Che la sua Basilica abbia voluto dire a San Pietro che si era sbagliato?
Nelle cattedrali gotiche, all’esterno, si soleva raffigurare delle figure mostruose, i cosiddetti “gargoyles”. Si è dibattuto e si dibatte per capirne il perché. C’è chi ha detto rispondessero ad una funzione apotropaica (in questo caso scacciare il male con il male); ma in realtà questa spiegazione non “spiega” adeguatamente. L’interpretazione che sembra più attendibile è un’altra. Con quelle strane figure si voleva lanciare un messaggio ben preciso: la costruzione sacra (la cattedrale) segna la presenza dello spazio sacro all’interno del più vasto spazio profano.
Entrando nella cattedrale, si abbandona la dimensione profana per entrare in quella dell’eterno. Non a caso, infatti, in epoca alto-medievale si soleva costruire chiese a pianta ottagonale, laddove gli otto lati servivano a rappresentare gli otto giorni del reale considerato nella sua completezza: i sette giorni del settimana del tempo e… l’ottavo giorno dell’eternità.Ma torniamo alla cattedrale. Nella mentalità del tempo essa doveva essere un chiaro segno del passaggio e della distinzione tra profano e sacro. Pertanto, la presenza dei “gargoyles” rispondeva a un’idea ben precisa: la mostruosità del peccato è una costante della dimensione profana, ma, una volta entrati nella cattedrale, cioè nello spazio della dimensione sacra, tale mostruosità svanisce.
Questa premessa è opportuna per formulare qualche considerazione in merito a ciò che è accaduto lo scorso 8 dicembre con lo spettacolo “Fiat lux” che ha visto la proiezione di “scatti” di noti fotografi sulla facciata della basilica di San Pietro. Su questo si è scritto già molto (e su molto mi trovo ampiamente d’accordo) soprattutto in merito ai contenuti di queste immagini e c’è chi giustamente ha detto che altro non è stato se non una “proiezione” di una religiosità neo-pagana, mondialista e ambientalista. Voglio però soffermarmi su un altro elemento, cioè sul significato simbolico di un simile avvenimento.
Ci troviamo ad un punto in cui gran parte degli orientamenti pastorali sono concentrati sui problemi del mondo. La preoccupazione è tutta orientata sul tentativo di riparare le ingiustizie e i problemi che in questa vita si susseguono e si incancreniscono. Ebbene, uno spettacolo del genere ha certamente avuto il “merito” di simboleggiare qualcosa di importante, ma cosa? Il capovolgimento totale di quella che dovrebbe essere la presenza dell’unica e della vera Chiesa di Cristo nel mondo; una presenza per salvare il mondo e non per rendersi cortigiana di esso.
Quale immagini sono state proiettate? Immagini della natura asservita dall’uomo, oppure la natura così come essa è, al suo stato brado? E poi: le immagini sono state proiettate dando volutamente ad esse un significato positivo. Ecco dunque il capovolgimento simbolico. Mentre nelle antiche cattedrali ciò che veniva rappresentato all’esterno doveva servire per capire cosa si doveva lasciare e da cosa ci si liberava entrando nell’edificio sacro, qui invece ciò che è stato rappresentato è servito a far capire una cosa molto diversa: la Chiesa deve accogliere le istanze della natura così come esse sono, nel paradosso di trasformare l’esterno dell’edificio sacro nel suo interno, cioè nel suo sacrario.
Il messaggio è ancora una volta chiaro: va annullata la differenza Chiesa-Mondo, va annullata la differenza Sacro-Profano. Ciò in perfetta “coerenza” con una pastorale in cui di tutto si parla fuorché della Vita di Grazia, in cui il male più grave non è più il peccato, ma il non funzionamento dei meccanismi mondani, e in cui l’uomo dovrebbe trovare la ragione di se stesso e del suo destino in un insoddisfacente, e quindi disperante, “qui e ora”.
E poi ci meravigliamo che il messaggio cristiano non affascini più? Ci meravigliamo che i ragazzi preferiscano prendere altre strade? Loro (i ragazzi) che avvertono dentro di sé l’ineludibilità di tendere verso qualcosa di grande, di definitivo, di immutabile e di spendersi per tutto questo. Ma di cosa veramente ha bisogno l’uomo? C’è una scena nel Vangelo che è la chiave di tutto. Gesù sta per andarsene, Pietro, che pure era un uomo semplice e che ancora ignorava il mistero di quella Presenza e di quella sua sequela, afferra Gesù e gli dice: “Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!” (Giovanni 6,68)
Che responsabilità da parte di chi dovrebbe insegnare!
Che responsabilità da parte di chi dovrebbe parlare e non parla!
Che responsabilità ci stiamo assumendo davanti a Dio, preoccupati di convincere Pietro che si sbagliava dicendo a Gesù quelle parole, che invece era di altro di cui aveva davvero bisogno: non dell’eterno, ma di ciò che è transitorio, che passa, che svanisce… come un “clic” di una foto che adesso compare e poi si dissolve.
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