Qual è la posizione della dottrina cattolica sulla pena di morte? La risposta ce la fornisce il Catechismo della Chiesa Cattolica ai numeri 2266 e 2267. Vediamo cosa dice:
«n.2266: Corrisponde ad un’esigenza di tutela del bene comune lo sforzo dello Stato inteso a contenere il diffondersi di comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e delle regole fondamentali della convivenza civile. La legittima autorità pubblica ha il diritto ed il dovere di infliggere pene proporzionate alla gravità del delitto. La pena ha innanzi tutto lo scopo di riparare il disordine introdotto dalla colpa. Quando è volontariamente accettata dal colpevole, essa assume valore di espiazione. La pena poi, oltre che a difendere l’ordine pubblico e a tutelare la sicurezza delle persone, mira ad uno scopo medicinale: nella misura del possibile, essa deve contribuire alla correzione del colpevole».
«n.2267: L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani. [Evangelium vitae, n. 56]».
Dunque, la pena di morte s’inserisce all’interno del principio della legittima difesa. Come il singolo ha il diritto di difendersi da un aggressore, come uno Stato ha il diritto di difendersi da uno Stato aggressore (è il principio della “guerra giusta”), così la società ha il diritto di difendersi; e in questo caso lo Stato ha il dovere di difendere il corpo sociale da coloro che delinquono utilizzando i metodi che ritiene più efficaci.
C’è un’espressione di Gesù che è a riguardo indicativa: «Chi avrà indotto al male uno di questi piccoli (…) sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa una macina da mulino al collo e fosse gettato nel mare» (Matteo 18,6).
Indicativa è anche un’espressione di san Paolo: «I governanti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver da temere l’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora temi, perché non invano essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male» (Romani 13, 3-4).
Tra i santi che affermano la legittimità della pena di morte vi sono diversi dottori della Chiesa, anche i più famosi: sant’Agostino di Ippona e san Tommaso d’Aquino.
Ovviamente, nei contesti attuali, laddove più facilmente ci si può difendere dai delinquenti (diffusione capillare del sistema carcerario, che però – diciamocelo francamente – non sempre viene fatto funzionare, soprattutto per motivi ideologici) l’applicazione della pena capitale non troverebbe sempre giustificazione. Ecco perché il Catechismo della Chiesa Cattolicaprecisa: «Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti [Evangelium vitae, n. 56]».
C’è da aggiungere una cosa importante. A proposito di ciò che dice il Catechismo sul fatto che una pena volontariamente accettata dal colpevole costituisca occasione di purificazione del colpevole stesso, si può leggere la bella storia di Jacques Fesch (1930-1957), un assassino francese, condannato a morte, che in carcere scoprì la fede, si convertì. Si racconta che disse al suo confessore di non far richiesta di grazia perché aveva capito che l’accettazione della condanna a morte sarebbe stato il giusto e purificante castigo per il crimine commesso: dopo una rapina aveva ammazzato un uomo in una colluttazione. Offrì la sua morte anche come espiazione per altri condannati a morte. Attualmente per Fesch è in corso una causa di beatificazione. Egli scrisse un bel diario. Tra le tante frasi vi è questa: «Se date dei beni a i vostri figli, ma senza disciplina, è peggio che se li uccideste».
L’insistenza (tutta moderna) della esclusiva rieducazione del colpevole è una pura utopia che trova le sue origini nella tipica concezione roussoniana (da Rousseau) dell’uomo. L’uomo sarebbe buono per natura e se si mostra cattivo è perché è la società a renderlo tale. Un’utopia per l’appunto che muove dalla negazione della libertà e della responsabilità umane. Invece, la pena –cristianamente parlando – deve essere soprattutto afflittiva. Perché è proprio l’afflizione la migliore rieducazione.
D’altronde questo discorso lo si può capire solo quando si è convinti dell’esistenza della vita ultraterrena e del relativo giudizio di Dio. Ma quando invece si pensa che la vita sia solo quella dalla nascita alla morte allora è evidente che un simile discorso diventa impossibile da poterlo accettare.
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