INSIGHT - Che cosa c'è dietro la posizione morbida del premier italiano sui bombardamenti contro l'Isis? Perché il nostro Paese non segue la Francia, il Regno Unito e la Russia? Le risposte nel retroscena di Affaritaliani.it
Matteo Renzi dosa attentamente le parole. Calibra bene i termini quando parla di terrorismo e sicurezza. Il presidente del Consiglio non usa mai il termine "guerra", a differenza di Francois Hollande, e la stessa cosa ha chiesto di fare ai suoi ministri, in particolare al responsabile degli Esteri, Gentiloni, e alla titolare della Difesa, Pinotti.
Il premier vuole mantenere una posizione moderata e non interverrà direttamente nei bombardamenti in Siria e in Iraq contro l'Isis, nonostante la richiesta ufficiale della Francia, appoggiata anche dal Regno Unito di David Cameron. A spingere Renzi verso una posizione estremamente cauta, nonostante tempo fa fosse pronto a un intervento in Libia, sono stati due fattori esterni molto rilevanti. Da un lato la richiesta del Capo dello Stato, Sergio Mattarella, di mantenere un profilo il più possibile basso nei confronti della lotta ai jihadisti, garantendo ovviamente il sostegno logistico e politico agli alleati della Nato e dell'Ue ma senza un coinvolgimento diretto delle nostre forze armate. Dello stesso tenore anche la richiesta arrivata a Palazzo Chigi, attraverso canali informali, dalla Santa Sede. Il Vaticano, e quindi Papa Francesco, avrebbe consigliato al governo italiano di tenere i piedi ben saldi per terra e di non farsi trascinare in avventure militari. Sullo sfondo, sia l'input del Quirinale sia quello dei vertici della Chiesa cattolica si spiegano con le preoccupazioni per l'imminente inizio del Giubileo voluto fortemente dal Pontefice argentino. Renzi, che insiste nel dire che i terroristi non devono cambiare le nostre abitudini di vita, vuole evitare di militarizzare Roma e l'Italia nel corso dell'Anno Santo e, quindi, condivide in pieno gli appelli di Mattarella e del Vaticano affinché l'Italia non sia in prima linea nella lotta al terrorismo, almeno dal punto di vista dei bombardamenti in Siria e in Iraq contro l'Isis. Ecco perché il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, ha detto agli italiani di stare tranquilli, anche se ovviamente nessuno stato può considerarsi a rischio zero.
Di Alberto Maggi (@AlbertoMaggi74)
http://www.affaritaliani.it/politica/renzi-strategia-isis-papa-francesco-mattarella-394155.html?ref=ig
SCUSATE ! SCUSATE! SCUSATE ! AD NAUSEAM (IL POST CENSURATO DA FACEBOOK)
DI ROUA NABOULSI
Questo post è stato censurato da Facebook. Ecco quanto riporta al proposito un articolo di Russia Today: “questo post ha avuto 9000 condivisioni e 12000 like, prima che Facebook lo rimuovesse lunedì perché non avrebbe rispettato le sue regole. In seguito all’inchiesta di Russia Today, il gigante dei social media ha ripubblicato il post ammettendo di aver fatto un errore”.
Quel che è successo ieri sera a Parigi è terribile. Ho fatto tardi per seguire le informazioni, non riuscivo a crederci, e chiedo sinceramente scusa a tutte le persone toccate da questi orribili attacchi. Com’era prevedibile, la comunità internazionale ha risposto dimostrando a Parigi una solidarietà inossidabile.
Il giorno prima al mio paese, il Libano, è esplosa una bomba che ha ucciso 43 persone. Nessuno ha pregato per noi. Nessuno si è fatto un esame di coscienza. Nessun leader mondiale ha tenuto per noi discorsi a notte fonda. Nessuno ha cambiato la foto del proprio profilo. Non c’era alcun hashtag. Facebook non ha attivato l’opzione con cui si faceva sapere: “sono sano e salvo”. Solo silenzio. In Siria è pure peggio: una sofferenza per ogni parola scritta e centellinata su Facebook. La Siria non ha diritto a nulla. Solo altro silenzio.
Nel solo mese di ottobre 73 palestinesi sono stati uccisi da Israele. Silenzio.
Il mese scorso quasi 100 persone sono state uccise dalle bombe esplose nel corso di una manifestazione pacifica ad Ankara. Altro silenzio.
Quest’anno almeno 3500 persone sono state uccise nelle guerre in corso in Nigeria, Camerun, Ciad e Niger. Silenzio.
A questo punto non sono nemmeno più arrabbiata, sono solo stanca. Sfinita. Sfinita perché un attacco che provoca 2300 morti in una prigione a cielo aperto come Gaza non riceve quasi alcuna attenzione, ma appena succede qualcosa in Europa, o appena qualcosa succede ai bianchi, tutti sono scossi, e sinceramente credo che lo siano in buona fede.
Non sto dicendo che non bisogna essere scossi. Non sto dicendo che le persone che ieri hanno perso la vita non meritano le nostre lacrime, perché ovviamente le meritano. Erano persone innocenti, e ora sono morte. In quanto arabi, sappiamo più di chiunque altro quanto è doloroso, e dovremo tutti quanti conservare il loro ricordo.
Ma quanto a noi… Non meritiamo anche noi qualche lacrima? Forse non siamo sufficientemente umani? Siamo forse troppo arabi per voi? Troppo neri per voi? Troppo “altri” per voi? Davvero per voi è così difficile compatirci per via del colore della nostra pelle? E invece, non una parola.
E poi, come se non bastasse, c’è dell’altro. Dopo la scarsa considerazione che avete per noi, ci colpite. Ma fino a che punto, come esseri umani, siamo insignificanti, inferiori? È qui che arriva il meglio. La parte che preferisco. Doverci scusare. Ci viene richiesto di scusarci. Si pretende che lo facciamo. Ora NOI dobbiamo scusarci per le azioni peggiori che da lunghissimo tempo i barbari ci fanno subire. Noi siamo le vittime. Quel che voi patite per mano di questi estremisti è una frazione minuscola di quello che patisce la Siria. Di quel che patisce il Libano. Lo subiamo regolarmente ogni giorno, senza eccezioni. E adesso, come si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto, ci vien domandato di chiedere scusa. Ci considerano responsabili. Le principali vittime e i rifugiati di questa tragedia devono pagare. Come se non avessimo già abbondantemente pagato con il nostro sangue, la nostra terra e la nostra dignità.
Scusate! Chiediamo scusa a voi, che avete occupato le nostre terre, le avete spolpate, ve le siete spartite fra di voi come se si trattasse di oro.
Scusate! A voi, che ci avete derubato delle nostre ricchezze, della nostra dignità e della nostra libertà.
Scusate! A voi nell’andarvene via avete lasciato dietro di voi solo rabbia e rovine
Scusate! A nome di coloro che, disillusi, marginalizzati e lasciati rimanere indietro, si sono gettati a corpo morto nell’estremismo
Scusate! A voi che state soffrendo per la loro barbarie
Scusate! A voi che li autorizzate a farci subire tutto questo, che li incoraggiate e che fornite loro le risorse di cui hanno bisogno per nutrirsi. Vi chiediamo scusa se, in fin dei conti, si sono rivoltate contro di voi.
Scusate! Se sono venuti a cercarvi.
Vi chiediamo scusa. Sperando che troverete ragioni per perdonarci».
Roua Naboulsi
Il mese scorso quasi 100 persone sono state uccise dalle bombe esplose nel corso di una manifestazione pacifica ad Ankara. Altro silenzio.
Quest’anno almeno 3500 persone sono state uccise nelle guerre in corso in Nigeria, Camerun, Ciad e Niger. Silenzio.
A questo punto non sono nemmeno più arrabbiata, sono solo stanca. Sfinita. Sfinita perché un attacco che provoca 2300 morti in una prigione a cielo aperto come Gaza non riceve quasi alcuna attenzione, ma appena succede qualcosa in Europa, o appena qualcosa succede ai bianchi, tutti sono scossi, e sinceramente credo che lo siano in buona fede.
Non sto dicendo che non bisogna essere scossi. Non sto dicendo che le persone che ieri hanno perso la vita non meritano le nostre lacrime, perché ovviamente le meritano. Erano persone innocenti, e ora sono morte. In quanto arabi, sappiamo più di chiunque altro quanto è doloroso, e dovremo tutti quanti conservare il loro ricordo.
Ma quanto a noi… Non meritiamo anche noi qualche lacrima? Forse non siamo sufficientemente umani? Siamo forse troppo arabi per voi? Troppo neri per voi? Troppo “altri” per voi? Davvero per voi è così difficile compatirci per via del colore della nostra pelle? E invece, non una parola.
E poi, come se non bastasse, c’è dell’altro. Dopo la scarsa considerazione che avete per noi, ci colpite. Ma fino a che punto, come esseri umani, siamo insignificanti, inferiori? È qui che arriva il meglio. La parte che preferisco. Doverci scusare. Ci viene richiesto di scusarci. Si pretende che lo facciamo. Ora NOI dobbiamo scusarci per le azioni peggiori che da lunghissimo tempo i barbari ci fanno subire. Noi siamo le vittime. Quel che voi patite per mano di questi estremisti è una frazione minuscola di quello che patisce la Siria. Di quel che patisce il Libano. Lo subiamo regolarmente ogni giorno, senza eccezioni. E adesso, come si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto, ci vien domandato di chiedere scusa. Ci considerano responsabili. Le principali vittime e i rifugiati di questa tragedia devono pagare. Come se non avessimo già abbondantemente pagato con il nostro sangue, la nostra terra e la nostra dignità.
Scusate! Chiediamo scusa a voi, che avete occupato le nostre terre, le avete spolpate, ve le siete spartite fra di voi come se si trattasse di oro.
Scusate! A voi, che ci avete derubato delle nostre ricchezze, della nostra dignità e della nostra libertà.
Scusate! A voi nell’andarvene via avete lasciato dietro di voi solo rabbia e rovine
Scusate! A nome di coloro che, disillusi, marginalizzati e lasciati rimanere indietro, si sono gettati a corpo morto nell’estremismo
Scusate! A voi che state soffrendo per la loro barbarie
Scusate! A voi che li autorizzate a farci subire tutto questo, che li incoraggiate e che fornite loro le risorse di cui hanno bisogno per nutrirsi. Vi chiediamo scusa se, in fin dei conti, si sono rivoltate contro di voi.
Scusate! Se sono venuti a cercarvi.
Vi chiediamo scusa. Sperando che troverete ragioni per perdonarci».
Roua Naboulsi
16.11.2016
Traduzione a cura di MARTINO LAURENTI per www.comedonchisciotte.org
Nota del Saker Francophone:
Un’ultima domanda: “perché questi attentati colpiscono sempre la gente comune, che non ha alcun potere decisionale, senza toccare gli interessi di chi conduce le danze?”
Hollande “alleato” di Putin? Per favore, non cascate nella MatrixNota del Saker Francophone:
Un’ultima domanda: “perché questi attentati colpiscono sempre la gente comune, che non ha alcun potere decisionale, senza toccare gli interessi di chi conduce le danze?”
Un lettore commenta che ho sbagliato tutto a sospettare il mega attentato di Parigi di essere un false flag o auto-attentato del regime francese, perché:
“1) La Francia va a bombardare l’Isis direttamente a braccetto con la Russia di Putin 2) Si e’ riformata l’alleanza Russia-Francia, come non si vedeva dalla I guerra mondiale. Se c’e’ qualcuno che ha guadagnato politicamente dall’attentato di Parigi, e’ proprio Putin, e non certo Obama, Merkel, Hollande, Cameron e soci. Al contrario di quanto previsto da Blondet. 3) la Francia chiude de facto le frontiere, sospende Schengen, comincia a parlare della possibilità di ritirare la cittadinanza a chi non se lo merita e a parlare di pena di morte per reati legati al terrorismo”.
Mi pare urgente sfatare questa idea che c’è ora una “alleanza Russia-Francia” per combattere l’ISIS, perché è uno degli effetti della Matrix, della rete emozionale creata attorno agli eventi- rete che è uno strumento di guerra in sé.
E’ proprio vero che ormai bisogna spiegare tutto, passo passo, altrimenti non ci si arriva con la propria testa.
Hollande ha cominciato i bombardamenti su Rakka – dove l’ISIS è stato già sostanzialmente sloggiato dagli aerei russi – come supposta rappresaglia , colpendo la centrale elettrica che serve alla popolazione civile (quel che ne resta) esu indicazione Usa, non russa. Ha penetrato lo spazio aereo siriano senza chiedere l’autorizzazione al governo Assad, il solo che rimane legittimo, né coordinarsi coi russi. Ha sparato poche bombe, un quinto di quelle che la Russia lancia ogni giorno. Una vuota gesticolazione.
La portaerei atomica Charles De Gaulle non è stata mandata al largo dello coste siriane per combattere l’ISIS, ma porre ostacoli all’azione di Mosca. Altrimenti non si spiega come mai, subito dopo l’eccidio di Parigi, i russi abbiano intensificato i bombardamenti, persino con l’uso dei bombardieri strategici, per ottenere un rovesciamento della situazione sul campo, e battere il ferro finché è caldo – ossia per approfittare delle simpatie che in Europa ha riscosso l’azione di Mosca dopo il mega-attentato jihadista a Parigi – sapendo che questa simpatia ha poca durata, e prima che la Charles De Gaulle sia operativa nell’area.
Certo, Putin ha ordinato al suo Stato Maggiore di contattare il gruppo aeronavale francese per coordinare le loro azioni; non risulta che Hollande o i comandi francesi abbiano risposto sì a questa richiesta (o ingiunzione) di coordinamento. Anzi, non hanno nemmeno risposto. E Hollande e il suo ministro Fabius, continuano a ripetere che “Assad must go” ad ogni occasione pubblica in cui parlano del loro cosiddetto intervento militare contro ISIS; un rifiuto netto della posizione negoziale russa.
Di fatto, la squadra francese continua a coordinarsi con gli Usa. La decisione di muovere la Charles De Gaulle (costosissima per i bilanci francesi, quindi per loro lasciata a secco “per manutenzione”) era stata presa e annunciata mesi prima dell’attentato islamista a Parigi – era però diretta nel Golfo Persico, per assicurarvi la permanenza militare della coalizione occidentalista in attesa della portaerei americana USS Truman,il cui arrivo nel Golfo è previsto prima di Capodanno. Solo dopo la tragedia del 13 novembre Hollande ha ordinato che la portaerei si diriga nel Mediterraneo. Davanti a quelle coste dove i russi hanno già numerose navi, e su cui hanno intimato ampie no-fly zone. Ciascuno vede – o dovrebbe vedere – l’estrema pericolosità della situazione di sovraffollamento bellico, dove i due gruppi navali non si coordinino, anzi gli occidentali mantengano una posizione ostile. Certamente ciò è inteso ad ostacolare le ulteriori operazioni russe, per ragioni di prudenza.
Gli Stati Uniti hanno appena autorizzato la vendita all’Arabia Saudita di 19 mila bombe d’aereo o d’artiglieria, e non c’è dubbio che molte di queste armi finiranno ai guerriglieri che la monarchia sostiene. Il Katar ha comprato dal regime dell’Ucraina una partita di missli anti-aerei Pechora da consegnare ai jihadisti: missili che possono colpire aerei a oltre 20 chilometri. Il bello è che il Katar partecipa, con l’Arabia, alla “coalizione americana contro l’ISIS”.
L’ambiguità occidentalista – che finora ha sostenuto i terroristi jihadisti contro Assad – non è cambiata. Al punto che due deputati Usa, la democratica Tulsi Gabbard e il repubblicano Austin Scott, hanno presentato un disegno di legge bipartisan che ordinerebbe (se fosse votato) al governo americano di “interrompere la guerra illegale contro Assad”. Una misura che non avrà conseguenze, ma smaschera il perdurante doppio gioco. La Gabbard ha detto alla CNN: “La Cia arma quegli stessi terroristi che la Casa Bianca insiste a definire come nemici giurati”.
Può completare il quadro il fatto che nella presunta “alleanza contro l’ISIS”, così rumorosa, si nota la silenziosa diserzione di un attore chiamato Israele.
L’11 novembre, un (presunto) kamikaze ISIS s’è fatto saltare a Beirut nel quartiere sciita, Hezbollah, sterminando 40 persone in strada; Hezbollah è la sola forza araba che combatte i terroristi jihadisti; l’attentato ha suscitato inni di gioia sui media israeliani. Nei giorni scorsi la celebre giornalista australiana Shari Markson, di News Corp, ha visitato lo Ziv Medical Centre,a Zefat (Nord Israele) scoprendo che 500 giovani lì ricoverati per traumi da guerra sono guerriglieri di Al Qaeda, curati per poi (gliel’hanno detto loro) essere rimandati a combattere Assad.
Gli europei hanno sospeso Schengen….
Mai sciupare un bell’attentato: le eurocrazie ne hanno approfittato per sospendere lo spazio Schengen, ristabilire i controlli alle frontiere: non sapevano più come fare a frenare l’afflusso dei profughi veri e falsi e come salvare la pelle politica ad Angela Merkel senza costringerla a rimangiarsi tutto. Adesso, ecco fatto. Hanno potuto evitare di riconoscere che aveva ragione Victor Orban; il che, nella piccineria di questi individui, non è cosa da poco.
Quanto alla Merkel – lo rivela la Frankfurter Allgemeine Zeitung -al G-20 di Antalya s’è accordata a quattr’occhi con Obama e con altri paesi per continuare, anzi estendere, le sanzioni alla Russi con la scusa della pretesa annessione della Crimea. Ciò, contro il suo stesso ministero degli Esteri, F W Steinmeyer, che ha fatto palesi sforzi di porre fine all’isolamento diplomatico della Russia, riconoscendo un ruolo costruttivo di Mosca nella questione ucraina; persino Juncker non trova molto intelligente continuare le sanzioni, dato il danno economico che infliggono all’economia europea. Che dico? Financo la Mogherini dice che la crisi della Siria non si può risolvere senza la Rusisa – perfino Ban Ki Moon lo ripete. E’ evidente che ormai la Cancelliera, in uscita, lega il suo destino alla Superpotenza (forse aspira al posto di segretario generale Onu).
Quanto ad Hollande, sì, ha decretato lo stato d’eccezione, ossia la riduzione delle libertà civili e politiche e il controllo della popolazione, fra cui specialmente la censura su Internet (questo gli premeva). Ciò non serve ad arrestare terroristi, ma – per adesso – a silenziare la campagna elettorale regionale, che deve aver luogo fra due settimane. Queste elezioni, democratiche perché con il sistema proporzionale e dunque passibili di fornire risultati reali sullo stato d’animo dei francesi, sono di fatto censurate. Più precisamente: i media si autocensurano, non parlano dei candidati, le tv non fanno dibattiti, niente sondaggi; ad essere onnipresenti sui teleschermi sono gli uomini del governo e del PS, che giganteggiano con la loro “caccia ai terroristi”, state tranquilli che vegliamo noi su di voi…Il tutto condito da notizie allarmistico-demenziali: “Rubate 10 tute anti-Ebola dall’ospedale Necker; paura di attacchi chimici? Batteriologici? Ma Valls veglia su di voi, parigini.
Bruxelles, che come sempre è una caricatura di Parigi, ha espanso la strategia della tensione ad eccessi tragicomici: metropolitane chiuse, stadi vietati, scuole serrate, piazze vietate per la caccia a dieci terroristi dieci, e per giorni e giorni. “Massimo allarme terrore”: nella “loro” capitale, sono gli eurocrati e i loro complici e parassiti che mettono in scena la propria auto-protezione, il sollevamento dei ponti levatoi della loro propria fortezza, la prova generale del loro arroccamento per “sicurezza” contro i popoli, in vista della nuova fase di integrazione sovranazionale. Occorre più Europa! ci ripetono i politici. Matrix funziona a tutto spiano.
Almeno non raccontiamoci che Parigi si è alleata con Mosca.
Ci chiediamo spesso dove nasca l'Isis e chi lo finanzia. Perché non partire da questo dato?
"Vogliamo davvero eliminare l’Isis? E’ la nostra priorità?"
Ci chiediamo spesso dove nasca l'Isis e chi lo finanzia..
Lo scorso ottobre pubblicavamo questo articolo.
Francia. 10 miliardi di euro di contratti con l'Arabia Saudita
La Francia ha annunciato martedì la firma di una serie di accordi, contratti e lettere di intenti per 10 miliardi di euro con l'Arabia Saudita, durante una visita a Riad del primo ministro Manuel Valls .
L'accordo firmato martedì porta anche alla creazione di un fondo saudita dedicato agli investimenti in società francesi di piccole e medie dimensioni, in particolare nel digitale, energia e rinnovabile, il tutto per due miliardi di euro.
È stato inoltre firmato un memorandum d'intesa tra il Fondo d'investimenti pubblici saudita e il Laboratoire français du Fractionnement et des Biotechnologies (LFB) per la creazione di un impianto da 900 milioni di euro.
Nel settore dell'agrobusiness, l'embargo che ha colpito la carne bovina francese è stato tolto. Trentasette aziende francesi saranno ancora in grado di esportare in Arabia Saudita, ha detto Matignon.
Novità anche per le infrastrutture, per la gestione della rete idrica a Riyadh (€ 3 miliardi di euro), il trasporto urbano (metropolitana di Riyadh: € 1 miliardo), la distribuzione di energia a Jeddah (€ 1 miliardo).
Questa è la terza visita dei più alti funzionari francesi in Arabia Saudita, in meno di nove mesi. Prima di Manuel Valls, il presidente Francois Hollande è stato a Riyad il 24 gennaio dopo la morte del re Abdullah. Hollandè stato anche ospite d'onore il 5 maggio ad un vertice del Consiglio di Cooperaizone del Golfo.
Quando si parla d'affari cosa importa se l'Arabia Saudita ha giustiziato più persone dello Stato islamico. Un paese che oltre ad essere coinvolto direttamente nella guerra civile siriana, da anni finanzia organizzazioni e milizie terroristiche. Un paese il cui ruolo negli attentati dell’11 settembre non è mai stato reso pubblico.
Poi per cercare la risposta non dobbiamo andare molto lontano da chi sta distruggendo i diritti e le libertà per sconfiggere ora il suo Frankestein.
Da Famiglia Cristiana
Poi per cercare la risposta non dobbiamo andare molto lontano da chi sta distruggendo i diritti e le libertà per sconfiggere ora il suo Frankestein.
Da Famiglia Cristiana
Abbiamo fatto qualcosa? No. Abbiamo provato a tagliare qualche canale tra l’Isis e i suoi padrini? No. Abbiamo provato a svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi? No, al contrario l’abbiamo riempito, con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell’importazione di armi, vendute (a loro e ad altri) dai cinque Paei che siedono nel Consiglio di Sicurezza (sicurezza?) dell’Onu: Usa, Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia.
Solo l’altro giorno, il nostro premier Renzi (che come tutti ora parla di attacco all’umanità) era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista, più legato all’Isis e più dedito al sostegno di tutte le forme di estremismo islamico del mondo. E nessuno, degli odierni balbettatori, ha speso una parola per ricordare (a Renzi come a tutti gli altri) che il denaro, a dispetto dei proverbi, qualche volta puzza.
Perché la verità è questa: se vogliamo eliminare l’Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi. Facciamoci piuttosto la domanda: vogliamo davvero eliminare l’Isis? E’ la nostra priorità?Poi guardiamoci intorno e diamoci una risposta. Ma che sia sincera, per favore. Di chiacchiere e bugie non se ne può più.
Leader religiosi a favore della pena di morte per i reati di terrorismodi Nina Achmatova
La proposta è arrivata dalla Duma, ma il Cremlino ha subito frenato. Favorevoli anche se con riserve sia rappresentanti della Chiesa ortodossa, che musulmani. Contrari ebrei e attivisti per i diritti umani. In Russia è in vigore una moratoria sulla pena capitale.
Mosca (AsiaNews) - L’introduzione della pena di morte è possibile in alcune situazioni, anche se sarebbe meglio farne a meno. A parlare è il capo del dipartimento per le relazioni tra Chiesa e società del Patriarcato di Mosca, l’arciprete Vsevolod Chaplin, che insieme ad alcuni leader musulmani si è espresso a favore della cancellazione della moratoria sulla pena di morte, come ha proposto di recente un deputato alla Duma per punire i reati di terrorismo.
“Sarebbe meglio fare a meno della pena di morte, ma ci sono situazioni in cui le minacce alla società sono troppo forti e si può usare un tale metodo per difendersi”, ha detto Chaplin a Interfax il 20 novembre, dopo gli attentati di Parigi e dopo che Mosca ha riconosciuto la matrice terrorista dietro l’esplosione in volo dell’A321 della compagnia russa Metrojet in Sinai. Il rappresentante del Patriarcato russo-ortodosso ha poi ricordato che le basi delle politiche sociali della Chiesa russa affermano che la pena di morte era riconosciuta nel Vecchio Testamento e nel Nuovo non sono presenti indicazioni sulla necessità di abolirla.
A proporre una moratoria sulla pena di morte per terrorismo era stato il capo del partito Russia Giusta, Serghei Mironov. Subito dopo il portavoce del presidente russo, Dmitri Peskov, ha tenuto a garantire che la moratoria non verrà annullata. “La domanda sul ripristino della pena di morte in Russia dovrebbe procedere non dalle emozioni, ma dal buonsenso”, gli ha fatto eco Serghei Ivanov, capo dell'amministrazione presidenziale.
“Dobbiamo discutere e decidere su questa questione - ha continuato Chaplin - valutando le minacce, il livello di sicurezza della società e i vari metodi per assicurarla allo stesso modo. I terroristi e anche le organizzazioni e gli sponsor di attacchi terroristici possono e devono essere eliminati senza alcun processo quando gli organi di sicurezza determinano che stiamo parlando di persone che rappresentano un pericolo pubblico”. Il muftì supremo dell’ufficio centrale del Centro spirituale musulmano di Russia, Talgat Tajuddin, ha espresso anche lui sostegno all’idea. “Non si tratta di introdurre una nuova legge ma solo di restaurarne una vecchia”, ha detto, ricordando che la pena capitale è prevista dalla legge islamica (sharia).
Completamente contraria all’idea si è detta invece la Federazione delle comunità ebraiche di Russia; secondo il capo del dipartimento relazioni pubbliche, Boruch Gorin, “chi commette omicidio non viene fermato dalla minaccia della morte”. La storica attivista russa Lyudmila Alexeyeva, capo dell’Helsinki Group di Mosca, ha parlato di proposta “inaccettabile”. Contrario si è detto anche il capo del Consiglio per i diritti umani russo, Mikhail Fedotov, il quale ha bollato l’idea di Mironov come “populista” sullo sfondo delle prossime elezioni federali previste per il 2016. “Per un jihadista kamikaze, la minaccia della pena di morta è ridicola come la minaccia di tortura per un masochista”, ha dichiarato Fedotov.
La questione della pena di morte in Russia è legata all'adesione di Mosca al Consiglio d'Europa. Uno dei requisiti per tutti i membri è che la pena di morte non può essere applicata per alcun crimine. In rispetto a questa regola, nel 1996, il Consiglio ha richiesto alla Russia di applicare una moratoria immediata e l'abolizione completa della pena di morte entro tre anni. In pochi mesi Mosca accettò, diventando così membro del Consiglio.
Al momento i rapporti tra la Russia e il Consiglio d'Europa, come pure con l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, sono molto tesi per via della crisi ucraina, tanto che più volte Mosca ha minacciato una sua uscita dal Consiglio d'Europa.
http://www.asianews.it/notizie-it/Leader-religiosi-a-favore-della-pena-di-morte-per-i-reati-di-terrorismo-35948.html
Esportare la democrazia in nome di Dio: #NotInMyName
Al mercato elettorale si chiede a gran voce che i musulmani si dissocino da quanto accaduto a Parigi venerdì 13 novembre. E se lo fanno non è mai abbastanza. Non si tratta di una richiesta sincera ma di una psicosi collettiva di chi vuole rivendicare la propria identità soltanto quando essa è (o sembra) minacciata. Allora capisci il sistema dell’informazione occidentale quando vedi con che facilità il circo politico-mediatico associ Islam, Corano e Terrorismo e come dalla caduta del muro di Berlino ad oggi nessuno abbia mai contestato il fatto che gli Stati Uniti d’America possiedano, fin dalla loro nascita, la convinzione di essere stati scelti da Dio (quale? Il nostro?) per redimere l’umanità. Dopo l’11 settembre George W. Bush si rivolse all’Altissimo per chiedere la benedizione della sua crociata in Medio Oriente contro “l’asse del Male”. Così in quegli anni tornava di moda l’eccezionalismo americano, vale a dire un nazionalismo religioso ed ecumenico dettato da una teologia imperiale che dal 2001 non ha fatto altro che seminare odio, morte e distruzione. Gli attentati di Parigi rivendicati dallo Stato Islamico – un’organizzazione semigovernativa nata sulle macerie della guerra irachena – così come gli attacchi precedenti nel cuore del continente europeo, non sono altro che una conseguenza di questa tragica parabola tutta occidentale.
Per capire il doppio standard dei commentatori politici basta leggere “Democrazia di Dio. La religione americana nell’era Impero e del Terrore” (Editori Laterza, pag. 228) di Emilio Gentile, uno libro straordinario scritto da un allievo di Renzo De Felice, il quale vinse un premio internazionale per i suoi studi su religione e politica nei totalitarismi: Fascismo, Comunismo, Nazionalsocialismo e Democrazia Americana. Che quest’ultima si trovi al fianco delle grandi ideologie novecentesche dovrebbe, di per sé, far pensare. La fede democratica infatti ha avuto origine dalla tradizione religiosa dei coloni americani e la religione è sempre stata, come osservava già Alexis Tocqueville nel 1830, la principale istituzione politica degli Stati Uniti. Questi sono sempre stati – come lo sono tuttora – una delle nazioni più religiose dell’Occidente. La Costituzione afferma il principio della separazione fra lo Stato e la Chiesa, eppure nel corso della sua storia, la politica non è mai stata separata dalla religione. Il groviglio politico-religioso si percepisce nella celebrazione corale “God Bless America” cantato dai credenti delle varie chiese e confessioni che compongono il mosaico religioso statunitense, così come negli inni patriottici che si intrecciano con quelli religiosi nei luoghi di culto laici decorati dalla bandiera a stelle e strisce. L’America, osservò nel 1922 lo scrittore cattolico inglese Gilbert K. Chesterton, “è una nazione con l’anima di una Chiesa” perché “è l’unica nel mondo fondata su un credo, esposto con dogmatica, teologica lucidità nella Dichiarazione d’indipendenza”.
E se la religiosità in America è inizialmente di matrice protestante, poi negli anni 30 del Novecento si ebraicizza, negli ultimi decenni invece ha acquisito una dimensione spirituale autonoma: la sacralizzazione della democrazia patriottica. Un’ideologia, al pari di quelle novecentesche, che in nome di Dio è stata esportata con la violenza prima in Afghanistan, Iraq e Libia, oggi in Siria e domani probabilmente in Iran. In questi 14 anni nessuno ha mai chiesto a noi europei, subalterni all’americanismo, di dissociarsi da questa spiritualità mortifera. Esportare la democrazia di Dio: not in my name.
http://blog.ilgiornale.it/sebastianocaputo/2015/11/23/esportare-la-democrazia-in-nome-di-dio-notinmyname/
Per capire il doppio standard dei commentatori politici basta leggere “Democrazia di Dio. La religione americana nell’era Impero e del Terrore” (Editori Laterza, pag. 228) di Emilio Gentile, uno libro straordinario scritto da un allievo di Renzo De Felice, il quale vinse un premio internazionale per i suoi studi su religione e politica nei totalitarismi: Fascismo, Comunismo, Nazionalsocialismo e Democrazia Americana. Che quest’ultima si trovi al fianco delle grandi ideologie novecentesche dovrebbe, di per sé, far pensare. La fede democratica infatti ha avuto origine dalla tradizione religiosa dei coloni americani e la religione è sempre stata, come osservava già Alexis Tocqueville nel 1830, la principale istituzione politica degli Stati Uniti. Questi sono sempre stati – come lo sono tuttora – una delle nazioni più religiose dell’Occidente. La Costituzione afferma il principio della separazione fra lo Stato e la Chiesa, eppure nel corso della sua storia, la politica non è mai stata separata dalla religione. Il groviglio politico-religioso si percepisce nella celebrazione corale “God Bless America” cantato dai credenti delle varie chiese e confessioni che compongono il mosaico religioso statunitense, così come negli inni patriottici che si intrecciano con quelli religiosi nei luoghi di culto laici decorati dalla bandiera a stelle e strisce. L’America, osservò nel 1922 lo scrittore cattolico inglese Gilbert K. Chesterton, “è una nazione con l’anima di una Chiesa” perché “è l’unica nel mondo fondata su un credo, esposto con dogmatica, teologica lucidità nella Dichiarazione d’indipendenza”.
E se la religiosità in America è inizialmente di matrice protestante, poi negli anni 30 del Novecento si ebraicizza, negli ultimi decenni invece ha acquisito una dimensione spirituale autonoma: la sacralizzazione della democrazia patriottica. Un’ideologia, al pari di quelle novecentesche, che in nome di Dio è stata esportata con la violenza prima in Afghanistan, Iraq e Libia, oggi in Siria e domani probabilmente in Iran. In questi 14 anni nessuno ha mai chiesto a noi europei, subalterni all’americanismo, di dissociarsi da questa spiritualità mortifera. Esportare la democrazia di Dio: not in my name.
http://blog.ilgiornale.it/sebastianocaputo/2015/11/23/esportare-la-democrazia-in-nome-di-dio-notinmyname/
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