ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 21 dicembre 2015

Niente cristianesimo, niente Europa


IL CUORE DELLA CIVILTA'EUROPEA     Il Cristianesimo, cuore e motore della civiltà medievale ed europea. Niente cristianesimo, niente Europa: l’Europa senza le sue radici cristiane è un non-senso, una falsificazione storica e una impossibilità logica    di Francesco Lamendola    


  
Il Cristianesimo, checché ne dicano le lobbies plutocratico-massoniche di Bruxelles, non è stato un fattore storico che si possa mettere fra parentesi e sul quale si possa tirare una riga, come nulla fosse; esso è stato, al contrario, il cuore e il motore della civiltà medievale ed europea e, dunque, della civiltà mondiale, nella misura in cui quest’ultima è debitrice da quelle per ciò che è diventata e per ciò che potrà diventare.

Senza il ruolo svolto dalla religione cristiana nei secoli del Medioevo, noi non avremmo l’Europa, né avremmo il mondo, così come oggi ci appaiono,  come si sono formati e assestati, anche passando attraverso momenti di violenta ribellione anticristiana (alcune eresie medievali, prima; l’Illuminismo, la Massoneria, il Liberalismo, la Democrazia, il Socialismo, poi), ma sempre servendosi dei materiali che la cultura cristiana e la spiritualità cristiane avevano messo loro, per così dire, a disposizione.
Anche le radici antiche, classiche, della civiltà europea – cioè, in buona sostanza, la filosofia greca e il diritto romano – non sono state tali, per l’Europa, senza la mediazione del cristianesimo: quelli che a noi sono giunti, dalle rovine della civiltà antica, sono stati la filosofia greca mediata dal cristianesimo e il diritto romano mediato, anch’esso, dal pensiero cristiano, e arricchito dal diritto canonico, creazione della Chiesa cattolica medievale.
Dunque: niente cristianesimo, niente Europa; l’Europa senza le sue radici cristiane è un non-senso, una falsificazione storica e una impossibilità logica: questo lo ammettono tutte le persone di buon senso e intellettualmente oneste, di qualunque tendenza siano dal punto di vista filosofico, storico, politico, religioso, morale. Parlare dell’Europa, anche al presente, ignorando il cristianesimo, è come parlare della pioggia, facendo finta che non esista il ciclo dell’acqua e pensando alla pioggia come ad una precipitazione che viene dal cielo, chissà come e perché, e che cessa di esistere nel momento in cui cade al suolo.
Il problema è che la civiltà europea moderna non solo rifiuta il cristianesimo come religione e come sistema di valori, ma lo rifiuta anche come pura e semplice tradizione storica e culturale, poiché essa teme che, anche ridotto anche entro queste proporzioni puramente oggettive e naturalistiche, esso riesca, in qualche modo, a trasmettere qualcosa della propria dimensione propriamente religiosa; anche se la civiltà moderna è irreligiosa, atea e materialista, nondimeno essa teme, in maniera tipicamente superstiziosa, che quel Dio dichiarato morto e sepolto, possa risorgere dal sepolcro e venire a scompaginare tutti i suoi bei progetti.
I quali progetti sono presto detti: sostituire la millenaria tradizione cristiana con una cultura razionalista, mondialista, cosmopolita, massonica, omologante e, soprattutto, funzionale a quegli oscuri poteri finanziari i quali, stando sullo sfondo, manovrano come tanti burattini tutti i volonterosi paladini del laicismo, dello scientismo, della cultura dei “diritti”, questi utili idiori, zelanti “intellettuali” del relativismo, dell’indifferentismo, del nichilismo, dell’omosessualismo, della globalizzazione, della porta aperta all’invasione dei migranti, la quale ultima è, per chiamarla con il suo vero nome, una sistematica sostituzione di popolazione, avente l’obiettivo di far scomparire fisicamente, biologicamente, oltre che culturalmente e spiritualmente, quel che resta degli Europei, dell’Europa e della sua millenaria civiltà. Ed ecco spiegato anche perché il livore illuminista contro il Medioevo non si è affatto smorzato, dopo due secoli e mezzo di accuse e recriminazioni sistematiche: denigrare il medioevo, infatti, vuol dire anche sminuire l’apporto del cristianesimo alla costruzione della civiltà europea e dunque, in un certo senso, creare le premesse per rimuoverne anche il ricordo dall’orizzonte storico del presente.
La centralità dell’esperienza medievale per l’Europa attuale è stata assai ben sintetizzata dallo storico Raffaello Morghen (nato a Roma nel 1896 e morto, nella stessa città, nel 1983) nel suo ormai classico «Il Medioevo cristiano» (Bari, Laterza Editore, 1951; 1962, p. 17):

«Il Medioevo non è un oscuro e incomprensibile iato inserito da non si sa quale demiurgo tra gli ultimi splendori della cultura antica e i nuovi splendori della Rinascita, ma piuttosto la più compiuta espressione della civiltà mediterranea, dalla quale dobbiamo riattingere i motivi eterni che hanno fatto della civiltà europea la civiltà umana per antonomasia.
La forza centrale di questa nuova civiltà è il Cristianesimo che, esautorata la religione pagana, prese il posto che prima era stato dell’Impero romano. Nella consapevolezza di questa altissima funzione, la Chiesa della “regalis potestas” degli Imperatori sostituì la “sacrata pontificum auctoritas”; Agostino con il “De Civitate Dei” indicò il dovere e il diritto della Chiesa di guidare politicamente e spiritualmente e politicamente la società umana; Gregorio Magno accordò cristianesimo e romanità per cui la “libertas” assunse il compito di portare l’uomo nella legge civile e nel perfezionamento morale; Benedetto da Norcia con la sua “regola”, cristiana e romana ad un tempo,  “raccolse intorno a sé i VOLGHI DISPERSI”, li rieducò all’amore degli uomini e dei campi; Leone III ricostituì l’Impero “non più nemico ma alleato di Cristo”, cioè con finalità politico-religiose; Carlo Magno nel segno della Croce unificò l’Europa romano-germanica; infine, lo Stato, consacrato dalla Chiesa, assunse il compito di “guidare il popolo di Dio” attraverso la peregrinazione terrena verso l’immortale gaudio della Gerusalemme celeste.»

Ripensare al nostro legame con civiltà medievale non significa, dunque, indulgere ad una forma di passatismo fine a se stesso, ma tornare ad attingere a quella fonte che ha assicurato all’Europa, per circa mille anni, una straordinaria compattezza sociale e spirituale, che, pur fra mille difficoltà e minacce, interne ed esterne – pestilenze, invasioni, guerre – le ha consentito di superare ogni crisi, di ritrovare ogni volta se stessa, di non smarrire mai del tutto, nemmeno nei momenti più critici, il senso della vera civiltà: che è ricerca della sintesi fra pace e giustizia terrena, da un lato, e ricerca di Dio e dei valori eterni, dall’altro; concetto dal quale ci siamo a tal punto allontanati, da averne smarrito perfino l’intimo significato e, di conseguenza, il bisogno e lo stesso desiderio. Il che è quanto dire che abbiamo costruito, negli ultimi tre secoli, una contro-civiltà, una contro-cultura, una contro-spiritualità; così come una contro-economia, una contro-socialità e una contro-educazione, il cui risultato è la corsa, sempre più precipitosa, sempre più disordinata, verso il precipizio del caos e dell’autodistruzione. Come se – è impossibile non pensarvi, almeno qualche volta - qualcuno ci stesse sospigendolo deliberatamente verso una tale Nemesi.
L’uomo medievale possedeva il senso del limite. Le corporazioni di mestiere ed i loro statuti sono la prova del fatto che, nella civiltà del Medioevo, il lavoro, la produzione e l’economia erano al servizio dell’uomo, così come lo erano le banche, e non viceversa: la proibizione della pubblicità, la severa limitazione della concorrenza, la stretta vigilanza contro le adulterazioni e ogni atro procedimento produttivo contrario al bene comune e all’onorabilità delle stesse arti e dei mestieri, nonché la condanna dell’usura (con tanto di scomunica e di rifiuto del funerale religioso agli usurai), mostrano come fosse cosciente del fatto che, senza gli opportuni correttivi all’egoismo individuale, produzione e risparmio si sarebbero trasformati nel campo di battaglia ove è destinato a vincere sempre il più avido e privo di scrupoli, non il migliore, con danno non solo del consumatore, del lavoratore e del piccolo risparmiatore, ma della società intera.
Quando le corporazioni cominciarono a decadere, quando le banche si trasformarono da custodi del risparmio ed erogatrici di credito, in agenzie di speculazione finanziaria sempre più cinica e incontrollata, la civiltà medievale cominciò a morire. Pure, la sua fibra era così forte e sana, che ci vollero ancora alcuni secoli prima che soccombesse definitivamente. Tracce di istituzioni e di mentalità medievali sopravvissero durante l’Ancien Régime, fino alla vigilia della Rivoluzione francese e di quella industriale. Per distruggerle definitivamente, e per consentire assoluta mano libera all’usura finanziaria e alle spietate leggi del capitalismo moderno, furono necessari gli sforzi riuniti della Massoneria, della cultura illuminista, della «Encyclopédie», ma anche delle filosofie razionaliste, sensiste, empiriste, utilitariste, scettiche, libertine, laiciste; nonché il giurisdizionalismo dei sovrani “illuminati”, l’avidità smodata della ricca borghesia e l’empia alleanza fra il buonismo velleitario e melenso dei giusnaturalisti e la realpolitik della City, della Banca d’Inghilterra, della gentry vogliosa di enclosures e delle Compagnie commerciali inglesi, francesi e olandesi, potenti come piccoli (o non tanto piccoli) imperi.
La civiltà medievale traeva la sua straordinaria coesione dal radicamento del sentimento religioso: era quello, e non la paura delle pene civili, a trattenere l’uomo medievale entro il senso del limite, a ricordargli la sua condizione creaturale e il suo appuntamento finale con la Giustizia divina, cosa che lo riempiva di sacrosanto timore e tremore. Chi non ha compreso questo, non può comprendere nulla della «Divina commedia», foss’anche il più dotto dantista; nulla di Giotto e delle cattedrali, foss’anche il più colto storico dell’arte; nulla di San Tommaso d’Aquino, quand’anche fosse il più erudito storico della filosofia. L’uomo medievale aveva paura dell’Inferno: e allora? Forse che è migliore il philosophe illuminista, che non teme Dio e si fa beffe delle cose più sacre, ma poi cade in servile adorazione dei suoi nuovi feticci: la Ragione, la Scienza, il Progresso, con altrettanto fideismo superstizioso, ma senza quell’empito di spiritualità e quella capacità di depotenziare il proprio ego, vera e inesausta sorgente di tutti i mali del genere umano? È migliore lo scienziato che mette a punto le armi chimiche e batteriologiche, o il medico che pratica l’aborto e l’inseminazione artificiale, o il bioingegnere che clona piante ed animali, in attesa di clonare anche l’uomo, di manipolare il suo Dna, di fabbricare mostri e chimere a suo talento, per glorificare se stesso e per ubriacarsi d’un pericolosissimo senso di onnipotenza, magari mascherato da filantropismo?
La compattezza della civiltà medievale, la saldezza della società medievale, provengono dalla profondità e dalla coesione del sentimento religioso, che accompagnava tutti, dotti e analfabeti, dalla nascita alla morte, attraverso i sacramenti, il catechismo, i riti e le cerimonie religiose, la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio, la frequente meditazione sui novissimi: morte, giudizio, inferno e paradiso.  Certo, quella compattezza e quella coesione erano assicurate anche da una attenta sorveglianza e da una pronta repressione del nemico interno, l’eretico, il lupo travestito da agnello, e del nemico esterno, specialmente gli eserciti islamici che, dopo aver conquistato la Sicilia e la Penisola Iberica e, più tardi, spazzato via l’Impero bizantino, diedero l’assalto in grande stile, per nove secoli ininterrottamente, alla “fortezza Europa”, tentando di distruggere il cristianesimo. Fra la battaglia di Poitiers, del 732, nella quale Carlo Martello salva la Francia, fermando gli Arabi, e quella del Kahlenberg, davanti alle mura di Vienna, del 1683, nella quale Giovanni Sobieski salva l’Austria e respinge le orde ottomane, l’Europa ebbe ben pochi momenti di pace e di respiro: dovette restare costantemente con le armi al piede, per difendersi e per difendere la sua fede. Anche se la cultura illuminista e volterriana ha tentato di convincerci che siamo stato noi Europei, per secoli, a insidiare e minacciare i “pacifici” musulmani.
Le vicende dell’Inquisizione vanno lette in quest’ottica, e così pure la cacciata dei marranos e dei moriscos dalla Spagna di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. L’uomo medievale, attaccato al valore primario della stabilità, non poteva tollerare coloro i quali, dal di dentro o dal di fuori, attentano deliberatamente ad essa, per sovvertire la pace, l’ordine, la giustizia, sulle quali si fondano le condizioni del vivere civile. Si suole presentare l’Inquisizione, ad esempio, come una odiosa tirannia che si sovrapponeva a delle popolazioni impaurite e tremebonde; ma questa è solo una parte della verità. Senza, con ciò, voler giustificare il suo operato repressivo – ma è questo il compito dello storico: giudicare? – la verità, tutt’intera, e non solo parziale, è che l’uomo medievale considerava il seminatore di discordie, religiose, civili, morali, come il peggior nemico del genere umano, e riteneva legittimo colpirlo con la massima severità Quanto ai marranos e ai moriscos, le autorità spagnole – dopo secoli di oppressione musulmana sulla loro terra – si erano persuase che, di quei “sudditi”, non avrebbero mai potuto fidarsi; che essi non avrebbero cessato di complottare contro l’ordine costituito. Fu dunque tanto illogico pervenire alla decisione di espellerli?

Noi moderni ragioniamo in tutt’altro modo. Abbiamo acquisito l’idea delle libertà individuali e della tolleranza, dello Stato laico, del secolarismo, del pluralismo culturale. Ci piacerebbe godere anche della stabilità sociale e della pace interna, ma non siamo disposti a “reprimere” nessuno, neanche i peggiori nemici del vivere civile, e tanto meno a negare i “diritti” di chiunque, anche se il perseguimento cieco dei diritti individuali porta dritto alla dissoluzione del tessuto sociale. Insomma, vorremmo la moglie ubriaca e la botte piena: il nostro umanitarismo e il nostro pacifismo ci hanno resi imbelli e nemici di noi stessi; accordiamo clemenza e perdono ai criminali che si aggirano come lupi in mezzo al gregge, e così, per timore di far torto a un innocente, preferiamo lasciare in libertà migliaia di colpevoli. Il nostro stomaco si è fatto troppo delicato: fremiamo di orrore all’idea d’impugnare le armi per difenderci, e intanto neghiamo la realtà in nome di assurde e masochiste ideologie fondate sul senso di colpa e sul ricatto morale. Ci siamo scordati che la vita è lotta, e che lottare non significa fare un torto agli altri; semmai, rinunciare alla lotta equivale a fare un torto a noi stessi. Eppure, la cosa potrebbe ancora andare, se scaturisse da autentica mitezza e da una consapevole rinuncia all’orgoglio dell’Io; invece, questo atteggiamento nasce solo dalla nostra debolezza e dalla nostra cattiva coscienza.
Ma una società che ha per consiglieri la debolezza e la cattiva coscienza, e che si lascia ricattare in permanenza dai sensi di colpa, non è destinata a durare. Il suo tramonto è certo; la sua fine è vicina. Se è davvero questo che vogliamo, per noi e per i nostri figli e nipoti, allora benissimo: continuiamo pure lungo questa strada. E buona fortuna a tutti.

Il Cristianesimo, cuore e motore della civiltà medievale ed europea

di Francesco Lamendola

 http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7445:il-cuore-della-civiltaeuropea&catid=114:civiltaoccidentale&Itemid=145

    

PARIGI, O CARA . . .

Quando si perde la Religione non resta più nulla perché i popoli possano vivere in società, né scudo per difendersi, né mezzi per consigliarsi, né alberi a cui afferrarsi, né forma per esistere al mondo” G.B.Vico, “Principi di Scienza Nuova”, 1725  








Se comincio con la celebre aria della “Traviata” è perché pensando alla capitale francese, mi si risvegliano vecchi ricordi di quando – studente squattrinato – facevo la fila di ore alla Scala e salivo a due a due i gradini del teatro alla conquista dei migliori posti, in piedi, al centro del “loggione”, per godere lo spettacolo e il canto di Violetta e Alfredo o di Rodolfo e Mimì in “Bohème”; Verdi e Puccini, come è noto, ambientarono le due opere a Parigi. Per quelle emozioni, allora, sborsavo 300 lire, bei soldini se è vero che il biglietto del tram ne costava 25 e facevo a piedi il percorso da San Siro alla Cattolica per risparmiarle, sfruttando le scorciatoie! Altro tempo…

Ora le emozioni per scene e melodie create da grandi Musicisti si sono trasformate in paura e terrore per ciò che è accaduto nella capitale della cultura moderna e che potrebbe accadere dovunque nella nostra vecchia Europa. D’ora in poi il riferimento a Parigi e a tutto ciò che essa rappresenta, per quanti sforzi di ottimismo uno possa fare, si vela di tristezza e non può non tenere conto di una data:13 Novembre 2015,“venerdì di sangue”.Bando, dunque, ai ricordi personali più o meno romantici e ai famosi brani operistici che in questa tragica occasione potrebbero apparire perfino irriverenti, e faccio posto a piccole mie opinioni rimasticate in questi giorni  prenatalizi.
Parto da una constatazione. La “vecchia” Europa, specie nell’ultimo cinquantennio, si è andata spogliando – talora con entusiasmo! – di ciò che per secoli era stata la sua divisa: la Cristianità; gli ultimi scampoli di questa li abbiamo visti cadere sotto i nostri occhi con l’avanzata impetuosa delneopaganesimo e del nichilismo; in Francia – madre della Rivoluzione per eccellenza del 1789 – il processo di scristianizzazione impressiona di più non solo perché quella Nazione era considerata “la figlia prediletta della Chiesa”, ma anche perché le sue chiese sono ormai quasi deserte, quelle antiche e meravigliose ridotte a musei per turisti, altre trasformate in moschee e qualcuna in supermercato. In controtendenza c’è solo Lourdes con 5 milioni di pellegrini ogni anno (v. “Il Foglio”, 18-X-2012, “I cattolici praticanti spariscono, le chiese diventano moschee” di Giulio Meotti). E dello stesso articolo riporto una frase sinistramente profetica di Emil Cioran (1911-1995), conosciuto scrittore franco-rumeno: “I francesi non si sveglieranno fino a che Notre Dame non sarà diventata moschea”. Ma quello delle chiese “trasformate” è, però, fenomeno ormai comune a tutta l’Europa del Nord. Di passaggio dico che si tratta di quel Nord da cui negli anni del Concilio provenivano preti-teologi che disprezzavano un certo nostro cattolicesimo latino e “meridionale” fatto anche di processioni, rosari, pellegrinaggi e devozione alla Madonna e ai Santi: a oggi – ad esempio – oltre la metà della popolazione olandese fa parte dei cosiddetti “senza chiesa”, così come i cattolici in quel paese sono diminuiti del settanta per cento e l’Islam è considerato la “religione più praticata”; nella Germania Orientale il 52% si dice non credente; ma lì ha influito il Nazional-socialismo pagano e il Comunismo ateo. Non aggiungo altro.
In Italia, per ragioni storiche, caratteristiche proprie della nostra gente, educazione religiosa, tradizioni, presenza della Santa Sede e, magari, per grazia di Dio, il processo di scristianizzazione incontra qualche ostacolo in più; le chiese non vengono, per ora, svendute e trasformate; la  frequenza alle messe è, sì, minoritaria ma ancora notevole; a domanda, la maggioranza degli italiani risponde di essere “cattolica” o “credente”; molte giovani famiglie mandano i bambini al catechismo per la prima Comunione, fanno loro frequentare la lezione di religione a scuola forse perché confusamente intuiscono che ciò gli potrà giovare in futuro… Sono, certamente, segni positivi che – nonostante tutto – resistono anche se qualcuno li paragona a uno stoppino fumigante.
A fronte di tale “resistenza” più o meno passiva, esiste anche in Italia una potente élite di  intellettuali post-marxisti che conduce una lotta senza quartiere alla Chiesa e a ciò che Essa ha sempre insegnato; basta vedere l’accanimento con cui questi signori cercano di demolire la Famiglia naturale di sempre e di crearne un’“altra” inventata dal nulla con conseguenze ancora difficili da prevedere. Questa élite accusa di arretratezza la società italiana e guarda ammirata ai “traguardi” raggiunti nel  Nord.
Inizio dalla “scristianizzazione” non per ripetere cose già dette meglio da altri, ma per convincermi e convincere che con essa in Europasi è  creato un VUOTO pericoloso che qualcuno deve riempire: ciò è puntualmente avvenuto nella Storia nei momenti epocali di passaggio; il segmento di tempo che stiamo attraversando è uno di questi momenti e l’Islam sembra essere deputato a riempire il vuoto. Così, votazioni di Consigli comunali contro il Crocifisso (a Rozzano  è avvenuto nel 2010, protagonisti forse gli stessi “politici” che ora dicono di difendere il Natale!); proibizione del presepio e dei canti natalizi nelle scuole per non urtare “sensibilità diverse” di alunni stranieri; trasformazione del Natale nella “festa d’inverno”, pagana; tentativo di cancellazione dei segni cristiani  come “il Manifesto”, ancora sottotitolato “quotidiano comunista”, auspicava che avvenisse nell’ateneo di Firenze (11-XII-2014); tentativo di mandare Dio in esilio (“la Repubblica” del 9-III-2015, “La democrazia deve chiedere l’esilio di Dio”), dichiarazioni del tipo “tutte le religioni sono irrazionali” rilasciate da giornalisti di grido (Rai 2, 15-XI-2015) o “io per la Marsigliese morirei, per Cristo Re no!” (“la Repubblica”19-XI-2015) etc.… sono segni, piccoli o grandi, che denotano il “cupio dissolvi”/voglia di autodistruzione di tanti “nostri” intellettuali, stolti, che pontificano boriosi dai giornali e dalle televisioni e forse non sanno di creare questo vuoto. Lo camuffano con parole “talismano” e luccicanti come “libertà”, “tolleranza”, “dialogo”, “democrazia”, “laicità”, “progresso”, “multicultura”, “accettazione del diverso”…
Io, nello spazio del mio “zero-virgola”, ho sempre sostenuto che è un grave errore spogliarsi della propria Religione e sostituirla col materialismo neo-pagano, cioè col niente, perché questo produce non solo il disprezzo di molti islamici “moderati” ma anche la baldanza sanguinaria dei fondamentalisti che  combattono ancora “guerre sante”. Così, senza un ritorno alle “radici cristiane”dell’Europa (ma cancellate anni fa dal sinedrio di Strasburgo!) e al coraggio che queste avrebbero potuto infondere, non basterà la“religione laica” con la “Marsigliese” o i cortei, le fiaccole, le scarpe lasciate sulla place de la Republique, il minuto di silenzio, le bandiere abbrunate, il pianto  e tanto meno gli inviti a rifrequentare quei locali dove torme di giovani inconsapevoli inneggiano anche al Diavolo e cantano “I love the Devil”. Ci vuol ben altro! A Ratisbonaqualcuno aveva tentato di fare chiarezza; ma fu  lapidato e dalle masse musulmane a cui gli imam non seppero tradurre le sue parole e dai “nostri” bravissimi giornalisti che non  persero tempo per aggredirlo – era Papa Ratzinger il 12-IX-2006 – colpevole di aver chiamato “dittatura” il“relativismo”, loro privilegiata filosofia.
A questo punto è meglio chiudere con le parole di un grande napoletano e italiano: “Quando si perde la Religione non resta più nulla perché i popoli possano vivere in società, né scudo per difendersi, né mezzi per consigliarsi, né alberi a cui afferrarsi, né forma per esistere al mondo” (G.B.VICO, “Principi di Scienza Nuova”, 1725). Buon Natale!  

“Parigi, o cara…”

di Carmelo Bonvegna



Rozzano, Dicembre 2015                        

Carmelo Bonvegna 

In redazione il 21 Dicembre 2015
 http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7449:parigi-o-cara-&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96

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