"Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur". Non risulta che qualche padre sinodale abbia citato Tito Livio, nelle tre settimane di discussione sulla famiglia. Ma quella celebre frase sarebbe stata più che mai appropriata. Perché mentre si attende con ansia il pronunciamento di papa Francesco sulla comunione ai divorziati risposati, il matrimonio sta correndo verso l'estinzione. E non solo dove la secolarizzazione ha fatto il deserto, ma anche in un paese universalmente definito familista e cattolico come l'Italia.
A richiamare la cruda realtà dei fatti è il fulminante articolo che segue. È uscito pochi giorni fa su "L'Osservatore Romano" e ne è autore un demografo italiano di prima grandezza, non cattolico. Assolutamente da leggere.
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NON È UNA SEMPLICE CRISI
di Roberto Volpi
Anno 2009, in Italia: matrimoni celebrati 230.613. Anno 2014: matrimoni celebrati 189.765. Stavamo messi male nel 2009, stiamo messi peggio, inutile girarci attorno, cinque anni dopo. Negli ultimi cinque anni si sono persi quarantamila matrimoni, pari al diciotto per cento degli stessi.
Sbagliano quanti vedono negli ultimi dati ISTAT su matrimoni e divorzi la certificazione della crisi del matrimonio. Quella del matrimonio è stata in Italia una vera e propria rotta, un rompete le righe, un liberi tutti, non una semplice crisi. E viene da lontano.
Il matrimonio in Italia non ha retto al divorzio. O, se vogliamo essere più precisi, ha retto al divorzio in una misura estremamente più debole che in pressoché tutti gli altri Paesi dell’Europa occidentale: questa è la semplice verità da cui partire.
Dalla seconda metà degli anni Settanta dello scorso secolo è un continuo precipitare. Ancora nel 1973, anno precedente il referendum sul divorzio, i matrimoni, in una popolazione di alcuni milioni inferiore all’attuale, erano stati oltre 418.000, dei quali 386.000 celebrati con rito religioso, scesi oggi a 108.000, cosicché se negli ultimi quarant’anni i matrimoni hanno perso il cinquantacinque per cento la perdita di quelli religiosi ha toccato l’ottantadue per cento, oltre i quattro quinti della loro consistenza. Perdita ch’è stata ancora maggiore nelle regioni del nord dove, oggi, c’è poco più di un matrimonio religioso l’anno ogni mille abitanti.
Il matrimonio religioso nelle regioni più ricche, moderne, avanzate anche culturalmente d’Italia è già oggi ridotto al lumicino. A Milano siamo a 0,8 matrimoni l’anno celebrati in chiesa ogni mille abitanti, senza meno il valore più basso di tutto il mondo cattolico.
Questo è il quadro. Che mette ulteriormente in rilievo due sue caratteristiche: lo scivolamento a grandi passi verso l’inconsistenza del matrimonio religioso ma anche, e al tempo stesso, l’incapacità del matrimonio civile, in contrazione a sua volta, di attrarre nella sua orbita anche soltanto una modesta quota dei mancati matrimoni religiosi.
In altre parole: è l’istituzione del matrimonio in se stessa a essere sprofondata in Italia in una crisi che appare senza ritorno, e di questo sprofondare fa le spese in modo soverchiante il matrimonio religioso, destinato a questi ritmi a scomparire letteralmente nel giro dei prossimi due-tre decenni.
Se vuole fare una riflessione sulla famiglia, la Chiesa cattolica non può non partire da qui. La forma famiglia passa sempre meno attraverso il matrimonio per la sua costituzione. Si fa famiglia a prescindere dal matrimonio, senza matrimonio, non soltanto senza il matrimonio religioso ma anche senza quello civile. Un fenomeno assai più massiccio di quanto non sia mediamente in Europa, dove pure non si scherza in fatto di crisi del matrimonio.
Questo è il primo elemento che caratterizza la situazione in Italia. Il secondo è invece assai poco ricordato. Il crollo del matrimonio non ha lasciato le cose invariate in fatto di famiglie, neppure dal punto di vista strettamente quantitativo. C’è molta meno famiglia, oggi in Italia.
Non c’è stata affatto una compensazione dei matrimoni grazie a convivenze e coppie di fatto, né compensazione dei figli, come si lascia credere. Negli ultimi due-tre decenni a vincere, aumentando in misura quasi esponenziale, sono state soltanto le famiglie unipersonali, ovvero quelle composte da una sola persona, ovvero ancora le non famiglie, arrivate alla cifra di 7,7 milioni due anni fa, oggi probabilmente attorno agli otto milioni (attenzione, cinque milioni di queste sono di veri celibi/nubili, persone mai sposate né divorziate). E questo mentre le coppie, comprensive di quelle non unite in matrimonio, sono appena 13,7 milioni in una popolazione di sessantuno milioni, delle quali ben cinque milioni senza figli.
Al precipitare del matrimonio ha dunque corrisposto, in Italia, l’affievolirsi della densità di famiglia e la riduzione della famiglia a forme sempre più vistosamente nucleari.
Terzo elemento, forse il più sconcertante e ignorato. L’età media della donna al matrimonio è arrivata a sfiorare i 33 anni (32,6). L’età media della donna al parto (non solo del primo figlio, dei figli di qualsiasi ordine) è pari a 31 anni e mezzo. Tra la nascita del figlio e il matrimonio c’è dunque oltre un anno di differenza: ma a venire prima di oltre un anno è il figlio, non il matrimonio.
Insomma, eccoci al punto, il paradossale divario tra la più alta età media al matrimonio e la più bassa età media della donna alla nascita dei figli certifica l’ormai avvenuta separazione tra la nascita dei figli e il matrimonio: i figli non si fanno più in costanza di matrimonio, come si suol dire tecnicamente, e com’era fenomenologicamente fino a tre-quattro decenni fa.
E in questo rovesciamento del paradigma che vuole il figlio successivo al matrimonio c’è anche, se non soprattutto, il riflesso dell’estrema separazione, ormai avvenuta, tra i rapporti sessuali da un lato e la riproduzione sessuale, ovvero i figli, dall’altro.
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