DON CAMILLO E IL BATTESIMO DEL FIGLIO DI PEPPONE
Nel discorso programmatico fiorentino del 10 novembre alla Chiesa italiana papa Francesco ha citato anche come modello da seguire don Camillo, l’immortale prete della Bassa Parmense creato dal genio di Giovanni Guareschi subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ecco un capitolo di ‘Mondo piccolo’ che aiuta a capire chi era don Camillo: è quello che rievoca il turbolento battesimo del figlio di Peppone, il sindaco comunista del paese.
Si potrebbero invece commentare alcune parole e ragionamenti di papa Francesco domenica 15 novembre, durante la visita alla chiesa luterana di via Sicilia: hanno creato in non pochi cattolici grande confusione quella che è stata percepita da molti come una sostanziale luce verde del Papa (nella risposta a una signora luterana coniugata con un cattolico) alla possibilità anche per un protestante di accedere all’Eucarestia (“Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti”) e quella sorta di oggettivo indebolimento della necessità di partecipare alla Messa domenicale emerso in un passo dell’omelia (“Quali saranno le domande che il Signore ci farà quelgiorno? Sei andato a Messa? Hai fatto una buona catechesi? No, le domande sono sui poveri, perché la povertà è al centro del Vangelo”).
Resta poi sempre suscettibile di commenti vari il discorso che il Papa ha fatto il 10 novembre nella cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore ai partecipanti al Convegno nazionale della Chiesa italiana. E’ un discorso ampio, programmatico, con cui Francesco ha rottamato definitivamente (dopo averla ben picconata con le sue nomine, a partire da quella del vescovo Galantino a segretario generale della Cei) l’era ‘ruiniana’ incominciata con il Convegno di Loreto del 1985, auspice Giovanni Paolo II. Nel discorso - in cui si esalta la ‘Chiesa della carità’ (sembra quasi che fino ad oggi la Chiesa italiana non si sia mai curata dei poveri e dei bisognosi…) a detrimento della ‘Chiesa dei valori non negoziabili’ (rottamati anch’essi?) – c’è qualche riga dedicata a un prete molto particolare, l’immortale don Camillo creato dal genio di Giovanni Guareschi ormai quasi settant’anni fa. Ha detto il Papa: “Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. (…) Vicinanza con la gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano, popolare, umile, generoso, lieto”.
A illustrare la personalità di don Camillo può essere utile a questo rileggere almeno una delle vicende narrate nel romanzo. E’ una vicenda emblematica del modo di porsi del prete della Bassa parmense (che non aveva nulla dei ‘buonisti’ di moda). Buon divertimento, ma anche buona riflessione!
Da “Don Camillo – Mondo piccolo” di Giovanni Guareschi (1908 – 1968). Il Battesimo
L’opera è uscita nel 1948 e in essa l’autore ha cantato la contesa tra un parroco di campagna, don Camillo e il sindaco comunista, Peppone, meccanico di un luogo non ben definito della Bassa parmense, vicino al Po. Per lo stesso Guareschi la vicenda, da lui creata ma verosimile, si svolge tra il dicembre 1946 e il dicembre 1947. Nella trasposizione cinematografica – che come sempre non è identica al testo scritto - il paese è indicato come Brescello (Don Camillo è Fernandel, Gino Cervi è Peppone).
Un giorno nella chiesa del paese entrano un uomo e due donne. Una delle due è la moglie di Peppone e porta in braccio “un fagotto con dentro un bambino”. Don Camillo esprime la sua sorpresa al Cristo dell’altare (con cui ha colloqui quotidiani), indossa i paramenti e si avvicina al fonte battesimale…
“Come lo volete chiamare? chiese don Camillo alla moglie di Peppone.
“Lenin, Libero, Antonio”, rispose la moglie di Peppone.
“Vallo a fare battezzare in Russia”, disse calmo don Camillo rimettendo il coperchio al fonte battesimale.
Don Camillo aveva mani grandi come badili e i tre se ne andarono senza fiatare.
Don Camillo, restato solo, viene rimproverato da Cristo per non aver battezzato il bambino. Alla fine della conversazione, non priva di humour, don Camillo promette di cercare di “rimediare”. Ma in chiesa entra qualcuno…
Era Peppone solo, col bambino in braccio. Peppone chiuse la porta col chiavistello.
“Di qui non esco”, disse, “se mio figlio non è stato battezzato col nome che voglio io”
“Ecco sussurrò sorridendo don Camillo rivolto al Cristo. “Lo vedete che gente? Uno è pieno delle più sante intenzioni e guardate come lo trattano.”
“Mettiti nei suoi panni, rispose il Cristo. “Non sono sistemi da approvare, ma si possono comprendere”.
Don Camillo scosse il capo.
“Ho detto che di qui non esco se non mi battezzate il figlio come voglio io”, ripeté Peppone e, deposto il fagotto col bimbo su una panca, si tolse la giacca, si rimboccò le maniche e avanzò minaccioso.
“Gesù”, implorò don Camillo, “io mi rimetto a voi. Se voi stimate giusto che un vostro sacerdote ceda alle imposizioni dei privati, io cedo. Ad ogni modo domani non lamentatevi se poi mi porteranno un vitello e mi imporranno di battezzarlo. Voi lo sapete: guai a creare dei precedenti”
“Beh, rispose il Cristo, “in questo caso tu devi cercare di fargli capire…”
“E se quello me le dà?”
“Prendile, don Camillo. Sopporta, soffri come ho fatto io”.
Allora don Camillo si volse:
“D’accordo, Peppone”, disse, “Il bambino uscirà da qui battezzato, però non con quel nome dannato”.
“Don Camillo”, borbottò Peppone, ricordate che ho la pancia delicata per quella palla che mi sono preso in montagna. Non tirate colpi bassi o comincio a lavorare con una panca”.
“Sta’ tranquillo, Peppone, io te li sistemo tutti al piano superiore”, rispose don Camillo collocandogli una sventola a cavalcioni di un’orecchia.
Erano due omacci con le braccia di ferro e volavano sberle che facevano fischiar l’aria. Dopo venti minuti di lotta furibonda e silenziosa, don Camillo sentì una voce alle sue spalle: “Forza, don Camillo! Tiragli alla mascella!”
Era il Cristo da sopra l’altare. Don Camillo sparò alla mascella e Peppone rovinò per terra.
Peppone rimase lungo disteso una decina di minuti, poi si rialzò, si massaggiò il mento, si rassettò, si rimise la giacca, si rifece il nodo al fazzoletto rosso e prese in braccio il bambino.
Vestito dei paramenti d’uso, don Camillo lo aspettava, fermo come un macigno, davanti al fonte battesimale. Peppone si avvicinò lentamente.
“Come lo chiamiamo?”, chiese don Camillo.
“Camillo, Libero, Antonio”, borbottò Peppone.
Don Camillo scosse il capo.
“Ma no: chiamiamolo invece Libero, Camillo, Lenin”, disse. “Sì, anche Lenin: quando hanno un Camillo vicino, i tipi come quello là non hanno niente da fare”.
“Amen”, borbottò Peppone, tastandosi la mascella.
Quando, finito tutto, don Camillo passò davanti all’altare, il Cristo disse sorridendo: “Don Camillo, bisogna dire la verità: in politica ci sai fare meglio tu di me”
“Anche a cazzotti però”, rispose don Camillo con molto sussiego, tastandosi con indifferenza un grosso bernoccolo sulla fronte.
DON CAMILLO E IL BATTESIMO DEL FIGLIO DI PEPPONE - di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 19 novembre 2015
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