Comunicato della “Confederazione Civiltà Cristiana” sul DLL “Cirinnà”
In merito alla discussione che inizierà il prossimo 28 gennaio del DDL “Cirinnà” sul riconoscimento delle unioni civili, la Confederazione Civiltà Cristiana interviene offrendo pochi ma chiari elementi affinché tutti possano capire l’importanza di prendere una corretta posizione in merito. Come è nostro solito saremo schematici per facilitare la lettura.
- Il DDL “Cirinnà” va categoricamente respinto.
- Tale rifiuto non si motiva solo da una prospettiva di fede, appellandosi cioè alla legge soprannaturale, ma anche da una prospettiva puramente razionale, in questo caso appellandosi alla legge naturale.
- I motivi di tale rifiuto sono almeno due.
- Iniziamo da quello che sta avendo più risonanza: la stepchild adoption, ovvero la possibilità da parte della coppia, eterosessuale o omosessuale che sia, di vedersi riconosciuta l’adozione di un figlio naturale di uno dei membri. Si tratta, in tale caso, non solo di una norma pericolosissima perché – come giustamente si è detto – permetterà a chi volesse far uso del cosiddetto “utero in affitto” di poter vedere riconosciuto in Italia il bambino “acquistato” all’estero, ma anche perché tale norma (e purtroppo sono in pochi a ricordarlo) legittima la possibilità che un bambino possa vivere in una coppia simil-familiare costituita da due persone dello stesso sesso, andando pertanto a pregiudicare al bambino un sano ed armonico sviluppo psicologico che invece necessita di modelli di riferimento sia maschile (il padre) sia femminile (la madre).
- Ma c’è un punto che come Confederazione Civiltà Cristiana ci teniamo a porre in evidenza. Un punto sui cui anche non pochi fedeli cattolici, non pochi sacerdoti, e non pochi vescovi hanno manifestato una vergognosa resa. Ci riferiamo al fatto che un tale disegno di legge merita di essere respinto non solo perché potrebbe facilitare l’uso dell’“utero in affitto”, non solo perché potrebbe permettere la convivenza di bambini nell’ambito di unioni che non hanno nulla di “naturale” (anzi!), ma già perché permette un riconoscimento sul piano del diritto pubblico di unioni che non sono esclusivamente il matrimonio tra un uomo e una donna.
- È inutile che ci si nasconde dietro il proverbiale “filo di cotone”. La situazione è chiara. Le associazioni omosessualiste mirano al riconoscimento delle unioni civili non per ottenere sedicenti diritti individuali, ma per far sì che nell’ambito giuridico si crei un principio da cui poi con estrema facilità si possa arrivare tanto al “matrimonio omosessuale” quanto all’adozione senza “se” e senza “ma” da parte di due omosessuali “sposati”. Ci permettiamo di dire (senza voler fare processi alle intenzioni di ognuno) che anche la cosiddetta “resistenza” dei politici “cattolici” sembra essere dettata più dall’interesse “politico” di tener presente gli umori dell’elettorato di riferimento, che da sincere convinzioni. Ciò perché anche questi politici ormai hanno ceduto, dicendo “unioni civili sì, stepchild adoption no”; ben sapendo (non possiamo pensare che non ci arrivino mentalmente) che una volta introdotto il principio per cui lo Stato debba riconoscere altre unioni che non siano il matrimonio tra un uomo e una donna, s’innescherà giocoforza un secondo principio che è quello della non-discriminazione, per cui se si ammette la legittimità delle unioni civili, non si potrà non ammettere sia il desiderio che queste unioni possano trasformarsi in matrimonio sia che a queste unioni venga riconosciuto il “diritto alla filiazione”.
- In conclusione ci appelliamo alla semplice intelligenza o – se si preferisce – alla logica. Dire che lo Stato per riconoscere un’unione possa prescindere dalla differenza sessuale, vuol dire anche che in un futuro molto vicino possa prescindere anche da altri criteri come, per esempio, il numero. Con il riconoscimento delle unioni civili di una coppia di omosessuali domani non ci saranno più ostacoli per riconoscere anche altri modelli familiari, come quello già ampiamente teorizzato del “poliamore”: sedicenti famiglie formati da più persone (due maschi e tre donne, due donne e tre maschi, e tutte le combinazioni possibili).
- La Confederazione Civiltà Cristiana, pertanto, ribadisce che una discussione in tal senso manifesta chiaramente come ormai siamo in piena “dittatura del desiderio”: ogni capriccio, in quanto desiderio individuale, dovrebbe necessariamente trasformarsi in “diritto”. Questa situazione, però, condurrà alla morte della vera civiltà che non può non basarsi su un’autentica concezione di “bene comune”, completamente alternativo a qualsiasi deriva libertaria e individualista.
- La Confederazione Civiltà Cristiana fa appello a tutti gli uomini di buona volontà affinché si aiuti il prossimo a capire, ad agire, a lottare affinché la legge naturale non venga ancora una volta calpestata.
- La Confederazione Civiltà Cristiana fa appello anche ai cattolici, prima di tutto comunicando la sua adesione all’iniziativa di preghiera “Un’ora di guardia” e invitandoli ad aderire. Tale iniziativa di preghiera è per chiedere aiuto alla Provvidenza affinché l’Italia possa essere salvata da questa deriva innaturale. Ma non solo. La Confederazione Civiltà Cristiana invita i cattolici (anzi soprattutto costoro) a non farsi prendere da pavidità, a saper andare contro le mode, a seguire non il mondo ma la legge di Dio, ben sapendo che le storie di ciascuno, quando sarà, non verranno giudicate né dai politici, né dai sociologi, né dagli uomini di spettacolo, né tantomeno da sedicenti intellettuali, ma solo da Colui la cui Parola rimarrà in eterno.
http://www.civiltacristiana.com/comunicato-della-confederazione-civilta-cristiana-sul-dll-cirinna/
Ddl Cirinnà. La tragica commedia degli equivoci
Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza… per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto, che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto
di Patrizia Fermani
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L’inizio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà è il punto di arrivo della tragica campagna di guerra guidata dalla cecità morale, culturale e intellettuale di una intera classe politica che, senza scrupoli e senza lume di ragione, sta portando la nostra società verso le sabbie mobili dove altri sono stati inghiottiti già da tempo. Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Infatti quando un nemico ben equipaggiato e mediaticamente assistito si è fatto sotto sotto le mura, per vero già indebolite della cittadella, ma avrebbe potuto essere debellato ai primi colpi di mano, la confusione delle idee, il fumo delle parole e la paura di pensare contro la marea delle opinioni telecomandate, hanno quasi annullato sul nascere ogni resistenza. E ora, giunti ad un punto ormai cruciale di questa storia desolante, l’unica possibilità di difesa ancora rimasta sta tutta nel capire quali siano le armi usate da questo nemico e quali gli errori degli assediati sui quali esso continua a prosperare. Occorre dunque riordinare i tasselli che vanno a comporre l’intero quadro di insieme.
Anzitutto bisogna rendersi conto, senza margine di dubbio, che un qualunque riconoscimento giuridico, in qualunque misura esso avvenga, della convivenze more uxorio tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso (ma queste ultime sono state solo utilizzate come apripista per rendere all’inizio meno ostiche le prime), è il passo decisivo e definitivo per la resa senza condizioni a quel nemico e alle mostruosità che esso già va apparecchiando fra una indifferenza abbastanza diffusa. Il resto viene di conseguenza.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una pretesa di legalizzazione, volta cioè ad ottenere una qualche tutela giuridica, per essere plausibile debba fare riferimento ad una realtà meritevole di quella tutela, cioè portatrice di un valore di interesse generale e a nessuno verrebbe in mente di invocare uno speciale statuto per un rapporto perché segnato da forte attrazione sessuale e sentimentale come quello adulterino o per quello semplicemente affettivo o intellettuale che lega due amici, due persone accomunate da interessi politici o culturali, e via dicendo. E dovrebbe essere altrettanto evidente, che, semmai, la consacrazione giuridica delle relazioni omosessuali porterebbe conseguenze pesantissime di ordine etico e sociale.
Ecco allora che la accorta strategia dei movimenti omosessualisti ha puntato ad alimentare l’equivoco di una presunta analogia con il rapporto matrimoniale, reclamando alla convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso la medesima protezione, sul presupposto che vi ricorrano le stesse condizioni di fatto: rapporto sessuale, rapporto affettivo e coabitazione. Il tutto in omaggio al principio di uguaglianza. Ma il ragionamento non reggeva perché la tutela prevista dall’articolo 29 della Costituzione copre soltanto il matrimonio quale è ancora previsto dalle leggi dello Stato e non ammette (ancora) forzature.
Per superare la difficoltà di adattare la lettera dell’articolo 29 si è cercato allora di cambiare il significato del matrimonio. Si è cominciato cioè a far passare l’idea che l’elemento caratterizzante del rapporto matrimoniale sia anzitutto il dato affettivo, e siccome anche la convivenza more uxorio viene caratterizzata dall’unione erotico sessuale e dal dato affettivo, l’analogia col rapporto matrimoniale poteva essere giocata sul piano dei sentimenti. Si poteva far scivolare l’attenzione dal piano del diritto e dell’etica a quello magmatico della suggestione emotiva. E questo è servito per influenzare l’opinione corrente, sempre sensibile alle questioni del cuore, e rendere di nuovo plausibile una qualunque richiesta di tutela paramatrimoniale. Per alimentare l’equivoco è stata creata la “coppia omosessuale”, munita di una sua carica di rispettabilità per la assonanza con la coppia formata dai coniugi. Sennonché quest’ultima include in sé proprio il rapporto di coniugio cioè il rapporto istituzionale di riferimento. La coppia di coniugi indica il legame istituzionale che vi è sotteso, con la relativa distinzione di ruoli che si riflette nella terminologia: essa comprende un marito ed una moglie, così come la coppia reale comprende un re e una regina. Rapporto indissolubile e di complementarietà. La coppia omosessuale è un falso terminologico che non aggiunge nulla alla sostanza delle cose, perché rappresenta semplicemente due persone dello stesso sesso che intrattengono più o meno stabilmente un rapporto erotico e/o affettivo, è cioè una espressione numerica come una coppia di sedie, una coppia di comò o una coppia di gatti. Ma l’espediente ha fatto un buon lavoro alimentando una inesistente e impossibile analogia con il rapporto matrimoniale
Ora dovrebbe risultare evidente che la legge non tutela nel matrimonio il rapporto sessuale e affettivo tra due persone conviventi (addirittura non si preoccupa neppure del fatto che in concreto il matrimonio sia realmente consumato e nelle intenzioni di chi si scambia la promessa matrimoniale ci sia il fine procreativo come fa – o ha fatto finora – il diritto canonico), ma tutela lo strumento capace di fondare potenzialmente la famiglia quale nucleo fondamentale della società votato alla formazione della generazioni.
Il legislatore civile tutela la funzione sociale dell’istituto matrimoniale e proprio perché si tratta di un legislatore laico sanamente distante dalle indagini sulla coscienza individuale, si attiene solo alla volontà pubblicamente espressa dai nubendi di accedere all’istituto matrimoniale. L’ufficiale di stato civile non chiede ad essi se si amano, quanto si amano o se intendano mettere al mondo dei figli, ma solo se sono consapevoli di ciò che l’istituto matrimoniale comporta, e se intendono tenere fede ai doveri assunti e all’impegno di crescere ed educare l’eventuale prole. Come al momento di firmare l’atto di acquisto di una casa, non siamo tenuti a dichiarare al notaio se la compriamo a fini speculativi, per abitarci solo temporaneamente o se è la casa dei nostri sogni. Ma semplicemente esprimiamo la volontà di utilizzare quell’importante strumento giuridico che l’ordinamento ci mette a disposizione per agevolare i commerci.
Ma questo equivoco della presunta assimilabilità della convivenza matrimoniale a quella “more uxorio” etero od omosessuale, in via affettivo emozionale, non ha risparmiato la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che per mestiere dovrebbero sapere che cos’è il diritto. E per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto. Così si è arrivati a formulare il concetto del “diritto alla felicità”, che ai giuristi del passato sarebbe apparso come una trovata goliardica buona per il testo di un papiro di laurea. E naturalmente hanno dilagato i “diritti degli omosessuali”, quelli che dovrebbero essere fondati appunto sui gusti sessuali individuali.
Eppure da signore e signori devoti teorici o pratici degli amori omoerotici, dalle Bindi alle Concia, dalle Marzano allo Scalfarotto, fino ora all’ormai mitica Cirinnà, il concetto di diritto alla felicità è stato elargito anche in sussiegose aule universitarie, ormai adibite a cassa di risonanza di qualunque idiozia ideologicamente assistita e propagata.
Ma il marchingegno ideologico politico al cui servizio sono assoldati tutti i mezzi di comunicazione, una volta messo in moto ha funzionato a dovere, macinando il buon senso e appiattendo i cervelli su una falsa rappresentazione che ormai è diventata opinione ruminata senza ripensamenti. Il rapporto affettivo che lega due omosessuali di qualunque genere, poiché è produttore di felicità, sublima il rapporto non solo nella fantasia un po’ ingolfata di Veronesi, ma è sentito ormai unanimemente come degno di essere tutelato dalla legge, che sola dovrebbe garantire questo stato di grazia, con l’aiuto generoso del munifico contribuente.
Per smontare questo meccanismo perverso, e dalle conseguenze incontrollabili, bisogna tornare all’equivoco di fondo, nel frattempo completamente oscurato dalla contraffazione di una realtà delle cose che la retta ragione dovrebbe leggere senza paraocchi. Si tratta di recuperare il senso della verità oggettiva sulla quale deve essere finalmente riportato il ragionamento.
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L’inizio della discussione parlamentare sul ddl Cirinnà è il punto di arrivo della tragica campagna di guerra guidata dalla cecità morale, culturale e intellettuale di una intera classe politica che, senza scrupoli e senza lume di ragione, sta portando la nostra società verso le sabbie mobili dove altri sono stati inghiottiti già da tempo. Il riconoscimento giuridico della convivenza more uxorio è lo straordinario traguardo di potere fissato dai movimenti omosessualisti, per tenere definitivamente in pugno una società incapace di individuare anche le condizioni indispensabili per la propria sopravvivenza. Infatti quando un nemico ben equipaggiato e mediaticamente assistito si è fatto sotto sotto le mura, per vero già indebolite della cittadella, ma avrebbe potuto essere debellato ai primi colpi di mano, la confusione delle idee, il fumo delle parole e la paura di pensare contro la marea delle opinioni telecomandate, hanno quasi annullato sul nascere ogni resistenza. E ora, giunti ad un punto ormai cruciale di questa storia desolante, l’unica possibilità di difesa ancora rimasta sta tutta nel capire quali siano le armi usate da questo nemico e quali gli errori degli assediati sui quali esso continua a prosperare. Occorre dunque riordinare i tasselli che vanno a comporre l’intero quadro di insieme.
Anzitutto bisogna rendersi conto, senza margine di dubbio, che un qualunque riconoscimento giuridico, in qualunque misura esso avvenga, della convivenze more uxorio tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso (ma queste ultime sono state solo utilizzate come apripista per rendere all’inizio meno ostiche le prime), è il passo decisivo e definitivo per la resa senza condizioni a quel nemico e alle mostruosità che esso già va apparecchiando fra una indifferenza abbastanza diffusa. Il resto viene di conseguenza.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che una pretesa di legalizzazione, volta cioè ad ottenere una qualche tutela giuridica, per essere plausibile debba fare riferimento ad una realtà meritevole di quella tutela, cioè portatrice di un valore di interesse generale e a nessuno verrebbe in mente di invocare uno speciale statuto per un rapporto perché segnato da forte attrazione sessuale e sentimentale come quello adulterino o per quello semplicemente affettivo o intellettuale che lega due amici, due persone accomunate da interessi politici o culturali, e via dicendo. E dovrebbe essere altrettanto evidente, che, semmai, la consacrazione giuridica delle relazioni omosessuali porterebbe conseguenze pesantissime di ordine etico e sociale.
Ecco allora che la accorta strategia dei movimenti omosessualisti ha puntato ad alimentare l’equivoco di una presunta analogia con il rapporto matrimoniale, reclamando alla convivenza more uxorio tra persone dello stesso sesso la medesima protezione, sul presupposto che vi ricorrano le stesse condizioni di fatto: rapporto sessuale, rapporto affettivo e coabitazione. Il tutto in omaggio al principio di uguaglianza. Ma il ragionamento non reggeva perché la tutela prevista dall’articolo 29 della Costituzione copre soltanto il matrimonio quale è ancora previsto dalle leggi dello Stato e non ammette (ancora) forzature.
Per superare la difficoltà di adattare la lettera dell’articolo 29 si è cercato allora di cambiare il significato del matrimonio. Si è cominciato cioè a far passare l’idea che l’elemento caratterizzante del rapporto matrimoniale sia anzitutto il dato affettivo, e siccome anche la convivenza more uxorio viene caratterizzata dall’unione erotico sessuale e dal dato affettivo, l’analogia col rapporto matrimoniale poteva essere giocata sul piano dei sentimenti. Si poteva far scivolare l’attenzione dal piano del diritto e dell’etica a quello magmatico della suggestione emotiva. E questo è servito per influenzare l’opinione corrente, sempre sensibile alle questioni del cuore, e rendere di nuovo plausibile una qualunque richiesta di tutela paramatrimoniale. Per alimentare l’equivoco è stata creata la “coppia omosessuale”, munita di una sua carica di rispettabilità per la assonanza con la coppia formata dai coniugi. Sennonché quest’ultima include in sé proprio il rapporto di coniugio cioè il rapporto istituzionale di riferimento. La coppia di coniugi indica il legame istituzionale che vi è sotteso, con la relativa distinzione di ruoli che si riflette nella terminologia: essa comprende un marito ed una moglie, così come la coppia reale comprende un re e una regina. Rapporto indissolubile e di complementarietà. La coppia omosessuale è un falso terminologico che non aggiunge nulla alla sostanza delle cose, perché rappresenta semplicemente due persone dello stesso sesso che intrattengono più o meno stabilmente un rapporto erotico e/o affettivo, è cioè una espressione numerica come una coppia di sedie, una coppia di comò o una coppia di gatti. Ma l’espediente ha fatto un buon lavoro alimentando una inesistente e impossibile analogia con il rapporto matrimoniale
Ora dovrebbe risultare evidente che la legge non tutela nel matrimonio il rapporto sessuale e affettivo tra due persone conviventi (addirittura non si preoccupa neppure del fatto che in concreto il matrimonio sia realmente consumato e nelle intenzioni di chi si scambia la promessa matrimoniale ci sia il fine procreativo come fa – o ha fatto finora – il diritto canonico), ma tutela lo strumento capace di fondare potenzialmente la famiglia quale nucleo fondamentale della società votato alla formazione della generazioni.
Il legislatore civile tutela la funzione sociale dell’istituto matrimoniale e proprio perché si tratta di un legislatore laico sanamente distante dalle indagini sulla coscienza individuale, si attiene solo alla volontà pubblicamente espressa dai nubendi di accedere all’istituto matrimoniale. L’ufficiale di stato civile non chiede ad essi se si amano, quanto si amano o se intendano mettere al mondo dei figli, ma solo se sono consapevoli di ciò che l’istituto matrimoniale comporta, e se intendono tenere fede ai doveri assunti e all’impegno di crescere ed educare l’eventuale prole. Come al momento di firmare l’atto di acquisto di una casa, non siamo tenuti a dichiarare al notaio se la compriamo a fini speculativi, per abitarci solo temporaneamente o se è la casa dei nostri sogni. Ma semplicemente esprimiamo la volontà di utilizzare quell’importante strumento giuridico che l’ordinamento ci mette a disposizione per agevolare i commerci.
Ma questo equivoco della presunta assimilabilità della convivenza matrimoniale a quella “more uxorio” etero od omosessuale, in via affettivo emozionale, non ha risparmiato la stragrande maggioranza delle persone, comprese quelle che per mestiere dovrebbero sapere che cos’è il diritto. E per dare forza suggestiva ad una pretesa senza fondamento giuridico, si è cambiato anche il concetto di diritto che da pretesa tutelata dalla legge perché oggettivamente meritevole, cioè rilevante per l’interesse generale, è diventato pretesa che riflette ogni esigenza di benessere individuale, qualunque sia il suo contenuto. Così si è arrivati a formulare il concetto del “diritto alla felicità”, che ai giuristi del passato sarebbe apparso come una trovata goliardica buona per il testo di un papiro di laurea. E naturalmente hanno dilagato i “diritti degli omosessuali”, quelli che dovrebbero essere fondati appunto sui gusti sessuali individuali.
Eppure da signore e signori devoti teorici o pratici degli amori omoerotici, dalle Bindi alle Concia, dalle Marzano allo Scalfarotto, fino ora all’ormai mitica Cirinnà, il concetto di diritto alla felicità è stato elargito anche in sussiegose aule universitarie, ormai adibite a cassa di risonanza di qualunque idiozia ideologicamente assistita e propagata.
Ma il marchingegno ideologico politico al cui servizio sono assoldati tutti i mezzi di comunicazione, una volta messo in moto ha funzionato a dovere, macinando il buon senso e appiattendo i cervelli su una falsa rappresentazione che ormai è diventata opinione ruminata senza ripensamenti. Il rapporto affettivo che lega due omosessuali di qualunque genere, poiché è produttore di felicità, sublima il rapporto non solo nella fantasia un po’ ingolfata di Veronesi, ma è sentito ormai unanimemente come degno di essere tutelato dalla legge, che sola dovrebbe garantire questo stato di grazia, con l’aiuto generoso del munifico contribuente.
Per smontare questo meccanismo perverso, e dalle conseguenze incontrollabili, bisogna tornare all’equivoco di fondo, nel frattempo completamente oscurato dalla contraffazione di una realtà delle cose che la retta ragione dovrebbe leggere senza paraocchi. Si tratta di recuperare il senso della verità oggettiva sulla quale deve essere finalmente riportato il ragionamento.
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- Il rapporto omosessuale è contrario al modello predisposto da madre natura e ne rappresenta una devianza. Questa devianza può essere inserita nelle categoria della anomalia fisica, di quella psichica, di quella morale, ma rimane sempre come un comportamento umano in cui una funzione fisiologica come quella sessuale non viene impiegata secondo le sue proprie finalità. Se il mangiare e il bere sono funzioni preordinate al sostentamento dell’essere umano, il ruminare i cibi o l’alcolismo esulano da quella funzione e diventano, qualunque ne sia la causa, comportamenti aberranti che di certo non possono diventare normali solo perché dettati ad esempio, da una particolare situazione emotiva.
- Da un punto di vista etico religioso il “rapporto omosessuale” è in contrasto con la legge di natura iscritta nel disegno della creazione, e contraddice dunque la legge divina. Che si consideri quel fenomeno oggettivamente in contrasto con la legge di natura biologicamente intesa, o che si intenda per legge naturale il canone etico che precede ogni legge umana perché dettata dalla volontà di Dio, e che sta scritto nel disegno della creazione, per necessità logica e morale la pratica omosessuale rimane esclusa dallo spazio della normalità sessuale o della liceità morale.
- Come l’anomalia dello alcolismo non viene cancellata dalla debolezza emotiva che l’ha eventualmente generata, così i cosiddetti motivi sentimentali, cioè la componente affettiva che eventualmente si accompagna al rapporto erotico contro natura, non è certo in grado di normalizzarlo. In ogni caso non è in grado di giustificare alcuna assimilazione tra il rapporto omosessuale anche “stabile”, con la relazione matrimoniale o a quella paramatrimoniale alla quale l’astuzia senatoriale ha dato ora il nome di “unione civile”.
- In conclusione il fatto che due omosessuali abbiano un qualunque tipo di rapporto, stabile o transeunte, affettivo o solo sessualmente coinvolgente, può essere anche di cruciale importanza per loro, per gli amici dell’arci gay, o per il partito politico che ha fatto una bandiera della difesa di quegli interessi, ma è del tutto indifferente e deve rimanere del tutto indifferente per il diritto, che non si interessa né si può interessare di quanto non abbia anche un rilievo di interesse generale.
- Soprattutto non è indifferente per chi avendo la responsabilità di crescere i propri figli ha il diritto e il dovere di impedire che ad essi siano impunemente proposti modelli di comportamento e di vita intrinsecamente distruttivi e sterili, tra l’altro in una prepotente ed ineludibile forma totalitaria. Infatti quello che viene tragicamente trascurata è la influenza negativa che il dilagare della propaganda omosessualista genera nella formazione morale e intellettuale della giovani generazioni, alle quali è già stato inferto un danno incalcolabile tra l’ indifferenza generale, l’afasia o il balbettio grottesco e ormai indecente della Chiesa.
- Ecco dunque che quanti oggi, alimentando la più pericolosa delle confusioni, e credendo addirittura di combattere la buona battaglia a favore della famiglia, contro la manipolazione della educazione o contro le oscene pratiche di produzione degli esseri umani ad uso e consumo di omosessuali che dimostrano involontariamente di essere preda di pulsioni deviate, dicono di essere contrari al matrimonio omosessuale ma non alle “unioni civili” e forniscono così alla Cirinnà e alla sua compagnia di giro un assist formidabile, quello sul quale queste hanno proprio confidato. Si può far passare la tutela delle “unioni civili” dando ad intendere che sia cosa innocua, magari perché momentaneamente non accompagnate dalla possibilità di creare “figli”. A questo risultato provvederà comunque in seguito la Corte Costituzionale, che da guardiano della Costituzione di è fatto guardiano di ciò che le aberranti istituzioni europee e l’aberrante politica dominante impongono. Ma esso è soltanto il tragico risultato pratico. Prima di questo e alla base di questo c’è l’aberrazione di elevare a realtà degna di attenzione sociale e di tutela giuridica un fenomeno la cui sola pubblicizzazione e diffusione mina i fondamenti della società in cui abbiamo la responsabilità di crescere le nuove generazioni, difendendole dall’inganno e dalla
- Le unioni civili sono una mostruosità, non perché conducono o possono condurre a conseguenze aberranti, ma conducono a queste conseguenze aberranti perché sono aberranti in se stesse.
- Senza questa chiara e forte consapevolezza ogni iniziativa che aspira a combattere quella che viene ora ritenuta finalmente da molti una battaglia irrinunciabile, può finire fatalmente per aprire solo l’ultima porta ad un nemico mosso unicamente dalla propria ottusa follia.
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