«Per avere una risposta chiara alle vostre domande», mi dice sorridendo P. Thomas Michelet Op, «io direi ai vostri lettori di leggere un bel commento di P. John Hunwike, ex anglicano ora incardinato nell’Ordinariato Personale di Our Lady of Walsingham». Il giovane teologo domenicano, già autore di un articolo sul tema della comunione ai divorziati risposati sulla famosa rivista Nova et Vetera (clicca qui), mi prende in contropiede. «Mi scusi», chiedo, «ma per avere risposte cattoliche devo chiedere ad un ex prete anglicano?». Ride. «No, però la sua esperienza è interessante».
Allora cominciamo da P. Hunwike, il quale scrive, senza mezzi termini, che la ricerca di una via penitenziale per concedere la comunione ai divorziati risposati è cosa «noiosa». Teologo, ex professore di latino e greco al Lancing College, ricercatore ad Oxford, forse esagera con lo humor. Però dice che gli anglicani hanno «cercato di implementare queste idee nella Chiesa d’Inghilterra anni fa, e hanno dimostrato di essere soltanto un primo passo verso l’accettazione automatica di tutte le unioni di fatto».
Quindi, dire che quello che si cerca al Sinodo è soltanto un cambiamento delle disposizioni disciplinari della Chiesa, come sostengono alcuni fuori e dentro l’Aula sinodale, è corretto, oppure no?
«La parola disciplina viene spesso utilizzata per descrivere un insieme di disposizioni giuridiche definite dalla Chiesa. Così, molti comprendono questa parola alla maniera delle leggi umane: ciò che la Chiesa legifera, si può cambiare. Questo è legalismo, e positivismo giuridico. Così, gli inglesi dicevano: "il Parlamento può fare tutto, salvo cambiare un uomo in una donna". Ma, anche questo ultimo limite sembra essere saltato. Non potremo mai capire il dato del problema se non ammettiamo che la Chiesa non può fare qualsiasi cosa; è custode e serva del mistero divino, non proprietaria».
E allora, nel caso dei divorziati risposati e l’accesso all’Eucaristia che succede?
«La disciplina è l’arte di essere discepoli. Non è principalmente una legge. Quindi non tutto è messo sullo stesso piano: alcune cose possono essere cambiate, altre no. Poiché alcune disposizioni sono semplici decisioni della Chiesa, assistita dallo Spirito Santo a governare il popolo di Dio. Altre sono espressione della legge divina, che Dio stesso pone, e che la Chiesa non può cambiare perché non è lei che ha deciso: non fa che ripeterle. La comunione ai divorziati risposati appartiene al secondo livello: la Chiesa non ha alcun potere di cambiare. Altrimenti, se lo facesse, cambierebbe il Vangelo. E non sarebbe più la Chiesa».
Però non mancano accuse di fissismo giuridico alla Chiesa. Come trovare l’equilibrio che non faccia cadere nell’interpretazione positivistica delle leggi ecclesiastiche e, nello stesso tempo, eviti l’accusa di fissismo?
«É vero, le leggi ecclesiastiche non sono leggi divine, ma le leggi della Chiesa non sono tutte leggi ecclesiastiche. Alcune non fanno che esprimere il diritto divino. Per esempio, in liturgia Dio non emana dei rituali. Ma un rituale sarà giusto e vero quando sarà “adeguato con la realtà” che celebra, vale a dire il Mistero di Dio. Si tratta, quindi, di un criterio di verità. Non si può ammettere questo criterio se non si accetta che la Chiesa ha in carico un deposito sacro sul quale non ha alcun potere e che deve trasmettere fedelmente. Per uscire dal positivismo bisogna dunque ammettere la trascendenza, e l’articolazione necessaria tra questi segni visibili, che sono le leggi o i rituali o le definizioni dogmatiche, da una parte, e la verità che questi segni esprimono, che è la realtà invisibile del mistero. Il giusto equilibrio quindi è quello della fede teologale, che non si ferma all’enunciato, ma che raggiunge la realtà che l’enunciato contiene».
Qualcuno, ad esempio i padri sinodali del circolo Germanicus, si richiamano al principio di epikeia per indicare la possibilità di affrontare le vicende delle coppie di divorziati risposati “caso per caso”.
«Il criterio dell’epikeia è esso stesso controverso. Prendere un principio di questo tipo per risolvere contenziosi controversi, scusate il gioco di parole, mi sembra… controverso. Il criterio dell’epikeia interviene quando il legislatore non si è pronunciato su di una determinata situazione. Quindi, siccome si deve rendere tutto alla giustizia, si deve trattare il caso come il legislatore l’avrebbe trattato, se questo caso fosse venuto alla conoscenza del legislatore. Ma noi non siamo affatto in questa situazione: si tratta di diritto divino, non ci sono dei casi di cui Dio non possa avere conoscenza perché vede tutto dall’eternità, e inoltre sul caso specifico s’è già espresso. Quindi richiamare il principio di epikeia mi sembra fuori luogo».
Padre Thomas, mi scusi, cosa dire allora alle persone che si trovano in unioni “di fatto”?
«Che la Chiesa ha sempre le porte aperte. Tutti siamo chiamati a vivere in grazia di Dio, e per farlo dobbiamo imparare a chiedere perdono dei nostri peccati. Chi vuole ricevere l’Eucaristia deve prima chiedere perdono nel sacramento della penitenza. E chi vuole ricevere l’assoluzione nel sacramento della penitenza deve cambiare vita, rinunciare al suo peccato. Se si modifica la "disciplina" dell'Eucaristia su questo, si modifica il Vangelo. Che è un messaggio di salvezza misericordiosa per i peccatori, non una parola rivolta a coloro che si credono giusti e pensano di non avere bisogno di perdono».
19-10-2015
I "deliramenta" di Cupich
19-10-2015
Non so se lo fanno ancora oggi, ma quand'ero bambino uno dei giochini che preferivo delle riviste di enigmistica era "trova le differenze". Mi è venuto in mente mentre leggevo le dichiarazioni di monsignor Blaise J. Cupich, arcivescovo dell'importantissima diocesi di Chicago, durante la conferenza stampa di venerdì a margine del Sinodo sulla famiglia che in occasione della sua apertura ha visto pregare così tante persone per il suo buon esito.
Riguardo la contraccezione, negli anni '60 molti teologi ed intere conferenze episcopali impiegarono l'argomento della coscienza soggettiva per sterilizzare (è un termine qui singolarmente appropriato) la dottrina bimillenaria della Chiesa ribadita da Papa Paolo VI con l'enciclica Humanae vitae. La conferenza episcopale belga istruiva il fedele a «seguire la sua convinzione» se «giunge ad altre conclusioni». I vescovi tedeschi ammonivano il proprio clero «soprattutto nell’amministrazione dei sacramenti, a rispettare le decisioni personali della coscienza dei fedeli». L'episcopato austriaco scriveva che chi «giunge a questa convinzione divergente può seguirla». Nel paragrafo 26 della dichiarazione di Winnipeg i presuli canadesi fecero altrettanto: «Chiunque scelga il corso che gli sembra giusto, lo fa in buona coscienza».
I reporters che seguono i lavori del Sinodo hanno potuto ascoltare la riproposizione di questa tesi: «Se le persone giungono ad una decisione in coscienza allora il nostro compito è quello di aiutarli ad andare avanti e rispettarla. La coscienza è inviolabile e dobbiamo rispettarla quando prendono le decisioni, e io l'ho sempre fatto».
Con queste parole monsignor Cupich ha dato sostegno alla proposta di dare la Comunione ai divorziati risposati. Da vescovo della diocesi di Spokane di sicuro egli fu consigliato dalla propria coscienza nel proibire ai sacerdoti di partecipare alle semestrali veglie di preghiera "40 giorni per la vita", una delle più importanti iniziative antiabortiste che dal 2004 mobilita il mondo pro-life americano ed è giunta a coinvolgere ben 25 nazioni nell'ultima edizione.
Per il presule americano lo stesso criterio vale anche per le persone che compongono le relazioni gay: «Penso che anche le persone omosessuali siano esseri umani e hanno una coscienza. E il mio ruolo di pastore è quello di aiutarli a discernere qual è la volontà di Dio guardando l'insegnamento morale oggettivo della Chiesa, ma anche, allo stesso tempo, aiutandoli attraverso un periodo di discernimento per capire quello a cui Dio li sta chiamando in questo momento», ha aggiunto il vescovo di Chicago.
Il riverbero del "ma anche" di veltroniana memoria e la particella avversativa posta dopo la presentazione del Magistero oggettivo della Chiesa lascia stupefatti adombrando che la coscienza possa suggerire qualcosa di difforme dalla morale oggettiva che qui significa astenersi dai rapporti sodomitici. Gli atti omosessuali non sono più un male intrinseco, ma in determinate circostanze sono il male minore da consigliare di eligere contravvenendo alla prima norma della morale che il male è da evitare? Oppure per Cupich non esistono mali intrinseci oltre l'opposizione atematica a Dio per cui queste azioni possono costituire in determinate circostanze addirittura l'azione buona? Qui non è questione di pastorale, ma verità sull'uomo.
Di verità parlava San Giovanni Paolo II nell'insegnamento della Veritatis splendor rivolto esplicitamente ai vescovi, quando respingeva la visione della coscienza come istanza capace di creare la verità morale e di assolvere da ogni azione utilizzando non casualmente le parole durissime dei predecessori Gregorio XVI e Pio IX: "deliramenta", deliri.
Sembra sia passato un secolo da quando la folla alzava i cartelli di fronte alla bara di Karol dove si poteva leggere "Santo subito!". Avevano pregato piangenti per la sua guarigione, si erano sobbarcati lunghissime ore di attesa prima di potergli rendere omaggio e si erano entusiasmati e commossi nel vedere il vento volgere le pagine del Vangelo posato sulla bara, interpretandolo come un segno della presenza dello Spirito di Dio nel guidare i passi del vicario di Cristo appena salito al Cielo. I fotogrammi di 26 anni di pontificato venivano riproposti quale tributo della statura gigantesca dell'uomo e del pontefice.
Eppure era solo dieci anni fa, e quelli che ora discettano paiono essere convinti che prima di oggi chi ha guidato la Chiesa come vicario di Cristo, chissà come, chissà perché, lo abbia fatto sequestrando la Misericordia di Dio. Com'è breve il tempo tra l'osanna con le palme e il crucifige! Forse se oggi al grande Papa polacco fosse dato diritto di parola egli ammonirebbe certi confratelli ripetendo quelle parole: siamo al delirio.
Sembra sia passato un secolo da quando la folla alzava i cartelli di fronte alla bara di Karol dove si poteva leggere "Santo subito!". Avevano pregato piangenti per la sua guarigione, si erano sobbarcati lunghissime ore di attesa prima di potergli rendere omaggio e si erano entusiasmati e commossi nel vedere il vento volgere le pagine del Vangelo posato sulla bara, interpretandolo come un segno della presenza dello Spirito di Dio nel guidare i passi del vicario di Cristo appena salito al Cielo. I fotogrammi di 26 anni di pontificato venivano riproposti quale tributo della statura gigantesca dell'uomo e del pontefice.
Eppure era solo dieci anni fa, e quelli che ora discettano paiono essere convinti che prima di oggi chi ha guidato la Chiesa come vicario di Cristo, chissà come, chissà perché, lo abbia fatto sequestrando la Misericordia di Dio. Com'è breve il tempo tra l'osanna con le palme e il crucifige! Forse se oggi al grande Papa polacco fosse dato diritto di parola egli ammonirebbe certi confratelli ripetendo quelle parole: siamo al delirio.
Devo dunque confessare di non riuscire a conciliare l'argomentazione di mons. Cupich con quel poco che ho capito della morale cattolica.
Mi parrebbe infatti che seguirla condurrebbe necessariamente a dovere giustificare qualsiasi comportamento. Se infatti la coscienza dei coniugi poteva contraddire la norma di Paolo VI sulla contraccezione, al termine di una riunione appositamente indetta per consigliare la famiglia cattolica dei Kennedy di fronte alle legislazioni abortiste, i teologi Joseph Fuchs, Charles Curran e Richard McCormick dovettero concludere che «un politico cattolico può in buona coscienza votare a favore dell’aborto».
L'attuale Papa emerito, da prefetto della Congregazione per la dottrina per la fede scrisse sulle pagine del settimanale ciellino Il Sabato un magistrale intervento che provvidenzialmente l'editore Cantagalli ha poi incluso nel libro "Elogio della coscienza". In quel testo il cardinale Ratzinger introduceva il lettore alla corretta comprensione del ruolo della coscienza prendendo le mosse da una disputa accademica a cui aveva assistito. Secondo una delle due parti, i nazisti, nel compiere le loro azioni profondamente convinti nella loro coscienza di agire bene, si comportarono moralmente bene e non si sarebbe dovuto avere alcun dubbio sulla loro salvezza. Questo il commento del futuro Benedetto XVI:
«Dopo una tale conversazione fui assolutamente sicuro che c’era qualcosa che non quadrava in questa teoria sul potere giustificativo della coscienza soggettiva, in altre parole: fui sicuro che doveva esser falsa una concezione di coscienza, che portava a simili conclusioni. Una ferma convinzione soggettiva e la conseguente mancanza di dubbi e scrupoli non giustificano affatto l’uomo».
Rispettando il ragionamento (teologico?) di Cupich non vedo come egli potrebbe violare la "coscienza inviolabile" di un pedofilo, qualora questi riferisse anche a sé ciò che il cardinale Kasper, da Cupich tanto ammirato da diffonderne il pensiero nella propria diocesi, ha detto della condizione omosessuale: "Gay si nasce". Perché non potrebbe egli dire: "Pedofilo si nasce"? Perché non potrebbe invocare il diritto a seguire la propria natura, così come rivendicato da mons. Charamsa? Sarebbe interessante apprendere se Cupich incoraggerebbe a seguire la propria coscienza anche ad un ipotetico sacerdote della sua diocesi che gli confidasse l'attrazione per i minori, o se in questo caso la sua regola non potrebbe essere applicata. E mi interrogo anche se Cupich nello svolgere la propria azione pastorale, dopo avere esperito la doverosa presentazione della dottrina cristiana riguardo al quinto comandamento, non sarebbe costretto a rispettare la "coscienza inviolabile" di un tagliagole islamico convinto che ammazzare gli infedeli sia preciso dovere di ogni buon musulmano e, come dice di avere sempre fatto, "aiutarlo ad andare avanti".
Fu il predecessore di monsignor Cupich, il cardinale George, a predire che egli sarebbe morto in un letto, come poi difatti è avvenuto, mentre il suo successore sarebbe morto in prigione e chi sarebbe venuto dopo sarebbe stato martirizzato. Con queste dichiarazioni, così consonanti con il sentire del mondo, prevedo che monsignor Cupich possa pensare ai suoi ultimi giorni dormendo sonni tranquilli. A dirla tutta, ho qualche preoccupazione in più per noi che scriviamo sulla Bussola.
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