Problemi morali posti dall’Amoris Laetitia
(di Tommaso Scandroglio) Leggiamo il § 305 dell’esortazione apostolicaAmoris Laetitia: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa».
Il paragrafo e la nota sono inserite nel capitolo VIII dedicato alle – così definite – «situazioni irregolari», cioè alla convivenze e soprattutto alle nuove unioni civili a seguito di divorzio dove il precedente matrimonio è canonicamente valido. Nel testo quindi da una parte si descrive una situazione oggettivamente disordinata (il divorziato che si è risposato civilmente) ma in cui la responsabilità soggettiva del divorziato risposato è assente oppure non è piena, e dall’altra come strumento pastorale per questa condizione particolare si indica l’accesso ai sacramenti della riconciliazione e dell’Eucarestia.
Il paragrafo 305 sembra alludere a una situazione in cui il divorziato risposato potrebbe vivere in grazia perché privo di responsabilità soggettiva della sua condizione. Potrebbe essere il caso in cui il divorziato risposato è pienamente convinto che vivere un secondo matrimonio è condizione conforme a morale. Mancando la piena avvertenza sulla materia grave, costui non sarebbe in stato di peccato mortale ergo il divorziato risposato potrebbe comunicarsi.
Tale interpretazione potrebbe essere validata dal § 302 dell’Amoris Laetitia: «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere «valori insiti nella norma morale» (Giovanni Paolo II, Esort. ap.Familiaris consortio – 22 novembre 1981, 33: AAS 74 (1982), 121).
Tentiamo di rispondere a questa obiezione. In primis occorrerebbe verificare caso per caso se realmente la persona versa in uno stato di errore in merito alla sua condizione. Il giudizio di liceità espresso dal divorziato risposato in merito al suo stato potrebbe essere apparente.
In secondo luogo l’ignoranza invincibile deve essere sempre provata.
In terzo luogo l’ignoranza invincibile può essere colpevole: la ripetizione di scelte malvagie compiute liberamente (vizio) può condurre la persona in questa condizione di ignoranza invincibile e dunque la buona fede è un effetto negativo degli errori colpevoli compiuti nel passato dalla persona stessa. Quindi la responsabilità sussiste e non si è in grazia di Dio.
In quarto luogo – e veniamo all’aspetto più importante che si svincola dalla casuistica e si incardina su un principio insuperabile – anche ammesso che l’ignoranza invincibile sia incolpevole (tesi più teorica che reale) è la condizione che oggettivamente – al di là dell’imputabilità morale cioè del profilo soggettivo – è inconciliabile con la comunione. Ricevere Cristo esige una condizione della vita della persona che oggettivamente sia conforme alla Santità di Cristo. Sebbene la persona non ne sia cosciente, la condizione di divorziato risposato è materia grave e tale rimane. Ricorriamo ad un esempio: un barista senza sua colpa (stato di ignoranza) dà da bere del veleno ad un avventore. Chi è a conoscenza che in quel bicchiere c’è del veleno deve impedire al barista di dare da bere perché oggettivamente – al di là della consapevolezza del barista – quell’azione è dannosa per i clienti. Deve impedirlo anche se il barista non vuole sentire ragioni ed è convintissimo che ha tutto il diritto di somministrare quel bicchiere d’acqua. E dunque occorre impedire ai conviventi e ai divorziati risposati che non vivono castamente (o che vivono castamente ma che dovrebbero interrompere la loro relazione perché su di loro non gravano particolari obblighi morali) di accostarsi alla comunione perché tali condizioni sono oggettivamente lesive di Dio, della Chiesa e degli stessi divorziati risposati.
C’è un ordo (un orientamento) voluto da Dio (es. i rapporti sessuali sono leciti solo nel rapporto di coniugio) e vi sono atti che oggettivamente – cioè per l’oggetto deliberato e al di là della consapevolezza dell’illiceità professata dall’agente – sono di per sé contrastanti con questo ordo e che pongono la persona in una condizione incompatibile con questo ordo.
Ciò impone al sacerdote non solo di proibire l’accesso all’Eucarestia, ma anche di assolvere il divorziato risposato che non intendesse cambiare la sua situazione. Per amministrare validamente l’assoluzione mancherebbero infatti due condizioni: il chiaro pentimento e la volontà di emenda. Il primo requisito mancherebbe proprio perché è impossibile pentirsi di una condizione (o di un singolo peccato) che si reputa buona.
Di conseguenza chi non si pente del proprio stato di divorziato risposato non decide nemmeno di troncare il rapporto con la seconda moglie e tentare di tornare con la legittima ed unica moglie. Oltre a questo occorrerebbe che il penitente si proponesse con risolutezza di riparare ai danni commessi al coniuge legittimo, alla eventuale prole, al convivente che ha indotto in peccato e all’intera comunità cristiana a cui ha recato scandalo.
C’è infatti da notare che la gravità della condizione del divorziato risposato non può che ridondare anche nella particolare severità e attenzione richiesta dal confessore. Tale condizione non è semplicemente la sommatoria di più peccati riguardanti il sesto comandamento e non configura solo un vizio, cioè la ripetizione di atti malvagi che vanno a costruire un habitus peccaminoso, ma rappresenta una libera scelta nel tempo di uno status contrario alla volontà divina. È cioè l’elezione ad uno stato di vita strutturalmente e formalmente incompatibile con la vita cristiana che potremmo indicare, seppur l’espressione sia fuori moda ma rimane corretta, con la qualifica di pubblico peccatore. E dunque mancando queste due condizioni – le quali dal punto di vista teologico costituiscono la materia del sacramento della Penitenza – è proibito dare l’assoluzione perché illecita e invalida.
Nel caso in cui il confessore la conferisse ugualmente perché convito della buona fede del penitente che non ha coscienza della gravità della sua condizione, commetterebbe sacrilegio. Il sacerdote invece, nel colloquio durante la confessione, dovrebbe risvegliare i moti della coscienza del penitente, svegliarlo dal suo torpore intellettivo-morale e fargli spalancare gli occhi sulla sua reale condizione spirituale. Al malato grave ignaro della sua malattia dobbiamo dire di curarsi, altrimenti morirà.
In sintesi il divorziato risposato per accedere alla comunione deve manifestare sincero pentimento e proposito fermo di non peccare più, interrompendo quindi subito l’adulterio pubblico instaurato con la seconda moglie (la convivenza è permessa solo se gravano sui conviventi particolari e gravi obblighi morali, quali ad esempio l’educazione dei figli, a patto ovviamente di vivere castamente e di non dare scandalo a terzi). Gesù, rivolgendosi proprio ad una adultera, infatti ordinò: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11). (Tommaso Scandroglio)
Castità, una virtù assente dall’Amoris Laetitia
(di Cristina Siccardi) Nell’esortazione apostolica Amoris laetitia Papa Francesco cita il termine castità una volta soltanto, come «condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale». Nulla più. Questa virtù è una difesa straordinaria e sarebbe molto opportuno che la Chiesa, senza vergogna, ritornasse a parlarne per correggere cristianamente il malcostume diffuso e il paganesimo imperante, ricordando ciò che la Chiesa ha sempre affermato in materia di matrimonio e di famiglia.
L’indissolubilità del matrimonio è legge divina ed essendo tale, anche nella forzata separazione di una coppia, non è lecito né l’adulterio né il concubinato (divorziati risposati) che conducono la persona, inesorabilmente, a trovarsi non più in uno stato di grazia, indispensabile per poter essere degni di ricevere la Comunione.
Lo stato di grazia permette alla potenza di Dio, attraverso i Sacramenti, di irrompere nelle vite tribolate, aiutando a portare piccole e grandi croci: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Mt 11, 29-30) a differenza del peccato mortale che procura macigni orrendi.
Più la Chiesa utilizza un ingannevole buonismo, una falsa misericordia e più il peccato corrode le anime e più esso indebolisce persone e società. «Supponiamo che vi sia un giardino pieno di alberi da frutto e di altre piante aromatiche, ben coltivato e adornato in ogni sua parte, provvisto anche d’un muricciolo protettivo. Supponiamo, poi, che vi sia un fiumiciattolo che vi scorre accanto: questo, quantunque povero d’acqua, sbatte contro la parete del muricciolo e la corrode; allargando a poco a poco una fessura irrompendo all’interno del giardino, l’acqua finisce col travolgere e sradicare tutte le piante, distruggendo ogni coltivazione e rendendo sterile il suolo. Ebbene, non diversamente avviene anche nel cuore dell’uomo» (San Macario il Grande, Omelie spirituali, 43, 6). Sanare, potare, sradicare le erbacce, alzare muriccioli e muri per liberare la vita degli uomini è il compito benefico dei pastori della Chiesa. La castità è attrezzo meraviglioso di pulizia del giardino di ogni persona e di ogni famiglia.
La promiscuità della società odierna, dalla scuola ai luoghi di lavoro; la mancanza di pudore nelle donne; l’inconsistente autorità paterna; il lassismo delle madri, utilizzato per sé e per i propri figli; il linguaggio sboccato; le influenze nefaste della pubblicità e della cultura pornografica e omosessuale a vasto raggio; le legislazioni degli Stati occidentali non sono certo l’humus ideale per la coltivazione di pensieri puri; ma proprio per tale ragione i fedeli sono in affannosa attesa di giusti insegnamenti evangelici da parte degli ecclesiastici, che pare abbiano interessi diversi dalla Fede e dalle loro responsabilità davanti a Dio e alle anime.
Osservare troppo in basso i mali della società, senza pupille anelanti la vita soprannaturale, è patologia moderna della Chiesa sorta dopo il Concilio Vaticano II, quella patologia che non permette di servirsi delle corrette terapie. Pio XI, di fronte alla desacralizzazione dell’istituto familiare e alle minacce secolarizzatrici, scrisse nel 1930 una memorabile enciclica, la Casti connubii al fine di contrastare la «perversa moralità. E poiché si sono cominciati a diffondere anche tra i fedeli questi perniciosissimi errori e questi depravati costumi, che tentano d’insinuarsi insensibilmente ma sempre più profondamente, abbiamo creduto essere dovere del Nostro ufficio di Vicario di Gesù Cristo in terra di supremo Pastore e Maestro, alzare la Nostra voce apostolica per allontanare le pecorelle a Noi affidate dai pascoli avvelenati e, per quanto dipende da Noi, custodirle immuni».
Efficaci e santi frutti vennero da quell’Enciclica, nonostante che i novatori, con la loro funesta teologia, disseminassero la zizzania, la stessa che si ritroverà nel Concilio Vaticano II. Come non ricordare le reazioni irose alla Humanae vitae di Paolo VI? Oltre 200 teologi firmarono sul New York Times un appello per invitare tutti i cattolici a disubbidire all’enciclica papale. Alcuni protagonisti del Concilio, contrari all’enciclica, si riunirono a porte chiuse nella città di Essen per stabilire una strategia di opposizione al documento pontificio, che venne sbeffeggiato, disatteso, rigettato con asprezza da interi episcopati, che ebbero la meglio: la dottrina dell’Humanae vitae non fu seguita e nelle università e nei seminari i testi di studio divennero quelli del redentorista Bernhard Häring, padre morale della Costituzione dogmaticaGaudium et Spes, nonché acerrimo nemico dell’Enciclica del 1968.
Da lunghissimo tempo si preparava Amoris laetitia, tonnellate di parole scritte, di conferenze, di convegni, di consigli pastorali… per poi giungere ai due recenti sinodi ed ora all’Esortazione apostolica.
Ancora una volta l’antropocentrismo è stato il protagonista indiscusso e con esso le circostanze storiche, sociali e culturali, quelle che determinano la direzione della rosa dei venti della Chiesa contemporanea, come recita la stessa Esortazione: «Sono innumerevoli le analisi che si sono fatte sul matrimonio e la famiglia, sulle loro difficoltà e sfide attuali. È sano prestare attenzione alla realtà concreta, perché “e richieste e gli appelli dello Spirito risuonano anche negli stessi avvenimenti della storia”, attraverso i quali “la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia” (II, 31)».
Quando riascolteremo nuovamente parole di seria disciplina agganciata agli insegnamenti di Cristo e non a quelli della rivoluzionaria teologia e della rivoluzionaria pastorale? Soltanto nelle regole e nella sana educazione si formano uomini e donne forti in grado di formare famiglie forti per una civiltà responsabile di se stessa e delle generazioni future, a dimostrazione di ciò esistono mirabili esempi sia nella macrostoria come nella microstoria. E la castità rientra a pieno titolo nella corretta formazione dei figli di Dio.
La castità è un prisma d’eccellenza che la Chiesa è tenuta ad insegnare affinché possa rifrangersi in esso la luce della volontà non degli uomini, ma di Dio «perché il bene della fede splenda nella debita purezza, le stesse vicendevoli manifestazioni di familiarità tra i coniugi debbono essere caratterizzate dal pregio della castità, in modo tale che i coniugi si comportino in tutte le cose secondo la norma di Dio e delle leggi di natura, e si studino di seguire sempre, con grande riverenza verso l’opera di Dio, la volontà sapientissima e santissima del Creatore» (Casti connubii I). (Cristina Siccardi)
Non dobbiamo fuggire dalla Croce
(di Maike Hickson) A San Pelagiberg, un piccolo sito di pellegrinaggio mariano vicino a San Gallo in Svizzera, e un pò oltre sul sentiero della collina verso la Chiesa, c’è una croce di campo modestamente adornata, proprio all’incrocio fra due sentieri di montagna. Sotto la croce riparata del Cristo Crocifisso una placca con queste parole penetranti: «Das tat ich für Dich. Was tust Du für Mich?» (Questo è ciò che ho fatto per te. Cosa fai tu per me?) Da quando ho visto quest’iscrizione in gotico, non ho più smesso di pensarci. Ora, nell’attuale situazione storica della Chiesa, potremmo voler considerare e riflettere su quest’iscrizione antica e profondamente toccante. Cosa vuole Dio che facciamo per Lui ora? E come vorrebbe che lo facessimo?
Scrivo quest’articolo ispirata ed incoraggiata dalle recenti parole del professor de Mattei: «Se il testo Amoris Lætitia è catastrofico, più catastrofico ancora è il fatto che sia stato firmato dal Vicario di Cristo. Ma per chi ama Cristo e la sua Chiesa, questa è una buona ragione per parlare, non per tacere». Alla data storica dell’8 aprile 2016 è come se l’intera Verità di Cristo fosse stata inchiodata sulla Croce.
Il nostro stesso Salvatore potrebbe ora, in modo mistico, venir nuovamente crocifisso nella Sua Chiesa. Proprio come Erode, che cercò di far tacere la Verità di Dio decapitando il Suo Messaggero san Giovanni Battista, adesso è il Suo proprio Vicario in terra, il Papa Francesco, che cerca di far tacere o glissare ambiguamente su quella stessa Verità, insinuando in un documento papale ufficiale che la Verità di Cristo non è più interamente applicabile nelle mutate circostanze dell’oggi e che poiché la situazione è mutata, quella dottrina può in effetti essere ignorata.
Se il Suo Vicario sulla terra permette ora – anche se all’inizio solo in pochi casi – l’accesso ai Sacramenti per i divorziati “risposati” che vivono oggettivamente in una situazione che contraddice l’insegnamento di Cristo, allora quel documento attenua e pregiudica dall’interno quell’insegnamento e quella Verità.
L’assoluto morale è stato infranto, come il professor de Mattei ha sinteticamente affermato. E con probabili gravi conseguenze per la salvezza delle anime. Come de Mattei ha ancora detto: il dato di fatto è questo: la proibizione di accostarsi alla comunione per i divorziati risposati non è più assoluta. Il Papa non autorizza, come regola generale, la comunione ai divorziati, ma neanche la proibisce. Poco prima della pubblicazione dell’Esortazione Apostolica Amoris Lætitia, il cardinale Gerhard Müller, capo della Congregazione della Dottrina della Fede, ha precisato che la Comunione per i divorziati “risposati” è possibile solo se essi vivono «come fratello e sorella».
Il cardinale Walter Brandmüller ha fatto una dichiarazione simile, due giorni prima della pubblicazione ufficiale del documento papale. Ecco le parole chiare del cardinale Brandmüller (nella mia versione e con le citazioni originali): «colui che, nonostante il legame matrimoniale esistente, contrae una nuova unione civile dopo un divorzio, commette un adulterio» – e che finché quella persona non intende porre fine a tale situazione – essa «non può ricevere l’assoluzione in Confessione né l’Eucarestia (la Santa Comunione)». Ogni altra via è «destinata a fallire» a causa della sua intrinseca mancanza di Verità. E prosegue: «Ciò vale anche per quanto riguarda il tentativo di integrare nella Chiesa coloro che vivono un “secondo matrimonio” non valido ammettendoli alle funzioni liturgiche, catechetiche ed altre. Un cammino che secondo lui condurrebbe a “conflitti” ed “imbarazzi”, compromettendo il sacro dettato della Chiesa».
Eppure, quanti di noi cattolici ci allontaniamo da questa Verità Crocifissa, fingendo persino che non esista? Quanti di noi cattolici – sia laici che del clero – avremo il coraggio di resistere a questa tentazione, così ben nota a san Pietro ed agli Apostoli (tranne che a san Giovanni, forse) e poi sopportare la sofferenza che viene di sicuro se si è leali a Cristo? È possibile solo immaginare come sia stato stare davanti alla Croce, con la folla intorno che esultava e bestemmiava, con solo i pochi fedeli discepoli rimasti, guardare Cristo venir crocifisso, sanguinare e morire? Almeno Maria era lì, con quei pochi discepoli ancora rimasti. E lei è sempre con noi, cercando la nostra difesa di Suo Figlio, ed una lealtà che perduri. Sappiamo che la Sua piena Verità nella Sua Chiesa risorgerà di nuovo. La Sua Verità ed il Suo insegnamento saranno ristabiliti, nel Suo tempo, nel Suo momento più opportuno.
Papa Francesco non avrebbe potuto fare niente di quest’opera che pregiudica e indebolisce la Sua Verità, se non fosse stata alla fine consentita da Lui. Gesù aveva detto: «Tu non avresti su di me alcun potere, se non ti fosse stato dato dall’alto». Come mi ha detto di recente un prelato d’Europa: «Dio trarrà un bene più grande da questa situazione».
Tuttavia siamo tutti chiamati alla fedeltà, in modo cooperativo. L’atteggiamento passivo non ha posto qui, e ancor meno l’indifferentismo o l’accidia. Siamo chiamati a resistere, ciascuno a modo nostro, al nostro posto, con la nostra propria vocazione. Non dobbiamo ignorare questa specifica vocazione sacrificale, altrimenti lo rimpiangeremo poi amaramente, come san Pietro. Sono tedesca.
La storia della Germania del ventesimo secolo è un racconto di crudeli perfidie e rivoluzioni, e non una sola. La mia famiglia, da parte di entrambi i genitori, ha patito per restare con Cristo e contro Hitler. Uno dei miei parenti ne ha dato testimonianza ed è morto. Quanto sono grata alla mia famiglia per aver fatto la giusta scelta. Sono rimasti leali a Cristo, a costo della possibile perdita della sicurezza, dei mezzi di sussistenza, ed anche della vita! La nostra famiglia non ha sfuggito per vergogna alla domanda: «Perché hai dovuto sottoporti ad un così vile compromesso allora? Perché invece non hai resistito?» Non fu una cosa facile.
Dobbiamo ricordarci, nel giudicare i tedeschi di quell’epoca, che rischiavano l’arresto, e peggio, se avessero alzato la voce. Ma oggi? Saremmo forse arrestati se parlassimo in modo educato ma deciso contro Papa Francesco ed il suo ambiguo insegnamento di una Misericordia più conciliante contro la Verità? Siamo di fronte ad una colpevolezza potenziale molto maggiore che presto potrà incombere su di noi, perché non abbiamo neanche da temere per la nostra sicurezza o la vita. Avevo anche dei parenti nella Germania orientale comunista. Studiando quell’epoca terribile di 40 anni di terrore comunista, ho capito che la realizzazione della rivoluzione comunista nella Germania orientale è avvenuta grazie alla molle acquiescenza ed al silenzio di tanti socialdemocratici e cristiani conservatori in buona fede.
Molti di loro credettero che ciò che era rudimentale non si sarebbe rivelato dopo tutto così cattivo. Tanti credettero alla propaganda e non resistettero in tempo alle manipolazioni e distorsioni. Aspettarono troppo a lungo, pensando di poter ancora fare qualcosa di buono nel nuovo sistema. E poi si svegliarono, ma troppo tardi il più delle volte. Quanti prelati adesso pensano nello stesso modo, e si dicono: «Posso far meglio se resto nella mia posizione d’influenza, senza che mi venga chiesto di andarmene, o andando via da me per protesta». Ma così facendo aiutano il consolidamento della rivoluzione progressiva, perché non la considerano in modo adeguato e non le resistono.
Per il fatto di non parlare forte, sottoscrivono ed sostengono implicitamente la rivoluzione. Anche loro potrebbero svegliarsi e guardare il cielo con occhi trafitti e addolorati dicendo: «Dio mio, perdonami perché ti ho dimenticato! ». Potrebbero svegliarsi rimossi, isolati, ignorati, malgrado i tentativi di restare leali al Papa. È giunto il momento di alzarsi e resistere. La Rivoluzione di Francesco è ormai andata avanti per tre anni. Una goccia dopo l’altra, questo Papa ha di fatto negato o silenziosamente emarginato degli elementi della Verità: no, non bisogna più fare proseliti; sì, anche gli atei vanno in cielo; i Protestanti possono fare la Comunione se la coscienza glielo dice; potete usare i contraccettivi a certe condizioni; e così via. Un altro chiodo è stato confitto nella Verità di Cristo sulla Croce.
Il punto critico della nostra tolleranza è stato raggiunto. O la rana salta fuori dalla pentola sempre più bollente, oppure morirà presto. La rivoluzione dell’occupazione è ufficiale, è compiuta. Ciononostante continuo a dire i miei Ave Maria ed il Rosario – specialmente per i preti veramente cattolici – affinché noi, nel Corpo Mistico di Cristo in tutti i suoi umani elementi, possiamo mostrarci degni dei tanti doni e grazie che abbiamo con misericordia e cumulativamente ricevuti. «Questo è ciò che ho fatto per te. Cosa fai tu per Me?», «Das tat ich für Dich. Was tust Du für mich?» (Maike Hickson)
http://www.corrispondenzaromana.it/non-dobbiamo-fuggire-dalla-croce/
"Per conservare la fede dovrò rinunciare a quanto dice il mio vescovo Erio Castellucci" (Cit.)
Il periodo che stiamo vivendo non ci risparmia proprio niente spronandoci a confidare solonel "Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza" per affidarci alla cristiana speranza che sorresse l'animo dei Santi e delle anime buone nei momenti di tribolazione poichè : «il Signore sempre ha custodito il suo popolo con i profeti nei momenti difficili, nei momenti nei quali il popolo era scoraggiato o era distrutto; quando il tempio non c’era; quando Gerusalemme era sotto il potere dei nemici; quando il popolo si domandava dentro di sé; ma Signore tu ci hai promesso questo e adesso cosa succede?» (Papa Francesco, 16 dicembre 2013)
Abbiamo purtroppo letto che l'Arcivescovo di Modena S.E.R.Mons. Erio Castellucci in un "confronto con i giovani" ha offerto un coktail di gravissime inesattezze dottrinali, non è la prima volta.
Vorremmo tanto sbagliarci ma abbiamo l'impressione che quelle idee irenistiche e pervase dallo "spirito del mondo" contribuiranno ad allontare quei giovani dalla Chiesa e dai Sacramenti.
Della perdita delle sue pecorelle quel Pastore di anime risponderà davanti al Tribunale di Dio!
Legggiamo qualche passo di quelle "affermazioni".
Che il Signore abbia pietà di noi e di coloro che demoliscono l'edificio ecclesiale che fonda le sue radici sul Golgota.
***
«La religione ci aiuta a capire che ognuno è inserito in una tradizione e che l’essere umano è sempre collocato in un tempo, in un contesto e in un luogo.
Non possiamo avere tutti le stesse possibilità; nasciamo in epoche diverse ed impariamo lingue e costumi differenti.
Noi tutti siamo incorporati in un tempo e in uno spazio e proprio per questo, ogni storia che un uomo ha alle spalle è sempre interessante e non bisogna pentirsene.
Queste storie assorbono le tradizioni di cui facciamo parte e le possiamo adottare o, al contrario, rifiutarle.
Noi siamo liberi di scegliere come hanno fatto i molti cristiani che si sono convertiti all’Islam. ( Perchè il vescovo cattolico non ha citato invece le tantisssime, recenti conversioni al Cristianesimo dei nostri Fratelli ex islamici che sfidando le persecuzioni e la morte hanno scelto di adorare Dio totalmente in spirito e verità ? Davvero il signor Castellucci pensa che gli islamici sono liberi anche di convertirsi al cristianesimo ? N.d.R.)
Possiamo decidere la nostra religione che, alle radici, ha sempre degli elementi in comune con le altre.
Per esempio: i musulmani condividono la nostra idea di Dio misericordioso, che loda la vita e chiede rispetto.
Pensate che in alcune aree dell’Asia, la religione Induista ritiene Cristo una divinità. Per non parlare degli Ebrei con cui condividiamo addirittura delle letture.
Sono tanti quindi gli aspetti in comune che hanno le religioni.
E ciò porta a pensare a un Dio unico, come dice Papa Francesco ( Ma davvero ? Dio sarebbe unico con le altre religioni? Questo pensa un Vescovo Cattolico - successore degli Apostoli ?Oltretutto il Papa non si è espresso in quel modo ne' potrebbe farlo N.d.R.)
Ma sta a noi cercare la religione migliore e, proprio per fare questa ricerca, dobbiamo dialogare e confrontarci con le altre e non cadere nel fondamentalismo.
Solo i deboli si chiudono dietro le proprie barriere mentali» ("Quando sono debole, è allora che sono forte » (2 Cor 12, 9-10) meglio essere deboli ma in compagnia con tutti i Santi che essere spavaldi al modo espresso dal signor Castellucci. N.d.R.)
È possibile essere cristiani se non si condividono alcuni principi della Chiesa come per esempio non andare a messa o leggere la Bibbia; insomma non crede che Dio preferisca i fatti alla forma? E perché la Chiesa ha bisogno di una struttura gerarchica?
«Sappiamo che Gesù, attraverso i discepoli, mise in moto la Chiesa, ma per quale motivo?
Perché la fede cristiana non deve essere vissuta individualmente.
Il cardine della nostra religione è l’amore, che ci lega ed unisce e che va vissuto insieme.
La Chiesa nasce così e insieme a lei nascono anche dei ruoli di coordinamento e di guida, proprio come in una famiglia.
Ma non dobbiamo intendere queste “cariche” come delle posizioni superiori ad altre.
No! Questi ruoli devono esercitare il potere del servizio immergendosi nella comunità.
Rispetto poi alla partecipazione ai riti, la Chiesa si poggia su tre grandi pilastri: ascoltare la parola di Dio, aiutarsi e l’eucarestia.
Per certi aspetti mi ricorda una famiglia che si fonda sulla comunicazione, sull’aiuto reciproco e sul pasto comune.
Ed è proprio nella messa che la comunità si riunisce, partecipa alla mensa ed ascolta la Parola.
Un cristiano deve andare a messa, ma non voglio dilungarmi dicendo che chi non lo fa compie un peccato.
La Chiesa non è perfetta ed ha molti difetti. Gesù, infatti, non ha scelto dei saggi o dei sacerdoti per costruirla, ma gente comune nelle quali riconoscersi. Gesù non voleva una Chiesa impeccabile, ma una Chiesa umana».
Dio permette la sofferenza? Dov’è davanti alle tragedie e ai disastri?
«Questa è LA domanda, già sentita e discussa da migliaia di anni, ma ancora oggi ce la poniamo e non riusciamo a trovare una risposta chiara.( La Chiesa, che interpreta la Parola con la forza dello Spirito Santo glorifica l'accettazione della sofferenza ammantata di valore redentivo "l'accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza" : la Comunità Cristiana si rafforza mediante il vincolo di comunione spirituale, grazie ai suoi figli che per amore a Cristo accettano le tribolazioni della vita quotidiana.
Il signor Castellucci demolisce con le sue parole tutto l'impianto ecclesiale che ha il suo fondamento della Croce salvifica di Cristo Signore N.d.R.)
Se ci fosse stato S. Agostino al posto del vescovo quella sera, avrebbe detto che il male non esiste perché Dio è buono ed è creatore di tutte le cose che, proprio perché sue creature, sono anch’esse buone.
Per Agostino il male è semplicemente assenza di bene, come il freddo è assenza di calore ed il buio è assenza di luce.
Ma il suo pensiero fu messo in discussione dai filosofi successivi …
Se dovessi dare una risposta, direi…
Non lo so! Anche Gesù si è fatto la stessa domanda sulla croce e la riposta, in qualche modo, è stata la resurrezione.
Allora penso che bisogna affrontare la sofferenza con il Signore che lascia sempre una luce di speranza accesa».
Altro non posto...
chi ha lo stomaco forte potrà continuare QUIFonte : Gazzetta di Modena
«La religione ci aiuta a capire che ognuno è inserito in una tradizione e che l’essere umano è sempre collocato in un tempo, in un contesto e in un luogo.
Non possiamo avere tutti le stesse possibilità; nasciamo in epoche diverse ed impariamo lingue e costumi differenti.
Noi tutti siamo incorporati in un tempo e in uno spazio e proprio per questo, ogni storia che un uomo ha alle spalle è sempre interessante e non bisogna pentirsene.
Queste storie assorbono le tradizioni di cui facciamo parte e le possiamo adottare o, al contrario, rifiutarle.
Noi siamo liberi di scegliere come hanno fatto i molti cristiani che si sono convertiti all’Islam. ( Perchè il vescovo cattolico non ha citato invece le tantisssime, recenti conversioni al Cristianesimo dei nostri Fratelli ex islamici che sfidando le persecuzioni e la morte hanno scelto di adorare Dio totalmente in spirito e verità ? Davvero il signor Castellucci pensa che gli islamici sono liberi anche di convertirsi al cristianesimo ? N.d.R.)
Possiamo decidere la nostra religione che, alle radici, ha sempre degli elementi in comune con le altre.
Per esempio: i musulmani condividono la nostra idea di Dio misericordioso, che loda la vita e chiede rispetto.
Pensate che in alcune aree dell’Asia, la religione Induista ritiene Cristo una divinità. Per non parlare degli Ebrei con cui condividiamo addirittura delle letture.
Sono tanti quindi gli aspetti in comune che hanno le religioni.
E ciò porta a pensare a un Dio unico, come dice Papa Francesco ( Ma davvero ? Dio sarebbe unico con le altre religioni? Questo pensa un Vescovo Cattolico - successore degli Apostoli ?Oltretutto il Papa non si è espresso in quel modo ne' potrebbe farlo N.d.R.)
Ma sta a noi cercare la religione migliore e, proprio per fare questa ricerca, dobbiamo dialogare e confrontarci con le altre e non cadere nel fondamentalismo.
Solo i deboli si chiudono dietro le proprie barriere mentali» ("Quando sono debole, è allora che sono forte » (2 Cor 12, 9-10) meglio essere deboli ma in compagnia con tutti i Santi che essere spavaldi al modo espresso dal signor Castellucci. N.d.R.)
È possibile essere cristiani se non si condividono alcuni principi della Chiesa come per esempio non andare a messa o leggere la Bibbia; insomma non crede che Dio preferisca i fatti alla forma? E perché la Chiesa ha bisogno di una struttura gerarchica?
«Sappiamo che Gesù, attraverso i discepoli, mise in moto la Chiesa, ma per quale motivo?
Perché la fede cristiana non deve essere vissuta individualmente.
Il cardine della nostra religione è l’amore, che ci lega ed unisce e che va vissuto insieme.
La Chiesa nasce così e insieme a lei nascono anche dei ruoli di coordinamento e di guida, proprio come in una famiglia.
Ma non dobbiamo intendere queste “cariche” come delle posizioni superiori ad altre.
No! Questi ruoli devono esercitare il potere del servizio immergendosi nella comunità.
Rispetto poi alla partecipazione ai riti, la Chiesa si poggia su tre grandi pilastri: ascoltare la parola di Dio, aiutarsi e l’eucarestia.
Per certi aspetti mi ricorda una famiglia che si fonda sulla comunicazione, sull’aiuto reciproco e sul pasto comune.
Ed è proprio nella messa che la comunità si riunisce, partecipa alla mensa ed ascolta la Parola.
Un cristiano deve andare a messa, ma non voglio dilungarmi dicendo che chi non lo fa compie un peccato.
La Chiesa non è perfetta ed ha molti difetti. Gesù, infatti, non ha scelto dei saggi o dei sacerdoti per costruirla, ma gente comune nelle quali riconoscersi. Gesù non voleva una Chiesa impeccabile, ma una Chiesa umana».
Dio permette la sofferenza? Dov’è davanti alle tragedie e ai disastri?
«Questa è LA domanda, già sentita e discussa da migliaia di anni, ma ancora oggi ce la poniamo e non riusciamo a trovare una risposta chiara.( La Chiesa, che interpreta la Parola con la forza dello Spirito Santo glorifica l'accettazione della sofferenza ammantata di valore redentivo "l'accettazione delle sofferenze, la perseveranza nella persecuzione a causa della giustizia. Prendere la propria croce, ogni giorno, e seguire Gesù è la via più sicura della penitenza" : la Comunità Cristiana si rafforza mediante il vincolo di comunione spirituale, grazie ai suoi figli che per amore a Cristo accettano le tribolazioni della vita quotidiana.
Il signor Castellucci demolisce con le sue parole tutto l'impianto ecclesiale che ha il suo fondamento della Croce salvifica di Cristo Signore N.d.R.)
Se ci fosse stato S. Agostino al posto del vescovo quella sera, avrebbe detto che il male non esiste perché Dio è buono ed è creatore di tutte le cose che, proprio perché sue creature, sono anch’esse buone.
Per Agostino il male è semplicemente assenza di bene, come il freddo è assenza di calore ed il buio è assenza di luce.
Ma il suo pensiero fu messo in discussione dai filosofi successivi …
Se dovessi dare una risposta, direi…
Non lo so! Anche Gesù si è fatto la stessa domanda sulla croce e la riposta, in qualche modo, è stata la resurrezione.
Allora penso che bisogna affrontare la sofferenza con il Signore che lascia sempre una luce di speranza accesa».
Altro non posto...
chi ha lo stomaco forte potrà continuare QUIFonte : Gazzetta di Modena
Pubblicato da Andrea Carradori
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.