Amoris Laetitia: tra fallibilità e pratica della Fede
Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno:
annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina,
ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie,
rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.
annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina,
ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie,
rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.
(II Timoteo, 4, 1-4)
Il dato peculiare di questo documento è la sua complessiva ambiguità fondata sull’uso continuo e quasi compiaciuto di vecchie affermazioni poi smentite e di nuovi proponimenti poi ridimensionati. Una consumata tecnica che da cinquant’anni fa strame dell’insegnamento millenario della Chiesa ed esalta implicitamente la moderna concezione relativista della realtà, dove non si ammette alcuna oggettività e si impone ogni fluttuante soggettività. Novità e cambiamento sono le cifre di un mondo che usa l’evidente per condurlo al suo contrario ed imporre l’imperio dell’opinabile al posto del regno del vero. E questa rivoluzionaria procedura devastante è stata fatta propria da quella che un tempo era la ponderata riflessione della gerarchia ecclesiastica, in forza della deflagrazione prodottasi nella Chiesa con l’implodere al suo interno del Vaticano II, con i suoi documenti e il suo “spirito”.
Su questo sito, i lettori potranno leggere tanti interventi relativi al contenuto di Amoris Laetitia, così che ci asterremo, per adesso, dall’entrare anche noi nel merito di essa: c’è già sufficiente materiale per potersi formare un giudizio. Riteniamo invece che sia opportuno valutare un elemento che si trova solo qua e là tra i tanti interventi: il valore magisteriale di questa “esortazione”.
La natura del documento: “esortazione”, il suo titolo: “gioia dell’amore”, il suo firmatario: “il Papa”, e la sua veste canonica: pronunciamento del “magistero ordinario”, fanno di esso qualcosa che dà adito a variegate e dotte considerazioni in sede accademica e a diversificati e definitivi giudizi in sede popolare. Tanto più che, come forse non è mai accaduto, questo documento pontificio è stato ampiamente pubblicizzato e illustrato a vantaggio dell’informazione dei fedeli… e degli infedeli.
Quando pubblica un documento ufficiale, è impossibile che la gerarchia non tenga conto dell’impatto che avrà presso l’opinione pubblica e in particolare presso l’insieme dei fedeli cattolici, e questo vale tanto più per “questa” gerarchia, che continua a dar prova dell’abilità acquisita in questi cinquant’anni nell’uso, persino spregiudicato, dei mezzi di comunicazione; abilità che ormai tutti riconoscono in modo particolare a questo nuovo Papa venuto dalla fine del mondo. Così che nel considerare il valore magisteriale di questa “esortazione” sarebbe davvero colpevole non tenere conto del retropensiero del suo autore: sarebbe come volerne artatamente sottovalutare l’intenzione e lo scopo che egli si è prefissi.
Eppure, qua e là, da parte di dotti e preparati commentatori, si è voluta focalizzare l’attenzione sul valore non vincolante del documento, per il suo mancare di carattere definitorio e per la sua valenza dichiaratamente “pastorale”; come se si trattasse di una mera esercitazione verbale a profitto di una libera riflessione da parte dei fedeli, sempre liberi di ascoltare tutte le campane e alla fine seguire il proprio personale consiglio. E questo con l’intento, da parte di costoro, di sminuirne l’impatto negativo e di minimizzarne la portata devastatrice.
Lo stesso documento, fin dal suo inizio (paragrafo 3), tiene a precisare che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero”, perché l’unità di dottrina e di prassi della Chiesa “non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano.”
Da cui si evince che
- il documento non vuole essere un “intervento del magistero”, seppure è un “intervento del Papa” e cioè della massima autorità del magistero;
- né vuole mettere un punto fermo alle “discussioni”, seppure si presenti come un documento esortativo perché si tenga una certa definita linea di condotta teorica e pratica;
- né vuole essere una guida che compendi e informi i “diversi modi di interpretare alcuni aspetti e le relative conseguenze della dottrina”, seppure il documento interpreti a tutto spiano la dottrina traendone le relative conseguenze in termini di disciplina e di pratica della Fede.
- né vuole mettere un punto fermo alle “discussioni”, seppure si presenti come un documento esortativo perché si tenga una certa definita linea di condotta teorica e pratica;
- né vuole essere una guida che compendi e informi i “diversi modi di interpretare alcuni aspetti e le relative conseguenze della dottrina”, seppure il documento interpreti a tutto spiano la dottrina traendone le relative conseguenze in termini di disciplina e di pratica della Fede.
A questo si aggiunga che la stessa precisazione, per la sua lettera, per la sua formulazione e per la sua chiara intenzione, costituisce una sorta di precisa direttiva da tenere in conto sia per la comprensione del documento che segue, sia per la comprensione del concetto stesso di magistero, almeno come deve intendersi secondo la mentis di papa Bergoglio.
Con tale direttiva si “stabilisce” che ogni modo di interpretare la dottrina e di praticarla, non solo è legittimo, ma non contrasta, a priori, con l’unità di dottrina e di prassi della Chiesa; e si stabilisce altresì che tale diversità di interpretazione va coniugata con un’altrettanta diversità di applicazione, derivata dal fatto che “in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente
alle tradizioni e alle sfide locali.”
Quindi, è verissimo che non si tratta di un documento vincolante, perché esso lascia a tutti la possibilità di credere, di pensare, di agire e di praticare la Fede in maniera, non solo soggettiva, ma persino latitudinarista; e questa direttiva, che forse è più corretto chiamare “esortazione”, è impossibile che non costituisca un insegnamento papale “virtualmente” vincolante, tanto che possiamo dire, senza esagerazione, che questo documento del magistero ordinario informa i fedeli che il magistero della Chiesa non c’è più perché non serve più… e questa è dottrina!
Detto questo, veniamo al valore magisteriale di Amoris Laetitia, documento che rientra nel magistero ordinario non infallibile della Chiesa. I fedeli devono accoglierlo con tutto il rispetto dovuto, ma non devono ritenere che si tratti di un vero e proprio insegnamento della Chiesa, trattandosi semplicemente della espressione del pensiero del Papa come dottore privato, pertanto esso non insegna nulla di nuovo e tutto ciò che propone dev’essere letto alla luce dell’insegnamento della Chiesa.
Ebbene, se questa è la tiritera che si sente sempre in occasioni come queste, corre l’obbligo di dire che essa non ha consistenza logica, né efficacia pratica, dal momento che si tratta di una mera “petizione di principio” che non trova riscontro nella vita reale dei fedeli e nella pratica della Fede. Vero è invece che il fedele che legge questa espressione del pensiero del Papa, ne deduce che debba trattarsi di un vero e proprio insegnamento della Chiesa, perché il Papa non potrebbe sbagliarsi né potrebbe trarre in inganno i fedeli.
In parole povere:
che ci sta a fare il Papa se quello che lui dice dev’essere poi interpretato alla luce di quello che è stato insegnato prima di lui?
Non può e non dev’essere lo stesso Papa a parlare alla luce dell’insegnamento precedente?
E se si giunge alla necessità che dover “interpretare” ciò che dice il Papa, non è perché ciò che egli ha detto non è chiaro e anzi lascia perplessi o addirittura sconvolti?
E se questo accade, non è perché il Papa ha detto delle cose in contrasto con l’insegnamento della Chiesa e che quindi hanno allarmato i fedeli?
E se il Papa ha detto quelle cose, si deve pensare che lo abbia fatto senza accorgersene o si può pensare che lo ha fatto perché vuole che i fedeli capiscano e assimilino esattamente quello che lui ha detto?
Non può e non dev’essere lo stesso Papa a parlare alla luce dell’insegnamento precedente?
E se si giunge alla necessità che dover “interpretare” ciò che dice il Papa, non è perché ciò che egli ha detto non è chiaro e anzi lascia perplessi o addirittura sconvolti?
E se questo accade, non è perché il Papa ha detto delle cose in contrasto con l’insegnamento della Chiesa e che quindi hanno allarmato i fedeli?
E se il Papa ha detto quelle cose, si deve pensare che lo abbia fatto senza accorgersene o si può pensare che lo ha fatto perché vuole che i fedeli capiscano e assimilino esattamente quello che lui ha detto?
E potremmo continuare con gli interrogativi del genere: non lo facciamo perché siamo certi che il lettore li conosca meglio di noi. Quello che non si comprende è come si possa pensare che un documento come questo, connotato dagli elementi che abbiamo qui abbozzato, possa essere considerato persino trascurabile, poiché ciò che conterebbe sarebbe l’insegnamento già definito della Chiesa, che lo stesso papa Bergoglio afferma di non voler cambiare.
Questa impostazione, comune a tanti studiosi, teologi chierici e laici, in pratica contrasta con la realtà oggettiva della vita ordinaria dei semplici fedeli, rivelando una dicotomia insanabile nella pratica della Fede: da un lato gli studiosi che pretendono di conciliare un assunto con il suo contrario e dall’altro i semplici fedeli che considerano normale seguire le parole del Papa, senza bisogno di dover ricorrere volta per volta ai sottili distinguo dei dotti, ritenuti giustamente validi per aprire tavole rotonde, ma del tutto inutili per praticare la Fede.
I nostri lettori ricorderanno certamente il famoso discorso di papa Ratzinger, del 22 dicembre 2005, in cui si raccomandava di rileggere i documenti del Vaticano II utilizzando l’interpretazione nella continuità, “ermeneutica della continuità”, piuttosto che l’interpretazione nella rottura, “ermeneutica della rottura”; questo discorso, che introduceva la pretesa di dover e poter interpretare in continuità con l’insegnamento di sempre tutto ciò che veniva chiaramente proposto in rottura con esso, ha finito col fare scuola ed oggi si ripete lo stesso copione: mentre papa Bergoglio, usando la tecnica della manipolazione dei testi e del linguaggio, esorta i fedeli ad accogliere una nuova dottrina, i dotti si industriano per convincere gli stessi fedeli che si tratta della stessa dottrina di sempre.Perché non ci siamo equivoci su quanto qui affermiamo, facciamo un esempio che ci viene dallo stesso papa Bergoglio.
Il 16 aprile 2016, sul volo di ritorno dalla sua visita all'isola greca di Lesbo, papa Bergoglio, come di consueto, ha risposto alle domande dei giornalisti. A Francis Rocca del Wall Street Journal, che gli ha chiesto: “ci sono nuove possibilità concrete, che non esistevano prima della pubblicazione dell’Esortazione o no?”, Bergoglio ha risposto: “Io potrei dire 'si', e punto.Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della Congregazione per la Dottrina della Fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta. Grazie!”
Qui, papa Bergoglio conferma che la sua “Esortazione” contiene delle novità rispetto a quanto “esisteva prima della pubblicazione dell’Esortazione”, novità che non si arrischierebbe a definire in contrasto con la dottrina e la disciplina esistenti fino ad oggi, ma che tanti fedeli, non certo sprovveduti e certo in grado di leggere e di comprendere ciò che leggono, hanno subito considerata “in rottura” con l’esistente.
Affermare quindi che l’Esortazione, non essendo un documento vincolante, non obbliga i fedeli a farlo proprio, è un mero esercizio retorico, poiché i fedeli guarderanno ad esso come all’insegnamento del Papa, al magistero pontificio, e si comporteranno di conseguenza.
In effetti, nonostante l’opinione formalista e guiridicista di tanti “dotti”, è il caso di precisare che per fare magistero, per trasmettere un insegnamento, per indurre i fedeli a credere ciò che è conforme alla dottrina, non è affatto necessario un qualche documento che rispetti questi o quei canoni, vincolanti o meno che siano, ma basta che i vescovi e il Papa compiano un gesto, attuino un comportamento, diano una risposta, pronuncino un’omelia, scrivano un’esortazione.
Per esempio: non è forse magistero la giornata di Assisi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI? Non è forse magistero il bacio al Corano di Giovanni Paolo II e l’abbraccio in sinagoga di Benedetto XVI? Non è forse magistero il “buona sera” di Francesco I a Roma e al mondo la sera della sua elevazione al Soglio Pontificio?
E non è forse da queste “gesta” che i fedeli apprendono cos’è il cattolicesimo, piuttosto che dalla lettura dei documenti della Chiesa?
Non è forse dalle omelie domenicali dei propri parroci che i fedeli apprendono come ci si comporta da buoni cristiani?
Non è forse in forza di tutto questo che le chiese si sono svuotate e il numero dei cattolici praticanti è ridotto a percentuali da 0,?
Non è in forza di tutto questo che si sono beatificati e santificati tutti i papi del Vaticani II, eccetto i viventi, per adesso, perché ogni loro gesto e ogni loro discorso acquisisse l’aura di santità e diventasse “vangelo” per i fedeli?
Noi saremo irrispettosi verso i discorsi dei dotti e verso il ragionare compito dei teologi, ma di certo viviamo con i piedi sulla terra e ci guardiamo intorno e ascoltiamo i discorsi che fanno i fedeli all’uscita della Messa domenicale, e ci sembra che basti il minimo buon senso per rendersi conto che la realtà della pratica della fede è direttamente connessa con quanto abbiamo qui malamente esposto e non con le teorie accademiche e salottiere dei dotti chierici e laici che vorrebbero far credere che le lucciole sono lanterne.
di Giovanni Servodio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1484_Servodio_Amoris-laetitia_fallibilita_pratica_fede.html
Conferenza Stampa per la presentazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale del Santo Padre Francesco “Amoris laetitia”, sull’amore nella famiglia
8 aprile 2016
Intervento del Card. Christoph Schönborn, O.P.
Il 16 aprile 2016, sul volo di ritorno dalla sua visita all'isola greca di Lesbo, papa Bergoglio, come di consueto, ha risposto alle domande dei giornalisti. A Francis Rocca del Wall Street Journal, che gli ha chiesto: “ci sono nuove possibilità concrete, che non esistevano prima della pubblicazione dell’Esortazione o no?”, Bergoglio ha risposto: “Io potrei dire 'si', e punto. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della Congregazione per la Dottrina della Fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta. Grazie!”
Riportiamo quindi l'intervento del Card. Schönborn, perché si comprenda meglio, come dice papa Bergoglio, il senso dei suo “'sì' e punto”.
Riportiamo quindi l'intervento del Card. Schönborn, perché si comprenda meglio, come dice papa Bergoglio, il senso dei suo “'sì' e punto”.
La sera del 13 marzo 2013, le prime parole che il nuovo Papa eletto Francesco rivolse alle persone in piazza San Pietro e in tutto il mondo sono state: “Buona sera!”
Semplici come questo saluto sono il linguaggio e lo stile del nuovo scritto di Papa Francesco.
L’Esortazione non è proprio così breve come questo semplice saluto, ma così aderente alla realtà. In queste 200 pagine Papa Francesco parla di “amore nella famiglia” e lo fa in modo così concreto, così semplice, con parole che scaldano il cuore come quel buona sera del 13 marzo 2013. Questo è il suo stile, ed egli si augura che si parli delle cose della vita nel modo più concreto possibile, soprattutto se si tratta della famiglia, di una delle realtà più elementari della vita.
Per dirlo in anticipo: i documenti della Chiesa spesso non appartengono a un genere letterario dei più accessibili. Questo scritto del Papa è leggibile. E chi non si lasci spaventare dalla lunghezza, troverà gioia nella concretezza e nel realismo di questo testo. Papa Francesco parla delle famiglie con una chiarezza che difficilmente si trova nei documenti magisteriali della Chiesa.
Prima di entrare nello scritto vorrei dire, a titolo molto personale, il perché io lo abbia letto con gioia, con gratitudine e sempre con forte emozione. Nel discorso ecclesiale sul matrimonio e sulla famiglia c’è spesso una tendenza, forse inconscia, a condurre su due binari il discorso su queste due realtà della vita. Da una parte ci sono i matrimoni e le famiglie che sono “a posto”, che corrispondono alla regola, dove tutto è “va bene” è “in ordine”, e poi ci sono le situazioni “irregolari” che rappresentano un problema. Già il termine stesso “irregolare” suggerisce che si possa effettuare una tale distinzione con tanta nitidezza.
Chi dunque viene a trovarsi dalla parte degli “irregolari”, deve convivere con il fatto che i “regolari” si trovino dall’altra parte. Come ciò sia difficile per quelli che provengono, essi stessi, da una famiglia patchwork, mi è noto di persona, a causa della situazione della mia propria famiglia. Il discorso della Chiesa qui può ferire, può dare la sensazione di essere esclusi.
Papa Francesco ha posto la sua Esortazione sotto la frase guida: “Si tratta di integrare tutti” (AL 297) perché si tratta di una comprensione fondamentale del Vangelo: noi tutti abbiamo bisogno di misericordia! “Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8, 7). Tutti noi, a prescindere dal matrimonio e dalla situazione familiare in cui ci troviamo, siamo in cammino. Anche un matrimonio in cui tutto “vada bene” è in cammino. Deve crescere, imparare, superare nuove tappe. Conosce il peccato e il fallimento, ha bisogno di riconciliazione e di nuovo inizio, e ciò fino in età avanzata (cfr AL 297).
Papa Francesco è riuscito a parlare di tutte le situazioni senza catalogare, senza categorizzare, con quello sguardo di fondamentale benevolenza che ha qualcosa a che fare con il cuore di Dio, con gli occhi di Gesù che non escludono nessuno (cfr AL 297), che accoglie tutti e a tutti concede la “gioia del Vangelo”. Per questo la lettura di Amoris laetitia è così confortante. Nessuno deve sentirsi condannato, nessuno disprezzato. In questo clima dell’accoglienza, il discorso della visione cristiana di matrimonio e famiglia diventa invito, incoraggiamento, gioia dell’amore al quale possiamo credere e che non esclude nessuno, veramente e sinceramente nessuno.
Per me Amoris laetitia è perciò soprattutto, e in primo luogo, un “avvenimento linguistico”, così come lo è già stato l’Evangelii gaudium. Qualcosa è cambiato nel discorso ecclesiale. Questo cambiamento di linguaggio era già percepibile durante il cammino sinodale.
Fra le due sedute sinodali dell’ottobre 2014 e dell’ottobre 2015 si può chiaramente riconoscere come il tono sia divenuto più ricco di stima, come si siano semplicemente accolte le diverse situazioni di vita, senza giudicarle o condannarle subito. In Amoris laetitia questo è divenuto il continuo tono linguistico.
Dietro di ciò non c’è ovviamente solo un’opzione linguistica, bensì un profondo rispetto di fronte ad ogni uomo che non è mai, in primo luogo, un “caso problematico” in una “categoria”, ma una persona inconfondibile, con la sua storia e il suo percorso con e verso Dio.
In Evangelii gaudium Papa Francesco diceva che dovremmo toglierci le scarpe davanti al terreno sacro dell’altro (EG 36). Quest’atteggiamento fondamentale attraversa tutta l’Esortazione. Ed esso è anche il motivo più profondo per le altre due parole chiave:discernere e accompagnare. Tali parole non valgono solo per le “cosiddette situazioni irregolari” (Papa Francesco sottolinea questo “cosiddette”!), ma valgono per tutti gli uomini, per ogni matrimonio, per ogni famiglia. Tutti, infatti, sono in cammino e tutti hanno bisogno di “discernimento” e di ”accompagnamento”.
La mia grande gioia per questo documento sta nel fatto che esso coerentemente superi l’artificiosa, esteriore, netta divisione fra “regolare” e “irregolare” e ponga tutti sotto l’istanza comune del Vangelo, secondo le parole di San Paolo: “Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!”(Rom 11, 32).
Questo continuo principio dell’”inclusione” preoccupa ovviamente alcuni. Non si parla qui in favore del relativismo? Non diventa permessivismo la tanto evocata misericordia? Non esiste più la chiarezza dei limiti che non si devono superare, delle situazioni che oggettivamente vanno definite irregolari, peccaminose? Quest’Esortazione non favoreggia un certo lassismo, un “everything goes”? La misericordia propria di Gesù non è invece, spesso, una misericordia severa, esigente?
Per chiarire ciò: Papa Francesco non lascia nessun dubbio sulle sue intenzioni e sul nostro compito:
“Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL 35).
Papa Francesco è convinto che la visione cristiana del matrimonio e della famiglia abbia anche oggi un’immutata forza di attrazione. Ma egli esige “una salutare reazione autocritica”:
“Dobbiamo esser umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo” (AL 36).
“Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario” (AL 36).
Mi permetto di raccontare qui un’esperienza del Sinodo dell’ottobre scorso: che io sappia, due dei tredici “circuli minores” hanno iniziato il loro lavoro facendo in primo luogo raccontare ad ogni partecipante la propria situazione familiare. Ben presto è emerso che quasi tutti i vescovi o gli altri partecipanti del “circulus minor” sono confrontati, nelle loro famiglie, con i temi, le preoccupazioni, le “irregolarità” di cui noi, nel Sinodo, abbiamo parlato in maniera un po’ troppo astratta. Papa Francesco ci invita a parlare delle nostre famiglie “così come sono”.
Ed ora la cosa magnifica del cammino sinodale e del suo proseguimento con Papa Francesco:questo sobrio realismo sulle famiglie “così come sono” non ci allontana affatto dall’ideale! Al contrario: Papa Francesco riesce, con i lavori di ambedue i Sinodi, a rivolgere alle famiglie uno sguardo positivo, profondamente ricco di speranza. Ma questo sguardo incoraggiante sulle famiglie richiede quella “conversione pastorale” di cui l’Evangelii gaudium parlava in maniera così entusiasmante. Il testo seguente dell’Amoris laetitia ricalca le grandi linee di tale “conversione pastorale”:
“Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita.Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”(AL 37).
Papa Francesco parla da una profonda fiducia nei cuori e nella nostalgia degli uomini. Lo esprimono molto bene le sue esposizioni sull’educazione. Si percepisce qui la grande tradizione gesuitica dell’educazione alla responsabilità personale. Egli parla di due pericoli contrari: il "lassez-faire” e l’ossessione di volere controllare e dominare tutto. Da una parte è vero che
“la famiglia non può rinunciare ad essere luogo di sostegno, di accompagnamento, di guida… C’è sempre bisogno di vigilanza. L’abbandono non fa mai bene”(AL 260).
Ma la vigilanza può diventare anche esagerata:
“L’ossessione non è educativa, e non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare (…). Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia” (AL 261).
Trovo che sia molto illuminante mettere in connessione questo pensiero sull’educazione con quelli che riguardano la prassi pastorale della Chiesa. Infatti, proprio in questo senso Papa Francesco torna spesso a parlare della fiducia nella coscienza dei fedeli: “Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37).
La grande questione ovviamente è questa: come si forma la coscienza? Come pervenire a quello che è il concetto chiave di tutto questo grande documento, la chiave per comprendere correttamente le intenzioni di Papa Francesco: “ il discernimento personale”, soprattutto in situazioni difficili, complesse? Il “discernimento” è un concetto centrale degli esercizi ignaziani. Questi, infatti, devono aiutare a discernere la volontà di Dio nelle situazioni concrete della vita. È il “discernimento” a fare della persona una personalità matura, e il cammino cristiano vuole essere di aiuto al raggiungimento di questa maturità personale: non a formare automi condizionati dall’esterno, telecomandati, ma persone maturate nell’amicizia con Cristo. Solo laddove è maturato questo “discernimento” personale è anche possibile pervenire a un “discernimento pastorale”, il quale è importante soprattutto “davanti a situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone” (AL 6). Di questo “discernimento pastorale” parla l’ottavo capitolo, un capitolo probabilmente di grande interesse per l’opinione pubblica ecclesiale, ma anche per i media.
Devo tuttavia ricordare che Papa Francesco ha definito come centrali i capitoli 4 e 5 (“i due capitoli centrali”), non solo in senso geografico, ma per il loro contenuto: “Non potremo incoraggiare un cammino di fedeltà e di reciproca donazione se non stimoliamo la crescita, il consolidamento e l’approfondimento dell’amore coniugale e familiare” (AL 89).
Questi due capitoli centrali di Amoris laetitia saranno probabilmente saltati da molti per arrivare subito alle cosiddette “patate bollenti”, ai punti critici.
Da esperto pedagogo, Papa Francesco sa bene che niente attira e motiva così fortemente come l’esperienza positiva dell’amore. “Parlare dell’amore” (AL 89) - ciò procura chiaramente una grande gioia a Papa Francesco, ed egli parla dell’amore con grande vivacità, comprensibilità, empatia.
Il quarto capitolo è un ampio commento all’”Inno alla carità” del tredicesimo capitolo della Prima lettera ai Corinzi. Raccomando a tutti la meditazione di queste pagine. Esse incoraggiano a credere nell’amore (cfr1Gv 4,16) e ad avere fiducia nella sua forza. È qui che crescere, un’altra parola chiave dell’Amoris laetitia, ha la sua “sede principale”: in nessun altro luogo si manifesta così chiaramente, come nell’amore, che si tratta di un processo dinamico nel quale l’amore può crescere, ma può anche raffreddarsi.
Posso solo invitare a leggere e a gustare questo delizioso capitolo.
Ci tengo a far notare un aspetto: Papa Francesco parla qui, con una chiarezza che è rara, del ruolo che anche le passiones, le passioni, le emozioni, l’eros, la sessualità hanno nella vita matrimoniale e familiare. Non è un caso che Papa Francesco si riallacci qui in modo particolare a San Tommaso d’Aquino, il quale attribuisce alle passioni un ruolo così importante, mentre la morale moderna, spesso puritana, le ha screditate o trascurate.
E´ qui che il titolo dell’esortazione del Papa trova la sua più piena espressione: Amoris laetitia! Qui si capisce come sia possibile riuscire “a scoprire il valore e la ricchezza del matrimonio” (AL 205). Ma qui si rende anche dolorosamente visibile quanto male facciano le ferite d’amore, come siano laceranti le esperienze di fallimento delle relazioni.
Per questo non meraviglia che sia soprattutto l’ottavo capitolo ad attirare l’attenzione e l’interesse. Infatti la questione di come la Chiesa tratti queste ferite, di come tratti il fallimento dell’amore, è diventata per molti una questione-test per capire se la Chiesa sia davvero il luogo in cui si possa sperimentare la Misericordia di Dio.
Questo capitolo deve molto all’intenso lavoro dei due Sinodi, alle ampie discussioni nell’opinione pubblica ed ecclesiale. Qui si manifesta la fecondità del modo di procedere di Papa Francesco. Egli desiderava espressamente una discussione aperta sull’accompagnamento pastorale di situazioni complesse e ha potuto ampiamente fondarsi sui testi che i due Sinodi gli hanno presentato per mostrare come si possa “accompagnare, discernere e integrare la fragilità”(AL 291).
Papa Francesco fa esplicitamente sue le dichiarazioni che ambedue i Sinodi gli hanno presentato: “I Padri sinodali hanno raggiunto un consenso generale, che sostengo” (AL 297). Per quanto riguarda i divorziati risposati con rito civile egli sostiene:
“Accolgo le considerazioni di molti Padri sinodali, i quali hanno voluto affermare che(…) la logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale… Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come un madre che li accoglie sempre…” (AL 299).
Ma cosa significa ciò concretamente? Molti si pongono, a ragione, questa domanda. Le risposte decisive si trovano in Amoris laetitia 300. Esse offrono certamente ancora materia per ulteriori discussioni. Ma esse sono anche un importante chiarimento e un’indicazione per il cammino da seguire:
“Se si tiene conto dell’innumerevole varietà di situazioni concrete (…) è comprensibile che non ci si dovesse aspettare dal Sinodo o da questa Esortazione una nuova normativa generale di tipo canonico, applicabile a tutti i casi”.
Molti si aspettavano una tale norma. Resteranno delusi. Che cosa è possibile? Il Papa lo dice con tutta chiarezza: “È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari”.
A come possa e debba essere questo discernimento personale e pastorale è tema dell’intera sezione di Amoris laetitia 300-312.
Già nel Sinodo del 2015, in appendice agli enunciati del Circulus germanicus fu proposto unItinerarium del discernimento, dell’esame di coscienza che Papa Francesco ha fatto suo.
“Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio”.
Ma Papa Francesco ricorda anche che “questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa” (AL 300).
Papa Francesco menziona due posizioni erronee. Una è quella del rigorismo:
“Un pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni ‘irregolari’, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa” (AL 305).
D’altro canto, la Chiesa non deve assolutamente “rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza” (AL 307).Si pone naturalmente la domanda: e cosa dice il Papa a proposito dell’accesso ai sacramenti per persone che vivono in situazioni “irregolari”? Già Papa Benedetto aveva detto che non esistono delle “semplici ricette” (AL 298, nota 333). E Papa Francesco torna a ricordare la necessità di discernere bene le situazioni, nella linea della Familiaris consortio (84) di San Giovanni Paolo II (AL 298).
“Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio” (AL 305).
E Papa Francesco ci ricorda una frase importante che aveva scritto nell’Evangelii gaudium44:
“Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà” (AL 304).
Nel senso di questa “via caritatis” (AL 306) il Papa afferma, in maniera umile e semplice, in una nota (351), che si può dare anche l’aiuto dei sacramenti “in certi casi”. Ma allo scopo egli non ci offre una casistica, delle ricette, bensì ci ricorda semplicemente due delle sue frasi famose: “Ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore” (EG 44) e l’eucarestia “non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli” (EG 44).Non è una sfida eccessiva per i pastori, per le guide spirituali, per le comunità, se il “discernimento delle situazioni” non è regolato in modo più preciso?
Papa Francesco conosce questa preoccupazione: “comprendo coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione” (AL 308). Ad essa egli obietta dicendo: “poniamo tante condizioni alla misericordia che la svuotiamo di senso concreto e di significato reale, e quello è il modo peggiore di annacquare il Vangelo” (AL 311).
Papa Francesco confida nella “gioia dell’amore”. L’amore sa trovare la via. È la bussola che ci indica la strada. Esso è il traguardo e il cammino stesso, perché Dio è l’amore e perché l’amore è da Dio. Niente è così esigente come l’amore. Esso non si può avere a buon mercato. Per questo nessuno deve temere che Papa Francesco ci inviti, con “Amoris laetitia”, a un cammino troppo facile. Il cammino non è facile, ma è pieno di gioia!
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1482_Card_Schoenborn_Presentazione_Esortazione.html
Mons. Charles Chaput commenta Amoris laetitia
“Mentre scrivo questi pensieri”, dice Mons. Charles Chaput, “gli orientamenti diocesani per la comprensione e l’applicazione di Amoris Laetitia sono già in corso di elaborazione e saranno ampiamente diffusi nel prossimo mese una volta completati.” Chiude così il breve commento sull’esortazione post-sinodale che l’arcivescovo di Philadelphia (Usa) ha consegnato al portale della diocesi CatholicPhilly.com
Questo è un documento che “merita di essere letto attentamente e con riflessione. Inoltre deve essere valutato con attenzione alla luce dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II in Familiaris Consortio, la teologia del corpo, e gli altri documenti della Chiesa precedenti sul matrimonio e la famiglia.”
“Come il suo precedente testo Evangelii Gaudium, i pensieri post-sinodali sulla famiglia di Papa Francesco sono vividamente scritti e ricchi di insegnamento eccellente, offerto nel suo stile accattivante. Coloro che cercano un cambiamento nella dottrina cattolica sul matrimonio, il divorzio, la famiglia e la sessualità saranno delusi, come i titoli della stampa laica hanno già dimostrato.”
“In questo testo”, prosegue Chaput, “ogni lettore avrà i propri brani preferiti. Per me il cuore di Amoris Laetitia si trova nei capitoli 4-7. La riflessione estesa del Papa sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi è molto bella. I paragrafi nn. 178-181 sulla sterilità, adozione, affidamento e la vocazione della famiglia sono eccellenti. Così è il No. 187 sulla famiglia allargata. Il No. 193 sull’importanza della memoria storica ha un valore inestimabile, come lo sono i nn. 174-177 sul ruolo delle madri e dei padri. (…) I paragrafi n. 47 e 48 mostrano una sensibilità vera e propria per i bambini con bisogni speciali e verso gli anziani. Il No. 80 riafferma con forza il messaggio della Humanae vitae, così come il No. 83 ribadisce la sacralità di ogni vita umana. E nel No. 56, Francesco rifiuta chiaramente l’ideologia di genere e la confusione dell’identità sessuale che promuove.
“Il Capitolo 8 è una discussione sensibile sulla necessità di includere i divorziati risposati civilmente nella vita della Chiesa, e sulle cure appropriate per tutte le persone in unioni irregolari. Nella mia esperienza, è raro che un pastore cerchi deliberatamente di porre ostacoli a chiunque voglia cercare di vivere una buona vita cristiana. Allo stesso tempo, dobbiamo ricordare che l’insegnamento cattolico non è un “ideale” da raggiungere per pochi, ma un modo di vita che può e deve essere amato da tutti noi.
“Sarebbe un errore fraintendere lo spirito compassionevole di Amoris Laetitia come una licenza per ignorare la verità cristiana su questioni di sostanza – questioni che comprendono la dottrina cattolica sul matrimonio, e la disciplina della Chiesa nell’amministrazione dei sacramenti.”
http://sinodo2015.lanuovabq.it/mons-charles-chaput-commenta-amoris-laetitia/
Il presidente dei vescovi delle Filippine: “Subito la comunione ai divorziati risposati”
18 aprile 2016
Mah!pare che a dispetto della Verità portata da Cristo come disse alla peccatrice pentita và e non peccare più, ora sia di moda la fasulla misericordia senza pentimento e "senza conversione" di vita!E' talmente evidente che il vescovo di roma sta andando contro l'insegnamento di Cristo che non c'è altro da aggiungere!
RispondiEliminaAppare ormai evidente che estitono due chiese, La prima quella indefettibile di Cristo, la seconda quella marcia fino al midollo. La seconda chiesa miserabilista, comunista,e falsa . I primi di Gesù nella sofferenza e nel pianto, ma certi che alla fine Dio interverrà;la seconda ebbra di se stessa e convinta di essere riuscita nel colpo gobbo di ridurre tutte le" religioni" ad una sola pantheistica. Casa Santa Marxista sarà ormai presto abbandonata e la nuova dimora sarà al Pantheon, La residenza del Vaticano sarà data in comodato per cento anni tanto paghiamo noi ) ai mussulmani, induisti, luterani, buddisti, animisti, evangelici, anglicani, animalisti, agli adoratori delle scimmie, a quelli dei vermicelli e anche a quelli delle pantegane.E noi cattolici ? Nelle catacombe, nelle catacombe !!!!! jane
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