“Amoris laetitia” ed erotismo. Fatelo strano…
Papa Bergoglio strizza l’occhio al kamasutra.
Ci permettiamo di consigliare a papa Francesco la (ri)lettura dell’enciclica Deus caritas est sull’amore cristiano, scritta dal suo immediato e vivente predecessore, Benedetto XVI, in cui viene spiegato il vero significato di “eros” e di “agape”.
“Eros” si traduce con amore, ma è un amore di possesso, squisitamente passionale, che deve essere educato, per essere trasfigurato in “agape” (carità), diventando donazione, sacrificio per il bene dell’amato: questa è la vocazione dell’unione coniugale, sorretta e sostenuta dalla grazia del sacramento del matrimonio.
L’erotismo è una deformazione dell’eros, perché rimanda e potenzia il paganesimo del dio greco Eros (Cupido per i latini).
Nessuno può “correggere” il Vangelo
Moltissime personalità, più esperte di noi, hanno già commentato l’Amoris Laetitia di papa Francesco. Ne citiamo alcuni: don Ariel Levi di Gualdo dell’Isola di Patmos (qui); del il prof. Roberto de Mattei (qui); l’amico Colafemmina di Fides et Forma (qui); anche La scure di Elia è da meditare (qui); la Nuova Bussola Quotidiana ha riportato diversi interventi (qui, qui,qui) e il geniale editoriale del direttore Cascioli; Francesco Agnoli, schiettamente, scrive: “Non ho letto Amoris Laetitia, troppe pagine e troppe note. Da cattolico, mi basta il Vangelo, e il Magistero millenario della Chiesa. Troppe parole offuscano la verità”. Neppure Antonio Socci, col suo parlare da toscanaccio, ha mancato di dire la sua.
Una lista formidabile, destinata ad aumentare, tanto da farci pensare di non aggiungere altro. In fondo la cosa migliore sarebbe proprio quella suggerita da Elia:
Se è vero che non si può fare a meno di leggere pur qualcosa della e sull’ultima pubblicazione pontificia, evitiamo di cadere in trappola lasciandocene catturare e intossicare, dimenticando poi di fare le uniche cose effettivamente utili e necessarie nell’attuale frangente storico … rischiando di estenuarsi in sfoghi polemici che, alla fin fine, non cambiano nulla, se non le nostre condizioni emotive. Preghiamo, offriamo, facciamo penitenza (ma sul serio, non a chiacchiere) e, se abbiamo tempo e voglia di leggere, curiamo la retta fede.
Curiamo, allora, la retta fede perché di confusione ne abbiamo tanta e un testo del genere ad aumentare questa confusione, a firma di un Pontefice, proprio non ci voleva.
La maggior parte dei Media si è interessato alla questione della “comunione ai divorziati-risposati, e solo in pochi hanno fatto leva sull’argomento più scottante e delicato del documento quello, diremo, della teologia morale, dell’etica, del rapporto sessuale fra coniugi ridotto (ahinoi!) ad una lode al dio Eros.
Nel leggere le nostre umili osservazioni, data la delicatezza dell’argomento, vi sollecitiamo a tenere a mente la brillante e cattolica risposta del domenicano Padre Angelo al quesito da lui trattato nel 2007: “Problemi inerenti all’esercizio della sessualità all’interno del matrimonio” dove esordisce con una chiarezza tale che, questa, sarà la base per comprendere bene anche le nostre riflessioni: “La Chiesa tiene presente il significato intrinseco dell’atto coniugale che per la sua stessa struttura e finalità è ordinato alla procreazione…“.
Questa espressione è la sintesi di tutta la dottrina morale e sessuale che la Chiesa ha insegnato per duemila anni e che Bergoglio ha appena stracciato in due parole, queste: “D’altra parte, spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione…” (AL n.36). Non “spesso” santità, ma da sempre, da duemila anni la Chiesa ha sempre insegnato che il significato dell’atto coniugale (il sesso unitivo fra coniugi che è il vero eros e non l’erotismo), la sua struttura e finalità è ordinato alla procreazione, compito della Chiesa infatti non è allestire cattedre sull’erotismo, ma insegnare ai giovani a cosa serve il sesso.
Come ribaltare il magistero di Giovanni Paolo II
Bergoglio fa dire a Giovanni Paolo II cose che non ha detto e lo cita attribuendogli una certa apertura verso l’erotismo, ma quel Pontefice disse ben altra cosa: “Il paragone della “conoscenza” biblica con l’“eros” platonico rivela la divergenza di queste due concezioni. La concezione platonica si basa sulla nostalgia del Bello trascendente e sulla fuga dalla materia; (…) In quanto il concetto platonico di “eros” oltrepassa la portata biblica della “conoscenza” umana, il concetto contemporaneo sembra troppo ristretto. La “conoscenza” biblica non si limita a soddisfare l’istinto o il godimento edonistico, ma è un atto pienamente umano, diretto consapevolmente verso la procreazione, ed è anche l’espressione dell’amore interpersonale [cf. Gen 29,20; 1 Sam 1,8; 2 Sam 12,24]. Sembra, invece, che nella rivelazione originaria non sia presente l’idea del possesso della donna da parte dell’uomo, o viceversa, come di un oggetto. D’altronde, è però noto che, in base alla peccaminosità contratta dopo il peccato originale, uomo e donna debbono ricostruire, con fatica, il significato del reciproco dono disinteressato…” (Giovanni Paolo II – Udienza 26.3.1980 – vedi qui)
Nel documento papale di Bergoglio sono completamente assenti il peccato originale, il sesto comandamento, la concupiscenza, la purezza biblica. Voi ci direte: “ma non sarete forse ad essere voi un tantino maliziosi?” No, o meglio, certo che non siamo limpidi, ma nel contesto della discussione siamo trasparenti e, parlare chiaramente di questi temi, non è essere maliziosi, le parole di Giovanni Paolo II sopra riportate, con la risposta anche di padre Angelo, lo dimostrano: curiamo semplicemente la retta fede con la vera dottrina cattolica a riguardo di una chiarissima teologia morale (soprattutto fra coniugi) che Bergoglio, purtroppo, sta modificando a danno della comprensione.
L’erotismo (dalla lingua greca ἔρως-eros, la divinità maschile Eros dell’amore) è l’insieme delle varie manifestazioni del desiderio erotico che attrae verso qualcuno o qualcosa e il tipo di relazione che si instaura tra soggetti che ne sono coinvolti. Sacralizzata, la sessualità è tanto spaventosa quanto seducente; secondo Bataille (vedi L’erotismo, Bataille, 1957) non è affatto immorale, bensì sospende la morale individuale in nome della vita e della specie. L’erotismo manifesta sia la prossimità e la vicinanza alla frenesia, all’eccitazione e al desiderio di possesso fisico, sia la capacità di trattenersi, di rinunciare al possesso reale in favore dell’immaginazione… In sostanza, eros, non è sinonimo di erotismo, mentre l’erotismo ha come radice il dio Eros con tutto ciò che comporta e al documento papale contestiamo l’uso sbagliato del termine.
Infatti, non vogliamo demolire o demonizzare l’eros in quanto amore naturale che accende la passione dei sensi, e che è certamente utile per l’attrazione iniziale nel rapporto fra un uomo e una donna che intendessero appunto sposarsi e unirsi, ma far capire che le espressioni usate dal Papa nel testo (come “erotismo” appunto) non spingono verso questo eros naturale, ma verso l’erotismo pagano del dio Eros.
Dice papa Bergoglio: “Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL, n.35).
Domanda: Santità, con questo ragionamento allora perché Gesù denunciò i farisei a riguardo del matrimonio e del ripudio delle mogli? Gesù era un retorico? e sempre Gesù ha dunque IMPOSTO una norma in forza della sua autorità? Chi ha imposto che il matrimonio sia un Sacramento indissolubile? E per quale ragione?
Leggiamo questo passo dell’enciclica Deus Caritas est di Benedetto XVI:
“All’amore tra uomo e donna, che non nasce dal pensare e dal volere ma in certo qual modo s’impone all’essere umano, l’antica Grecia ha dato il nome di eros. Diciamo già in anticipo che l’Antico Testamento greco usa solo due volte la parola eros, mentre il Nuovo Testamento non la usa mai: delle tre parole greche relative all’amore — eros, philia (amore di amicizia) e agape — gli scritti neotestamentari privilegiano l’ultima, che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini. Quanto all’amore di amicizia (philia), esso viene ripreso e approfondito nel Vangelo di Giovanni per esprimere il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli. La messa in disparte della parola eros, insieme alla nuova visione dell’amore che si esprime attraverso la parola agape, denota indubbiamente nella novità del cristianesimo qualcosa di essenziale, proprio a riguardo della comprensione dell’amore. Nella critica al cristianesimo che si è sviluppata con crescente radicalità a partire dall’illuminismo, questa novità è stata valutata in modo assolutamente negativo. Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da bere del veleno all’eros, che, pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino? Ma è veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l’eros? Guardiamo al mondo pre-cristiano. I greci — senz’altro in analogia con altre culture — hanno visto nell’eros innanzitutto l’ebbrezza, la sopraffazione della ragione da parte di una «pazzia divina» che strappa l’uomo alla limitatezza della sua esistenza e, in questo essere sconvolto da una potenza divina, gli fa sperimentare la più alta beatitudine. Tutte le altre potenze tra il cielo e la terra appaiono, così, d’importanza secondaria: « Omnia vincit amor », afferma Virgilio nelle Bucoliche — l’amore vince tutto — e aggiunge: «et nos cedamus amori» — cediamo anche noi all’amore. Nelle religioni questo atteggiamento si è tradotto nei culti della fertilità, ai quali appartiene la prostituzione «sacra» che fioriva in molti templi. L’eros venne quindi celebrato come forza divina, come comunione col Divino. A questa forma di religione, che contrasta come potentissima tentazione con la fede nell’unico Dio, l’Antico Testamento si è opposto con massima fermezza, combattendola come perversione della religiosità. Con ciò però non ha per nulla rifiutato l’eros come tale, ma ha dichiarato guerra al suo stravolgimento distruttore, poiché la falsa divinizzazione dell’eros, che qui avviene, lo priva della sua dignità, lo disumanizza” (nn.3-4).
Leggendo questo passaggio molti diranno: “Allora, che ha detto Francesco? non ha detto le stesse cose?”. Forse sì, ma tagliando, per esempio, il pezzo finale della Deus Caritas est in viene detto ben altro da ciò che viene sostenuta dal papa regnante, modificandone il senso e l’interpretazione.
Ecco come Benedetto XVI conclude quel pensiero:
“Innanzitutto che tra l’amore e il Divino esiste una qualche relazione: l’amore promette infinità, eternità — una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere. Ma al contempo è apparso che la via per tale traguardo non sta semplicemente nel lasciarsi sopraffare dall’istinto. Sono necessarie purificazioni e maturazioni, che passano anche attraverso la strada della rinuncia. Questo non è rifiuto dell’eros, non è il suo «avvelenamento», ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza” (n.5).
La strada della purificazione, maturazione e rinuncia alla quale, Francesco… rinuncia! Spingendo i coniugi a curare l’aspetto erotico del proprio rapporto coniugale anziché sforzarsi di comprendere il valore di certi sacrifici richiesti dalla Sacra Scrittura o, per dirla con Giovanni Paolo II, che i divorziati risposati, se non riusciranno a rendere nullo il matrimonio sacramentale, dovranno vivere da “fratello e sorella”, il vero eros che diventa vera agape, un bene più grande, un valore più eccelso.
Parliamoci chiaro: l’eros ha bisogno della “guarigione” perché anch’esso è stato semmai avvelenato dal peccato originale, di conseguenza la sua guarigione avviene proprio per un atto ragionevole – e ben educato – degli sposi cristiani i quali, proprio grazie al Sacramento del Matrimonio che infonde la grazia, non si lasciano sopraffare dall’istinto e fanno uso della sessualità per diventare collaboratori di Dio, nel dare origine ad una vita nuova. E laddove ci sono “situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone” (AL n.6), l’unica soluzione è la continenza, non c’è altra via.
Scrive ancora Papa Francesco nel documento: “Nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, san Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata «è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione», ma possiede «la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto nel quale l’uomo-persona diventa dono». L’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi” (AL, n.151)
Il fine del vero amore non è il piacere
Ma in Giovanni Paolo II questo “amore-eros” non è l’erotismo “più sano” inteso da Bergoglio! Wojtyla non sta parlando della “ricerca del piacere” fine a se stesso, sta dicendo che l’eros che da origine agli impulsi sessuali non è finalizzato solo alla procreazione, ma INSIEME alla procreazione esprime e da fecondità all’amore che donandosi (l’uno all’altro) esplode nel piacere, l’orgasmo che da vita sia alla coppia quanto alla generazione di una nuova vita umana. Per Wojtyla, l’eros nella coppia va bene, a patto che il concetto del piacere sessuale abbia come raggiungimento per entrambi il fine della propria natura: felicità della coppia (l’orgasmo naturalmente inteso ma non divinizzato – eros) e la procreazione di una nuova vita.
Infatti, riporta padre Angelo dall’insegnamento della Chiesa: Per questo Giovanni Paolo II ha detto che “l’usufruire dei periodi infecondi nella convivenza coniugale può diventare sorgente di abusi” (5.9.1984) e che “la persona non può mai essere considerata un mezzo per raggiungere uno scopo; mai, soprattutto, un mezzo di “godimento”. Essa è e dev’essere solo il fine di ogni atto. Solo allora corrisponde alla vera dignità della persona” (Gratissimam sane, 12).
“Baci e carezze – spiega a ragione padre Angelo Bellon di Amici Domenicani – di per sé non toccano l’ambito della sessualità, ma la possono coinvolgere. Qualora la coinvolgessero e avessero come obiettivo la polluzione o la masturbazione, allora si tratterebbe di atti che assumono la malizia dell’obiettivo perseguito. Se invece accompagnano l’atto compiuto secondo i disegni di Dio (il fine della procreazione), ne assumono la bontà e la meritorietà”.
Per questo la Chiesa è sempre stata contraria ai rapporti “prematrimoniali” ed è sempre stata sollecita a sostenere i giovani nel matrimonio. La Chiesa che è sempre stata Madre e non matrigna come oggi la si vuole dipingere, ha usato la teologia morale per aiutare i coniugi a superare gli ostacoli della vita matrimoniale legati alla sessualità. Essa non vietava per il gusto di vietare, ma per risparmiare ai coniugi la deriva del proprio rapporto incentrato sugli effetti del sesso-eros, spingendoli già da qui, sulla terra, ai superamenti di cui parlava Benedetto XVI sopra.
Bergoglio invece sembra confondere l’approccio sessuale con l’erotismo che si attua – per esempio – nel Kamasutra… Ha letto davvero il “suo” testo o si è fidato ciecamente del suo staff argentino, dichiaratamente progressista, modernista e della teologia del popolo? Non esiste “l’erotismo più sano” o l’erotismo più insano. Sarebbe come dire che esiste la magia bianca e la magia nera, ma non è così, la magia è una sola ed è diabolica. Sarebbe come dire che esiste il peccato più buono e il peccato meno buono, ma non è così, il peccato si divide in veniale o mortale, ma anche il più veniale può diventare mortale se non confessato o peggiorato, insomma, non esiste un peccato più “buono”. Del resto Isaia ce lo aveva predetto: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro. Guai a coloro che si credono sapienti e si reputano intelligenti…” (Is.5,20-ss).
Ciò che sorprende nel testo è che non si parla mai del Matrimonio per ciò che è: il Calvario dei coniugi, la loro porta stretta che Bergoglio ha trasformato ora in un’isola felice, tipo Gardaland o un’altro grande parco giochi dove l’erotismo primeggia quale elemento essenziale della coppia cristiana moderna per sopravvivere in un mondo triste e, diciamolo pure, perseguitato dalle leggi imposte dalla Chiesa cattiva del passato! Ecco infatti spiegato un’altro passo citato da Bergoglio nel testo, ma in modo distorto, ecco cosa dice veramente Benedetto XVI:
“L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità…. (..) Solo quando ambedue si fondono veramente in unità, l’uomo diventa pienamente se stesso. Solo in questo modo l’amore — l’eros — può maturare fino alla sua vera grandezza. Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo, è ingannevole. L’eros degradato a puro «sesso» diventa merce, una semplice «cosa» che si può comprare e vendere, anzi, l’uomo stesso diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell’uomo al suo corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte, peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel campo puramente biologico. L’apparente esaltazione del corpo può ben presto convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha considerato l’uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà. Sì, l’eros vuole sollevarci « in estasi » verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni…” (Dce. n.5).
Notare infatti che nel testo Deus Caritas est non si parla mai di “erotismo” ma di “eros” inteso come amore, così come nella teologia del corpo di Giovanni Paolo II – ed in tutto il magistero della Chiesa su questo tema, vedi qui -, egli non parla mai di “erotismo”, ma di eros in quanto amore, impulso del tutto naturale per muovere, accendere quella sessualità sana che sia nel mondo animale, quanto umano, ha un fine specifico: la procreazione, la vita nuova, le nuove generazioni, la cooperazione creatrice con Dio senza il cui alito divino, nessun essere sopravviverebbe sulla terra e nell’universo intero.
Insomma, parlare di eros è qualcosa di veramente vertiginoso, trascendente, basti citare i grandi mistici come Teresa d’Avila, ma anche il Cantico dei Cantici quando però non vengono usati, abusati e strumentalizzati per creare perversioni atte a giustificare gravi forme di peccato. Viene così da chiedersi, seriamente, come fa Bergoglio a nutrire questa cieca fiducia nei teologi progressisti e rahneriani di cui si è circondato? Il sospetto che Bergoglio sia impastato della dottrina del gesuita Karl Rahner è sempre più tristemente fondata, ed oggi troviamo questa dottrina placidamente distesa in tutta l’esortazione. L’eros va purificato, educato e non lasciato allo stato brado degli istinti attraverso i quali allora diventa erotismo.
Il velenoso pensiero del gesuita Karl Rahner
Vogliamo concludere con la riflessione di un padre carmelitano per nulla “tradizionalista” oggi inteso, che ci aiuta a comprendere il danno di questa esortazione se Vescovi e Cardinali non interverranno a correggerla nella sua applicazione.
“Secondo Karl Rahner tutti i tipi di amore, persino il più spirituale, contengono elementi di eros, che è presente in ogni genere di affetto, anche in quello per gli amici.Naturalmente è sbagliato associare l’eros all’erotismo. Decade così la prospettiva tomistica per cui l’amore umano è un mezzo per il raggiungimento della felicità, mentre sussiste quella di Duns Scoto, che radicalizza l’elemento estatico dell’amore. Per Olivier Clément «Dio è lo storico mendicante che con infinita pazienza bussa alla porta di ognuno di noi, elemosinando amore». Egli cita a conferma il commento di Origene al verso 6 del salmo 70: «Sono povero e bisognoso: Dio, affrettati verso di me», aggiungendo che «è Cristo stesso a sussurrarlo mentre va mendicando amore dall’uomo, per poterlo a sua volta arricchire».
Santa Caterina da Siena amava sottolineare la dolcissima tenerezza di Dio per la creazione: «Tu, Trinità eterna, sei fattrice; ed io, tua fattura, ho conosciuto nella nuova creazione che mi facesti col sangue del tuo Figlio, che tu sei innamorato della bellezza della tua fattura» (Dialogo della Divina Provvidenza).
Egli infatti ci ricrea tramite il sacrificio del Figlio e non esiste agape più grande e amore più altruista del suo. Creati a sua immagine tramite il Figlio, veniamo ricreati dal sacrificio della croce, così che Dio, amando noi, ama se stesso in noi. Dal momento in cui ci separammo da Lui per il peccato originale, Egli ha cominciato a ricercare in noi suo Figlio, una ricerca che è culminata nella morte del Figlio, il quale però dalla croce “attira tutti a sé”, e questa è un’altra dimostrazione che anche nell’amore di Dio agape ed eros sono indissolubilmente congiunti.
Il grande dono che il cristianesimo ha fatto al mondo è proprio l’aver accentuato la caratteristica oblativa dell’amore. Per il Vangelo di Giovanni l’amore oblativo impregna tutta la storia della salvezza. Prima ancora della creazione del mondo c’è l’amore del Padre e del Figlio (Gv 17,24) e dopo la caduta di Adamo entra in essere quell’amore che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3, 16) che a sua volta sfocia in quello del Figlio che sacrifica la vita per i suoi amici: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13, 1).
Che Dio si sia fatto uomo e sia morto per l’uomo, prova inconfutabilmente che amare è dimenticare se stessi e dare il primo posto agli altri. Oggi che tutti più o meno abbiamo la tendenza di metterci al centro dell’attenzione e amare è spesso godere a spese degli altri, c’è un grande bisogno del messaggio evangelico.
Pur essendo indirizzato all’agape, l’amore cristiano non si è liberato dall’eros, infatti l’agape senza eros sarebbe un malato cronico, anemico, rigido, e non avrebbe vigore né tenerezza.
Sulla Croce si ama davvero
Nel suo commento al Cantico dei Cantici, Origene lascia intendere che nella Scrittura c’è la presenza di eros, e nei sermoni sullo stesso cantico Gregorio di Nissa arriva fino ad affermare che l’eros esprime meglio dell’agape l’incredibile energia dell’amore. Persino Dionigi Aeropagita avrebbe scritto: «Per alcuni tra i nostri autori di cose sacre (hierologoi) il termine eros risuona più divino che non agape», rifacendosi senza dubbio alla celebre definizione di Ignazio di Antiochia: «il mio amore è crocifisso», che in greco suona: ho emos eros estauròtai (De divinis nominibus, I). Ignazio, Origene e Dionigi usano quindi eros per definire l’amore del Crocifisso, e sulla stessa linea si metterà in un certo senso, nel medioevo, santa Brigida che sceglie come motto per l’ordine da lei fondato: amor meus crucifixus est (il mio amore è crocifisso).
Per Ignazio l’eros oltre che riferirsi a Gesù alludeva probabilmente all’attrazione imperfetta che inizialmente egli provava per Gesù e che gli fece dire: «La mia passione umana è stata crocifissa e non è in me un fuoco materiale (eros)», concetto che ricorre in san Paolo:«Quelli che sono di Gesù Cristo hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri» (Gal 5, 24).
Che l’eros sia crocifisso non vuol dire che sia morto, ma, come auspica papa Ratzinger, che sia purificato, riformato e abbia individuato il vero oggetto d’amore che era in lui sin dall’inizio: la brama di Dio. (Padre Wilfrid Stinissen, carmelitano scalzo, presbitero e teologo morto nel 2013, in Più grande di tutto è l’amore, Città Nuova 2010).PUBLISHED ON
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