Come la chiesa è sopravvissuta a Papi ben poco misericordiosi
La storia è piena di pontefici ubriaconi, pauperisti, rinunciatari, moralizzatori, figli di preti. Ma siamo sopravvissuti (anche alle finte papesse con barba posticcia)
Un ritratto di Papa Sisto V
Nel film, Pio VII condanna il marchese del Grillo a un mese di reclusione a Castel Sant’Angelo ma glielo commuta in trenta Pater-Ave-Gloria per trenta giorni (“Era mejo anna’ in fortezza”, commenta Sordi).
Fossi Papa io, commuterei l’eventuale pena per Nuzzi e Fittipaldi in lettura coatta di “Vite efferate di papi” di Dino Baldi, edizioni Quodlibet: pena lieve, in misericordiosa coerenza col Giubileo, finanche gradevole ma istruttiva per chi brama scandali che rovescino il Vaticano. Apprenderebbero che il loro lavoro è reso vano dal 1582, quando il gesuita Antonio Possevino scrisse che “il governo della chiesa non dipende dalla vita mutevole degli uomini ma da un’immobile disposizione divina”. A riprova c’è l’intera storia ecclesiastica, del cui peggio Baldi fornisce un florilegio forse intrapreso per scettica erudizione ma che finisce per tornare a maggior gloria. Troverebbero che per papa Callisto la chiesa doveva essere un’arca di Noè, non per via di pesciolini e bonobi proiettati sulla facciata di San Pietro bensì poiché “peccatrice e santa allo stesso tempo, con dentro il bene e il male come qualsiasi altra cosa umana”. Scoprirebbero che il loro scoop ben poco ha di nuovo: ci sono già stati papi pauperisti che volevano ripulire la curia, come Silvestro e Adriano VI, e papi rinunciatari come Clemente che anticipò Ratzinger in pieno primo secolo. Ce ne sono stati perfino di scomunicati, ubriaconi, figli di preti o di fratelli incestuosi. Embè?
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di Antonio Gurrado | 07 Dicembre 2015
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