Salvate il soldato Trump
I “Pro-life” americani si dimostrano disciplinatamente allineati al sistema attaccando il candidato più out of the box per una frase chiara e netta contro l’aborto. Il sito Lifesitenews parla di “oltraggio”. Il democristianismo esportato negli USA, chi lo avrebbe mai detto…
di Elisabetta Frezza
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In un giorno ordinario di ordinaria campagna presidenziale americana, succede che il candidato più out of the box si faccia scappare una frase epocale, tanto politicamente scorretta quanto logicamente e giuridicamente ineccepibile.
Donald Trump, intervistato da un anchorman “irish catholic” conservatore, alla domanda se l’aborto debba essere punito risponde che sì, se dovesse diventare illegale negli stati americani dovrebbe essere punito, e alla domanda immediatamente successiva se la sanzione debba riguardare anche la madre che abortisce il proprio figlio risponde parimenti “yeah”. Quale il tipo di pena non lo sa, ma “yeah”. E, con colpo da maestro finale, ribalta la frittata sul suo spiazzato maieuta e gli chiede a bruciapelo: «Are you catholic?». Nel senso: se ritieni che la vita umana sia sacra e intangibile sin dal concepimento, e che quindi l’aborto – in quanto uccisione volontaria di un essere umano innocente e indifeso – sia un crimine, ne consegue che deve essere in qualche modo punito. O no? L’intervistatore balbetta.
Il primo pensiero che mi hanno suscitato le parole di questo strambo yankee sparigliatore di carte e molestatore di vacche sacre, è stato per Mario Palmaro.
«Se la pena deve sempre essere considerata come una extrema ratio, è anche vero che l’esperienza comune e il buon senso insegnano che un precetto giuridico – nel caso specifico: l’astenersi da azioni che attentano alla vita – si rivela assolutamente inefficace se privo della sanzione, cioè della previsione di conseguenze afflittive per i comportamenti contrastanti con il precetto. È necessario che lo Stato prenda posizione manifestando un chiaro giudizio di disvalore nei confronti dell’uccisione dell’essere innocente e indifeso, e questo può essere fatto unicamente con lo strumento penale» (Mario Palmaro, “Aborto & 194, fenomenologia di una legge ingiusta”, Sugarco, 2008 p. 125).
Posto che la pena viene sancita dall’ordinamento per tutelare un bene giuridico corrispondente a un interesse primario della collettività, e che con l’aborto volontario si sopprime la vita di un essere umano innocente, «una sanzione vi deve essere – dice Palmaro – se non si vuole che il giudizio del legislatore su questo grave atto contro la vita si traduca a un meroflatus vocis» anche se «le condizioni in cui di solito la donna commette questo delitto possono indurre a una speciale clemenza nel giudizio della sua responsabilità» e tenuto comunque presente «che gli attori più responsabili sono spesso diversi dalla donna: il medico, la praticona, l’infermiere, il padre, i nonni, l’amica, tutte figure che, ove abbiano agito lucidamente e con premeditazione, dovrebbero essere il principale obiettivo dell’apparato sanzionatorio previsto dall’ordinamento».
Infatti – continua – «lo scopo della pena non è la vendetta nei confronti del reo», bensì, in ordine di importanza, quello di: «retribuire chi ha fatto del male con un male proporzionato, impedire che il reo ripeta lo stesso delitto, dissuadere tutti i consociati dalla commissione dello stesso delitto, aiutare il colpevole a pentirsi…e tra tutte queste ragioni, la prima è quella fondamentale, che attribuisce alla pena un valore metafisico, legato al principio di giustizia». E infine: «La pena…deve essere quello strumento acuminato che aiuta ognuno a scavare dentro se stesso, per scoprire l’enormità della propria colpa, nel segno però di una speranza più forte di ogni nostro errore». In questo senso, «l’effetto culturale ed educativo della depenalizzazione è devastante» (ibidem, pagg. 122 e ss.)
Le parole cristalline di Mario Palmaro sullo specifico “problema della sanzione” nell’aborto procurato illuminano la sua splendida solitudine – ora paradossalmente condivisa, mutatis mutandis, da Donald Trump – nel panorama del mondo pro life ufficiale, dove la verità è stata dissolta nell’acido dell’opinione del pluralismo democratico. La teoria di Carlo Casini “del doppio binario” propone infatti da un lato che le leggi debbano affermare il diritto alla vita del concepito, dall’altro che nel caso di aborto la donna sia sempre esentata da qualsiasi responsabilità: soluzione capace – a detta del suo ideatore – di sbloccare l’antitesi abortisti-antiabortisti e di portare a una sintesi accettabile da entrambe le parti.
Nel confronto tra i due, ossia tra il nitido ragionamento di principio e l’aporia di marca politica, emerge tutta la fallacia della seconda, fallacia direttamente proporzionale alla sua capacità di penetrazione sia nel sentire diffuso che nella prassi effettiva: seduzione diabolica di quel bipensiero democristiano che persino da prima del concilio domina la scena italica radicando una commistione vischiosa tra vero e falso, bene e male, giusto e ingiusto, fino a renderli indistinguibili ai più.
Ma torniamo a Trump.
Sia chiaro: può darsi che Trump si rimangi domattina le sue parole (che restano comunque a futura memoria, sì che una marcia indietro non è poi così facile) e in parte, in effetti, ha già provato a temperarne la portata. Ma non è questo il punto. Il punto è che intanto, nella sua veracità scevra da sovracostrutti cervellotici, Trump ha eruttato una perla di logica aristotelica e ha aperto un varco meraviglioso.
Ed ecco che i democratici, Hillary Clinton in testa, gridano alla vergogna. I repubblicani esposti sulla scena presidenziale, fiutando l’aria di burrasca, lo stroncano subito e attribuiscono il “passo falso” del rivale al suo essere un pro life improvvisato, un neofita, per dirla tutta “a charlatan”.
Ma l’aspetto più incredibile del quadro surrealista spolverato involontariamente da Trump riguarda i pro life di professione. Perché, dopo un’uscita del genere – plain, lineare, come la definisce il suo autore, ma al contempo incredibilmente ardita – verrebbe altrettanto linearmente da pensare che i pro life americani, noti tra l’altro per la loro supposta intransigenza, siano corsi a suonare le trombe, a portare in trionfo l’autore, a cavalcare la sua dichiarazione per far prendere quote inedite ai temi della vita mai tanto sfregiata come in questo tempo impazzito.
E invece, lungi dal raccogliere l’assist, il battagliero sito Lifesitenews – che riporta anche i commenti della presidente della March for Life Jeanne Mancini (in quota Opus Dei) e di vari personaggi del giro – dà addosso a Trump all’unisono con tutti i politici di tutte le parti, e tutti insieme calcano diligentemente la medesima linea, miope e suicida ma evidentemente segnata: cioè che Trump, non essendo un pro life autentico, non conosce il vero messaggio pro life, secondo il quale la donna che abortisce è vittima al pari del suo bambino e semmai chi deve essere punito è il medico che la guida nella sua vicenda di morte.
Emblematico il titolone di Lifesitenews – «Pro-life leaders outraged: Trump says post-abortive women deserve ‘some form of punishment’» – che parla di pro life nientemeno che “oltraggiati” dalle parole di Trump. Ed emblematico il fatto che, nella sequenza monocromatica di commenti sciorinati nel testo, siano pubblicati nature i tweet della Clinton, di Sanders, oltre che dei ciambellani della corte di Cruz. Come dire, tra Trump e loro, alla resa dei conti, meglio loro. Meglio i mostri.
Ora, non si può non constatare come, al di là dell’imprevisto cortocircuito etico generato, questa estemporanea vicenda di cronaca elettorale, oltrepassando le intenzioni di tutti, abbia portato impietosamente in superficie lo scheletro del sistema e rivelato il vero volto persino di un mondo pro life che appare a sua volta ad esso organico, cioè in qualche modo asservito all’impero.
Tutti contro Trump che ha detto la verità, scomoda forse ma incontrovertibile. Tutti obbedienti a un ordine superiore, proveniente dallo stesso padrone. Una reazione tanto compatta e addomesticata fa capire davvero chi alla fine finanzia, e finanziando comanda, e comandando concede libera espressione al dissenso solo fino a che non lo urta davvero. L’establishment, quello profondo che non cambia se governa un democratico o un repubblicano, non vuole Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
L’ascesa alla Casa Bianca di un battitore libero, alieno e insofferente agli equilibri esistenti, pregiudicherebbe tutto: gli appalti per guerre sanguinarie in oriente, le poltrone di enti (come il Fondo Monetario Internazionale) decisivi nelle c.d. rivoluzioni colorate, la corrispondenza di simpatie con lo stato di Israele. Al punto che, sin dentro gli ambienti pro life, in molti preferirebbero vincesse la satanica abortista guerrafondaia Clinton piuttosto che la scheggia impazzita.
Per certi versi Donald Trump ricorda il Berlusconi prima maniera, come lui ariete antisistema, animale un po’ selvatico non addestrato alla scuola del compromesso obbligatorio. Anche il cavaliere, di fronte al dramma di Eluana, quando tutti volevano staccare la spina, sfoderò il suo senso più nobile e, nel tentativo estremo di salvare una vita innocente dalla barbarie “umanitaria”, disse che non si poteva uccidere chi poteva ancora procreare. E tutti gridarono allo scandalo e lo additarono al pubblico ludibrio. Eppure, anche lì, spuntava inattesa la logica limpida e ferrea dell’animo umano, da persona evidentemente ancora capace di ascoltarlo fuori dal frastuono delle truppe di automi in marcia forzata. A modo loro Trump e Berlusconi, al contatto con le ragioni della vita, del cuore e della ragione, si sono dimostrati entrambi esseri genuini, estranei a costrutti artificiosi e quindi capaci di dire cose logiche. Cose umane. Tipo che il re è nudo.
E con questo Trump, forse involontariamente ma non importa, in uno sprazzo di ispirata improvvisazione, è riuscito anche a gridare allo scandalo della doppia morale. Il democristianismo esportato negli USA, chi lo avrebbe mai detto.
Dopo le reazioni a caldo, il secondo round conferma le posizioni. A distanza di un giorno, Lifesitenews dà alla Clinton lo spazio d’onore, pubblica diffusamente le sue dichiarazioni senza prenderne le distanze, con l’esito involontario ancora più evidente di sposarne tacitamente le parti nella comune contrarietà a Trump. L’identità di fondo tra soggetti che in linea teorica dovrebbero stare agli antipodi è resa plasticamente dall’uso reiterato della stessa espressione a significare la pari distanza dal candidato estremista: outrage, oltraggio. Si sente “oltraggiata” la Clinton insieme al suo elettorato femminista e abortista, così come si sentono “oltraggiati” i pro life, costretti ignominiosamente a fare outing di moderatismo indotto.
La novità del day after è data piuttosto dal fatto che la Clinton capisce di potersi giocare la carta scappata di mano a Trump per rafforzare il suo elettorato cementando saldamente i voti di tutti quelli per cui l’aborto illegale è una bestemmia. Capisce che la sparata di Trump ha resettato il termostato, mai prima d’ora tarato su parametri così alti. Che ha aperto un fronte estremo da cavalcare a contrariis: tutti i repubblicani – alza il tiro la Clinton – sarebbero allineati nel voler negare alla donna un suo diritto fondamentale e nel mortificarne le scelte sulla propria salute. «Il 2016 – dice – deciderà se l’aborto è o meno legale».
E si spinge anche oltre. Non manca di rendere esplicito ciò che da qualche tempo (quantomeno dalla morte improvvisa del giudice conservatore Antonin Scalia) si rumoreggia in modo sommesso e quasi inconfessabile: la Roe vs Wade potrebbe essere a rischio. Forse si tratta proprio della stesso rumore di fondo che ha allentato i freni inibitori di Trump. La Clinton paventa che, essendo prossimo un ricambio massiccio alla Corte Suprema, per anzianità di alcuni membri oltre che per colmare la sede vacante di Scalia, non è così impensabile che possa persino vacillare l’orientamento consolidato in tema di aborto.
La posta in gioco, dunque, è pazzescamente elevata e investe il cuore della battaglia per la difesa della vita umana, nella quale si aprono spiragli su scenari da vertigine.
In questa congiuntura inedita e irripetibile, il fantasista Donald Trump allunga d’istinto la mano e – voilà – apre la finestra di Overton, per una volta dalla parte giusta.
E gli ardimentosi pro life d’oltreoceano che fanno? Se la danno a gambe dalla parte opposta, accoccolandosi tra le braccia del vampiro che li nutre. Mentre stermina implacabile i loro e i nostri figli.
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In un giorno ordinario di ordinaria campagna presidenziale americana, succede che il candidato più out of the box si faccia scappare una frase epocale, tanto politicamente scorretta quanto logicamente e giuridicamente ineccepibile.
Donald Trump, intervistato da un anchorman “irish catholic” conservatore, alla domanda se l’aborto debba essere punito risponde che sì, se dovesse diventare illegale negli stati americani dovrebbe essere punito, e alla domanda immediatamente successiva se la sanzione debba riguardare anche la madre che abortisce il proprio figlio risponde parimenti “yeah”. Quale il tipo di pena non lo sa, ma “yeah”. E, con colpo da maestro finale, ribalta la frittata sul suo spiazzato maieuta e gli chiede a bruciapelo: «Are you catholic?». Nel senso: se ritieni che la vita umana sia sacra e intangibile sin dal concepimento, e che quindi l’aborto – in quanto uccisione volontaria di un essere umano innocente e indifeso – sia un crimine, ne consegue che deve essere in qualche modo punito. O no? L’intervistatore balbetta.
Il primo pensiero che mi hanno suscitato le parole di questo strambo yankee sparigliatore di carte e molestatore di vacche sacre, è stato per Mario Palmaro.
«Se la pena deve sempre essere considerata come una extrema ratio, è anche vero che l’esperienza comune e il buon senso insegnano che un precetto giuridico – nel caso specifico: l’astenersi da azioni che attentano alla vita – si rivela assolutamente inefficace se privo della sanzione, cioè della previsione di conseguenze afflittive per i comportamenti contrastanti con il precetto. È necessario che lo Stato prenda posizione manifestando un chiaro giudizio di disvalore nei confronti dell’uccisione dell’essere innocente e indifeso, e questo può essere fatto unicamente con lo strumento penale» (Mario Palmaro, “Aborto & 194, fenomenologia di una legge ingiusta”, Sugarco, 2008 p. 125).
Posto che la pena viene sancita dall’ordinamento per tutelare un bene giuridico corrispondente a un interesse primario della collettività, e che con l’aborto volontario si sopprime la vita di un essere umano innocente, «una sanzione vi deve essere – dice Palmaro – se non si vuole che il giudizio del legislatore su questo grave atto contro la vita si traduca a un meroflatus vocis» anche se «le condizioni in cui di solito la donna commette questo delitto possono indurre a una speciale clemenza nel giudizio della sua responsabilità» e tenuto comunque presente «che gli attori più responsabili sono spesso diversi dalla donna: il medico, la praticona, l’infermiere, il padre, i nonni, l’amica, tutte figure che, ove abbiano agito lucidamente e con premeditazione, dovrebbero essere il principale obiettivo dell’apparato sanzionatorio previsto dall’ordinamento».
Infatti – continua – «lo scopo della pena non è la vendetta nei confronti del reo», bensì, in ordine di importanza, quello di: «retribuire chi ha fatto del male con un male proporzionato, impedire che il reo ripeta lo stesso delitto, dissuadere tutti i consociati dalla commissione dello stesso delitto, aiutare il colpevole a pentirsi…e tra tutte queste ragioni, la prima è quella fondamentale, che attribuisce alla pena un valore metafisico, legato al principio di giustizia». E infine: «La pena…deve essere quello strumento acuminato che aiuta ognuno a scavare dentro se stesso, per scoprire l’enormità della propria colpa, nel segno però di una speranza più forte di ogni nostro errore». In questo senso, «l’effetto culturale ed educativo della depenalizzazione è devastante» (ibidem, pagg. 122 e ss.)
Le parole cristalline di Mario Palmaro sullo specifico “problema della sanzione” nell’aborto procurato illuminano la sua splendida solitudine – ora paradossalmente condivisa, mutatis mutandis, da Donald Trump – nel panorama del mondo pro life ufficiale, dove la verità è stata dissolta nell’acido dell’opinione del pluralismo democratico. La teoria di Carlo Casini “del doppio binario” propone infatti da un lato che le leggi debbano affermare il diritto alla vita del concepito, dall’altro che nel caso di aborto la donna sia sempre esentata da qualsiasi responsabilità: soluzione capace – a detta del suo ideatore – di sbloccare l’antitesi abortisti-antiabortisti e di portare a una sintesi accettabile da entrambe le parti.
Nel confronto tra i due, ossia tra il nitido ragionamento di principio e l’aporia di marca politica, emerge tutta la fallacia della seconda, fallacia direttamente proporzionale alla sua capacità di penetrazione sia nel sentire diffuso che nella prassi effettiva: seduzione diabolica di quel bipensiero democristiano che persino da prima del concilio domina la scena italica radicando una commistione vischiosa tra vero e falso, bene e male, giusto e ingiusto, fino a renderli indistinguibili ai più.
Ma torniamo a Trump.
Sia chiaro: può darsi che Trump si rimangi domattina le sue parole (che restano comunque a futura memoria, sì che una marcia indietro non è poi così facile) e in parte, in effetti, ha già provato a temperarne la portata. Ma non è questo il punto. Il punto è che intanto, nella sua veracità scevra da sovracostrutti cervellotici, Trump ha eruttato una perla di logica aristotelica e ha aperto un varco meraviglioso.
Ed ecco che i democratici, Hillary Clinton in testa, gridano alla vergogna. I repubblicani esposti sulla scena presidenziale, fiutando l’aria di burrasca, lo stroncano subito e attribuiscono il “passo falso” del rivale al suo essere un pro life improvvisato, un neofita, per dirla tutta “a charlatan”.
Ma l’aspetto più incredibile del quadro surrealista spolverato involontariamente da Trump riguarda i pro life di professione. Perché, dopo un’uscita del genere – plain, lineare, come la definisce il suo autore, ma al contempo incredibilmente ardita – verrebbe altrettanto linearmente da pensare che i pro life americani, noti tra l’altro per la loro supposta intransigenza, siano corsi a suonare le trombe, a portare in trionfo l’autore, a cavalcare la sua dichiarazione per far prendere quote inedite ai temi della vita mai tanto sfregiata come in questo tempo impazzito.
E invece, lungi dal raccogliere l’assist, il battagliero sito Lifesitenews – che riporta anche i commenti della presidente della March for Life Jeanne Mancini (in quota Opus Dei) e di vari personaggi del giro – dà addosso a Trump all’unisono con tutti i politici di tutte le parti, e tutti insieme calcano diligentemente la medesima linea, miope e suicida ma evidentemente segnata: cioè che Trump, non essendo un pro life autentico, non conosce il vero messaggio pro life, secondo il quale la donna che abortisce è vittima al pari del suo bambino e semmai chi deve essere punito è il medico che la guida nella sua vicenda di morte.
Emblematico il titolone di Lifesitenews – «Pro-life leaders outraged: Trump says post-abortive women deserve ‘some form of punishment’» – che parla di pro life nientemeno che “oltraggiati” dalle parole di Trump. Ed emblematico il fatto che, nella sequenza monocromatica di commenti sciorinati nel testo, siano pubblicati nature i tweet della Clinton, di Sanders, oltre che dei ciambellani della corte di Cruz. Come dire, tra Trump e loro, alla resa dei conti, meglio loro. Meglio i mostri.
Ora, non si può non constatare come, al di là dell’imprevisto cortocircuito etico generato, questa estemporanea vicenda di cronaca elettorale, oltrepassando le intenzioni di tutti, abbia portato impietosamente in superficie lo scheletro del sistema e rivelato il vero volto persino di un mondo pro life che appare a sua volta ad esso organico, cioè in qualche modo asservito all’impero.
Tutti contro Trump che ha detto la verità, scomoda forse ma incontrovertibile. Tutti obbedienti a un ordine superiore, proveniente dallo stesso padrone. Una reazione tanto compatta e addomesticata fa capire davvero chi alla fine finanzia, e finanziando comanda, e comandando concede libera espressione al dissenso solo fino a che non lo urta davvero. L’establishment, quello profondo che non cambia se governa un democratico o un repubblicano, non vuole Trump alla presidenza degli Stati Uniti.
L’ascesa alla Casa Bianca di un battitore libero, alieno e insofferente agli equilibri esistenti, pregiudicherebbe tutto: gli appalti per guerre sanguinarie in oriente, le poltrone di enti (come il Fondo Monetario Internazionale) decisivi nelle c.d. rivoluzioni colorate, la corrispondenza di simpatie con lo stato di Israele. Al punto che, sin dentro gli ambienti pro life, in molti preferirebbero vincesse la satanica abortista guerrafondaia Clinton piuttosto che la scheggia impazzita.
Per certi versi Donald Trump ricorda il Berlusconi prima maniera, come lui ariete antisistema, animale un po’ selvatico non addestrato alla scuola del compromesso obbligatorio. Anche il cavaliere, di fronte al dramma di Eluana, quando tutti volevano staccare la spina, sfoderò il suo senso più nobile e, nel tentativo estremo di salvare una vita innocente dalla barbarie “umanitaria”, disse che non si poteva uccidere chi poteva ancora procreare. E tutti gridarono allo scandalo e lo additarono al pubblico ludibrio. Eppure, anche lì, spuntava inattesa la logica limpida e ferrea dell’animo umano, da persona evidentemente ancora capace di ascoltarlo fuori dal frastuono delle truppe di automi in marcia forzata. A modo loro Trump e Berlusconi, al contatto con le ragioni della vita, del cuore e della ragione, si sono dimostrati entrambi esseri genuini, estranei a costrutti artificiosi e quindi capaci di dire cose logiche. Cose umane. Tipo che il re è nudo.
E con questo Trump, forse involontariamente ma non importa, in uno sprazzo di ispirata improvvisazione, è riuscito anche a gridare allo scandalo della doppia morale. Il democristianismo esportato negli USA, chi lo avrebbe mai detto.
Dopo le reazioni a caldo, il secondo round conferma le posizioni. A distanza di un giorno, Lifesitenews dà alla Clinton lo spazio d’onore, pubblica diffusamente le sue dichiarazioni senza prenderne le distanze, con l’esito involontario ancora più evidente di sposarne tacitamente le parti nella comune contrarietà a Trump. L’identità di fondo tra soggetti che in linea teorica dovrebbero stare agli antipodi è resa plasticamente dall’uso reiterato della stessa espressione a significare la pari distanza dal candidato estremista: outrage, oltraggio. Si sente “oltraggiata” la Clinton insieme al suo elettorato femminista e abortista, così come si sentono “oltraggiati” i pro life, costretti ignominiosamente a fare outing di moderatismo indotto.
La novità del day after è data piuttosto dal fatto che la Clinton capisce di potersi giocare la carta scappata di mano a Trump per rafforzare il suo elettorato cementando saldamente i voti di tutti quelli per cui l’aborto illegale è una bestemmia. Capisce che la sparata di Trump ha resettato il termostato, mai prima d’ora tarato su parametri così alti. Che ha aperto un fronte estremo da cavalcare a contrariis: tutti i repubblicani – alza il tiro la Clinton – sarebbero allineati nel voler negare alla donna un suo diritto fondamentale e nel mortificarne le scelte sulla propria salute. «Il 2016 – dice – deciderà se l’aborto è o meno legale».
E si spinge anche oltre. Non manca di rendere esplicito ciò che da qualche tempo (quantomeno dalla morte improvvisa del giudice conservatore Antonin Scalia) si rumoreggia in modo sommesso e quasi inconfessabile: la Roe vs Wade potrebbe essere a rischio. Forse si tratta proprio della stesso rumore di fondo che ha allentato i freni inibitori di Trump. La Clinton paventa che, essendo prossimo un ricambio massiccio alla Corte Suprema, per anzianità di alcuni membri oltre che per colmare la sede vacante di Scalia, non è così impensabile che possa persino vacillare l’orientamento consolidato in tema di aborto.
La posta in gioco, dunque, è pazzescamente elevata e investe il cuore della battaglia per la difesa della vita umana, nella quale si aprono spiragli su scenari da vertigine.
In questa congiuntura inedita e irripetibile, il fantasista Donald Trump allunga d’istinto la mano e – voilà – apre la finestra di Overton, per una volta dalla parte giusta.
E gli ardimentosi pro life d’oltreoceano che fanno? Se la danno a gambe dalla parte opposta, accoccolandosi tra le braccia del vampiro che li nutre. Mentre stermina implacabile i loro e i nostri figli.
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