EDUARDO IMPOSSIBILE REDENZIONE
Teatro: Eduardo si carica delle colpe degli uomini nello sforzo impossibile di redimerli. Il sincero amore di De Filippo per gli uomini, ma egli si percepisce come un nuovo Cristo, come un secondo Redentore, un redentore laico di Francesco Lamendola
Il teatro di Eduardo De Filippo è malato di misantropia, di pessimismo cronico, di scoraggiamento patologico nei confronti della vita?
Prima di rispondere, o provare a rispondere, a questa domanda, bisogna cercar di capire che cosa Eduardo pensi della condizione umana e come intenda la sua attività di drammaturgo, cioè in quale prospettiva e con quali finalità egli si presenti al suo pubblico (e questo vale anche per l’uomo e l’attore, che sono poi due aspetti inscindibili della sua personalità artistica).
Eduardo è, senza ombra di dubbio, un pessimista; però non ne consegue necessariamente che sia anche un misantropo, né che detesti, oltre agli uomini, anche la vita. Al contrario: il suo pessimismo nasce da un senso di profonda solitudine e di frustrazione rispetto agli uomini così come sono, da una mancata accettazione della loro condizione attuale; egli, però, non si stanca mai di guardare oltre il presente, oltre le miserie, le contraddizioni, le viltà dell’uomo quale ci appare nella realtà di ogni giorno, e di aspirare ardentemente alla sua redenzione, al suo innalzamento etico, alla sua rigenerazione in vista di un mondo migliore, più felice e più armonioso.
Questo significa che c’è, nella visione di Eduardo, una tensione verso qualcosa di non ancora compiuto, di non ancora realizzato: per usare una parola grossa, una tensione soteriologica. Questa potrebbe configurarsi come una condizione interiore di segno “religioso”, e sia pure nel senso più ampio del termine, ossia come un rifiuto dell’immanentismo chiuso in se stesso e perfettamente autosufficiente. Invece non c’è alcun richiamo, alcun desiderio, nei confronti della trascendenza: l’uomo non ha bisogno di Dio, tutt’al più ha bisogno di Cristo, anzi, del suo esempio morale: di un Cristo laico e interamente umano. Quello di Eduardo sarebbe, in definitiva, un umanesimo integrale, se non gli mancasse un elemento essenziale: l’accettazione totale dell’esistente, l’assenso incondizionato alla vita quale essa ci si presenta e quale gli uomini sono capaci di viverla.
Per lui, quello che gli uomini sono, generalmente parlando, nella loro maniera di vivere, di sentire, di pensare, di agire, è troppo limitato e imperfetto, troppo umano, cioè troppo impastato di egoismo e di velleità contraddittorie; il che non gli impedisce di amarli, anzi, lo spinge ad amarli ancora di più; ma come li può amare un santo, un eremita, un monaco che abbia deciso di separarsi da loro e sia capace di guardarli dall’esterno; come un testimone severo, forse come un giudice, che li ha pesati e li ha trovati troppo scarsi, e che vorrebbe vederli diversi da quello che sono. Tale è la componente puritana, aristocratica, moralista di Eduardo: i protagonisti delle sue commedie, che riflettono il suo tormento interiore e la sua incessante ricerca di autenticità, appaiono sempre come degli isolati, degli incompresi, perfino dei perseguitati, anche se il tono apparentemente discorsivo di gran parte del suo teatro potrebbe dissimulare tale condizione allo spettatore superficiale, e nascondere la sostanza seria, addirittura escatologica (altro parolone!) del suo discorso. In breve, si tratta di questo: Eduardo vorrebbe assistere a una sorta di rigenerazione morale dell’umanità, anzi, vorrebbe dare ad essa un contributo personale. Evidentemente, egli si sente un po’ come un profeta inascoltato, o come il protagonista della commedia di Ionesco «I rinoceronti»: l’ultimo essere veramente umano in un mondo divorato dall’avidità e dalla mancanza di amore.
Ha osservato Fiorenza Di Franco nella sua monografia «Il teatro di Eduardo» (Bari, Laterza, 1975, pp. 228-232):
«Non di misantropia il “personaggio Eduardo” soffre, ma di solitudine, e sono gli altri a ridirlo in questo stato. Egli è solo perché è circondato da un’umanità presa dall’avidità, dagli egoismi, dalle ipocrisie.
Alla base del suo teatro “c’è sempre il conflitto tra individuo e società” che egli si batte per eliminare. In “Filumena Marturano” lotta per l’eguaglianza dei cittadini, compresi i figli illegittimi; In “Tommaso d’Amalfi” e in “De Pretore Vincenzo” mette a nudo la precaria situazione degli abitanti di Napoli; nel “Figlio di Pulcinella” condanna lo sfruttamento del popolo; nel “Sindaco del Rione Sanità” sottolinea la parzialità della giustizia verso i poveri e gli ignoranti; nel “Monumento” mostra dove possono arrivare le vittime sprovvedute del potere e manifesta un’aspra condanna di tutte le guerre. Ma non si ferma qui. Non si limita a denunciare i mali sociali, è la condizione umana stessa che diventa la tematica dominante di tutta la sua opera. Non la tratta però in termini filosofici, intellettuali, dialettici o metafisici; parte da quella vita di tutti i giorno che mette in scena, usa il linguaggio semplice dell’uomo della strada – il dialetto quando è adottato lo rende ancora più colorito – e raggiunge così un’intesa con il pubblico e la maggior comprensione da parte degli spettatori. Questo spiega anche il successo di tutte le sue commedie. Eduardo nell’analizzare l’umanità spesso parte dalla famiglia ma non è l’istituto come legame legale che lo interessa; più volte nelle sue commedie egli si mostra favorevole al divorzio (che all’epoca in cui furono scritte ancora non esisteva in Italia). Egli infatti crede in un codice umano che è al di sopra delle leggi scritte – vedi “Filumena Marturano, “Io”, “L’erede”, “Il sindaco del Rione Sanità”.
Il matrimonio lo considera un legame solo quando alla base c’è un vero amore arricchito dal dialogo e dal reciproco rispetto, a prescindere da ogni altro elemento. Un rapporto simile lo vorrebbe anche tra padri e figli, auspicando anzi che i pari eliminano ragioni di interesse che potrebbero incrinarlo.
Nella famiglia come nella società Eduardo denuncia i convenzionalismi, i conformismi, la morale delle apparenze che distruggono la vera unione che dovrebbe esistere fra i loro membri. Non risparmia nessuno né lo fermano i tabù, mette a nudo le piaghe con accanimento, perché non vi può essere amore e solidarietà fra gli uomini se prima questi sentimenti non sono vivi ne nucleo primo della società.
Passa poi a una visione più larga, rappresentando campionari d’umanità o trasformando il coro in protagonista, reiterando accuse con foga e arrivando a dimostrare una colpevolezza collettiva.
Le colpe più gravi che Eduardo rimprovera all’umanità sembrano essere due. Una è l’aver accettato come unico valore il denaro, dopo il crollo dei valori tradizionali che spesso erano retorici anch’essi. Non vi è dunque rimpianto per questi ultimi, perché anche se nati come veri valori, col tempo sono stati ricoperti da sovrastrutture al punto da diventare delle entità vuote e senza significato, degli anacronismi. Vi è invece nel suo teatro l’auspicio di ritrovare i veri valori umani, che potranno realizzarsi solo con la ricerca dell’autenticità da parte degli uomini. Eduardo pare delegare questo compito ai giovani verso i quali sembra nutrire più fiducia che verso gli anziani.
L’altra colpa degli uomini è di non sapersi amare e di tradire così il comandamento lasciato da Cristo. A questo punto è necessario spiegare come Eduardo vede il Cristo. Nel suo teatro Dio è assente - il Dio di “De Pretore Vincenzo” è più la personificazione del potere umano che di quello divino – e il soprannaturale sta al di là della portata dell’uomo - vedi “Le voci di dentro” – e l’eternità, se promessa all’uomo, risulta una truffa – vedi “Il contratto”. L’unica eternità concessa all’uomo è quella di rivivere nei figli (“Mia famiglia”, “Il figlio di Pulcinella”) Ciò nonostante, la predicazione del Cristo è una realtà presente nell’opera di Eduardo. È un cristianesimo puro, al di fuori di ogni struttura quale la Chiesa con i suoi dogmi. È aconfessionale, e si identifica con un nuovo umanesimo inteso come richiamo ai valori innati dell’uomo, valori che hanno perso la loro consistenza quando sono stati legalizzati dalla società o dalla Chiesa.
L’uomo, dunque, nel teatro di Eduardo è libero: libero di farsi la sua strada, libero di redimersi, libero di crearsi il suo destino. Non vi è un destino ineluttabile come nel teatro di Pirandello e questo solo basterebbe a dimostrare la completa indipendenza dei due autori. Quelli poi che parlano del fatalismo di Eduardo avrebbero difficoltà di provarlo.
Se diamo un sguardo da vicino al cammino di Eduardo, e precisamente dal dopoguerra in poi, possiamo vedere una partenza piena di speranze.
Ma vediamo pure che, forse per autodifesa contro possibili delusioni, già in “Napoli milionaria!” Eduardo mette una nota negativa col sottolineare che la guerra veramente non era finita , a giudicare dal comportamento di certi uomini. Come l’uguaglianza auspicata in “Filumena Marturano” non si è verificata, anzi si è arrivati al divoramento degli uni con gli altri (“Le voci di dentro”) ignorando completamente la solidarietà augurata in “Napoli milionaria!”.
A questo punto lo scoramento di Eduardo arriva al massimo, ma la sua natura di ottimista non gli permette di lasciarsi andare alla disperazione ed egli si riprende. Se questa è la condizione umana e sociale, tanto vale accettarla e continuare a vivere lo steso, malgrado tutto (“La paura numero uno”). Bisogna lavorare, lottare, sbaglia colui che cerca rifugio nell’illusione (“Questi fantasmi!”). Non ci si può nemmeno rifugiare nell’alienazione, rimpiangendo il passato (“Mia famiglia”, “Il monumento”). Se la strada pare difficile per le vecchie generazioni, ben vengano i giovani (“Il figlio di Pulcinella”, “Sabato, domenica e lunedì”).
Le cose però non cambiano lo stesso. Lo scoramento prende di nuovo il sopravvento in Eduardo, perché gli uomini continuano a dare importanza solo al denaro: per loro è la chiave di tutto, della giustizia, dell’esistenza stessa. è forse auspicabile la violenza per provocare un ritorno alla coscienza? È quello che la ragione sembra dettare, ma Eduardo sceglie il cuore e continua la sua lotta incruenta (“Il sindaco del Rione Sanità”). Arriva così a dimostrare che si è perfino disposti ad amare il prossimo ma solo per calcolo e per soddisfare la propria avidità di nuove ricchezze (“Il contratto”). Alcune sovrastrutture, poi mettono in pericolo l’integrità della società. Falsano i rapporti fra gli uomini che invece di amarsi non fanno che giudicarsi a vicenda (“Gli esami non finiscono mai”).
È a questo punto che per ora il discorso di Eduardo si ferma, a questo punto si trova la sua lotta per un’umanità migliore, per una società più giusta, condotta con l’arma più congeniale per lui, il teatro: una commedia oggi, una commedia domani, può darsi che il mondo diventerà un po’ meno rotondo e un po’ più quadrato, parafrasando le parole del sindaco del Rione Sanità.
È proprio la natura ottimista di Eduardo che gli fa continuare la sua lotta malgrado tutte le delusioni che deve soffrire e che gli fanno sempre più incavare il viso e immalinconire gli occhi. Questo perché lui crede fermamente che la vita va vissuta, accettata, come anche la morte, la fine naturale di essa, come dice la sua poesia “’A vita”….»
È vero quel che dice Fiorenza Di Franco, che la somiglianza fra il teatro di Pirandello e quello di Eduardo è più apparente che reale, perché, se entrambi mettono in scena il dramma dell’individuo che si scontra con una società sorda ed egoista, il primo non vede alcuna possibile via d‘uscita, se non nella pazzia o nel distacco totale e in una sorta di atarassia quasi stoica (la cosiddetta “filosofia del lontano”), mentre il secondo, fondamentalmente ottimista quanto alla volontà – non alla ragione - spera sempre che qualcosa possa cambiare: se non oggi, domani; e, se non per opera di questa generazione, della prossima.
Ma su quali valori Eduardo immagina di rifondare la convivenza civile e di restaurare una società a misura d’uomo, visto che non crede più nei valori d’un tempo, e, del resto, ritiene che essi già da molto avessero perduto la loro credibilità e la loro presa sulle persone, essendo divenuti ormai meramente formali? Non lo si capisce bene, e questa, a nostro avviso, è la debolezza fondamentale di tutto il suo discorso, proprio perché Eduardo non si accontenta di descrivere la condizione umana, ma costruisce il suo teatro sull’intenzione di dare un contributo affinché si realizzi una svolta sociale e morale positiva. Ora, una letteratura militante – e il teatro è un genere letterario, meglio se di larga presa sul pubblico – non può esimersi da formulare una analisi sociale e culturale che sia esatta e realistica, né dall’individuare i mezzi e le risorse morali cui intende attingere per il suo progetto. Ora, ammesso che l’analisi di Eduardo sia adeguata, su che cosa egli si propone di far leva per rifondare i valori dei quali la società ha bisogno? In altre parole: in che cosa crede Eduardo, e che cosa intende additare agli uomini, in positivo, che li aiuti a guarire dalla loro ossessione per il denaro e della mancanza di amore reciproco?
Dire che crede negli uomini è troppo, visto lo scoraggiamento che i tipici “eroi” di Eduardo provano di fronte alle difficoltà insormontabili che si alzano davanti al loro desiderio di instaurare dei rapporti reciproci più veri e sinceri. Gli uomini, così come sono, o come sono diventati, non gli piacciono; li vorrebbe diversi, e vorrebbe contribuire a cambiarli di nuovo, ma, ovviamente, in meglio. A impoverirli di sostanza umana è stato, in ultima analisi, il progresso materialistico e consumistico del secondo dopoguerra; e con che cosa propone di farli rinsavire, di ri-umanizzarli, Eduardo, una volta esclusa la prospettiva trascendente? Con l’amore: benissimo; ma quale amore? Con l’amore predicato da Cristo: benissimo ancora. Ma l’amore predicato da Cristo non può essere estrapolato dal suo naturale e vitale contesto religioso; non può essere equiparato ad una morale laica, una delle tante. E ciò per un motivo semplicissimo, che non ha niente a che fare con la pretesa dei credenti di essere, loro, sempre e comunque, nel giusto, e gli altri, nell’errore. Il fatto è che Eduardo è il primo ad ammettere che, negli uomini, gli istinti inferiori tendono sempre a prevalere, e le sue crisi di scoraggiamento, come uomo, come scrittore e come artista, derivano proprio da questo: ora, come è possibile che gli uomini, che non possiedono i mezzi per far prevalere, da sé soli, la propria parte migliore, riescano a realizzare proprio questo obiettivo, solo perché alcuni di loro sentono che così bisogna fare, e solo perché esistono ancora alcune persone che avvertono tutta la falsità e tutta la precarietà della situazione esistente, e vorrebbero reagire?
Eduardo, insomma, tenta di far leva su una specie di umanesimo laico, e si appella a dei valori umanistici – l’onestà, la sincerità, la lealtà, l’altruismo – che lui stesso afferma di vedere calpestati e negletti ogni giorno. Ora, quei valori sono nati, fondamentalmente, dalla civiltà cristiana (nel mondo antico, se pure esistevano, si applicavano solo ai familiari, ai parenti e ai connazionali); sono stati duemila anni di cristianesimo a farli entrare nella vita pratica delle persone, oltre che nella loro coscienza etica. Non vengono né dalla Rivoluzione francese, né dalla massoneria, né dalla Rivoluzione industriale, e tanto meno dalla scienza o dalla tecnica moderne. Ma Eduardo non riconosce questo fatto, insegue la chimera di una moralità laica sufficiente a se stessa - salvo poi lamentarsi in continuazione perché gli uomini non rispondono alle sollecitazioni dei suoi “eroi” teatrali, si mostrano duri e insensibili, egoisti e interessati. Questa non è una posizione coerente, e non è neppure del tutto onesta sul piano intellettuale. Se si alza la bandiera di un umanesimo laico e integrale (perché nulla bisogna aspettarsi al di fuori di questa vita), poi non ci si dovrebbe rammaricare incessantemente del fatto che gli uomini non sono come dovrebbero essere. Questo può farlo solo chi non ammette un orizzonte esclusivamente immanentistico, ma si apre al mistero della trascendenza. Nel linguaggio religioso, si parla di peccato e di redenzione; ma nel mondo di Eduardo non vi è il peccato, vi è solamente il vizio: e da dove viene mai, questo vizio, se l’uomo può e deve bastare a se stesso? E, soprattutto: da dove verrà mai la redenzione, se ogni passo avanti sulla via della moralità è seguito da due passi indietro?
Gli esami, dice Eduardo nel titolo della commedia che è il suo testamento spirituale, non finisco mai; e non finiscono mai perché l’uomo non ha ancora imparato ad essere buono con l’altro uomo, a fidarsene, ad amarlo: è sempre tutto preso dall’amore egoistico di se stesso. Dove troverà la forza per uscire dal circolo vizioso? Non si sa; non c’è risposta. Da intellettuale “progressista”, Eduardo mostra di credere nel “popolo”, e specialmente nei più poveri e sfruttati; ciò gli fa onore, ma non diminuisce di un millimetro la difficoltà. È proprio vero che la virtù si accompagna alla povertà, sempre e comunque? Questo è il classico mito buonista e illuminista, in definitiva il mito del buon selvaggio, rivisto e riadattato; ed è anche il mito di molti cattolici “progressisti”, che leggono il Vangelo come fosse l’equivalente del «Capitale». Ma è un mito fasullo: perché il “popolo”, così inteso, non esiste. Ci hanno creduto più o meno tutti gl’intellettuali ”progressisti”, da Robespierre a “Che” Guevara e da Majakovskij a Pasolini; Eduardo, quindi, fatte le debite distinzioni (e proporzioni), è in buona compagnia. Ma partecipa, con loro, di una stagione culturale che è finita, e di cui non ha saputo vedere, né comprendere, la fine: quella di una lunga illusione ideologica.
Di suo, Eduardo ha messo nel proprio discorso teatrale un sincero amore per gli uomini, ma senza riuscire ad accettarli sino in fondo, e anche senza saperli rifiutare: il che tradisce uno smisurato concetto di sé, quasi che lui sia l’unico giusto in un mondo d’ingiusti, e aiuta a comprendere il perché di quel volto sempre più incavato e di quello sguardo – come dice Fiorenza Di Franco – sempre più immalinconito. Eduardo, inconsciamente, si carica di tutte le colpe degli uomini e tenta di espiarle sulla propria pelle, purché essi si salvino: senza rendersene conto, egli si percepisce come un nuovo Cristo, come un secondo Redentore: ma un redentore laico. Questa è una contraddizione in termini: nessun uomo può redimere un altro uomo, figuriamoci tutta l’umanità; senza contare che, da solo, e pur con tutto il coraggio ed il buon volere di questo mondo, non riuscirebbe a redimere neppure se stesso…
Eduardo si carica delle colpe degli uomini nello sforzo impossibile di redimerli
di Francesco Lamendola
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