CASO MACIEL:"JEKYLL O HYDE"
di F. Lamendola
Marcial Maciel Degollado, il fondatore della Congregazione clericale dei Legionari di Cristo e del movimento di apostolato Regnum Christi, è morto il 30 gennaio 2008, pare a Jacksonville, nello Stato americano della Florida: diciamo “pare” perché, ultimamente, egli aveva assunto diverse identità: in un primo tempo, i Legionari avevano detto che egli era morto ad Houston, nello Stato del Texas. Nel 2005, all’età di ottantacinque anni, era stato travolto dalla rivelazione di una serie di gravissimi abusi di natura sessuale: sottoposto ad inchiesta da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2006 era stato cacciato dalla direzione dei Legionari e da ogni altro ministero pubblico, con l’ordine di ritirarsi a una vita di penitenza e preghiera.
Benedetto XVI (nel libro-intervista «Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi», con Peter Seewald, Libreria Editrice Vaticana, 2010 pp. 64-65) definì padre Maciel «un falso profeta», che aveva condotto «una vita al di là di ciò che è morale; un’esistenza avventurosa, sprecata, distorta». Parole pesanti come pietre, gettate sulla tomba di un uomo già morto da due anni: un uomo che, viene riferito da alcune fonti, era morto disperato, sotto il peso delle accuse infamanti di pedofilia e di aver avuto delle relazioni con quattro diverse donne, che gli avrebbero dato ben sei figli (uno, per la verità, adottivo).
Capitolo chiuso su padre Maciel, dunque; e, magari, anche sui Legionari di Cristo? Niente affatto. Non solo perché i Legionari erano, e restano, nonostante alcuni comprensibili abbandoni (peraltro quasi nessuno ha gettato la tonaca, ma quelli che sono usciti, si sono posti al servizio dei vescovi locali), una realtà molto importante nel panorama delle congregazioni cattoliche: con più di 120 case sparse in tutto il mondo e oltre 2.200 sacerdoti, ma, soprattutto, con un patrimonio invidiabile di spiritualità, devozione, disciplina e fedeltà alla Chiesa e con una spinta ideale che sorregge le loro vocazioni. Basti dire che, fra tutte le congregazioni di diritto pontificio, nessun’altra vanta un rigore disciplinare pari al loro: la severità della loro regola di vita è spartana, ogni momento della giornata è sottoposto a una severa disciplina e caratterizzato da una sobrietà esemplare; la loro formazione culturale è accurata, profonda; ogni più piccolo atto della loro vita è pensato in funzione di una offerta totale di fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Papa.
Fa male al cuore pensare al travaglio che quei sacerdoti devono avere sofferto, durante le penose vicende che hanno portato alla esautorazione e al ritiro forzato del loro fondatore, che era, per tutti loro, un padre, un esempio e un modello di vita, nei cui confronti provavano una fedeltà incondizionata e un radicato, tenacissimo affetto. Il fatto che siamo rimasti sostanzialmente compatti dentro la congregazione e che non abbiano deflesso dalla loro missione, consistente nel «cercare l’autenticità nell’esercizio del comandamento della carità tra gli uomini, che riassume il messaggio dell’Incarnazione del Verbo Divino» (Maciel, «La mia vita è Cristo», Roma, Edizioni Art, 2004, p. 85), dà un’idea di quanto solide siano le loro vocazioni, di quanto tenace e coraggioso sia il loro modo di affrontare le più gravi difficoltà e i turbamenti più sconvolgenti.
In verità, fa male al cuore anche pensare a come debbano essere stati gli ultimi mesi di vita del loro padre fondatore, letteralmente sepolto sotto una valanga di accuse infamanti, dopo un vita, in apparenza, tutta spesa al servizio di una grande causa, piena di zelo e di attività apostolica, sino a guadagnare la totale fiducia di un pontefice come Giovanni Paolo II. Si rimane sconcertati davanti a una vicenda come la sua; e lo sconcerto ha una duplice radice. Da un lato, non si può fare a meno di provare ammirazione e rispetto per l’opera di padre Maciel, che ha orientato verso una così grande fedeltà a Cristo e alla Chiesa alcune migliaia di giovani, e creato dal nulla, a partire dal 1948, una realtà ecclesiale sempre più numerosa e attiva, animata da un intrepido zelo missionario; ma anche pena, amarezza e sconforto per le colpe di cui si è macchiato, se esse corrispondono a verità: abusi sessuali e paternità nascoste, uniti al sacrilegio di aver assolto indebitamente, profanando il sacramento della Confessione, alcuni dei giovani da lui coinvolti in tali pratiche: sicché si rimane colpiti dalla asimmetria esistente fra l’indegnità morale del fondatore e la bontà della sua opera, che, nessuno può negarlo, ha prodotto frutti meravigliosi. E Gesù stesso ha ammonito che un albero si riconosce buono o cattivo a seconda dei suoi frutti (Luca, 6, 43).
Dall’altro lato, si prova un fortissimo sentimento di dubbio, di perplessità, di disagio: possibile che padre Maciel fosse capace di condurr una simile doppia vita? Neppure mister Jekyll e il signor Hyde, si direbbe, arrivarono a tanto. Certo, non vi è profondità abissale che l’anima umana non possa percorrere, sia verso l’alto, che verso il basso; non vi è limite al bene e al male che essa può compiere, se si abbandona a Dio o se, viceversa, si lascia tentare dal Diavolo. Qui, però, siamo in presenza di qualcosa di veramente enorme, quasi d’inconcepibile; di un mistero che sembra sottrarsi a qualunque logica, non che a qualunque tentativo di comprensione. Eppure…
Eppure, non si può fare a meno di notare delle curiose coincidenze. Il modo in cui è stato travolto padre Maciel è lo stesso in cui è stato travolto padre Manelli, il fondatore dei frati francescani del’Immacolata: e le due congregazioni hanno molto in comune, sia per quel che riguarda la floridezza delle vocazioni (in controtendenza con quasi tutti gli altri ordini religiosi cattolici, che si stanno svuotando), sia per quanto riguarda il loro orientamento spirituale, fiero, coerente, rigoroso, di tutt’altro tipo rispetto a quelli prevalenti fra i cattolici “progressisti” e modernisti: non un venire a patti con le logiche del mondo, ma una volontà di restare fedeli alla Tradizione e di convertire il mondo, con l’esempio prima che con qualsiasi discorso. In entrambe le realtà ecclesiali, i Legionari di Cristo e i Francescani “azzurri”, si respira una atmosfera particolare, tradizionalista nel miglior senso del termine.
Nel caso dei Legionari di Cristo: quel loro vestire da preti, in maniera chiara e inequivoca, e non come tanti sacerdoti diocesani che paiono quasi vergognarsi di essere tali, e non vedono l’ora, finita la Messa, di levarsi l’abito e mescolarsi alla folla, rendendosi anonimi; quel loro muoversi compunti, educatissimi, sempre perfettamente disciplinati; quella loro fierezza, senza ostentazione, ma senza ambiguità, nell’esercitare la missione di conversione del mondo al messaggio del Vangelo: sono cose che colpiscono. Molti di loro sono giovani: giovani che hanno rinunciato ai normali divertimenti della loro età per abbracciare un ideale di vita austera, spogliata di qualsiasi frivolezza. Perfino le ore, o piuttosto i minuti, che passano al computer, sono contati: non c’è spazio per altro, nelle loro vite, che per la preghiera, lo studio, l’apostolato, la devozione incondizionata alla Chiesa e ai loro superiori. Viene da chiedesi a chi possano dare fastidio, se non a quanti vorrebbero una Chiesa diversa da quella che servono loro: una Chiesa che “apre” alle logiche del mondo, al divorzio, all’aborto, all’omosessualità, per esempio.
Le accuse che hanno travolto padre Maciel, come quelle che hanno colpito padre Manelli, hanno qualcosa di strano, e sembrano ricalcare un copione comune. Primo: non sono state portate davanti ad alcun tribunale civile; laddove, come fece osservare, a suo tempo, Massimo Introvigne (su «Cristianità», n. 335 del 2006), le vittime degli abusi sessuali dei preti presentano conti salatissimi, attraverso la giustizia, quale risarcimento per ciò che hanno subito. Secondo: si tratta di accuse relative a fatti accaduti moltissimo tempo prima: non mesi o anni, ma addirittura decenni: anzi, qualcosa come mezzo secolo. Si riferiscono, cioè, a vicende accadute soprattutto negli anni ’50 del Novecento. E già questo le pone sotto una luce assai strana. Aspettare cinquant’anni per denunciare degli abusi sessuali? Per rivelare che un certo sacerdote aveva avuto una relazione stabile con una donna, anzi, con più donne, e che da esse aveva avuto dei figli? E perché mai? Inoltre, quale valore si può dare ad accuse portate a una così enorme distanza di tempo dai fatti? Quale mai tribunale le prenderebbe sul serio?
D’altra parte, si tratta di accuse così infamanti, così gravi, che la reputazione di chiunque ne venga anche solo sfiorato, finisce inesorabilmente distrutta. Appartengono a quel tipo di accuse che schizzano fango in maniera indelebile, quand’anche si rivelassero infondate o insufficientemente provate. Dunque, nel loro genere, sono molto ben scelte: così come è ben scelto il tempismo della loro azione retroattiva. Chi mai riuscirebbe a difendersi in maniera efficace nei confronti di qualcosa che gli viene imputata a mezzo secolo di distanza? Guarda caso, mentre la macchina del fango travolgeva padre Maciel, la Chiesa cattolica era posta sotto accusa per alcuni gravi casi di pedofilia, rivelati specialmente negli Stati Uniti, e il nuovo pontefice, Benedetto XVI, annaspava sotto i colpi dei suoi nemici esterni e interni, che erano e sono, poi, i nemici della Chiesa cattolica che vuol restare fedele alla Rivelazione, fondandosi sulle due basi incrollabili delle Scritture e della Tradizione. Una Chiesa che piace poco o nulla ai cattolici “progressisti”, ai vescovi in odor di Massoneria e ai cardinali ambiziosi e avidi di applausi, demagogicamente proiettati sulla ribalta del mondo profano, perennemente a caccia di popolarità fra coloro i quali non vogliono una Chiesa forte e autorevole, ma una Chiesa debole (anche nel senso di ispirata ad un “pensiero debole”, nel senso del filosofo Giorgio Vattimo), possibilista, relativista, e, soprattutto, agevolmente ricattabile, a partire dai temi etici: perché no all’eutanasia, davanti a un malato terminale che soffre atrocemente? Perché no all’aborto, davanti a una donna che ha subito violenza sessuale? Perché no alle unioni omosessuali, se sorrette da autentico amore?
Sì: ci sono tante, troppe cose che non tornano nella oscura, torbida vicenda che ha travolto padre Maciel. Chi abbia letto il suo libro-intervista «La mia vita è Cristo», rimane profondamente colpito dal carisma, dalla vastità di prospettive, dalla instancabile fede e operosità di questo prete messicano, il quale, afferrato da un grande sogno, ha creato dal nulla una fiorente congregazione religiosa, oggi ramificata e attivamente operante in tutti e cinque i continenti. E torna a domandarsi: possibile che quest’uomo, con la coscienza macchiata da così gravi peccati, parlasse in modo tanto ispirato? Certo, tutto è possibile. E poi, Dio sa scrivere dritto anche sulle righe storte: a Lui nulla è impossibile, neppure trasformare il male in bene. Pure, in base ad una logica umana, non è chi non veda come i gravissimi “incidenti” che hanno funestato la vita dei Legionari di Cristo, nel 2006, e i Francescani dell’Immacolata, nel 2013, vanno a colpire un certo tipo di realtà ecclesiale, sempre lo stesso: parrebbe che, dietro tutto ciò, vi sia una regia occulta, una mano invisibile. Farneticazioni, complottismo? Certo, è possibile; o forse no. Rileggendo la parole di padre Maciel nel libro citato (pp. 306-308), alla vigilia dello scandalo che lo avrebbe travolto, si resta colpiti dal tono lucido e fermo, che pare una critica implicita verso certe derive “progressiste” e mondane, dalle quali la Chiesa post-conciliare sembra, talvolta, essersi lasciata trascinare:
La mediocrità dei cristiani è stata una delle grandi piaghe del cristianesimo nella storia. La tiepidezza e la mediocrità hanno insidiato sempre lo spirito umano. La Sacra Scrittura fustiga, con espressioni durissime, questo atteggiamento. […] Il Santo Padre mette il dito nella piaga quando segnala ai cristiani il pericolo della mediocrità, di un’etica che si accontenta del minimo indispensabile per vivere con la coscienza più o meno tranquilla e una religiosità superficiale, soddisfatta da certi riti o da certe espressioni di devozione, che però non trasforma il cuore umano. La tentazione che c’è dietro questo atteggiamento è quella di vivere un’etica ed una religione “borghese”, che permettono di vivere senza complicazioni, senza causare grandi scosse, senza dover prendere grandi decisioni, senza scommettere decisamente sulla causa di Cristo e del Vangelo. La nostra società attuale, così dì edonista e materialista, in tanti aspetti, taccia come illusi, pazzi, intolleranti o fanatici coloro i quali prendono sul serio la lotta contro la mediocrità, coloro che si appassionano alla causa del Vangelo. Ma, come vivere senza passione la causa di Cristo e della Chiesa? Com’è possibile che il vero amore non sia appassionato? Non dico che debba essere cieco né irrazionale, ma colui che ama veramente non dà solamente una parte di sé, si dà per intero alla persona amata. Il Papa ci propone la via del radicalismo evangelico, di essere totalmente di Dio, di amarlo con tutto il cuore, di non essere tiepidi, di superare i compromessi facili con il mondo.[…] Chi ama, vuole il meglio per l’amato; cerca di dare il meglio di sé…
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Francesco Lamendola
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