L’oggetto del potere di Kasper e Bergoglio: l’Eucarestia
Il più becero potere clericale
consiste nell’usare il sacramento dell’Eucarestia come come oggetto di
potere, governando la Chiesa autocraticamente, secondo le proprie
opinioni, ignorando il volere di Cristo.
Prendiamo spunto dall’articolo di Sandro Magister[1]
per fare una riflessione su questa cronaca che ha dell’inquietante. Non
vogliamo attribuire al Pontefice nulla di più di quanto Kasper afferma,
perciò non prendetevela con noi, poiché riportiamo solo i fatti.
Ovvero, l’Eucaristia non è più il
Soggetto, il Protagonista del Sacramento della Comunione, ma è
diventata un oggetto di cui disporre a piacimento, andando ad
incrementare un certo potere clericale che poi, a chiacchiere, lo si
detesta e lo si condanna.
Kasper racconta che «tempo fa un prete di
sua conoscenza – riporta testualmente Magister – aveva deciso di non
proibire a una madre risposata di fare anche lei la comunione nel giorno
della prima comunione di sua figlia. E lui stesso, Kasper, aveva
aiutato quel prete a decidere così, sicuro che avesse “pienamente
ragione”. Il cardinale riferì poi la cosa al papa, che approvò la scelta
e gli disse: “È così che un pastore deve prendere una decisione”.»
Seguendo il filo conduttore del pensiero
bergogliano, questa sua risposta a prima lettura non dice che il prete
“ha fatto bene”, ma che “è così che un pastore deve assumersi le sue
responsabilità”, e questo se è a torto o a ragione di un sacramento, a
Bergoglio non interessa. È Kasper che afferma, interpreta che il Papa
“approvò la scelta del pastore”, ma come agiscono furbescamente i
gesuiti, questa risposta di fatto non approva la scelta in sé, ma
approva che il pastore abbia fatto una scelta, che poi sia giusta o
sbagliata, non importa.
Sì, lo sappiamo, che questo modo di
ragionare si identifica con il detto della lana caprina o
dell’arrampicarsi sugli specchi, ma in tutta coscienza, riflettere e
fare discernimento, significa provarle tutte per trovare la verità.
La verità, nelle parole di Kasper perciò,
è chiarissima: il Papa ha approvato che un pastore possa dare la
Comunione a chiunque, a prescindere da tutto, come se il soggetto di
quella Comunione non fosse più l’Eucaristia, la Presenza reale di Nostro
Signore Gesù Cristo, verità per la quale chi vuole accedere a questa
Eucaristia deve stare a delle condizioni che Gesù stesso – il Soggetto e
il Protagonista – ha stabilito, ma il soggetto diventa l’uomo che nel
momento in cui rivendicasse il diritto su un Sacramento, il pastore deve
fare la scelta giusta, ossia, soddisfare non Dio, ma l’uomo che lo
pretende, qualunque sia la sua condizione.
Oggi va di moda affermare che un Papa può
legare e sciogliere ogni cosa a suo piacimento, come se le famose
chiavi fossero una sorta di passepartout o di assegno in bianco[2],
senza limiti e senza condizioni. Ma se fosse veramente così non ci
spieghiamo – e non ci spiegano – allora perché, a riguardo del
sacerdozio femminile, per esempio, il Papa sia così inamovibile e
preciso tanto da non dare mai dubbio sulla dottrina. Senza dubbio di ciò
ce ne rallegriamo, ma perché la stessa chiarezza e la stessa
determinazione non si applica anche per l’Eucaristia?
Per comprendere la gravità di questo
ribaltamento in cui l’Eucaristia era – ed è – il Soggetto e il
Protagonista, ma che è diventato l’oggetto del contendersi un potere
attraverso il quale (pastoralmente) si imporrà ora alla Chiesa
nuove profanazioni del Divino Sacramento legittimandole, è necessario
riflettere un passaggio fondamentale della Sacramentum Caritatis
di Benedetto XVI, dove si afferma che il non dare la Comunione ai
divorziati-risposati non è una prassi “inventata” dalla Chiesa, ma viene
dalla Scrittura: «… la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura
(cfr Mc 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati
risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita
oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la
Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia».
Se dunque la disciplina che
determina chi deve e può ricevere l’Eucaristia, da chi non può
riceverla, è «fondata sulla Scrittura», nessuno e neppure un Papa può
modificarla.
È necessario leggere anche san Giovanni
Paolo II, che muore nell’Anno dedicato all’Eucaristia, la cui ultima
enciclica donata alla Chiesa (contestata anche questa dal mondo
ecumenista e modernista), riguarda proprio la SS. Eucarestia, l’Ecclesia de Eucharistia, in cui, tra l’altro, afferma:
«Si aggiungono… abusi che contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica
su questo mirabile Sacramento. Emerge talvolta una comprensione assai
riduttiva del Mistero eucaristico. Spogliato del suo valore sacrificale,
viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un
incontro conviviale fraterno» (n.10).
«L’integrità
dei vincoli invisibili è un preciso dovere morale del cristiano che
vuole partecipare pienamente all’Eucaristia comunicando al corpo e al
sangue di Cristo. A questo dovere lo richiama lo stesso
Apostolo con l’ammonizione: “Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi
mangi di questo pane e beva di questo calice” (1Cor 11, 28). San
Giovanni Crisostomo, con la forza della sua eloquenza, esortava i
fedeli: “Anch’io alzo la voce, supplico, prego e scongiuro di
non accostarci a questa sacra Mensa con una coscienza macchiata e
corrotta. Un tale accostamento, infatti, non potrà mai chiamarsi
comunione, anche se tocchiamo mille volte il corpo del Signore, ma
condanna, tormento e aumento di castighi”» (n.36).
L’integrità dei vincoli di cui parla il
Papa è quel vincolo invisibile che esiste tra Cristo e la Chiesa, Sua
Sposa, una integrità inamovibile fondata sulla fedeltà del Cristo che
non lascia la Sposa. Un vincolo perciò, integro, che san Paolo infatti
pone in essere al Matrimonio Cristiano, spiegando in tal modo il valore
dell’indissolubilità del matrimonio cristiano, attenzione, non per la
fedeltà degli sposi, ma per la fedeltà di Cristo alla Sposa.
Per ricevere l’Eucaristia «preciso dovere
morale del cristiano», spiega il Papa, è questa integrità che si
allarga a tutti i doveri del cristiano, è imitare Cristo nel suo rapporto con la Sposa, la Chiesa.
«Il loro stato e la loro condizione di vita (dei divorziati-risposati) oggettivamente contraddicono – spiega Benedetto XVI – quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia».
Dunque, la Chiesa non ammette i divorziati risposati civilmente all’Eucarestia non perché non vuole, ma perché non può: non è un capriccio, né una scelta a tavolino, ma una legge fondata sulla Sacra Scrittura.
Quei battezzati che hanno rotto il sacro
vincolo del matrimonio col divorzio e in seguito hanno contratto secondo
nozze civili, contraddicono oggettivamente – per libera scelta –
l’esempio e il volere di Cristo: «Questo mistero – scrive san Paolo – è
grande: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi,
ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna
sia rispettosa verso il marito» (Ef 5, 15-33). Il matrimonio cristiano,
perciò, è indissolubile in modo particolare poiché in rapporto, «in
riferimento a Cristo e la Chiesa».
Che cosa possono fare gli sposi che hanno
visto naufragare il loro matrimonio cristiano e, dopo il divorzio,
hanno scelto una seconda unione civile e non possono adempiere
all’obbligo della separazione per il bene dei figli?
L’unica via che hanno per ricevere
l’Eucaristia – quel mistero in riferimento al rapporto fra Cristo e la
Chiesa – è di vivere come fratello e sorella: non possono fare
diversamente, poiché non essendo veri coniugi davanti a Dio, non possono
neppure usare lecitamente degli atti propri degli sposi.
A questo punto non possiamo non
chiederci: che cosa è oggi l’Eucaristia? Ci siamo forse persi qualcosa? È
stato scritto un nuovo Vangelo?
Non ci caschiamo più con la solita
tiritera: “Tranquilli, la dottrina non si tocca, questa è solo
pastorale!”, perché non è questo che dice il Catechismo, la patristica,
il Magistero pontificio bimillenario della Chiesa, come ha dimostrato
Benedetto XVI in quel passaggio sopra riportato.
Ci sono alcuni aspetti che dobbiamo considerare.
- Il “divieto” disciplinare per non ricevere l’Eucaristia, non riguardava, nell’insegnamento della Chiesa, solo i divorziati-risposati che sono la novità del secolo scorso, ma ogni battezzato, ognuno a seconda del proprio stato di peccato e perciò, per ricevere l’Eucaristia, è necessario – per volere divino – essere in stato di grazia. Sì, siamo tutti peccatori, per questo è necessario fare l’esame della coscienza per comprendere lo stato in cui navighiamo e in base a questo e con l’aiuto dei sacerdoti, della Chiesa, si accede, o si accedeva, o meno alla Comunione. La situazione attuale, purtroppo, sta dando origine ad una elite di peccatori favoriti, privilegiati, non si sa da quale vangelo, a ricevere l’Eucaristia in stato di peccato, quello del sesto comandamento.
- L’Eucaristia non è un diritto! Non è un “oggetto”, né un mero simbolo di unione di una comunità religiosa. Cristo stesso ha deciso – con norme e divieti – chi può cibarsi delle sue Divine Carni, non la sua Chiesa, la quale non può fare altro che prenderne atto e applicarle. Tutto, del resto, comincia dalle parole del Signore: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio» (Mc 10,10-12). Gesù aveva appena finito di spiegare come andava interpretata la legge di Dio sul matrimonio, che la prima spiegazione non basta, leggiamo infatti che “rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo”, ma la risposta di Gesù non cambia, non si adatta all’incomprensione di quanti non avevano capito o fingevano di non capire. Così hanno fatto S. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, poiché è ciò che deve fare il Vicario, trasmettere, custodire e insegnare il volere del suo Capo.
- L’Eucaristia non è un diritto! Lo ripetiamo così attraverso anche l’insegnamento di san Paolo in Efesini capitolo cinque. È preoccupante che nessun Vescovo ne parli: l’accesso dei divorziati-risposati all’Eucaristia è incompatibile con il mistero di cui la Chiesa è servitrice e testimone, perché è incompatibile in quel rapporto tra Gesù e la Chiesa sua Sposa. La Grazia sacramentale perciò, non parte dagli sposi, dai matrimoni riusciti, ma dalla fedeltà dello Sposo verso la Sposa (Cristo e la Chiesa), attraverso il Suo Sacrificio e l’Amore, perdona alla Sposa tutte le sue infedeltà preparandola per il gaudio eterno – leggere il Libro di Osea e il Cantico dei Cantici. In definitiva, ciò che non si dice, è che al di là di ogni buona intenzione e sentimento, la posizione dei divorziati-risposati non può accedere all’Eucaristia semplicemente perché non sono sposati in Chiesa, ma nozze laiche che, attraverso il presunto diritto della Comunione, sarebbero così legittimate. Una pretesa inaccettabile, non tanto per noi, ma per il Vangelo.
- L’Eucaristia non è “un diritto” neppure per gli sposi cristiani “regolari” e neppure per i celibi o i nubili, neppure per un vescovo o per il Papa! Adulterio nella Bibbia non significa “solo” l’infedeltà coniugale. Certo, il VI Comandamento intende il concubinato, ma adulterare significa appunto falsificare e nella Scrittura intende parlare anche di quel tradimento che l’uomo vive nei confronti di Dio attraverso ogni forma di peccato. Se infatti due persone sposate regolarmente in Chiesa avessero tuttavia praticato o favorito l’aborto, anche questi non possono ricevere l’Eucaristia se, davvero pentiti, non modificassero il loro status. Se un sacerdote, o persino un vescovo, avessero favorito in qualche modo l’aborto, o persino danneggiato gravemente una persona con l’VIII comandamento, non possono ricevere l’Eucaristia se, davvero pentiti, non modificassero il loro status. Se per accedere agli altri Sacramenti è necessario il catecumenato che impone delle condizioni, lo stesso avviene per l’Eucaristia, ci sono delle condizioni che neppure un Papa può cambiare.
- Bisogna essere chiari: «il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5,37) perché chi determina chi può ricevere o meno l’Eucaristia non è il Papa attraverso il suo libero esame, ma è il Papa attraverso la Sacra Scrittura il cui contenuto ci dice già che cosa è il peccato e cosa succede quando pecchiamo, offrendoci il rimedio. La Chiesa non è una comunità di pentecostali “dell’ultima ora” o tipica di certe aree americane, in cui è arrivato lo spirito santo (minuscolo) a riempire gli stadi di persone piene di effetti speciali… e ci fermiamo qui per carità fraterna. Lo Spirito Santo (quello vero) è la Terza Persona della Santissima Trinità e non può agire con una volontà dissociata da quella del Cristo espressa nella Scrittura sopra citata. Le Tre Persone della Santissima Trinità, non sono schizofreniche! Il “parlare”, nella Santissima Trinità, è una voce sola, una sola cosa, una sola volontà. Lo rammenta Gesù quando promise: «Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv.14,26). Il Vicario di Cristo deve perciò, illuminato dal vero Spirito Santo, “ricordare” e non alterare, adattare, inventare, capovolgere.
Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma
vogliamo fermarci qui, a questo reale mistero che sostiene il rapporto
dei coniugi cristiani e per sottolineare che l’Eucaristia è dono e non
un diritto, per nessuno.
Per concludere non vogliamo usare parole
nostre, ma parole vive di quell’autentico Spirito Santo che non inventa
affatto nuove dottrine o nuove pastorali atte a modificare la dottrina.
«“Questo mistero è grande”, dice Paolo,
“io intendo rispetto a Cristo e alla Chiesa”. (Ef 5,32). Si compie un
grande mistero. In che modo è un mistero? Convengono insieme e di due
fanno uno solo. Vengono per diventare un solo corpo. Se i due non
divenissero uno, non riprodurrebbero molti finché rimanessero due; ma
quando giungono all’unità, allora ne riproducono… Hai visto il mistero del matrimonio?
Da uno ne fece uno e di nuovo, resi questi due uno, in questo modo ne
fa uno: cosicché anche ora l’uomo nasce da uno. Infatti la donna e
l’uomo non sono due esseri, ma uno solo. Se non è ancora molto chiaro,
riguarda allo Sposo in rapporto alla Sposa, la Chiesa, da Lui avrai
l’esempio di ciò che tu, sposo, dovrai essere con la tua sposa» (San
Giovanni Crisostomo).
Facciamo nostre anche queste splendide riflessioni di Don Stefano Carusi[3]:
«Dall’approvazione del concubinaggio – ed
anche peggio – come via che comporterebbe in sé aspetti positivi in
merito all’eterna salvezza quindi alla grazia stessa (!), all’idea di
una Chiesa senza confini visibili, senza regole irreformabili,
indipendente dalle immutabili verità di Cristo e in fondo non più
divina, il passo è breve. Anzi brevissimo. Senza contare che se il
modello – e quindi il segno ecclesiale, come visto – può anche diventare
quello del pubblico adulterio, vuol dire che ci si sta avviando verso
la ricercata immagine di una chiesa non solo lontanissima dalla santità
di Dio, non solo in continua instabile “evoluzione sponsale” a seconda
dei tempi nuovi, ma anche interprete e quasi propagatrice del “culto
dell’uomo” e persino dei peggiori vizi dell’umanità. Una Chiesa che, se
si vuol restare conseguenti, permanendo nell’immagine biblica, potrebbe
passare (ci scusi il lettore, ma l’errore va denunciato nella sua
crudezza) da uno sposo all’altro, abbandonando il suo vero ed unico
marito: Nostro Signore Gesù Cristo (la cui divinità i modernisti hanno
sempre – di fatto, anche se non sempre in teoria – misconosciuto).
E quando si afferma ripetutamente che
bisogna andare “oltre le parole di Gesù Cristo” – forse troppo chiare
per certe orecchie – si sta spesso celando che il vero disegno soggiacente è quello di andare semplicemente “oltre Gesù Cristo” (che quasi diventa solo uomo) ed oltre la Sua Chiesa (che “coerentemente” diventa società solo umana).
Aggiungiamo che un tale “divorzio da Cristo” comporta anche il divorzio da quell’altra difficile verità: il sacrificio.
Come le mistiche nozze fra Cristo e la Chiesa si consumarono sul
Golgota, e da quell’acqua e quel sangue nacque quella società santa per
la fede e i sacramenti ch’è la Chiesa, ebbene così anche il matrimonio
cristiano si nutre certo della gioia della prole e del mutuo scambio
d’amore, ma anche del pane del sacrificio. Sacrificio.
Questa parola cui l’udito contemporaneo – compreso quello di certi
“teologi” – è ormai allergico. Sacrificio soprannaturalmente fecondo
“nella gioia e nel dolore”, “nella salute e nella malattia” (nella buona
e cattiva sorte) e che è scaturigine di grazia anche nella società
matrimoniale, ad immagine della vita di Cristo che si offre per la Sua Santa Chiesa. Ma per capire questo discorso bisogna accettare che esiste un ordine soprannaturale».
[1] L’opzione tedesca del papa argentino (28 aprile 2016).
[3] “Progetto Kasper” e attacco alla divina costituzione della Chiesa (Disputationes Theologicae, 17 ottobre 2015).https://bergoglionate.wordpress.com/2016/04/29/loggetto-del-potere-di-kasper-e-bergoglio-leucarestia/
Oramai siamo allo sfascio quasi completo. C'è solo da levare alti gemiti al Cielo e pregare il Padrone della messe che mandi santi pastori, e che cacci via i pastori iniqui. jane
RispondiEliminaForse e' arrivato il momento di cacciare i mercanti dal Tempio.
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