Ipotesi. Un rescritto che autorizzi la comunione
Emesso dal vescovo, a favore di un divorziato risposato della sua diocesi, dopo un accurato esame del suo caso fatto obbedendo a norme promulgate dal papa. È la proposta di un teologo australiano per rimediare all'attuale confusione
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 24 novembre 2015 – Stando a quanto generalmente si narra, a stravincere in sinodo sarebbe stata la Chiesa tedesca, all'avanguardia nel mondo nel rinnovare la disciplina del matrimonio cattolico.
Ma a sentire quel che papa Francesco ha detto ai vescovi di Germania in visita "ad limina", venerdì 20 novembre, il giudizio da trarne non è che la Chiesa tedesca è la più avanzata al mondo, ma l'esatto contrario. È la più disastrata.
Ai vescovi di Germania il papa ne ha dette di tutti i colori.
- Ha lamentato la mancanza di "profilo cattolico" nelle istituzioni caritative e nelle scuole.
- Ha denunciato l'inabissarsi della frequenza alla messa e la "pratica scomparsa" del sacramento della penitenza.
- Ha rimproverato che "vengono inaugurate strutture sempre nuove per la quali alla fine mancano i fedeli".
- Ha richiamato i vescovi a essere "maestri della fede", di quella fede che è "trasmessa e vissuta nella comunione viva della Chiesa universale".
- Ha ammonito che nelle facoltà teologiche "la fedeltà alla Chiesa e al magistero non contraddice la libertà accademica".
- Ha ricordato che nelle parrocchie "la preziosa collaborazione dei fedeli laici non può diventare un surrogato del ministero sacerdotale o farlo addirittura sembrare un optional", perché "senza sacerdote non c'è l'eucaristia".
- Ha sollecitato a "proteggere incondizionatamente la vita dal momento del concepimento fino alla morte naturale", perché "qui non possiamo fare compromessi, senza diventare anche noi stessi colpevoli della cultura dello scarto".
Una sola questione però il papa non ha toccato: la comunione ai divorziati risposati, che in Germania – ma non solo – è ormai una pratica corrente, autorizzata di fatto da numerosi vescovi, indipendentemente da ciò che nel sinodo si è detto e senza aspettare che il papa ne tragga delle decisioni operative, come a lui compete.
Perché proprio questo accade. Un radicale mutamento di rotta nella disciplina del matrimonio cattolico quale è la comunione ai divorziati risposati sta diventando un fenomeno diffuso, spontaneo e fuori controllo, senza che da Roma – da dove questo processo è stato messo in moto – sia stata ancora emessa alcuna normativa.
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L'intervento che segue – discutibile ma di sicuro interesse – è una reazione ragionata a questa deriva spontaneista. Ne è autore un teologo australiano, Paul A. McGavin, che non ha mai nascosto di auspicare innovazioni nella disciplina del matrimonio cattolico. Ma a patto che la dottrina dell'indissolubilità non venga intaccata.
La sua tesi, infatti, è che "la dottrina è universale," mentre "la disciplina affronta le circostanze particolari e le responsabilità morali delle persone, anche nei fallimenti". E nella tradizione della Chiesa latina è effettivamente riconosciuta alla sede di Pietro l'autorità di concedere eccezioni alle leggi universali, anche in materia di matrimonio.
È ciò che già avviene, ad esempio, con il "privilegio petrino", in forza del quale il papa può sciogliere un matrimonio "rato e non consumato". Ed è ciò che potrebbe avvenire – auspica McGavin – anche per altre situazioni matrimoniali complesse.
La facoltà di autorizzare tali eccezioni, secondo il teologo australiano, dovrebbe essere estesa ai singoli vescovi. Ma solo con "norme" precise che la regolino, emanate da Roma, e con un "rescritto" finale emesso dal vescovo in forma pubblica per ogni singolo caso. Perché senza tale normativa la confusione e il lassismo non avrebbero più limiti e finirebbero per demolire anche la dottrina.
Nell'attuale diritto canonico già esiste la distinzione tra le leggi generali, che valgono per tutti, e gli atti amministrativi singolari, che riguardano casi specifici.
Tra questi atti amministrativi c'è il rescritto, così definito nell'articolo 59 § 1 del codice di diritto canonico:
"Per rescritto s'intende l'atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autorità esecutiva, per mezzo del quale, di sua stessa natura, su petizione di qualcuno, viene concesso un privilegio, una dispensa o un'altra grazia".
Qui di seguito McGavin, dopo aver argomentato le sue tesi, offre appunto il modello di un rescritto con cui un vescovo potrebbe autorizzare la comunione a un divorziato risposato, al termine di un attento esame del caso, effettuato secondo le norme promulgate da Roma.
Padre McGavin è sacerdote della diocesi australiana di Canberra a Goulburn. È stato docente di economia e preside della School of Business della University of New South Wales. Si è specializzato in teologia del Nuovo Testamento, è stato parroco ed è attualmente cappellano cattolico della University of Canberra.
I lettori che desiderassero uno sviluppo più ampio e documentato di questo suo intervento possono farne richiesta direttamente all'autore:
> drpamcgavin@bigpond.com
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Un atto pastorale e amministrativo sotto il mandato del papa, senza cambiamenti dottrinali o canonici
di Paul Anthony McGavin
In materia di matrimonio/divorzio/nuovo matrimonio, la situazione seguita al motu proprio "Mitis iudex Dominus Iesus" di papa Francesco e alla "Relatio" del sinodo del 2015 potrebbe portare a un distacco tra la dottrina e la pratica, e rendere ancora più urgenti delle linee guida postsinodali chiare, da parte del Santo Padre.
Questa nota offre appunto l'esame di una proposta di "norme" della Santa Sede per atti pastorali e amministrativi che non comportino cambiamenti dottrinali o canonici. La proposta è illustrata al termine dell'articolo con l’esempio di una lettera-rescritto episcopale.
Papa Francesco ha anticipato la "Relatio" del sinodo straordinario del 2014 (cfr. n. 48) con l'istituzione da parte sua, il 14 settembre 2014, di una commissione di studio per la semplificazione delle procedure di annullamento, e ha poi anticipato il sinodo del 2015 con il motu proprio "Mitis iudex Dominus Iesus", pubblicato l'8 settembre 2015 con entrata in vigore l'8 dicembre 2015. Si possono fare due esempi nei quali questo snellimento risolve delle difficoltà che si incontrano nei processi giuridici fin qui svolti.
Per esempio, le semplificazioni introdotte da queste revisioni canoniche facilitano il raggiungimento di una "certezza morale" (nuovo canone 1687 § 1) nella individuazione giuridica di un impedimento dirimente, come l’instabilità mentale al momento di contrarre il matrimonio. Un altro esempio è che i processi canonici semplificati possono diminuire la probabilità di frenare la ricerca di un annullamento per timore di aggravare passati conflitti coniugali e ferite che potrebbero indurre nuovi conflitti di diritto civile su questioni come la custodia dei figli e/o la frequentazione dei figli.
In breve, la legislazione semplificata facilita un accesso ai tribunali che rispecchia meglio le odierne complesse situazioni pastorali e di diritto civile. "Mitis iudex Dominus Iesus" stabilisce un’unica fase di processo (nuovo canone 1671 § 2) e consente che vi sia un giudice unico (1) nei processi dei tribunali ecclesiastici (nuovo canone 1673 § 4). Inoltre provvede nei casi più chiari un processo abbreviato di determinazione giudiziale dell'annullamento di un matrimonio direttamente da parte del vescovo (nuovo canone 1683). In un certo senso, quest'ultima soluzione rappresenta un ritorno al tipo di governo episcopale precedente la nascita della pratica di tribunali ecclesiastici separati.
Alcuni hanno espresso il timore che questa soluzione possa consentire il "divorzio" sotto la bandiera dell'"annullamento". Questo punto di vista non è avallato dal motu proprio, nel quale il papa afferma tre volte il principio della "indissolubilità" del sacro vincolo del matrimonio, e per quanto riguarda il processo giuridico episcopale abbreviato parla della "massima cura [del pastore] per l’unità cattolica con Pietro nella fede e nella disciplina". Inoltre, il nuovo canone 1683 limita il processo giuridico episcopale abbreviato ai casi in cui vi sia il consenso dei coniugi nella richiesta di nullità e in cui le testimonianze documentali sostanziali non richiedano indagini più accurate.
Alcuni hanno descritto la “Relatio” del sinodo del 2015 come un "trionfo di ambiguità". Il cardinale George Pell ha difeso i paragrafi 84-86 della "Relatio" come "non ambigui”, sebbene siano visti da alcuni come "insufficienti”. Parlando del matrimonio, la "Relatio" fa un uso ripetuto del termine "indissolubilità" (ai paragrafi 1, 40, 48, 49, 84), ed è sicuramente incontrovertibile che l'unicità e la stabilità del vincolo matrimoniale sono state accolte dalla Chiesa fin dall’inizio come insegnamento del Signore radicato nel disegno originario di Dio, "dal principio" (Marco 10, 6; Gen 1, 27). È anche sicuramente incontrovertibile che la rottura intenzionale del vincolo sponsale costituisce un peccato grave: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra…” (Mc 10, 11). Su questo, come ha detto il cardinale Pell, c'è stato un "massiccio consenso".
Eppure, al di fuori del sinodo è indubbio che stiamo registrando un largo consenso anche su una particolare interpretazione della citazione di "Familiaris consortio" n. 84 – "Sappiano i pastori che… sono obbligati a ben discernere le situazioni" – che è incorporata nel paragrafo 85 della "Relatio".
Prima del sinodo, i vescovi tedeschi espressero il sentimento che non avevano bisogno dell'imprimatur di Roma per emettere decreti pastorali in Germania. Dopo il sinodo, un’idea corrente è che decisioni pastorali possono essere emesse a livello locale semplicemente dai sacerdoti, nel foro interno sacramentale. Ma senza delle "norme" della Santa Sede, sarebbe più difficile per i vescovi arginare le pratiche del clero che indeboliscono la dottrina del matrimonio e che attenuano il rapporto necessario tra la dottrina e la disciplina.
Tali sviluppi indesiderati sono aumentati dove vi è una fusione/confusione tra dottrina e disciplina. La dottrina è universale; la disciplina affronta le circostanze particolari e le responsabilità morali delle persone, anche nei fallimenti. In breve, la dottrina è generale, come il catechismo, mentre la disciplina è situazionale ed è mirata all'edificazione dei fedeli e alla conversione dei comportamenti particolari, piuttosto che alle situazioni generali.
Ma senza "norme" per la disciplina, il pericolo del lassismo aumenta. Lasciare la disciplina semplicemente ai sacerdoti apre lo spazio a pratiche disparate da parte di confessori che hanno male interpretato le parole dette dal papa alla chiusura del sinodo del 2014 a proposito di coloro che hanno quel'"irrigidimento ostile" che è "la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti ‘tradizionalisti’”. Quando tali parole non sono interpretate in modo equilibrato, possono dare spazio crescente a una disciplina che è distaccata dalla dottrina. Ciò sottolinea la necessità di "norme" che ora mi accingo ad argomentare.
Il "massiccio consenso" del sinodo riguarda l’insegnamento di sempre sul matrimonio e la sua coerente presenza nel diritto canonico. Ma dato questo per scontato, ci sono “privilegi di fede" (cfr. canone 59 § 1) che nella tradizione latina sono riservati alla Santa Sede come esercizio da parte del legislatore del privilegio petrino. Ciò che è qui in questione è la concessione di un favore che è al di fuori della legge, ma che non abroga la legge: un atto "amministrativo”, piuttosto che un atto "giuridico" (2).
Tali atti amministrativi possono affrontare situazioni canonicamente irregolari e di fatto disordinate, rispetto alle quali è prudente dare una moderata risposta pastorale. Le parole chiave sono "moderata” e "prudente", e sostenere una cura amministrativa che sia moderata e prudente esige "norme". Nel caso in esame, il vescovo sarebbe il "moderatore", e la sua azione sarebbe regolata da "norme" della Santa Sede che governino la concessione da parte del papa di facoltà per atti amministrativi e pastorali che – in determinate circostanze – ammettano alla comunione sacramentale persone che per motivi complessi non sono in grado di regolarizzare il proprio stato matrimoniale.
Le "norme" proposte (3) sarebbero emanate dalla sede pontificia e potrebbero includere:
1. il riconoscimento da parte del richiedente (o dei richiedenti) del comandamento divino di permanenza e unicità del matrimonio;
2. il riconoscimento da parte del richiedente (o dei richiedenti) della vicenda del loro fallimento matrimoniale, con i suoi peccati, errori umani e tragedie, e le lezioni che sono state apprese;
3. la documentazione da parte del delegato del vescovo – qui nella figura di un esperto di teologia pastorale e pratica – del regime penitenziale e riparatorio sostenuto dal richiedente (o dai richiedenti), e il giudizio che abbia avuto una durata appropriata;
4. la documentazione da parte del vicario giudiziale diocesano della valutazione canonica del caso, e il giudizio che tale caso manchi di rimedio giuridico;
5. la documentazione da parte del delegato del vescovo della valutazione dell'impatto pastorale della concessione di un tale favore nei contesti sociali ed ecclesiali del richiedente (o dei richiedenti), tra cui i contesti parrocchiali locali;
6. la specificazione delle circostanze in cui queste facoltà possono essere utilizzate come parte dell'accoglimento nella piena comunione con la Chiesa cattolica di persone che in stato di irregolarità matrimoniale sarebbero soggette al diritto canonico latino e quindi inibite dall'essere pienamente accolte nella Chiesa;
7. ci dovrà essere un rendiconto annuale alla sede pontificia dell'uso di questa facoltà da parte del vescovo.
Ciò che ora conclude questa nota è il modello di una lettera-rescritto che un vescovo potrebbe emettere secondo le facoltà descritte e le “norme” che le governano.
MODELLO DI UNA LETTERA-RESCRITTO
Indirizzo del vescovado
Data
Prot. No. ...
Destinatario
Accoglimento di richiesta di rescritto
Gentile …,
Sono lieto di scriverle, a seguito della sua richiesta in data … e della mia precedente lettera in data …, riguardanti la sua domanda di accesso alla comunione eucaristica, che sono in grado di accoglierla, secondo le norme approvate dal Santo Padre che assegnano a me la facoltà di amministrare questo favore. Ho quindi la facoltà di agire riguardo al processo di riconciliazione e di penitenza che lei ha intrapreso nel periodo …, sotto la direzione del suo parroco … e con la collaborazione del reverendo …, che ricopre la carica di teologo pastorale e pratico in questa diocesi.
Mi è stato confermato che lei ha percorso tutte le vie utili per la riconciliazione tra le parti interessate, come illustrato nel rapporto consegnatomi dal reverendo …, e che la sua situazione attuale si presenta stabile e comporta degli obblighi e degli impegni che sono generalmente conosciuti nella sua comunità locale e non sono in contrasto con le relative leggi e ordinamenti civili. La documentazione è stata riesaminata anche dal vicario giudiziale di questa diocesi, e ho considerato con attenzione il suo rapporto, per arrivare a a formarmi un giudizio in merito al presente atto amministrativo pastorale.
La documentazione di questo processo di riconciliazione comprende la sua dichiarazione di fedeltà all'insegnamento della Chiesa cattolica come ricevuto da Nostro Signore sul carattere unico e vincolante del legame matrimoniale tra un uomo e una donna. L'emanazione di questo rescritto si basa sulla sua adesione pubblica alla dottrina matrimoniale come insegnata dalla Chiesa e sui riconoscimenti che lei ha fatto in foro interno delle passate mancanze e/o tragedie che hanno sconvolto lo stato matrimoniale precedente, che non è più ripristinabile.
Non le chiedo di mettere sulla pubblica piazza un passato doloroso e il successivo processo di riconciliazione, ma soltanto – qualora la necessità si presenti – le chiedo che dia testimonianza di aver intrapreso dei percorsi sotto la direzione del suo vescovo, che lo hanno convinto a emettere un rescritto per il suo ritorno alla comunione eucaristica secondo le norme specificate nella concessione delle facoltà episcopali da parte della Santa Sede, come pure la sua adesione pubblica all'insegnamento della Chiesa sul santo matrimonio.
Sarò presente nella cattedrale la sera del giorno …, e sarò lieto di condurla al sacramento della penitenza prima della santa messa che celebrerò alle ore … e nella quale sarò felice di amministrarle io stesso la santa comunione. La prego di prendere contatto con il mio ??segretario personale ..., per gli opportuni accordi. Se tutto questo non fosse possibile, potrà presentare questa lettera-rescritto al parroco del luogo, in modo che egli possa darle effetto da parte mia.
Desidero felicitarmi con lei per la sua perseveranza nel consentire alla Chiesa di arrivare a concederle questo favore, e unisco le mie preghiere alle sue, per la sua crescita nella grazia di Dio. Preghi per me affinché possa avere saggezza, prudenza e coraggio nella mia vita e nel ministero di vescovo.
Sinceramente suo in Cristo,
+ ...
Vescovo di ...
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NOTE
(1) In caso di giudice unico, sono richiesti anche due assessori (nuovo canone 1676 § 3).
(2) È bene sapere che ci sono atti "amministrativi" che sono giuridici e disciplinati dal diritto canonico, come pure che gli atti canonici sono governati da una più generale norma "pastorale": la "salus animarum", la salvezza delle anime (canone 1752). Come nel titolo di questo articolo, gli atti ”amministrativi” e "pastorali" si riferiscono ad atti che sono extra-giuridici, nel senso che accordano un favore concesso sotto l'autorità del legislatore.
(3) Le concessioni di favori regolate da "norme" hanno fondamento in quanto espresso nei nuovi canoni 1675 ("Il giudice, prima di accettare la causa, deve avere la certezza che il matrimonio sia irreparabilmente fallito, in modo che sia impossibile ristabilire la convivenza coniugale") e 1691 § 1 (“Nella sentenza si ammoniscano le parti sugli obblighi morali o anche civili, cui siano eventualmente tenute l’una verso l’altra e verso la prole, per quanto riguarda il sostentamento e l’educazione"). L'inserimento del punto 3 in queste "norme" implicherebbe normalmente processi di”foro interno" e documentazione di "accesso restrittivo”, ma non includerebbe il "foro interno sacramentale". L'inserimento del punto 4 è invece mirato a garantire che le petizioni che possono essere più appropriatamente trattate canonicamente vengano reindirizzate a trattamenti giudiziali, soprattutto quando lo snellimento dei processi di annullamento rende più facile la scoperta di un rimedio giuridico per i casi difficili. Nella frase "matrimonio/divorzio/nuovo matrimonio", le parole "divorzio" e "nuovo matrimonio" devono intendersi in riferimento al solo diritto civile (nuovo canone 1671 § 2), in quanto queste "norme" non anticipano né un divorzio ("scioglimento") ecclesiale, né un successivo matrimonio ecclesiale. In casi particolari, le "norme" governerebbero i processi per la concessione pastorale di favori in situazioni di anomalia tra diritto civile ed ecclesiastico, e non devono essere viste come l’offerta di un rimedio giuridico all'anomalia di situazioni confuse.
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Il discorso di papa Francesco ai vescovi tedeschi in visita "ad limina":
> "Cari confratelli…"
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351182
Canonisti si interrogano sulla riforma del riconoscimento di nullità dei matrimoni
I canonisti francesi, insieme a teologi e operatori di pastorale familiare, si sono riuniti lo scorso 20 novembre presso l’Università Cattolica di Lione (Francia), per discutere della riforma sul riconoscimento di nullità dei matrimoni promossa da Papa Francesco tramite il Motu Proprio Mitex Iudes Dominus Iesus, che entrerà in vigore il prossimo 8 dicembre.
Nonostante venga dato un giudizio globalmente “positivo” sulla riforma, bisogna riconoscere che le perplessità non mancano.
Innanzitutto, si sarebbe preferita una “più ampia consultazione” nella fase di ideazione e redazione della riforma, oppure una partenza delle stessa “ad experimentum”.
Ciò che ha trovato unanime e positivo consenso riguarda due punti in particolare della riforma, ossia la necessità di avere procedimenti e regole più semplici per i tribunali; e, soprattutto, l’abbandono della doppia sentenza conforme. Per quanto riguarda, invece, la questione della gratuità dei processi il problema non è troppo sentito in Francia, visto che già era così per tutte le persone che non potevano permettersi di pagare e, negli altri casi, il costo era molto ragionevole (tra gli 800 e i 1.000 euro). “Continueremo certamente a domandare una partecipazione alle spese”, ha dichiarato P. Tancrède Leroux, “se non altro perchè la riforma prevede una implicazione maggiore dei laici nei processi e questi dovranno essere giustamente remunerati.”
Diverse perplessità, invece, suscita la possibilità di istituire un giudice unico in prima istanza, al posto del consueto tribunale collegiale composto da tre giudici. “Il giudice unico”, dice Sabine Brosset, avvocato rotale, “ha il rischio dell’arbitrarietà.” Molti sottolineano un problema che già altri hanno evidenziato al momento della pubblicazione del Motu Proprio. Con il ruolo molto forte dato al vescovo locale si teme una “giustizia a più velocità”, laddove gli orientamenti pastorali del vescovo potrebbero influire sull’andamento dei processi di annullamento.
Anche il cosiddetto “processo breve”, introdotto dalla riforma in casi particolari, solleva qualche questione. In questo caso il vescovo diviene di fatto giudice unico, ma in molti sostengono la necessità di mantenere un collegio giudicante composto da tre membri. Ascoltare per molte ore le persone, al fine di istruire il caso, è una operazione delicata che si può meglio compiere se si opera in più persone. (LB)
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