questo gruppo di sacerdoti è il responsabile non nasconde le scelte - fino a ieri controcorrente - che lui, e gli altri padri, hanno sempre fatto. Dice: «Noi siamo a servizio dei malati. E salvezza e la consolazione abbiamo sempre cercato di darla oltre che al corpo anche allo spirito». Il motivo è semplice: «Chi, divorziato, chiede l’eucarestia, lo fa perchè ne sente il bisogno. Perchè è un’esigenza dell’anima. Come avremmo potuto dire no ad una persona che soffre, che ha fatto un percorso? La nostra Chiesa è accoglienza, e l’abbiamo praticata anche così».
Porte aperte in chiesa
Prassi già in parte diffusa, e sulla quale ci sono delle iniziali aperture nel documento finale del Sinodo. In silenzio. E spesso guardati di traverso - ma anche aspramente criticati - da chi, purista del dogma e della legge, avrebbe voluto che questa piccola chiesa non fosse terreno di sperimentazioni che all’epoca sembravano molto lontane. «Invece Francesco ha capito - commenta ancora padre Menegon -. Questo Papa meraviglioso è andato al cuore del vangelo, perchè Dio è misericordia».
Certo non è tutto così facile, così scontato. Se davanti alla Gran Madre di Dio, uno dei templi simbolo della Torino cattolica, i fedeli preferiscono glissare, parlare di apertura di «un Papa che sa parlare al cuore della gente», è nelle sagrestie che ci si interroga di più. Ancora Menegon: «La discrezionalità lasciata ai sacerdoti è forse l’unico aspetto sul quale si potrebbe discutere». Scusi, padre, per quale ragione? «Ce ne sono due», precisa. La prima è che non tutti i sacerdoti sono uguali, e pensano allo stesso modo. Così potrebbe verificarsi che qualcuno sia più aperto ed altri più intransigenti. E questo potrebbe causare quale problema». Il secondo? «Che i i fedeli potrebbero andare alle ricerca di quei preti più disponibili. Ma è un guaio da poco. Ciò che conta è l’apertura». Passo dopo passo, la rivoluzione pastorale.
http://ilsismografo.blogspot.it/2015/10/italia-francesco-ci-porta-fuori-dalle.html
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.