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lunedì 25 aprile 2016

Il bergoglismo

Sendero Vaticano
Da Landini a Ingroia passando per Tsipras. Rimasta senza idee e senza popolo, la sinistra no global si è votata a Papa Francesco
Papa Francesco (foto LaPresse)
Non passa giorno senza che un politico della sinistra più o meno radicale, in ogni parte del mondo, dichiari di apprezzare le idee di Papa Francesco. Il bergoglismo è diventato un’ideologia e un programma politico globale: imbrigliamento del mercato, temperamento della globalizzazione, riduzione della disuguaglianza, attenzione per i poveri, accoglienza per i migranti, lotta al capitalismo finanziario e alle degenerazioni anche morali che produce. E questo programma è diventato il programma della sinistra postmarxista.


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Stessa lunghezza d’onda per Alexis Tsipras, che come Iglesias fino a poco fa aveva come modello il caudillo venezuelano Hugo Chávez: “Io e Francesco la pensiamo allo stesso modo – ha commentato il premier greco dopo un incontro con il Papa – Siamo d’accordo sulla necessità di continuare il dialogo tra la sinistra europea e la chiesa cristiana. Bisogna creare un’alleanza ecumenica contro la povertà, le ineguaglianze e contro la logica che porta i mercati e i profitti a sovrastare gli individui”. Persino Jeremy Corbyn, nuovo leader radicale del partito laburista britannico, è diventato un papafrancesco-boy: “Non sono cattolico, ma quando sento parlare questo Papa sono d’accordo con lui tantissime volte e credo che sia molto coraggioso”.


Jeremy Corbyn, leader del partito Laburista (foto LaPresse)


Dopo l’esplosione della crisi finanziaria del 2008 negli Stati Uniti e la conseguente lunga recessione economica che ha colpito l’Europa, la sinistra marxista e postmarxista, che da almeno un secolo e mezzo annuncia la fine più o meno imminente – ma certamente inevitabile – del capitalismo, si è trovata sprovvista di soluzioni. Da un lato è rimasta imbrigliata dall’austerity europea e dall’altro si è dimostrata incapace di tradurre vaghe idee in proposte compatibili con i vincoli di realtà. In questa crisi d’identità, che si è tradotta in crisi elettorale (a parte il caso greco), la sinistra ha trovato come unico riferimento il Papa “venuto dalla fine del mondo”. Non è ben chiaro quanto questa sintonia sia dovuta a un cambiamento della sinistra e quanto alla nuova linea del Vaticano, di certo c’è che, per dirla con la consueta schiettezza di Vittorio Feltri, “se la sinistra è d’accordo col Pontefice c'è qualcosa che non va o nella sinistra o nel Pontefice”. Comunque stiano le cose in questo rapporto, ciò che è chiaro è che Bergoglio ne sia il leader riconoscuto.

Sono emerse altre figure intellettuali, provenienti dalla tradizione della sinistra, che potevano dare corpo e sostanza al progressismo alle prese con la crisi del capitalismo. Una di queste è certamente Thomas Piketty, che con le ricette contenute nel suo “Capitale nel XXI secolo”, sembrava dovesse assumere il ruolo di Karl Marx del nuovo secolo. Il problema è che, trovato un nuovo Marx del “Capitale” che analizzasse in un’opera monstre i meccanismi e le leggi ferree del capitalismo, mancava un Marx del “Manifesto”, che traducesse quell’opera scientifica in azione politica e linguaggio commestibile per le masse. Questo in un certo senso l’ha fatto il Pontefice, sferrando attacchi frontali al libero mercato, al capitalismo e alla globalizzazione: “Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice.

Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria – scrive Bergoglio nell’esortazione Evangelii Gaudium – Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole”. La potenza di queste parole, delle altre condanne contro il consumismo, l’individualismo e il denaro “sterco del demonio”, insieme ai gesti simbolici di vicinanza agli ultimi, hanno rafforzato l’idea di una “Chiesa povera per i poveri” che ha conquistato le classi sociali che le forze di sinistra tentano di rappresentare.
La sinistra italiana, che per anni è corsa dietro a un modello da importare, da Blair a Zapatero, da Chávez a Hollande, da Tsipras a Iglesias, alla fine ha risolto la questione prendendo alla lettera la necessità di cercare un “Papa straniero”. “Papa Francesco solleva una critica al capitalismo estranea da decenni alla sinistra – dice Stefano Fassina – Trovo una corrispondenza molto forte con la Dottrina Sociale della Chiesa, da ultimo con l'Evangelii Gaudium di Francesco che insiste sulla dignità del lavoro”.

Il segretario della Fiom, Maurizio Ladini, dice che il Pontefice è l’unico di sinistra in Italia e con lui condivide l’idea che bisogna “entrare in rotta di collisione e in critica radicale con il liberismo e la logica secondo cui il mercato può fare tutto”. Nichi Vendola apprezza le aperture sui princìpi “non negoziabili” (anche se forse poi con la maternità surrogata si è spinto troppo in là): “Papa Francesco ha fatto un’operazione strabiliante, dicendo “chi sono io per giudicare un gay?”. Secondo il leader di Sel “di fronte al suo discorso di ritorno al Vangelo anche la politica deve chiedersi perché il pensiero laico oggi sia così afasico su povertà, pace, accoglienza, ambiente”. Per Antonio Ingroia, ex pm d’assalto e ora politico movimentista “Papa Francesco è l’unico vero politico lungimirante in un panorama di disarmante mediocrità”. Il Pontefice conquista tutti, anche i centri sociali, esortati durante un’udienza in Vaticano “a continuare la lotta, ci fa bene a tutti”. “Le sue parole sono sembrate molto più a sinistra di quelle di partiti che dovrebbero esserlo nel dna”, ha dichiarato il Leoncavallo, celebre centro sociale milanese.


Nichi Vendola, leader di Sel (foto LaPresse)


Non accade solo in Europa, il bergoglismo conquista anche le sinistre americane. Negli Stati Uniti riscuote apprezzamenti per l’enciclica Laudato si’, che critica il libero mercato anche per i danni prodotti sul piano ambientale. Sono il capitalismo e la tecnologia (potremmo dire quindi la modernità) ad aver portato il mondo sull’orlo del baratro: “L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati”. Il Santo padre nell’enciclica critica “l’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a spremerlo fino al limite e oltre il limite” e mette in guardia dall’innovazione e dalla tecnica: “Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa.

Al Gore, ex vicepresidente americano e simbolo della sinistra eco-liberal, ha apprezzato talmente tanto l’enciclica da ipotizzare una sua conversione: “Potrei diventare cattolico a causa di questo Papa”. Applausi anche dalla paladina del movimento no-global Naomi Klein, invitata in Vaticano a illustrare le sue idee sul climate change e sull’incompatibilità tra capitalismo ed ecologia: “Penso che il Papa abbia ragione sull’economia”. È diventato papista anche il socialista non credente Bernie Sanders, rivale di Hillary Clinton nella corsa democratica per la presidenza, e ospite d’onore in Vaticano per commentare il 25° compleanno della Centesimus Annus di Giovanni Paolo II, l’enciclica più pro-market della storia della Chiesa: “Sono un grandissimo sostenitore del Pontefice – ha detto Sanders – penso che sia una figura carismatica che sta aiutando l'opinione pubblica a prendere coscienza delle disuguaglianze di reddito e ricchezza che vediamo in tutto il mondo”.

Con Sanders, a commentare l’enciclica di Wojtyla che esaltava “il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione e della libera creatività umana nel settore dell’economia”, c’erano due leader politici della sinistra anti-capitalista sudamericana, il presidente della Bolivia Evo Morales e quello dell’Ecuador Rafael Correa. Stessi segnali di vicinanza li mostano altri capi di stato ultrasocialsiti come il venezuelano Nicolás Maduro e il cubano Raúl Castro.


Raul Castro, dal 2008 presidente del Consiglio di Stato della Repubblica di Cuba (foto LaPresse)


Eppure, quando era arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio non rappresentava certo l’ala più radicale del cattolicesimo del Cono Sur, anzi, per la sua dura opposizione al governo dei coniugi Kirchner sui temi etici e dei diritti civili era considerato quasi un conservatore. Alla base dell’amore dei leader sudamericani c’è una certa consonanza su alcuni temi, ma principalmente c’è il fallimento del “Socialismo del XXI secolo”, con i continui rovesci economici ed elettorali in Argentina, Venezuela, Brasile, Bolivia e Perù. Crollati i miti di Fidel, Chávez, Kirchner e Lula, l’unica alternativa per i sopravvissuti è stata quella di seguire la scia del Papa sperando di recuperare legittimità e connessione sentimentale con il pueblo. La “teologia del popolo” di Bergoglio, variante peronista della marxisteggiante “teologia della liberazione”, è comunque un surrogato efficace per dare nuova linfa alla traballante sinistra anti-capitalista logorata da anni di (mal)governo. Che l’ impostazione peronista (populista si direbbe in occidente), anti-individualista e pauperista, che preferisce la decrescita più o meno felice alla globalizzazione e allo sviluppo tecnologico, sia nelle corde della sinistra sudamericana è abbastanza naturale. Sorprende però la sintonia con quella occidentale, che nel suo dna prima della deriva carlinpetrinista (Petrini è un interlocutore di Papa Francesco e autore di una prefazione alla Laudato si’) aveva il mito del progresso, dello sviluppo economico e tecnologico come motori del cambiamento sociale e dell’emancipazione delle classi povere.

Nel suo viaggio in Paraguay il Papa ha indicato come modello economico le “Reducciónes” gesuite del 1600, elogiate come “una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione sociale della storia. In esse il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’erano fame, disoccupazione, analfabetismo né oppressione”. Le Riduzioni erano comunità fondate dai missionari gesuiti per evangelizzare gli indios, economicamente organizzate su base autarchica e collettivista, senza proprietà privata. Un sistema che produrrebbe nient’altro che miseria, come se ne vede in tutte le economie di sussistenza ancora presenti nelle zone più arretrate del mondo. Ma nella mente del Papa non ci sono solo le condizioni materiali dei poveri, piuttosto ci sono il Vangelo e la salvaguardia dell’autenticità del pueblo dal materialismo capitalista. E’ un’altra partita, che riguarda i valori spirituali del popolo, da difendere dal potere corruttivo del denaro.

Come ha scritto Loris Zanatta, storico delle Relazioni internazionali dell’America Latina all’Università di Bologna in un saggio pubblicato su il Mulino (ripreso pochi giorni fa sul Foglio), probabilmente la visione di Francesco, che vede nella povertà una virtù, non coinciderebbe con la massima del leader socialdemocratico svedese Olof Palme, secondo cui “non dobbiamo combattere la ricchezza, ma la povertà”. Piuttosto, l’attuazione economica di un bergoglismo laico rinchiuderebbe la sinistra nella massima con cui l’ha descritta Indro Montanelli: “La sinistra ama talmente i poveri che ogni volta che va al potere li aumenta di numero”.

A parte temi e sensibilità comuni, non c’è molto di razionale nello sventolare la bandiera giallobianca del Vaticano al posto di quella rossa. Di fronte alla crisi la sinistra si è trovata senza utopie, senza idee e senza popolo e ha preso il pacchetto di Francesco e della sua “Chiesa della misericordia”. Cos’è accaduto l’ha spiegato bene Fausto Bertinotti, ex segretario di Rifondazione comunista, in una recente intervista al Corriere in cui parla della suo rapporto con il Papa e Comunione e Liberazione, nato dopo “l’eutanasia del movimento operaio”: “In Cl ho trovato il popolo. Ricordo che per Gramsci l’intellettuale può pensare di rappresentare il popolo solo se con questo vi è quella che lui chiamava una connessione sentimentale. Lì l’ho trovata”.
di Luciano Capone | 25 Aprile 2016 ore 11:19

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