L’ “Amoris Laetitia” e la dimenticanza della Fede
Sull’Esortazione post-sinodale “Amoris Laetitia” molto è stato scritto. Sono state fatte analisi accurate per cui non mi sembra opportuno scrivere qualcosa di analitico. Ciò che ritenevo importante dire sul Documento l’ho affermato nel comunicato de Il Cammino dei Tre Sentieri e in un intervento per la Confederazione Civiltà Cristiana.
Detto ciò, mi sembra però che siano mancate nei commenti finora scritti alcune considerazioni relative a questioni indirettamente legate al punto che ha attirato l’attenzione, ovvero quello riguardante i cosiddetti “divorziati-risposati” e la loro eventuale possibilità di accostarsi all’Eucaristia.
Ma a quali questioni alludo? A quelle che riguardano la sostanza della Fede. Lo so che ciò che sto dicendo è molto grave, “grave” nel senso che è legato a questioni fondamentali (cosa c’è di più fondamentale della Fede?), ma sento che anche su questo versante non si possa tacere. Chiedo però la carità di venir adeguatamente ripreso se le brevi osservazioni che mi accingo a fare siano del tutto fuori luogo.
Vengo al dunque. Le questioni che riguardano la sostanza della Fede legate a come l’Esortazione affronta lo stato dei “divorziati-risposati” sono tre:
- La Fede da esercitare nella prova
- La Fede da esercitare nella fedeltà
- La Fede da esercitare nell’educazione
La Fede da esercitare nella prova
Nell’Esortazione, precisamente alla nota n.329, si fa riferimento alla questione della continenza che secondo la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II è assolutamente necessaria per quei “divorziati-risposati” che dovessero continuare a vivere insieme ma nello stesso tempo volessero conformarsi pienamente alla Legge di Dio.
Ebbene, tutti sanno che nell’Esortazione è detto che in questi casi una continenza completa potrebbe pregiudicare il mantenimento della fedeltà. Ora, un’affermazione di questo tipo fa specie per due motivi.
Primo: perché ci si preoccupa che si conservi la fedeltà all’interno di un rapporto illegittimo e concubinario trascurando del tutto il rispetto alla vera fedeltà che è invece quella all’interno del legittimo matrimonio. Come la mettiamo con tutti quei casi (e non sono pochi) in cui coniugi abbandonati rimangono fedeli al legittimo matrimonio continuando a pregare per l’altra metà di se stessi che si è perso?
Secondo: perché si trascura completamente un dato consolidato e pregiudiziale della Teologia Spirituale che è quello dellafedeltà a Dio e della fedeltà di Dio. Paradossalmente, nella nota 329 per pensare alla fedeltà posticcia in un rapporto illegittimo non si pensa alla fedeltà che si deve a Dio e alla fedeltà di Dio che mai viene meno nei nostri confronti. Mi spiego. Può Dio chiedere cose impossibili? Assolutamente no. Dio non può mai permettere delle prove al di sopra delle possibilità degli uomini. Dio, quando permette delle prove dure, offre anche la grazia necessaria e sufficiente per viverle cristianamente. Sant’Alfonso soleva dire: “Chi prega si salva, chi non prega non si salva!” …a significare che Dio mai viene meno alle sue promesse e se si chiede il suo aiuto qualsiasi difficoltà della vita può essere cristianamente affrontata.
Inoltre, affermare che la continenza completa potrebbe pregiudicare la fedeltà significa alla fine permettere tutto. Infatti, come la mettiamo quando in un matrimonio uno dei due coniugi dovesse ammalarsi a tal punto da essere impedito ai rapporti coniugali? Si potrebbe in questo caso derogare e “sostituire” il coniuge con qualcun altro? Darebbe nausea solo il pensarlo!
La Fede da esercitare nella fedeltà
L’Esortazione, trattando dei “divorziati-risposati”, è preoccupata di scorgere bagliori di bene soggettivi anche in mali oggettivi. Per la serie: non esiste il peccato come atto intrinsecamente cattivo, bensì ogni peccato è di fatto una sorta di bene dimezzato. Qui però c’è un equivoco di fondo ed è questo: un conto sono le disposizioni singole che possono essere giudicate solo da Dio in foro interno, altro è scorgere comportamenti individuali oggettivamente buoni in situazioni di oggettività del male. Faccio un esempio. Due terroristi stanno per recarsi in un luogo affollato per farsi esplodere. Ad un tratto uno dei due distrattamente sta per essere investito da un auto, ma l’incidente è evitato perché l’altro “generosamente” si getta sulla strada per fargli evitare l’impatto rischiando anch’egli di essere investito. In sé il gesto del compagno sembrerebbe essere generoso e positivo, ma in quella situazione non lo è, anzi è perfino negativo. Evitando che l’altro venga investito, viene salvato il progetto terroristico. Se invece l’incidente fosse avvenuto, l’azione terroristica sarebbe stata scongiurata.
Torno a ripetere: un conto sono le disposizioni soggettive, altro i comportamenti individuali oggettivamente buoni, ma che in un contesto cattivo diventano anch’essi oggettivamente tali. Ciò perché i gesti si giudicano dal loro fine. Un conto è se aiuto un amico a non farsi del male, altro è se l’aiuto affinché insieme possiamo andare ad uccidere degli innocenti.
La Fede da esercitare nell’educazione
Dire che bisogna sforzarsi di salvaguardare la pace all’interno di un’unione illegittima affinché non si possa pregiudicare la crescita armonica dei figli è di per sé un’affermazione condivisibile, ma sul piano solamente umano. Si tratta del “quieto vivere”. Ma se si passa al piano soprannaturale le cose cambiano. L’educazione non sempre deve perseguire la pura e semplice conservazione della tranquillità che molte volte è solo codarda conservazione di una comodità. L’educazione è testimoniare, fino al martirio, la fedeltà al Vero. Un coniuge “divorziato-risposato” che decidesse di vivere la continenza completa insegnerebbe moltissimo ai figli, perlomeno farebbe capire loro di non fare lo stesso errore che ha fatto lui. Viceversa il messaggio sarebbe completamente diverso.
Conclusione
Quale educazione allora ci accingiamo a dare ai nostri figli con messaggi di questo tipo? Li prepariamo a volare alti, oppure a conformarsi sempre più ad un mondo che offre come unica prospettiva la riduzione bestiale della tirannia degli istinti?
Sull’Esortazione post-sinodale “Amoris Laetitia” molto è stato scritto. Sono state fatte analisi accurate per cui non mi sembra opportuno scrivere qualcosa di analitico. Ciò che ritenevo importante dire sul Documento l’ho affermato nel comunicato de Il Cammino dei Tre Sentieri e in un intervento per la Confederazione Civiltà Cristiana.
Detto ciò, mi sembra però che siano mancate nei commenti finora scritti alcune considerazioni relative a questioni indirettamente legate al punto che ha attirato l’attenzione, ovvero quello riguardante i cosiddetti “divorziati-risposati” e la loro eventuale possibilità di accostarsi all’Eucaristia.
Ma a quali questioni alludo? A quelle che riguardano la sostanza della Fede. Lo so che ciò che sto dicendo è molto grave, “grave” nel senso che è legato a questioni fondamentali (cosa c’è di più fondamentale della Fede?), ma sento che anche su questo versante non si possa tacere. Chiedo però la carità di venir adeguatamente ripreso se le brevi osservazioni che mi accingo a fare siano del tutto fuori luogo.
Vengo al dunque. Le questioni che riguardano la sostanza della Fede legate a come l’Esortazione affronta lo stato dei “divorziati-risposati” sono tre:
Nell’Esortazione, precisamente alla nota n.329, si fa riferimento alla questione della continenza che secondo la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II è assolutamente necessaria per quei “divorziati-risposati” che dovessero continuare a vivere insieme ma nello stesso tempo volessero conformarsi pienamente alla Legge di Dio.
Ebbene, tutti sanno che nell’Esortazione è detto che in questi casi una continenza completa potrebbe pregiudicare il mantenimento della fedeltà. Ora, un’affermazione di questo tipo fa specie per due motivi.
Primo: perché ci si preoccupa che si conservi la fedeltà all’interno di un rapporto illegittimo e concubinario trascurando del tutto il rispetto alla vera fedeltà che è invece quella all’interno del legittimo matrimonio. Come la mettiamo con tutti quei casi (e non sono pochi) in cui coniugi abbandonati rimangono fedeli al legittimo matrimonio continuando a pregare per l’altra metà di se stessi che si è perso?
Secondo: perché si trascura completamente un dato consolidato e pregiudiziale della Teologia Spirituale che è quello dellafedeltà a Dio e della fedeltà di Dio. Paradossalmente, nella nota 329 per pensare alla fedeltà posticcia in un rapporto illegittimo non si pensa alla fedeltà che si deve a Dio e alla fedeltà di Dio che mai viene meno nei nostri confronti. Mi spiego. Può Dio chiedere cose impossibili? Assolutamente no. Dio non può mai permettere delle prove al di sopra delle possibilità degli uomini. Dio, quando permette delle prove dure, offre anche la grazia necessaria e sufficiente per viverle cristianamente. Sant’Alfonso soleva dire: “Chi prega si salva, chi non prega non si salva!” …a significare che Dio mai viene meno alle sue promesse e se si chiede il suo aiuto qualsiasi difficoltà della vita può essere cristianamente affrontata.
Inoltre, affermare che la continenza completa potrebbe pregiudicare la fedeltà significa alla fine permettere tutto. Infatti, come la mettiamo quando in un matrimonio uno dei due coniugi dovesse ammalarsi a tal punto da essere impedito ai rapporti coniugali? Si potrebbe in questo caso derogare e “sostituire” il coniuge con qualcun altro? Darebbe nausea solo il pensarlo!
La Fede da esercitare nella fedeltà
L’Esortazione, trattando dei “divorziati-risposati”, è preoccupata di scorgere bagliori di bene soggettivi anche in mali oggettivi. Per la serie: non esiste il peccato come atto intrinsecamente cattivo, bensì ogni peccato è di fatto una sorta di bene dimezzato. Qui però c’è un equivoco di fondo ed è questo: un conto sono le disposizioni singole che possono essere giudicate solo da Dio in foro interno, altro è scorgere comportamenti individuali oggettivamente buoni in situazioni di oggettività del male. Faccio un esempio. Due terroristi stanno per recarsi in un luogo affollato per farsi esplodere. Ad un tratto uno dei due distrattamente sta per essere investito da un auto, ma l’incidente è evitato perché l’altro “generosamente” si getta sulla strada per fargli evitare l’impatto rischiando anch’egli di essere investito. In sé il gesto del compagno sembrerebbe essere generoso e positivo, ma in quella situazione non lo è, anzi è perfino negativo. Evitando che l’altro venga investito, viene salvato il progetto terroristico. Se invece l’incidente fosse avvenuto, l’azione terroristica sarebbe stata scongiurata.
Torno a ripetere: un conto sono le disposizioni soggettive, altro i comportamenti individuali oggettivamente buoni, ma che in un contesto cattivo diventano anch’essi oggettivamente tali. Ciò perché i gesti si giudicano dal loro fine. Un conto è se aiuto un amico a non farsi del male, altro è se l’aiuto affinché insieme possiamo andare ad uccidere degli innocenti.
La Fede da esercitare nell’educazione
Dire che bisogna sforzarsi di salvaguardare la pace all’interno di un’unione illegittima affinché non si possa pregiudicare la crescita armonica dei figli è di per sé un’affermazione condivisibile, ma sul piano solamente umano. Si tratta del “quieto vivere”. Ma se si passa al piano soprannaturale le cose cambiano. L’educazione non sempre deve perseguire la pura e semplice conservazione della tranquillità che molte volte è solo codarda conservazione di una comodità. L’educazione è testimoniare, fino al martirio, la fedeltà al Vero. Un coniuge “divorziato-risposato” che decidesse di vivere la continenza completa insegnerebbe moltissimo ai figli, perlomeno farebbe capire loro di non fare lo stesso errore che ha fatto lui. Viceversa il messaggio sarebbe completamente diverso.
Conclusione
Quale educazione allora ci accingiamo a dare ai nostri figli con messaggi di questo tipo? Li prepariamo a volare alti, oppure a conformarsi sempre più ad un mondo che offre come unica prospettiva la riduzione bestiale della tirannia degli istinti?
Detto ciò, mi sembra però che siano mancate nei commenti finora scritti alcune considerazioni relative a questioni indirettamente legate al punto che ha attirato l’attenzione, ovvero quello riguardante i cosiddetti “divorziati-risposati” e la loro eventuale possibilità di accostarsi all’Eucaristia.
Ma a quali questioni alludo? A quelle che riguardano la sostanza della Fede. Lo so che ciò che sto dicendo è molto grave, “grave” nel senso che è legato a questioni fondamentali (cosa c’è di più fondamentale della Fede?), ma sento che anche su questo versante non si possa tacere. Chiedo però la carità di venir adeguatamente ripreso se le brevi osservazioni che mi accingo a fare siano del tutto fuori luogo.
Vengo al dunque. Le questioni che riguardano la sostanza della Fede legate a come l’Esortazione affronta lo stato dei “divorziati-risposati” sono tre:
- La Fede da esercitare nella prova
- La Fede da esercitare nella fedeltà
- La Fede da esercitare nell’educazione
Nell’Esortazione, precisamente alla nota n.329, si fa riferimento alla questione della continenza che secondo la “Familiaris Consortio” di Giovanni Paolo II è assolutamente necessaria per quei “divorziati-risposati” che dovessero continuare a vivere insieme ma nello stesso tempo volessero conformarsi pienamente alla Legge di Dio.
Ebbene, tutti sanno che nell’Esortazione è detto che in questi casi una continenza completa potrebbe pregiudicare il mantenimento della fedeltà. Ora, un’affermazione di questo tipo fa specie per due motivi.
Primo: perché ci si preoccupa che si conservi la fedeltà all’interno di un rapporto illegittimo e concubinario trascurando del tutto il rispetto alla vera fedeltà che è invece quella all’interno del legittimo matrimonio. Come la mettiamo con tutti quei casi (e non sono pochi) in cui coniugi abbandonati rimangono fedeli al legittimo matrimonio continuando a pregare per l’altra metà di se stessi che si è perso?
Secondo: perché si trascura completamente un dato consolidato e pregiudiziale della Teologia Spirituale che è quello dellafedeltà a Dio e della fedeltà di Dio. Paradossalmente, nella nota 329 per pensare alla fedeltà posticcia in un rapporto illegittimo non si pensa alla fedeltà che si deve a Dio e alla fedeltà di Dio che mai viene meno nei nostri confronti. Mi spiego. Può Dio chiedere cose impossibili? Assolutamente no. Dio non può mai permettere delle prove al di sopra delle possibilità degli uomini. Dio, quando permette delle prove dure, offre anche la grazia necessaria e sufficiente per viverle cristianamente. Sant’Alfonso soleva dire: “Chi prega si salva, chi non prega non si salva!” …a significare che Dio mai viene meno alle sue promesse e se si chiede il suo aiuto qualsiasi difficoltà della vita può essere cristianamente affrontata.
Inoltre, affermare che la continenza completa potrebbe pregiudicare la fedeltà significa alla fine permettere tutto. Infatti, come la mettiamo quando in un matrimonio uno dei due coniugi dovesse ammalarsi a tal punto da essere impedito ai rapporti coniugali? Si potrebbe in questo caso derogare e “sostituire” il coniuge con qualcun altro? Darebbe nausea solo il pensarlo!
La Fede da esercitare nella fedeltà
L’Esortazione, trattando dei “divorziati-risposati”, è preoccupata di scorgere bagliori di bene soggettivi anche in mali oggettivi. Per la serie: non esiste il peccato come atto intrinsecamente cattivo, bensì ogni peccato è di fatto una sorta di bene dimezzato. Qui però c’è un equivoco di fondo ed è questo: un conto sono le disposizioni singole che possono essere giudicate solo da Dio in foro interno, altro è scorgere comportamenti individuali oggettivamente buoni in situazioni di oggettività del male. Faccio un esempio. Due terroristi stanno per recarsi in un luogo affollato per farsi esplodere. Ad un tratto uno dei due distrattamente sta per essere investito da un auto, ma l’incidente è evitato perché l’altro “generosamente” si getta sulla strada per fargli evitare l’impatto rischiando anch’egli di essere investito. In sé il gesto del compagno sembrerebbe essere generoso e positivo, ma in quella situazione non lo è, anzi è perfino negativo. Evitando che l’altro venga investito, viene salvato il progetto terroristico. Se invece l’incidente fosse avvenuto, l’azione terroristica sarebbe stata scongiurata.
Torno a ripetere: un conto sono le disposizioni soggettive, altro i comportamenti individuali oggettivamente buoni, ma che in un contesto cattivo diventano anch’essi oggettivamente tali. Ciò perché i gesti si giudicano dal loro fine. Un conto è se aiuto un amico a non farsi del male, altro è se l’aiuto affinché insieme possiamo andare ad uccidere degli innocenti.
La Fede da esercitare nell’educazione
Dire che bisogna sforzarsi di salvaguardare la pace all’interno di un’unione illegittima affinché non si possa pregiudicare la crescita armonica dei figli è di per sé un’affermazione condivisibile, ma sul piano solamente umano. Si tratta del “quieto vivere”. Ma se si passa al piano soprannaturale le cose cambiano. L’educazione non sempre deve perseguire la pura e semplice conservazione della tranquillità che molte volte è solo codarda conservazione di una comodità. L’educazione è testimoniare, fino al martirio, la fedeltà al Vero. Un coniuge “divorziato-risposato” che decidesse di vivere la continenza completa insegnerebbe moltissimo ai figli, perlomeno farebbe capire loro di non fare lo stesso errore che ha fatto lui. Viceversa il messaggio sarebbe completamente diverso.
Conclusione
Quale educazione allora ci accingiamo a dare ai nostri figli con messaggi di questo tipo? Li prepariamo a volare alti, oppure a conformarsi sempre più ad un mondo che offre come unica prospettiva la riduzione bestiale della tirannia degli istinti?
– di Corrado Gnerre
http://www.riscossacristiana.it/l-amoris-laetitia-e-la-dimenticanza-della-fede-di-corrado-gnerre/
Riflessioni sull’esortazione post-sinodale amoris laetitia
Prima di tutto non evita il “vulnus” al principio dell’indissolubilità del matrimonio, perché nel caso dei divorziati-risposati non si parla ovviamente di coloro che hanno ricevuto una dichiarazione di nullità per il precedente matrimonio (in questo caso non si tratterebbe di divorziati), bensì di soggetti che (indipendentemente dalle situazioni singole che potrebbero anche comportare delle attenuanti per il giudizio di Dio) volontariamente hanno interrotto una relazione, decidendo (risposandosi o convivendo) per una vita di adulterio continuato. Questo discorso vale anche per i divorziati cosiddetti “abbandonati” (coloro che non volevano precedentemente interrompere il matrimonio) perché anche per costoro vi è l’obbligo (indubbiamente pesante, ma la fede impone credere che Dio mai abbandona nelle prove che permette) di proseguire l’unione con il legittimo coniuge continuando almeno a pregare per lui.Dunque, ammettere in linea di principio che anche costoro possano (in alcuni casi) ricevere l’Eucaristia (dovendo l’Eucaristia per legge divina essere ricevuta sempre in stato di Grazia) vuol dire ritenere che per questi non si possa e non si debba parlare di adulterio continuato e – se non si può parlare di questo – vuol dire che il matrimonio non è più indissolubile. La logica è logica.
Ma, dicevamo, una simile “soluzione” pone problemi sul piano ecclesiologico perché tende a favorire ciò che già si paventa da tempo. Se finora era già frequente che in sede di Sacramento della Penitenza (Confessione) vi fossero delle differenze di trattamento a seconda dei contesti geografici (in alcuni Paesi la Confessione sembra ormai sparita), ora sarà ancora più frequente una sorta di differenza tra confessionale e confessionale, tra parrocchia e parrocchia. I divorziati risposati in tal caso arriveranno facilmente a dirsi: “ti consiglio quel confessore piuttosto che quell’altro perché il primo ci capisce, l’altro no”. Insomma, l’assoluzione come prodotto da discount. Problema, questo, ecclesiologico perché ancor più verrà meno l’universalità della verità cattolica.
Problema anche morale, perché in tal caso aumenterà la deriva “coscienzialista” nell’analisi dell’atto morale. Molti divorziati-risposati, prescindendo dalla morale oggettiva, si sentiranno sempre più in “coscienza” di non essere in stato di peccato e di potersi accostare all’Eucaristia, trasformando la “coscienza” da “luogo morale” in cui riconoscere ciò che è oggettivamente bene e ciò che è oggettivamente male a “luogo morale” in cui poter decidere cosa è bene e cosa è male.
Detto questo, la Confederazione Civiltà Cristiana ritiene che, al di là di vari apprezzabili passaggi, l’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia non possa essere accettata. Su questo si sente di “resistere” in nome della fedeltà alla legge divina che mai potrà mutare. E invita altresì coloro che hanno ricevuto da Dio l’autorità sufficiente, a parlare, denunciare e operare tutto ciò che è canonicamente possibile affinché si metta in guardia il Popolo di Dio da questo documento che pone difficoltà enormi e anche consistenti problemi riguardo la salvezza delle anime.
Il miglior modo per aiutare un Papa e testimoniargli autentica fedeltà, sia, oltre l’obbligo di pregare per lui, quello di evitare un “comodo”, “clericale” e “cortigiano” silenzio. Il miglior modo per amare e aiutare un Papa è, nel caso dell’ Amoris Laetitia, denunciare i palesi “punti di rottura” di questo magistero ordinario affinché possa risplendere la Verità di Cristo che non appartiene al Papa, ma della quale il Papa è solo servitore e custode.
http://www.civiltacristiana.com/riflessioni-sullesortazione-post-sinodale-amoris-laetitia/
Finalmente poche chiare e sentite parole. Una grande serenità ne consegue.
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