Il Papa: "Nessuno vuole assumersi la responsabilità dei tanti profughi e rifugiati"
Francesco ricorda i migranti durante la messa delle Palme. Il card. Parolin aveva definito "umiliante" l'accordo Ue-Turchia
Il Papa ha aperto i riti della Settimana santa con la procession sul sagrato di San Pietro (LaPresse)
Roma. Un’unica aggiunta a braccio ma significativa, quella che il Papa ha apposto all’omelia preparata per la celebrazione della Domenica delle Palme, in piazza San Pietro. Francesco ricorda la Passione di Cristo, “l’umiliazione che Gesù subisce si fa estrema: viene venduto per trenta denari e tradito con un bacio da un discepolo che aveva scelto e chiamato amico”.
Subisce “l’infamia e la condanna iniqua delle autorità, religiose e politiche: è un fatto peccato e riconosciuto ingiusto. Pilato – ha aggiunto il Pontefice – lo invia da Erode e questi lo rimanda dal governatore romano: mentre gli viene negata ogni giustizia, Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino”. Ed è qui che il Papa fa un paragone con l’attualità: “E penso a tanta gente, a tanti profughi, a tanti rifugiati. Nessuno vuole assumersi la responsabilità del loro destino”.
ARTICOLI CORRELATI Dopo Ankara, ora sono Parigi e Londra ad angustiare Merkel L’accordo sui migranti tra Ue e Turchia è fragile, e l’Italia ha due guai in piùGià qualche giorno fa, in seguito all’accordo tra l’Unione europea e la Turchia, la Santa Sede aveva avuto modo di esprimere tutta la propria perplessità sull’intesa raggiunta. Un accordo definito “umiliante” dal Segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin: “Di fronte al grave dramma di tanti emigranti, dovremmo sentire umiliante dover chiudere le porte, quasi che il diritto umanitario, conquista faticosa della nostra Europa, non trovi più posto”. Il capo della diplomazia vaticana parlava va Skopje, in Macedonia, dove si era recato in visita ufficiale.
di Matteo Matzuzzi | 20 Marzo 2016
Il Papa ha aperto i riti della Settimana santa con la procession sul sagrato di San Pietro (LaPresse)
Roma. Un’unica aggiunta a braccio ma significativa, quella che il Papa ha apposto all’omelia preparata per la celebrazione della Domenica delle Palme, in piazza San Pietro. Francesco ricorda la Passione di Cristo, “l’umiliazione che Gesù subisce si fa estrema: viene venduto per trenta denari e tradito con un bacio da un discepolo che aveva scelto e chiamato amico”.
Subisce “l’infamia e la condanna iniqua delle autorità, religiose e politiche: è un fatto peccato e riconosciuto ingiusto. Pilato – ha aggiunto il Pontefice – lo invia da Erode e questi lo rimanda dal governatore romano: mentre gli viene negata ogni giustizia, Gesù prova sulla sua pelle anche l’indifferenza, perché nessuno vuole assumersi la responsabilità del suo destino”. Ed è qui che il Papa fa un paragone con l’attualità: “E penso a tanta gente, a tanti profughi, a tanti rifugiati. Nessuno vuole assumersi la responsabilità del loro destino”.
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di Matteo Matzuzzi | 20 Marzo 2016
Con la primavera inizia la fase avanzata del progetto mondialista di disarticolazione dell’Europa
di Luciano Lago
Con l’arrivo della buona stagione, dalla Sicilia alla Calabria si registra lo stesso copione degli anni scorsi: ricominciano gli sbarchi di migliaia di migranti sulle coste nazionali e si tornano a contare i morti annegati nel Canale di Sicilia, il braccio di mare che separa la Libia dall’Italia. Ieri sulle coste siciliane sono sbarcate quasi 1.500 persone: 700 a Palermo e gli altri divisi tra Pozzallo e Augusta. L’invasione prosegue più massiccia di prima.
Le cause di questo nuovo afflusso bisogna ricercarle anche nella chiusura della rotta balcanica che dirotta verso le coste italiane masse di migranti di varie provenienze.
Il fenomeno non è spontaneo, come i media del sistema vorrebbero far credere, ma al contrario viene fortemente sospinto ed incentivato da alcune organizzazioni internazionali.
Già in precedenza avevamo messo in risalto il ruolo centrali mondialiste nel fomentare l’immigrazione di massa come strumento della geopolitica del caos per destabilizzare e disarticolare la struttura sociale dei paesi europei. Si era messa a fuoco anche la sostanziale complicità di Washington nel favorire l’invasione di massa dell’Europa da parte dell’ondata migratoria, considerando anche il ruolo decisivo avuto dagli USA nella destabilizzazione dei paesi del Medio Oriente e dell’Asia. L’invasione di migranti e la disarticolazione dei paesi europei è un obiettivo che rientra nella strategia egemonica degli Stati Uniti di mantenere sotto l’ombrello della protezione atlantica le province europee dell’impero americano. Vedi: migrazioni di massa come arma geopolitica
Se andiamo ad analizzare quali siano le cause dell’ondata di sbarchi che sta portando migliaia di clandestini sulle coste italiane e su quelle della Grecia, risulta evidente quanto questa massiccia ondata migratoria non sia un fenomeno spontaneo ma sospinto ed incentivato da precise organizzazioni mondialiste e da un paese NATO (la Turchia) che utilizza queste masse di profughi come arma di ricatto verso l’Europa. In ultima analisi siamo portati a concludere che è in atto la spallata finale contro i paesi europei per annientare le identità nazionali e procedere alla fase avanzata del piano di sostituzione delle popolazioni e delle identità europee.
Non si possono passare in secondo ordine le rivelazioni dei servizi segreti austriaci su quante ONG siano coinvolte nel finanziamento e nel traffico dei migranti anzi queste rivelazioni, aggiunte alle altre, ci forniscono l’ennesima prova che conferma quanto gli USA siano i responsabili dell’attuale emergenza immigratoria. Vedi: Servizi segreti austriaci: Usa e Soros finanziano l’invasione dell’Europa
Risulta facile notare come ci sia stata sempre una costante ingerenza statunitense nelle questioni interne dell’Unione Europea come ad esempio quelle che, nell’anno appena trascorso, hanno riguardato le trattative avutesi tra Grecia del governo Tsipras e la Troika, fatto che ha messo pienamente in luce come la vera posta in gioco del Grexit non fosse soltanto una questione economica ma che l’eventuale fuoruscita della Grecia dal sistema dell’euro e dalla UE rappresentasse in realtà una questione geopolitica e si era capito come i contendenti in campo non fossero soltanto la Grecia e Bruxelles ma Washington e Berlino.
Altrettanto accade con la questione migratoria che coinvolge tutti i paesi europei ed in particolare quelli della rotta balcanica con la Grecia in prima fila e l’alleato della NATO, la Turchia, messo in una posizione di detonatore della crisi grazie al rapporto privilegiato che il governo di questo paese intrattiene con Berlino e con Washington.
In tutte queste situazioni gli Usa, nonostante abbiano recitato la parte dell’osservatore disinteressato, hanno dimostrato come la costruzione europea sia di fatto del tutto funzionale agli interessi egemonici atlantisti e così come questa costruzione, in ogni suo possibile allargamento, favorisce, attraverso la NATO, l’estensione dell’egemonia statunitense, ogni suo possibile arretramento ne limita il campo d’azione. Possiamo ricordare di quanto affermava Bzrezinski quando assegnava all’Europa il ruolo di mera “testa di ponte democratica degli Stati Uniti in Eurasia”, sostenendo che:
«Qualunque espansione del campo d’azione politico dell’Europa è automaticamente un’espansione dell’influenza statunitense. Un’Europa allargata e una NATO allargata serviranno gl’interessi a breve e a lungo termine della politica europea. Un’Europa allargata estenderà il raggio dell’influenza americana senza creare, allo stesso tempo, un’Europa così politicamente integrata che sia in grado di sfidare gli Stati Uniti in questioni di rilievo geopolitico, in particolare nel Vicino Oriente». Vedi: A Plan for Europe
Questo spiega l’interees di Washington nel favorore le possibilità di allargamento ulteriore dell’unione Europea (alla Turchia, alla Serbia ed alla Macedonia) e la sua azione di pressing sui paesi che sono tentati di uscirne fuori.
Bisogna capire che il peggiore incubo di Washington è quello di dover assistere ad un riavvicinamento fra Europa e Russia ed in particolare che gli sforzi della strategia USA sono tutti indirizzati ad impedire con ogni mezzo una possibile alleanza tra Russia e Germania, che costituirebbe l’unica seria minaccia alla supremazia planetaria dell’impero “talassocratico” che un tempo era della Gran Bretagna e oggi degli Stati Uniti.
Interessante notare che, nonostante la massiccia propaganda mondialista, in alcuni paesi si è risvegliato il senso dell’identità nazionale e si è percepito il livello della minaccia costituito dal fatto di aprire le porte all’ondata migratoria.
Uno di questi è l’Ungheria di Orban, ma non è il solo visto che su posizioni simili si trovano la Repubblica Ceka, la Slovacchia e la Polonia, oltre all’Austria, alla Danimarca ed altri paesi che hanno chiuso le frontiere.
Dichiarazioni di Viktor Orban
Viktor Orban, primo ministro dell’Ungheria, l’altro giorno ha dichiarato: “risulta attualmente proibito in Europa affermare che l’immigrazione di massa porta con sé il crimine ed il terrore in Europa”.
“L’Europa, la nostra casa comune, attualmente non è libera”, ha affermato Orban in un discorso tenuto per le celebrazioni del giorno dell’indipendenza ungherese e questo discorso è risuonato come un grido di resistenza per tutta le nazioni europee minacciate nella loro identità e nella sovranità dei loro paesi.
La “bestia nera” dei globalisti europei, l’uomo che ha resistito fermamente a tutte le minacce di sanzioni e di rappresaglie da parte dei suoi poderosi soci della UE (Germania e Francia in primis), per causa della sua chiara difesa della identità nazionale ungherese di fronte alla valanga degli ultimi arrivati dal terzo mondo, ha ricordato che oggi l’Europa non è libera perchè non è permesso dire la verità. Esiste un “patto del silenzio” fra le autorità europee e le forze dell’ordine e con i grandi media per presentare al pubblico una immagine deviata e buonista della crisi dei rifugiati sminuendo o mettendo sotto silenzio i numerosi casi di tensioni sociali, scontri culturali, problemi di sicurezza e di ordine pubblico, creazione di ghetti, sobillazione dell’estremismo e costi inassumibili. Una censura più insidiosa della matita rossa delle dittature- aperta e riconosciuta- che distingue fra le cattive notizie che riguardano gli immigrati mediante pressioni politiche e finanziarie ed affinità ideologica. Una piaga su cui Orban mette il dito senza cercare di dissimulare.
“Risulta proibito affermare che quelli che arrivano non sono in massima parte riìfugiati ma che l’Europa è minacciata dall’immigrazione”, ha proseguito Orban in un discorso storico.
“E’ proibito dire che ci sono decine di milioni pronti a partire alla volta dei nostri paesi. Proibito dire che l’immigrazione porta con se il crimine ed il terrore nelle nostre nazioni.
E’ proibito segnalare che le masse che arrivano, proveniendo da altre culture ed altre forma di civiltà, mettono in pericolo il nostro modo di vita, la nostra cultura, i nostri costumi e le nostre tradizioni cristiane.
E’ proibito dire che non si tratta di una catena di conseguenze causali ed involontarie ma una operazione preparata e pianificata da molto tempo; una massa di gente diretta contro di noi.
E’ proibito dire che Bruxelles sta forgiando piani per trasferire qui centinaia di migliaia di stranieri e farli installare quanto prima fra di noi.
E’ proibito ammettere che il tentativo di installare questa gente qui è quello di rimodellare il paesaggio culturale e religioso d’Europa ed alterare le sue caratteristiche etniche eliminando l’ultima barriera contro il mondialismo: gli Stati Nazione”.
(……………….)
“Oggi si è scritto nel libro del destino che i poteri mondiali occulti e senza volto elimineranno tutto quello che è unico, autonomo, ancestrale e nazionale. Mescoleranno culture, fedi e popolazioni fino a che la nostra poliforme e orgogliosa Europa si trasformi in docile e perda la sua vitalità. Se andiamo a rassegnarci a questo risultato, il nostro destino sarà segnato e finiremo per essere digeriti nelle enormi trippe degli Stati Uniti d’Europa”.
Mai parole sono state più profetiche.
Wikileaks: la Clinton nel 2012 chiese il rovesciamento di Al-Assad per la sicurezza di Israele. Quali altre prove servono?
Wikileaks ha rivelato lo scorso Venerdì il contenuto di una comunicazione mail di Hilary Clinton in cui, la allora segretaria di Stato, richiese il rovesciamento del Governo siriano per rafforzare la sicurezza del regime di Israele.
Le filtrazioni web di Wikileaks citano una comunicazione inviata in Luglio del 2012, dalla precandidata democratica alla Casa Bianca Hilary Clinton, ad una persona sconosciuta in cui la Clinton insisteva per richiedere il rovesciamento del Presidente siriano Bashar al-Assad, “per rinforzare la sicurezza di Israele e isolare l’Iran (alleato di Damasco) dalla scena del Medio Oriente”.
Le filtrazioni web di Wikileaks citano una comunicazione inviata in Luglio del 2012, dalla precandidata democratica alla Casa Bianca Hilary Clinton, ad una persona sconosciuta in cui la Clinton insisteva per richiedere il rovesciamento del Presidente siriano Bashar al-Assad, “per rinforzare la sicurezza di Israele e isolare l’Iran (alleato di Damasco) dalla scena del Medio Oriente”.
Secondo il testo della comunicazione, il servizio di sicurezza del regime di Israele era convinto che la Repubblica Islamica dell’Iran perderebbe il “suo unico alleato” in Medio Oriente, se il Governo di Damasco venisse rovesciato.
” Il miglior modo di assecondare Israele contro la capacità nucleare dell’Iran, è quello di aiutare il popolo siriano nel rovesciare il regime di Bashar al-Assad”, si dice esplicitamente la Clinton nella comunicazione.
” Il miglior modo di assecondare Israele contro la capacità nucleare dell’Iran, è quello di aiutare il popolo siriano nel rovesciare il regime di Bashar al-Assad”, si dice esplicitamente la Clinton nella comunicazione.
Inoltre il testo dice che la “caduta del governo di Assad potrà provocare una guerra settaria tra i mussulmani sciiti e sunniti, cosa che, a giudizio dei comandanti israeliani, “non sarebbe affatto male per Israele ed i suoi alleati occidentali”.
Allo stesso modo sostiene che una possibile guerra tra i sunniti e gli sciiti farebbe ritardare il programma nucleare iraniano.
Lo scorso mese di Gennaio, l’Istituto per gli Studi della Sicurezza Nazionale dell’Università di Tel Aviv aveva indicato che il regime di Israele si vedrebbe beneficiato dal rovesciamento del Governo siriano. L’Istituto israeliano, in uno studio su quale dovrebbe essere la strategia di detto regime nel 2016, aveva concluso che il regime di Tel Aviv deve trovare una via che faciliti il rovesciamento di Al-Assad anche dovendo appoggiare i gruppi armati jihadisti che operano all’interno del paese arabo (cosa che puntualmente si è verificata).
Nota: Con questa ulteriore prova del coinvolgimento dell’Amministrazione USA nelle operazioni di destabilizzazione della Siria, nelle guerre settarie della regione e dell’appoggio fornito da Washington ai gruppi terroristi che hanno seminato morte e distruzione nel paese arabo, la popolazione siriana sa bene chi deve “ringraziare” per le centinaia di migliaia di morti, per le migliaia di persone ferite e mutilate e per i milioni di profughi che il conflitto in Siria ha provocato nel loro paese. Israele e gli Stati uniti sono stati i principali responsabili di una delle più brutali e disumane tragedie che i disegni egemonici dell’Impero USA abbiano provocato nel nuovo secolo.
Fonte: El Espia Digital
Traduzipone e nota: Luciano Lago
http://www.controinformazione.info/wikileaks-la-clinton-nel-2012-chiese-il-rovesciamento-di-al-assad-per-la-sicurezza-di-israele-quali-altre-prove-servono/
Tutti i ponti tra Turchia e Jihad che l’Europa fa finta di non vedere
C’è poi l’aspetto legato alla sicurezza: l’Unione Europea può fidarsi di un Paese che ha intrattenuto legami di vario tipo con il jihadismo?
DI GIOVANNI GIACALONE - 21 MARZO 2016
A fine novembre 2015, Can Durdar ed Erdem Gul, i due capi-redattori del quotidiano Cumhuriyet, , venivano arrestati dalla polizia turca ed accusati di “spionaggio ed alto tradimento” dopo che a giugno il quotidiano aveva pubblicato foto e video compromettenti che provenivano dall’esercito turco e che mostravano un carico di armi su un camion diretto in Siria per rifornire i jihadisti. In seguito all’arresto, Dundar aveva dichiarato: “Ci hanno accusati di spionaggio, addirittura per il presidente saremmo dei traditori – Non siamo traditori, né eroi. Abbiamo fatto solo il nostro lavoro di giornalisti”. Erdogan aveva addirittura chiesto due ergastoli per Dundar, aggiungendo che i camion stavano trasportando aiuti umanitari alle popolazioni turcomanne oltre confine e che i video erano stati diffusi per cercare di infangare il suo nome e quello dell’Akp. Peccato però che le foto e i videomostravano membri dell’intelligence turca (Mit) caricare di armi un camion da inviare in Siria.
Come avevano riportato in esclusiva a Reuters due pubblici ministeri turchi, successivamente finiti sotto processo per le loro rivelazioni, quattro camion pieni di parti di missili, munizioni e mortai semi-assemblati erano partiti tra il 2013 e il 2014 dalla Turchia per essere scortati da membri dell’intelligence di Stato in territorio siriano controllato anche da milizie di Al-Qaeda. Uno dei quattro camion, come affermato da testimoni, era stato intercettato dalla polizia ma gli altri tre avevano proseguito il loro tragitto grazie a membri del Mit che avevano minacciato gli ufficiali, intimandoli di lasciar stare. Sempre secondo tali fonti, i camion trasportavano sei container di acciaio con all’interno un totale di 1.000 parti di missili, 50 mila munizioni per mitragliatrici, 1.000 mortai e 30 mila munizioni per mitragliatrici pesanti. Il tutto era nascosto sotto strati di medicine. A riguardo del processo, il presidente della Suprema corte d’Appello, İsmail Rüştü Cirit, aveva dichiarato: “I tempi che stiamo attraversando sono eccezionali.
Noi facciamo del nostro meglio per tirare fuori il paese dai guai in cui si è cacciato”.1 2 Erdogan è sempre apparso estremamente preoccupato dal possibile emergere di elementi che documentassero l’appoggio turco ai jihadisti ed ha tentato e tenta ancora oggi il tutto per tutto pur di silenziare chiunque si opponga alla linea dell’AKP. Oscuramento di social media, occupazione dei quotidiani da parte di uomini fedeli al Governo (come dimostra il recente caso dello Zaman), arresti di giornalisti, licenziamento di agenti di polizia colpevoli di mettere il naso nelle faccende sbagliate. Nonostante ciò, nell’era di internet è molto difficile censurare tutti i canali potenzialmente “pericolosi” ed infatti le cose vengono comunque a galla, tanto che alcuni giornalisti hanno messo in evidenza come la maggior preoccupazione di Erdogan oggi siano proprio i media esteri perché più difficili da controllare e reprimere.
Jihadisti e AKP
Nel marzo 2015 la Russian Television (RT) rendeva noto che un leader dell’ISIS, Emrah Cakan, era ricoverato in un ospedale turco a Denizli, dove era entrato il 28 febbraio dopo essere stato ferito. 3 Nell’aprile 2014 all’Hatay State Hospital veniva invece segnalato il ricovero di Abu Muhammad, un comandante del gruppo qaedista Jabhat al-Nusra, ferito durante una battaglia a Idlib; un fatto gravissimo che aveva portato Muharrem Ince, deputato del CHP, a chiedere spiegazioni. 4 La notizia era rilasciata dal quotidiano Hurriyet e curiosamente, qualche mese dopo, uno dei suoi più noti giornalisti, Ahmet Hakan, veniva picchiato a sangue da alcuni misteriosi personaggi. 5 6 Un altro deputato del CHP ed ex mufti, Ihsan Ozkes, aveva invece dichiarato che numerosi jihadisti, molti dei quali ceceni e tunisini, erano stati ospitati in un edificio del Direttorato per gli Affari Religiosi (Diyanet) sempre nella provincia di Hatay, sotto la supervisione del MIT (i servizi segreti turchi) per essere poi utilizzati contro il PKK e il PYD nel nord della Siria. Vi è poi il caso di un filmato nel quale si vedono due jihadisti dell’Isis avvicinarsi al confine con la Turchia proprio mentre passa una camionetta dell’esercito di Ankara. Dal veicolo scendono alcuni militari che si avvicinano alla recinzione e si intrattengono in conversazione con i jihadisti che poi si allontanano facendo segno di vittoria verso i militari. In Turchia sono poi stati segnalati diversi esponenti del jihadismo ceceno e daghestano, tra i più noti, Israil Akhmednabiev (Sosiko) e Movladi Ugdanov; di quest’ultimo sono noti diversi indirizzi a Istanbul e tre numeri di telefono, tutti turchi. Alcune fonti sostengono poi che Islam Matsiev, uno degli amministratori del Kavkaz Center (sito propagandistico legato all’Emirato del Caucaso), sia stato ospitato per diverso tempo in Turchia.
I “Lupi Grigi” mandati oltre confine contro i russi
L’abbattimento del Sukhoi russo sui cieli della Siria lo scorso novembre mostra poi un’altra torbida strategia messa in atto da Ankara, ovvero l’utilizzo di gruppi paramilitari turchi in territorio siriano. Subito dopo l’episodio infatti, la Turchia aveva parlato di un’azione per proteggere i “turcomanni”; poco dopo però l’intelligence russa aveva identificato la milizia responsabile dell’omicidio del pilota paracadutatosi in seguito all’abbattimento del velivolo, milizia comandata dal cittadino turco Alparslan Celik, membro dei Lupi Grigi e figlio dell’ex sindaco di Keban, Ramzan Celik. Cosa ci facevano dunque le milizie turche di estrema destra in territorio siriano? Un altro elemento interessante emerge dalle immagini di una conferenza stampa organizzata, subito dopo l’uccisione del pilota russo, dal gruppo “turcomanno”, nelle quali si può vedere Alparslan mentre mostra con orgoglio un pezzo del paracadute del pilota e parla ai microfoni di Cnn e Fox News.
La cecità di NATO e UE
A questo punto sorge lecita una domanda: com’è possibile che la Turchia, paese membro della NATO, supporti gruppi terroristi che in teoria dovrebbero essere contrastati dalla medesima Alleanza? Nel frattempo l’Unione Europea continua a non vedere fatti evidenti e si appresta a foraggiare ulteriormente il governo di Ankara affidandogli il controllo sul flusso di profughi (controllo che la Turchia già aveva in ogni caso) con un “non-accordo “ fondato su un inapplicabile “uno per uno”, secondo il quale tutti i migranti che andranno in Grecia verranno respinti in Turchia e per ciascuno di questi (siriano o iracheno) rientrato, Ankara ne manderà uno in UE. Un piano semplicistico, fatto a tavolino ma di difficilissima attuazione poichè non sembra tener conto di aspetti come l’identificazione (che può richiedere settimane se non mesi), l’aspetto logistico e quello del trasporto oltre alle modalità di monitoraggio e respingimento che restano un punto interrogativo. C’è poi un ulteriore elemento per quanto riguarda le domande di asilo dei profughi, valutate a loro volta dalle autorità dell’UE che prevedono il rimpatrio di quelli con esito negativo e di coloro che non presentano richiesta di asilo (ammesso che ve ne siano); una procedura che richiede tempistiche molto lunghe, mentre nel contempo giungeranno altre migliaia di profughi e conseguentemente altre domande, generando così un enorme ingorgo. I rifugiati ai quali verranno accettate le richieste di asilo dove verranno poi indirizzati? In quali paesi dell’Unione Europea? Ci sono accordi chiari tra i paesi membri? Chi si occuperà poi di distinguere tra i siriani e gli altri ai quali non spetta asilo? C’è poi l’aspetto legato alla sicurezza: l’Unione Europea può fidarsi di un Paese che ha intrattenuto legami di vario tipo con il jihadismo? Non dimentichiamo che mentre nelle zone turche al confine con la Siria trovavano rifugio jihadisti in transito verso la Siria, l’aeroporto di Istanbul diventava un crocevia per volontari della jihad provenienti da Europa, tra cui Hayat Boumedienne (moglie del terrorista Amedy Coulibaly), Maria Giulia Sergio e il marito, Aldo Kobuzi. Una Turchia che non è stata in grado di controllare il transito sul proprio territorio di volontari jihadisti può essere ritenuta affidabile per un’operazione così delicata? Chi assicura che in mezzo ai profughi non si possano infiltrare anche dei jihadisti pronti a colpire l’Europa? Del resto la Turchia non è in grado neanche di proteggere il proprio territorio, come dimostra l’attentato di due giorni fà ad Istanbul, presumibilmente perpetrato dall’ISIS. L’attentatore, Savas Yildiz di 33 anni, originario di Adana nel sud del Paese, pare facesse parte di una lista dei sospetti potenziali attentatori suicidi, ma nonostante ciò non ha avuto alcun problema a portare a termine l’attacco.
1 http://jedasupport.altervista.org/blog/cronaca/esteri/giornalista-turco-carico-armi-isis-siria/
2 https://www.youtube.com/watch?v=BA37nW0spRk
3 https://www.rt.com/news/238713-isis-commander-turkey-hospital/
4 http://www.hurriyetdailynews.com/chp-lawmakers-accuse-turkish-government-of-protecting-isil-and-al-nusra-militants.aspx?pageID=238&nID=67750&NewsCatID=338
5 http://www.hurriyetdailynews.com/chp-lawmakers-accuse-turkish-government-of-protecting-isil-and-al-nusra-militants.aspx?pageID=238&nID=67750&NewsCatID=338
6 http://www.theguardian.com/world/2015/oct/01/prominent-turkish-journalist-beaten-up-in-organised-planned-attack
Il nuovo red carpet dello Star System è un campo per rifugiati
Da George Cloney ad Angelina Jolie passando per i protagonisti del Trono di Spade, tutti in fila, dietro la cinepresa, a provocare le corde emotive del grande pubblico per raccogliere fondi (e gonfiare l'immagine). Tutta l'ipocrisia dei nuovi missionari
Da George Cloney ad Angelina Jolie passando per i protagonisti del Trono di Spade, tutti in fila, dietro la cinepresa, a provocare le corde emotive del grande pubblico per raccogliere fondi (e gonfiare l'immagine). Tutta l'ipocrisia dei nuovi missionari
A patto che ci siano le telecamere ovviamente. E’ la parabola contemporanea di artisti, atleti e attori che scendono in campo costantemente non per spiegare agli spettatori le cause reali delle tragedie o per denunciare i veri responsabili, ma per vendere la sofferenza delle vittime ai donatori. Da George Cloney ad Angelina Jolie passando per i protagonisti delTrono di Spade, tutti in fila, dietro la cinepresa, a provocare le corde emotive del grande pubblico con tecniche sopraffine di marketing. Di recente l’IRC - International Rescue Committee, il comitato internazionale di soccorso che aiuta soprattutto donne e bambini - ha pensato di affidare il suo appello umanitario strappalacrime al cast di Game of Thrones, la serie tv tra le più popolari al mondo. In un incontro organizzato dallo stesso istituto in occasione del quinto anniversario della guerra in Siria, l’attore americano, George Clooney e sua moglie, Amal, hanno incontrato in questi giorni tre famiglie siriane a Berlino per farsi raccontare il loro vissuto. O ancora l’attrice Angelina Jolie, inviata speciale dell’Alto commissariato delle Nazioni per i rifugiati (Unhcr), che si è recata nei campi profughi siriani in Libano, uno dei Paesi più colpiti dalla diaspora, per solidarizzare con gli sfollati.
Dalle ville del Platinum Triangle (una delle aree più ricche e lussuose della Westside della Contea di Los Angeles, nella Southern California) alle baraccopoli. Il viaggio dei nuovi missionari è lungo ma la passerella dura pochi giorni. Il tempo di costruire la narrazione della miseria e sbatterla sulle prime pagine dei giornali e sui canali televisivi. Così l’umanitarismo si è trasformato in uno spettacolo macabro dove a fare da protagonisti sono imiserabili del terzo millennio: non le prostitute e i monelli di strada di Victor Hugo ma gli sfollati dei campi profughi sparsi ad ogni angolo del mondo. L’ipocrisia non uccide quanto un drone ma quasi. Altro che “celebrità” engagé, impegnate. Dov’erano tutti questi personaggi quando il Pentagono ordinava all’esercito americano di impiantare gli scarponi in Medio Oriente? Dov’erano quando nel nome dell’esportazione della democrazia venivano violati i diritti dei popoli? Dov’erano quando la carta stampata chiamava “pace” il caos?
Perché gli aiuti umanitari e la guerra sono due strategie contraddittorie ma perfettamente complementari. Si fa la guerra in nome dell’umanitarismo e si invoca il fine umanitario per giustificare la guerra. In fondo lo sponsor è lo stesso: le Nazioni Unite. Sono le Nazioni Unite che finanziano buona parte delle ONG, sono sempre le Nazioni Unite ad approvare risoluzioni che legittimano gli interventi militari che vengono definiti guarda caso “umanitari”.
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/nuovo-red-carpet-dello-star-system-campo-rifugiati-1236329.html
L'ENORME BUSINESS DELL'INDUSTRIA DELL'IMMIGRAZIONE
DI MAURO BOTTARELLI
DI MAURO BOTTARELLI
ilsussidiario.net
C'è anche un altro risvolto, oltre a quanto ho già scritto (qui), nella patetica gestione europea dell'immigrazione, un risvolto che parte da lontano quasi come un peccato originale: ammantare di umanitarismo ciò che per molti è soltanto un business e pagare poi il prezzo quando la situazione sfugge di mano. È il caso della Svezia. Sapete infatti chi è la principale beneficiaria delle politiche di accoglienza svedesi? Ica Bank, una banca che lo scorso novembre ha presentato alla Swedish Migration Agency una bella fattura da 8 milioni di dollari per aver fornito ai migranti carte pre-pagate. Per ogni prelievo di contanti, Ica Bank prende una commissione di 2 dollari e per ogni carta pre-pagata attivata qualcosa come 21 dollari. Ma c'è di più: l'istituto ha infatti vinto l'appalto per il servizio in regime di monopolio, senza bando di gara e il contratto con la Swedish Migration Agency è stato prolungato fino al marzo 2017. Accidenti, ma non è lo stesso Paese che ha annunciato 80mila espulsioni?
In Svezia l'accoglienza è un business gestito prevalentemente da operatori privati che fanno profitti faraonici: nel 2015, la 30 aziende più grandi che forniscono un tetto ai migranti hanno fatturato alla Swedish Migration Agency per circa 109 milioni di dollari: il tutto, finanziato dai soldi dei contribuenti svedesi. Nel novembre dello scorso anno, inoltre, la Swedish Migration Agency ha pagato 174 milioni di dollari per un periodo di 11 mesi di permanenza di migranti presso proprietari di immobili del settore privato. Buzzi in stile Ikea, magari senza Carminati ma il concetto è quello. Molte delle aziende che offrono accoglienza ai migranti hanno infatti ampi margini di profitto, spesso superiori al 50%: la Defakon Renting del 68%, la Nordic Humanitarian AB del 58% e la Fastigheterna på Kullen AB del 50%.
L'azienda più grande e conosciuta è la Jokarjo AB di proprietà di Bert Karlsson, più conosciuto nel suo Paese per essere stato direttore di un'etichetta discografica. Un vero esempio di coerenza, perché agli inizi degli anni Novanta fondò un partito, Nuova Democrazia, che chiedeva la riduzione dell'immigrazione in Svezia e con tale finalità sedette anche in Parlamento tra il 1991 e il 1994. Sapete quanto ha fatturato la sua azienda alla Swedish Migration Agency nel 2015? Qualcosa come 23,9 milioni di dollari. La ricetta del suo successo è semplice: «La mia idea è che bisogna fare le cose meglio e più a buon mercato di chiunque altro». Concetto quest'ultimo ottimamente espresso con le azioni, visto che nelle sue strutture i migranti devono comprarsi da soli la carta igienica, ad esempio, mentre nel contratto con la Swedish Migration Agency si parla chiaramente di fornitura gratuita di carta igienica, pannolini sanitari e per bambini. Insomma, la Swedish Migration Agency paga Karlsson con soldi pubblici per servizi che lui non eroga. E stiamo parlando dell'azienda più grande del settore, operatori minori cosa faranno?
C'è poi il business dei bambini migranti non accompagnati, i quali in base alla legge svedese devono vedersi assegnato un tutore legale che diviene responsabile del comportamento e della salute del bambino. Nel dicembre del 2015, la stampa svedese rendeva noto che da dati ufficiali vi erano tutori legali con in carico 29 migranti minorenni: quanto rendeva loro questo servigio? Più di 7mila dollari al mese, il tutto a fronte di un servizio di fatto non reso o reso male, perché appare difficile poter curarsi contemporaneamente di 29 bambini senza genitori e per di più stranieri. Il tutto, a fronte di un numero sempre crescente di piccoli profughi che spariscono nel nulla.
L'industria dell'immigrazione è un business enorme a spese dei contribuenti, a Roma come in Svezia. Lo dimostrano le cosiddette "foster homes", le case affido per rifugiati non accompagnati: pochi giorni fa, infatti, è emerso che uno dei responsabili della Swedish Migration Agency è anche titolare di una compagnia, la Starkfamn Familjehem AB, la quale casualmente fornisce proprio "foster homes". Quindi, non solo un business per i privati ma anche per funzionari pubblici furbi. Vedremo se l'accordo con la Turchia scongiurerà nuovi afflussi di massa, ma, in moltissimi casi, il danno è già stato compiuto con anni e anni di gestione allegra e clientelare di un fenomeno che non è meramente demografico ma anche di sicurezza sociale. Ne sanno qualcosa in Germania e anche nella Svezia del welfare universale voluto da Olof Palme negli anni Settanta.
Se per caso si arrivasse davvero a un conflitto in Libia, prepariamoci però a una nuova invasione che sarà tutta italiana, visto che i barconi che partiranno verso il Mediterraneo saranno di competenza nostra: come agiranno al riguardo i partner europei? Alzeranno muri e ci tratteranno come hanno trattato la Grecia finora o si faranno carico delle loro responsabilità? Anche perché io temo che, concentrati come sono sull'esistente e sull'emergenza, i Paesi europei stiano sottovalutando un possibile nuovo fronte di immigrazione di massa, ovvero quel Libano che accoglie nei campi profughi palestinesi quasi 2 milioni di siriani e che è sull'orlo di una crisi economica gravissima e di un possibile, nuovo conflitto interno. Se davvero si arrivasse a una nuova guerra civile, l'ondata migratoria sarebbe biblica. E purtroppo c'è chi avrebbe interesse a destabilizzare il Libano in chiave anti-iraniana, vista la forza di Hezbollah che è anche nel governo di Beirut, ora che Assad sembra inamovibile dal potere a Damasco: Arabia Saudita in testa, la quale l'altro giorno ha massacrato 119 civili (tra cui 22 bambini) con un raid aereo su un mercato in Yemen, ma continua a guidare il Comitato per i diritti umani dell'Onu.
In Libano, infatti, sembra riacutizzarsi la cosiddetta "crisi della spazzatura" scoppiata nell'agosto dello scorso anno, quando il governo fu incapace di rinnovare il contratto per la gestione dei rifiuti con la Sukken e in pochi giorni larghe parti del Paese si trasformarono in vere e proprie discariche a cielo aperto, scatenando le proteste di piazza della gente. Per giorni le strade di Beirut ribollirono di rabbia popolare, con la gente che accusava il governo di malagestione e corruzione e ponendo le basi a quella che molti dipinsero come una possibile nuova "rivoluzione dei cedri". Dopo il picco estivo, le proteste calarono di intensità, ma la situazione è rimasta molto seria, vista l'emergenza sanitaria perenne che vede moltissimi libanesi colpiti da virus legati a liquami e immondizia. La scorsa settimana, poi, la decisione del governo di rinviare l'apertura di tre impianti per il sotterramento dei rifiuti è stata letta dalla popolazione come l'ennesimo esempio di incapacità e corruzione, tanto che il gruppo di pressione We Want Accountability ha messo in guardia rispetto a misure di sorpresa. Nuove proteste in arrivo?
Il problema è che in Libano la situazione è esplosiva non soltanto per la crisi dei rifiuti, visto che da un lato è in atto una vera crisi diplomatica con l'Arabia Saudita e gli alleati di Ryad e dall'altro c'è la presa di posizione internazionale contro Hezbollah, bollata come "entità terrorista" da molti governi e organismi internazionali riconosciuti. L'Arabia ha cominciato la sua destabilizzazione del Libano mesi fa, quando la decapitazione a Ryad del predicatore sciita Nimr al-Nimr scatenò una violenta reazione da parte di Hezbollah che i sauditi non gradirono affatto e utilizzarono come pretesto per dare il via a ritorsioni. Immediatamente Ryad annullò il pacchetto di aiuti da 3 miliardi verso l'esercito libanese e anche quello di 1 miliardo di dollari a supporto dell'economia: privata dei turisti del Golfo, l'economia libanese è rapidamente deteriorata arrivando alla recessione. Inoltre, sempre l'Arabia ha espulso 300mila lavoratori libanesi, i quali annualmente inviavano a casa rimesse per 4,7 miliardi di dollari, un altro colpo mortale all'economia. Se per caso altri Paesi del Golfo dovessero seguire l'esempio saudita, per il Libano sarebbe la fine e un'ondata di proteste potrebbe presto degenerare in guerra civile.
Inoltre, nel dicembre scorso il Congresso Usa ha varato una legge che vieta alle banche di operare con Hezbollah e con altre organizzazione legate alla resistenza libanese. Subito dopo quest'atto, il Consiglio per la Cooperazione del Golfo ha votato una risoluzione, approvata in seguito anche dai ministri dell'Interno e degli Esteri della Lega Araba, in base alla quale Hezbollah veniva qualificato come "movimento terroristico". Di più, gli Usa hanno anche deciso un'azione contro la televisione libanese, Al-Manar, al fine di ridurne le capacità di trasmissione, definendo i contenuti dei programmi propagandistici per la resistenza sciita. Insomma, se una seconda guerra civile può ancora essere evitata, il rischio di una nuova invasione del Paese appare invece molto alto partendo da questi presupposti. E avendo fallito in Siria, dove proprio Hezbollah, iraniani e soprattutto aeronautica russa hanno messo la museruola alle mire di destabilizzazione sunnite nell'area, difficilmente Ryad perderà questa occasione, sfruttando oltretutto la solidarietà degli altri Paesi del Golfo, degli Usa e soprattutto di Israele, Paese per cui l'Iran resta sempre il nemico numero uno, soprattutto dopo l'accordo sul nucleare voluto da Stati Uniti e Ue.
Lo ripeto: se sarà crisi in Libano, non solo saranno i 2 milioni di siriani più i 350mila profughi palestinesi a muoversi per fuggire, ma anche la popolazione civile libanese, andando a formare un onda d'urto in un contesto già in fiamme sia in Siria che in Libia, senza contare l'Iraq e potenzialmente l'Egitto. Chissà se l'Europa dei mille vertici e delle mille emergenze starà valutando questa ipotesi prima che sia, ancora una volta, troppo tardi.
Mauro Bottarelli
Fonte: www.ilsussidiario.net
21.03ì.2016
Io sarei anche d'accordo ad accettare tutti i migranti del mondo ma purche' il gioco sia equo: che si possa spedire in Africa Bergoglio con biglietto di sola andata. Scusate ma io questo papa non riesco piu' a digerirlo.
RispondiEliminaVedo che su queste cose s'immischia e come l'eresiarca argentino, mentre sulle questioni importanti silenzio assoluto. Complimenti! Che se ne torni da dove è venuto!
RispondiEliminaGiusto perché papa Bergoglio con le sue pungolature (provocazioni?) continue sull'accogliere TUTTI i migranti stimola al dibattito, suggerisco:
RispondiElimina- di visionare su internet una galleria fotografica sui giardini vaticani;
- domandarsi qual è il budget annuale per la manutenzione ordinaria e straordinaria di tanta bellezza;
- visionare le piantine topografiche di tanta bellezza e domandarsi qual è la loro estensione in chilometri quadrati;
- domandarsi quante tende militari o conteiners (come quelli degli eterni baraccati italiani ex terremoto) potrebbero essere installati su cotanta superficie ad accogliere migranti-rifugiati-e-senzatetto (tralasciamo indagini sulle proprietà immobiliari del Vaticano che potrebbero essere messe a frutto);
- apprendere da internet che la scorsa estate il papa sollecitava il penitenziere vaticano a distribuire al quartiere Tiburtino di Roma: pane pasta e biscotti;
- leggere che nel MEDESIMO TEMPO il Vaticano conferiva appalto di 500.000 (cinquecentomila) Euro - fonte TG1 - a un'azienda di restauri di monumenti per disincrostare fontane e statue dei giardini vaticani con sistema innovativo ed 'ecologico' che non prevede l'uso di acidi;
- domandarsi quanti poveracci il papa (sempre così trepidante per la loro sorte) avrebbe potuto sistemare;
- domandarsi quando il papa prenderà coscienza - mai dire mai - che nel paese di Fiabilandia si può parlare 'gratis' realizzando ottime figure personali mentre si appioppano le some sulle schiene degli altri; ma che nel Paese reale il popolo - magari già molto provato da anni di crisi economica, come quello italiano - si sta parecchio irritando per queste 'parlate' irriflesse che si commentano da sole.