ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 20 gennaio 2016

Brutta razza

IL DEISMO CAMUFFATO     

Un Cristianesimo senza misteri non è che un deismo furbescamente camuffato. Sono almeno 3 secoli che i cristiani progressisti e i loro amici non cristiani laicisti e massoni ci stanno provando: a svuotare il cristianesimo dall’interno 

di F. Lamendola  




Sono almeno tre secoli che i cristiani “progressisti” e i loro amici non cristiani, laicisti e massoni, ci stanno provando: a svuotare il cristianesimo dall’interno, a spogliarlo del soprannaturale, a privarlo del Mistero per ridurlo alla  misura delle loro menti e dei loro cuori: una religione agile e maneggevole, da mettere in una valigetta e portare in viaggio quando si vuole, che non dà fastidi, non crea disturbi, né con gli altri, né con se stessi; un prontuario universale da tirar fuori quando se ne ha bisogno, per pescarvi qualche massima, qualche concetto utile e conveniente; una camomilla da bene alla sera, prima di andare a letto, per favorire la digestione del “giusto”, di colui che ha capito tutto e sa qual è il suo posto nel mondo, quale il posto di Dio, quale il confine tra le due sfere, quale la maniera migliore perché la religione renda più facile la vita d’ogni giorno.

Fra i primi di costoro, troviamo un cattolico irlandese convertito al protestantesimo – brutta razza, diceva Victor Hugo, che di tipi umani se ne intendeva -, John Toland (1670-1922), un “free thinker” o libero pensatore, un tipico deista, precursore della Ragione illuminista, autore di opere teologicamente insulse, ma che oggi andrebbero di gran moda (un consiglio agli editori di Hans Küng, Enzo Bianchi e Vito Mancuso: perché non le ristampano?), fra le quali spicca, e già il titolo è tutto un programma, «Cristianesimo senza misteri» («Christianity not Mysterious»), del 1696 (cfr. i nostri articoli: «Il cristianesimo senza misteri di John Toland è una religione svuotata e anestetizzata» e «La crociata di John Toland contro i pregiudizi, classico esempio d’intolleranza radicale», pubblicati sul sito di Arianna Editrice rispettivamente il 23/03/2009 e il 22/05/2012 e in seguito ripubblicati su «Il Corriere delle Regioni»).
Tanto per chiarire i concetti. "Mistero", nella sana teologia cristiana, non è affatto sinonimo di "lacuna del sapere" o di "inadeguatezza del conoscere"; non ha un significato negativo, anche se indica un limite, una soglia che non può essere oltrepassata. Ma ciò è perfettamente logico e naturale: di Dio, solo Dio può avere una scienza perfetta e senza ombre; all'uomo, ciò è impossibile, nonostante l'ausilio della Rivelazione. L'uomo è creatura, intelligente, certo, ma sempre creatura: per adoperare una metafora ben nota, adoperata da S. Agostino, non possiamo penetrare l'essenza del Mistero divino più di quanto l'acqua del mare possa essere travasata in un recipiente. 
Il cristianesimo è pieno di misteri ed è, esso stesso, un mistero: Mysterium Christi. La Trinità ed unità di Dio è un mistero; l'Incarnazione di Dio è un mistero; il sacrifico dell'Eucarestia è un mistero (perfino più grande di quello dell'Incarnazione, osservò Tommaso d'Aquino: perché questo è accaduto una volta, quello si rinnova continuamente); i Sacramenti sono un mistero; il peccato e la Grazia sono un mistero; la Provvidenza è un mistero; i Novissimi sono un mistero; e la Chiesa stessa è un mistero, con la sua duplice natura, terrena e divina. Il fatto, però, che tali realtà siamo misteriose, non significa che l'uomo sia completamente al buio: in parte con il dono naturale della ragione (della ragione rettamente usata, beninteso; non certo della ragione "libera e spregiudicata" degli illuministi), in parte con l'ausilio della Rivelazione, l'uomo può avere contezza parziale di tali misteri; ma senza mai penetrarli a fondo, senza mai svelarli interamente. Il Mistero rimane mistero. Non è come l'ignoto della ragione naturale, che, poco alla volta, retrocede davanti all'indagine scientifica; il Mistero cristiano non si dissolve mai, perché appartiene alla sfera del soprannaturale, e la ragione naturale, così come i sensi fisici, non sono proporzionati rispetto alla sua infinità e al suo sommo splendore: restano abbagliati. Come osserva anche Dante, se l'uomo potesse comprendere ogni cosa da sé soltanto, non vi sarebbe stata la necessità dell'Incarnazione: e la ragione naturale, se non si piega umilmente davanti alla maestà del mistero, si trasforma nella condanna e nella maledizione perenne dell'uomo, vittima della propria presunzione e della mancata accettazione del suo stato creaturale, con i limiti che ne derivano.
Accettare il mistero significa, per il cristiano, accettare il proprio statuto ontologico e accostarsi a Dio con il dovuto timore e tremore. Anche se oggi va di moda una "teologia" che presenta Dio come una specie di amicone, come un compagno di strada che dà cameratescamente delle pacche sulle spalle, esiste una distanza abissale, metafisica, fra Dio e l'uomo: distanza che l'Amore infinito di Dio ha colmato con l'Incarnazione e che continua a colmare con l'Eucarestia; ma distanza che, dal punto di vista ontologico, rimane. L'essere di Dio non è l'essere dell'uomo; l'essere di Dio è infinito, eterno, perfetto; l'essere dell'uomo è finito, temporaneo, imperfetto. Inoltre, la cosiddetta teologia "moderna", in realtà intrisa di modernismo - quel modernismo che San Pio X ha scomunicato, qualificandolo "sintesi e bacino collettore di tutte le eresie" - parla molto dell'amicizia di Dio, del perdono di Dio e della misericordia di Dio, ma omette di parlare della Sua giustizia. La giustizia di Dio non è cosa da prendere sottogamba: dovrebbe bastare già questo pensiero per ricordare all'uomo la sua estrema fragilità e il dovere della sua umiltà. L'uomo non si giustifica da solo e non può presentarsi davanti a Dio sentendosi giusto, perché nessun uomo lo è. Dio viene incontro all'uomo e supplisce alla sua debolezza: ma non annullando la sua libertà. L'uomo è libero, dunque la possibilità del peccato rimane; e il peccato senza pentimento conduce all'Inferno, cioè alla definitiva separazione da Dio. Questo, la sana teologia lo ha sempre saputo e sempre insegnato. Si balbetta, oggi, da taluno, che forse l'Inferno non esiste, dopotutto, oppure che esiste, sì, ma è vuoto: e, così facendo, si nega un attributo essenziale della perfezione divina, la giustizia. Si vorrebbe avere sempre il paracadute pronto, in modo da cadere a volontà, ma senza mai farsi troppo male. Questa non è la sana teologia cattolica: è un'altra cosa. Vi sono cadute irreparabili, cui nemmeno la misericordia di Dio può porre rimedio: quelle di chi si ostina nel male e nell'errore, e rifiuta ostinatamente, pervicacemente, il bene e la luce. Anche costui dovrebbe essere salvato? La stessa ragione naturale comprende che questa sarebbe una forzatura e, soprattutto, una prevaricazione di Dio sulla libertà umana. Sarebbe come se Egli annullasse il libero arbitrio, o, il che è lo stesso, gli effetti che ne conseguono. Quei cattivi teologi che parlano in tal modo, credono di essere gli annunciatori di un cristianesimo "adulto", e non vedono che lo hanno ridotto a una religione per bambini, una religione-burla, dove all'uomo viene fatto credere di essere libero di scegliere fra il bene e il male e di assumere, così, il proprio destino, ma poi, se  compie la scelta sbagliata, il Dio "buono" (in realtà, buonista, che è l'esatto contrario) si affretta a sottrarlo alle conseguenze della sua audacia. Questa è una religione per bambocci che vogliono giocare a fare gli emancipati, ma, in realtà, non hanno alcuna voglia di diventare adulti: a loro basta far finta di esserlo.
Tornando al Mistero. Quando aveva un dubbio di natura teologica, Tommaso d'Aquino, mentre scriveva la sua immensa e meravigliosa "Summa", posava la penna, si recava nella cappella, abbracciava il tabernacolo del Santissimo e restava lì, anche tutta la notte, supplicando e piangendo, in attesa che Dio gli aprisse la mente e gli rivelasse quel tanto di verità che la sua umana intelligenza era in grado di comprendere. Eppure, egli era il più grande filosofo del Medioevo; una delle menti più grandi e più acute, una delle intelligenze più limpide nella storia del pensiero umano. Ma noi moderni siamo diventati "adulti" e non abbiamo più nemmeno la centesima parte di quella umiltà; per dir meglio: non sappiamo più cosa sia il sentimento dell'umiltà. Qualsiasi imbecille si cede un Aristotele; la diffusione della cultura (ma quale cultura? la cultura di massa, meramente quantitativa) ha dato alla testa a coloro che si sono seduti al suo banchetto. I misteri, anche quelli sacri, ci danno fastidio: vogliamo capire tutto, spiegare tutto: ci sentiamo grandi abbastanza, adulti abbastanza. Ai nostri dì non abbiamo più teologi come S. Agostino o S. Tommaso d'Aquino; in compenso, abbiamo i John Toland, gli Hans Küng, gli Enzo Bianchi e i Vito Mancuso. Gonfi d'orgoglio e, in genere, ammantati di falsa umiltà. Adoperano parole melliflue, apparentemente moderate, gradevoli agli orecchi; ma stanno scardinando tutto, dissolvendo tutto, confondendo tutto. Stanno seminando lo scandalo, e lo fanno da pulpiti autorevoli; alcuni di loro con il pieno appoggio delle stesse istituzioni cattoliche. Non importa. Il mistero rimane, la finitezza dell'uomo rimane; ma esiste una finitezza che sembra umiltà, e invece è superbia: la superbia di chi non vuole accettare il bisogno di Dio, l'aiuto di Dio. Non è una forma di umiltà, ma di superbia, dire che l'uomo  deve prendere atto della propria finitezza, e cercare Dio da creatura finita: perché, da creatura finita, non lo troverà mai. L'uomo deve essere umile quanto alla consapevolezza del proprio statuto ontologico, ma audace quanto alla confidenza nel soccorso di Dio. Con l'aiuto di Dio, all'uomo è dato di penetrare quel tanto dei misteri cristiani, che gli consente di trovare la giusta direzione nella vita e nella comprensione del mondo; e di misurare fino a che punto, con la sola ragione naturale (oltretutto, non sempre bene adoperata), rimarrebbe inesorabilmente lontano e tagliato fuori dalla luce della Verità. Il lupo travestito da agnello è il teologo che dice: l'uomo è piccola cosa, ma deve cercare da solo, per restare fedele alla sua natura. Che significa:  restare fedele alla sua natura? La natura dell'uomo consiste nel perenne bisogno di Dio; ed è un bisogno, una sete, un desiderio, che l'uomo non può soddisfare con le sue sole forze. Per trovare Dio, ha bisogno di Dio; ma non lo trova, se presume di dover restare imprigionato nella propria umanità. Questo sarebbe un falso umanismo: che oggi, peraltro, va assai di moda. Il vero umanismo consiste nel riconoscere che l'uomo trova la propria realizzazione solo in Dio; ma che non può darsela da solo, perché Dio non si lascia comperare come la merce esposta al supermercato. Per trovare Dio, bisogna imparare ad amarlo d’un amore perfetto, come quello che Lui ha per se stesso: totalmente disinteressato e totalmente privo di attaccamento. La falsa umiltà è una forma di attaccamento: la più pericolosa. E il senso del mistero è ciò che ci ricorda il nostro invalicabile limite umano, ma ci invita, anche, alla confidenza nell'amore e nel soccorso di Dio.
Ci piace riportare qui un passo della famosa – e bellissima - opera di Matthias Joseph Scheeben «I misteri del cristianesimo», apparsa nel 1865 e ripubblicata nel 1941, sempre in Germania, a cura di Josef Höfer, sulla base di una revisione condotta dall’Autore stesso, ma interrotta dalla sua improvvisa scomparsa, nel 1888 (trad. italiana di I. Gorlani, Brescia, Morcelliana, 1953, pp. 1-2):

«Il cristianesimo si presentò al mondo come una religione piena di misteri., dicendo di essere il “mysterium Christi”, il “mysterum regni Dei”.   Le sue idee e le sue dottrine erano sconosciute mai sentite – e imperscrutabili per l’appunto dovevano rimanere. Il carattere misteriale (“geheimnisvoll”) del cristianesimo, che s palesava anche nelle sue massime più elementari, parve stoltezza ai Pagani e scandalo ai Giudei; e siccome il Cristianesimo non rinunciò mai in seguito a questo carattere, né poteva rinunziarvi senza rinnegare la sua essenza, d’allora in poi rimase sempre una stoltezza e uno scandalo per quelli che lo guardarono con occhio profano (come i Pagani) o con occhio “incirconciso” (come i Giudei). La sua essenza fatta di mistero fu sempre bersaglio del loro amaro scherno come se fosse oscurantismo, follia e fanatica superstizione.
Dopo che il mistero del cristianesimo, ciò non ostante, riuscì a farsi strada ed a stabilirsi come fede di popoli, trovò altri oppositori, sia pure meno ostili. Infatti molte intelligenze, tropo nobili per disprezzare la grande e benefica potenza del Cristianesimo, oppure tropo rispettose verso la fede della loro infanzia, e l’eredità dei loro padri per voltargli orgogliosamente le spalle, ma anche non abbastanza umili per abbandonarsi a lui con infantile semplicità, vollero strappare il velo alla sua santità ed eliminare tutto ciò che sa di mistero onde liberare il nocciolo della verità dal suo oscuro involucro e portarlo alla luce. Perfino tra gli amici del Cristianesimo. Anzi, tra gli stesi suoi apologisti, non mancarono taluni che non seppero schermirsi da una certa ripulsione di fronte all’oscurità dei suoi misteri. Allo scopo di sostenere e difendere la fede nelle verità cristiane, si misero in animo di diluirla e stemperarla in un sistema di conoscenze razionali, pretesero di   dimostrare le verità della fede mediante principi di ragione, mutilandole in maniera tale che poco o punto vi rimanesse di oscuro e di incomprensibile. Non si rendevano conto che con tali procedimenti essi consegnavano il Cristianesimo ai suoi nemici e strappavano la gemma più fulgida della sua corona.»

E non se ne rendono conto neanche oggi. O forse sì. Ma allora, sarebbe una cosa ancor peggiore… 

Un Cristianesimo senza misteri non è che un deismo furbescamente camuffato

di Francesco Lamendola

Vedi anche:
CRISTIANESIMO SENZA MISTERI - Il cristianesimo senza misteri di John Toland è una religione svuotata e anestetizzata

LA CROCIATA DI JOHN TOLAND - La crociata di John Toland contro i pregiudizi, classico esempio d’intolleranza radicale

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