Quando rubarono Padre Pio
Un furto inaspettato, la salma del santo trafugata sull'autostrada e nascosta proprio a Pietralcina dopo il pellegrinaggio a Roma, uno strano esperimento per riportarlo in vita e una sorpresa figlia dei nostri tempi. Un racconto
La salma di Padre Pio a Roma (foto LaPresse)
Padre Pio fu rubato alle venti e quarantadue dell’11 febbraio, mentre percorreva a velocità sostenuta l’autostrada A1, nei pressi dell’uscita di Caianello. La visibilità era buona, la temperatura mite (quell’inverno del 2016 assomigliò a una perenne primavera), il traffico scarso. I ladri impiegarono pochissimo per neutralizzare le due vetture di scorta. Saputo che le misure di sicurezza erano pari a quelle messe in atto per i capi di Stato d’alto rango (notizia scritta e ripetuta fino alla noia da giornali e tv), si comportarono di conseguenza e tutto si svolse velocemente e senza spargimento di sangue. Gli otto agenti, legati e imbavagliati, furono lasciati come salami sulla corsia d’emergenza, così come i due autisti del furgone blindato. La teca di plexiglass con dentro Padre Pio venne invece trasferita all’interno di un altro camioncino di colore rosso, uguale a quelli impiegati da un noto corriere espresso. Poi, facendo ben attenzione a non superare i limiti di velocità consentiti, il mezzo proseguì in direzione di Napoli e imboccò la strada statale 372, dirigendosi verso Pietrelcina. Sì, proprio Pietrelcina, il paese natale di Padre Pio, dove il frate, dopo il tour a Roma per l’anno santo, effettivamente era diretto.
I ladri pensarono che Padre Pio sarebbe stato cercato ovunque, ma non a Pietrelcina. O, per lo meno, lì sarebbe stato cercato meno che altrove. Ed ebbero ragione. Nonostante l’immediato allarme, nessuno fermò il camioncino rosso e la teca di plexiglass fu scaricata, come da programma, attorno all’una di notte.
Nella vecchia casa, assolutamente anonima, la teca fu collocata su un grande tavolo, poi i ladri provvidero ad aprirla. Anche in questo caso, nessuna fatica. Più complesso fu applicare l’ago a ciò che rimaneva di Padre Pio. Eliminata la maschera di silicone realizzata in Inghilterra, eliminato il saio, eliminati gli elastici che tenevano insieme i resti del santo, fu necessario trovare almeno un piccolo osso. Ma il professore, la mente dell’intera operazione, sapeva il fatto suo. Sotto un potente fascio di luce, infilò l’ago e vi iniettò la sostanza che aveva preparato e a lungo sperimentato. Poi non gli restò che aspettare.
ARTICOLI CORRELATI Come bersi i cappuccini con lo zucchero della misericordia gesuita Così il gesuita spazzola i cappuccini Il Medioevo a spasso per Roma, tra Papi infallibili che sbaglianoL’esito sperato si manifestò alle prime luci dell’alba, quando Padre Pio, dopo un fremito, si stiracchiò e si mise seduto.
Era proprio lui. Il volto un po’ giallastro, la barba bianca e folta. Né alto né basso, dimostrava qualche anno in più, ma era comprensibile. Il professore lo guardò con soddisfazione ma anche con sorpresa. Aveva studiato a lungo, ma senza riuscire a immaginare il risultato concreto del suo intervento. Poi disse: “Padre Pio, bentornato! Come sta?”.
Padre Pio lo guardò accigliato, come faceva sempre quando si trovava al cospetto di un potenziale scocciatore. Fece una smorfia, come per riabituare i muscoli facciali al movimento, e infine parlò.
Ma che cosa disse?
Ma che cosa disse?
Il professore rimase di sasso. Dapprima pensò che Padre Pio stesse parlando nel dialetto beneventano, notoriamente ostico, ma non impiegò molto ad accorgersi che si trattava di un’altra lingua. Ma quale?
Padre Pio parlava, parlava, ma nessuno era in grado di capirlo. I ladri, tutti dell’Est Europa, precisarono subito che non era serbo, né croato, né montenegrino, né rumeno, bulgaro, russo o ucraino. Che cos’era allora?
Nelle parole di Padre Pio c’erano tantissime vocali e c’era la ü come la pronunciano i tedeschi, ma quello non era tedesco. Ogni tanto sibilava, come fanno gli inglesi quando mettono la lingua in mezzo ai denti per pronunciare il th, ma quello non era neppure inglese. E poi le consonanti! Una ridda di nasali, vibranti, occlusive, fricative. Come diavolo parlava Padre Pio?
Il professore, che era biologo, aveva viaggiato tanto, ma non possedeva alcuna esperienza nel campo della linguistica. Così pensò di chiamare un suo vecchio amico, esperto in materia, e gli passò Padre Pio. Naturalmente, non gli rivelò l’identità della persona, ma restò sul vago, spiegando di essere alle prese con un dipendente straniero che non parlava inglese.
Il professore, che era biologo, aveva viaggiato tanto, ma non possedeva alcuna esperienza nel campo della linguistica. Così pensò di chiamare un suo vecchio amico, esperto in materia, e gli passò Padre Pio. Naturalmente, non gli rivelò l’identità della persona, ma restò sul vago, spiegando di essere alle prese con un dipendente straniero che non parlava inglese.
Vedendo il cellulare, padre Pio restò perplesso e aggrottò ancora di più la fronte. Sospettoso, si decise infine ad afferrare lo strano oggetto, ma restò muto come un pesce. Il professore, a forza di gesti e di parole pronunciate in varie lingue, lo esortò allora a parlare, finché il santo si decise a emettere un suono gutturale, un po’ ridicolo a dire il vero.
Fattosi riconsegnare il telefono, il professore interpellò l’amico e ricevette una risposta che lo lasciò senza fiato: “Non c’è dubbio, è svedese. Il tuo dipendente parla in svedese. Non proprio quello di Stoccolma per essere precisi. Direi piuttosto quello di Lund”.
Svedese? Il professore non sapeva che cosa pensare. Qualcosa non aveva funzionato a dovere. Padre Pio stava bene e lo si vedeva. Pur essendo anziano e rugoso, si muoveva con scioltezza, né gli mancava l’appetito, ma perché parlava in svedese? E come capirlo?
Il professore mandò a comprare un dizionario italiano-svedese e grazie a quello fu possibile incominciare un dialogo, almeno embrionale. Risultò che Padre Pio non solo pensava di essere nato in Svezia, ma era pure convinto di appartenere alla fede luterana.
Il professore esaminò e riesaminò più volte il suo preparato. Lo travasò in una boccetta, ne misurò ogni singolo componente, lo sottopose ad accurate verifiche. E fu allora, dopo ore di lavoro, che scoprì l’inghippo. Un banale errore, uno stupidissimo e banalissimo errore. Una questione di dosaggio. Ecco perché Padre Pio era rinato svedese e luterano. Certo, peggio sarebbe stato se fosse venuto africano e animista o, non parliamone, arabo e musulmano. Almeno era rimasto cristiano, ma come utilizzare un Padre Pio dal linguaggio incomprensibile e di fede protestante?
Il professore, che aveva immaginato di restituire il suo Padre Pio redivivo ai frati e al Vaticano in cambio di una bella sommetta, era in preda allo sconforto.
Passarono i giorni. Grazie alla mediazione di un amico assessore regionale, il professore ebbe un contatto con il vescovo. Da quel contatto nacque un incontro con il cardinale segretario di Stato e dall’incontro si arrivò all’appuntamento con il papa in persona.
Ricevuta la somma pattuita, il professore si eclissò. Tutto si svolse in gran segreto, come si conviene in questi casi. Eppure, chissà come, un paio di settimanali ebbero la notizia. Si parlava di un Padre Pio di nuovo in vita, un miracolo incredibile. E si diceva che il papa lo avrebbe presentato alla folla, durante l’Angelus, come esempio di fede incorruttibile.
E così in effetti fu. Solo che la notizia data dai due settimanali non era completa. Non si diceva che Padre Pio parlava in svedese ed era diventato luterano. Tanto è vero che quando, all’Angelus, il santo frate apparve accanto al papa alla finestra del palazzo apostolico (incontenibile il visibilio dei fedeli, indescrivibile la commozione generale), il pontefice fu costretto a introdurlo con alcune note esplicative. Questo, disse in sintesi, è Padre Pio, fidatevi, non c’è trucco e non c’è inganno, e noi siamo felicissimi di potervelo restituire vivo e vegeto. E’ proprio vero, aggiunse, che la fede è in grado di spostare le montagne. Tuttavia, precisò, dovete sapere che è un padre Pio moderno, al passo coi tempi. Un Padre Pio, in parole povere, ecumenico. Tanto ecumenico da essersi fatto luterano e svedese.
Occorre dire che la folla questa cosa non la prese benissimo. Quel santo frate, col saio marrone e la lunga barba bianca, poteva essere tutto (magari un ayatollah) ma luterano! E svedese, poi. Ma la fiducia nella parola del papa prevalse e così, anche se il discorso di Padre Pio, nel curioso dialetto di Lund, risultò incomprensibile ai più, alla fine la folla si lasciò andare a un applauso generoso.
Non passò molto tempo che Padre Pio manifestò il desiderio di sposarsi e poi, non contento, sostenne la necessità di ordinare donne prete. Pretese anche di tenere conferenze. Di conseguenza in Vaticano si formarono due partiti: da una parte quelli che proponevano di farlo sparire e di mettere a tacere il tutto (un modo lo si sarebbe trovato), dall’altra quelli che invece ritenevano giusto utilizzarlo come avanguardia non solo dell’ecumenismo ma del rinnovamento, in modo tale da apportare finalmente alla Chiesa cattolica quelle riforme (fine del celibato, sì al sacerdozio femminile eccetera) troppo a lungo rinviate.
Come andò a finire lo sapete tutti, e quindi è inutile che mi dilunghi nei particolari. Vi dirò soltanto che, secondo me, gli svedesi i cappuccini proprio non li sanno fare.
di Aldo Maria Valli | 11 Febbraio 2016
Gli svedesi no! Ma gli argentini ...........
RispondiEliminaInfatti
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