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Non è l’opera di Bergoglio a stupire e ferire tanti cattolici, ma la sconsolata constatazione che non c’è un solo pastore dotato di lucidità, coraggio e forza per dire la verità tutta intera pubblicamente ed efficacemente. Le deludenti dichiarazioni del Card. Burke e di Mons. Schneider.
Martedì 3 maggio 2016
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Cari amici,
uno punti comuni a tutte le vostre lettere sull’attuale situazione della Chiesa è la dolorosa constatazione di far parte di un piccolo gregge abbandonato dai pastori. Ed è significativo il fatto che queste riflessioni non riguardino tanto l’attuale Pontefice, venuto dalla fine del mondo e avviato verso la fine del mondo nelle sua folle guerra a Cristo e alla Chiesa cattolica. Il piccolo resto cattolico non si fa più illusioni sul vescovo di Roma, anzi ha imparato rapidamente a diffidarne e a difendersi dai colpi di flagello con cui batte quotidianamente il Corpo Mistico di Cristo. Non si scandalizza se, parlando di un simile fenomeno, si usano espressioni come “tizzone d’inferno” (cfr. Tex Willer per i fumettari e i Promessi sposi per gli intellettuali). Il piccolo resto non ha i fremiti clericali di certe anime belle foderate con polverose tappezzerie clericali di fine Ottocento intente a baloccarsi con il “rispetto e l’ossequio comunque dovuti al successore di Pietro” mentre lui, il “successore di Pietro”, continua a devastare, reprimere e opprimere.
Non è l’opera di Bergoglio a stupire e ferire tanti cattolici, ma la sconsolata constatazione che non c’è un solo pastore dotato di lucidità, coraggio e forza per dire la verità tutta intera pubblicamente ed efficacemente. Quel poco che è uscito a commento della nefasta Amoris laetitia, un vero e proprio atto di perversione della fede cattolica, non basta. I testi diffusi in queste settimane come manifesti della resistenza cattolica sono solo il povero mormorio timoroso e attenuato dai “se”, dai “ma” e dai “forse” di chi non vuole o non può parlare e, alla fine, abbandona il gregge.
Non c’è un vescovo, non c’è un cardinale che abbia fatto e abbia detto tutto intero ciò che privatamente, magari, si azzarda a pensare e a confidare. Eppure, qualche anima bella tappezzata alla clericale spiega ancora come e qualmente quei poveri vescovi e quei poveri cardinali non bisogna turbarli e criticarli perché “stanno preparando il dopo Bergoglio”. E poi, dice ancora l’anima bella, come si può essere così grezzi da non capire che vescovi e cardinali non possono permettersi di dire certe cose?
Non so voi, cari amici, ma arrivati a questa fase della discussione, io devo sempre compiere un discreto esercizio di autocontrollo perché anche alla bellezza di certe anime belle ci dovrebbe essere un limite. Però bisogna spiegarglielo con le buone maniere, altrimenti il soffio barbarico della realtà si porta via anche gli ultimi brandelli di tappezzeria.
Dunque, niente strappi, anzi proviamo ad assumere come ipotesi la teoria di queste belle anime. Ammettiamo per assurdoche i consacrati, dall’ultimo dei sacerdoti fino al primo dei principi della Chiesa, non possano permettersi di dire tutto quanto pensano circa la verità tradita e che questa regola diventi tanto più ferrea e cogente più si sale di grado.
Ma che cosa discende da una tale teoria? Che, mano a mano si progredisce nella gerarchia, si è sempre più costretti a cooperare con la menzogna e con il male. Magari qualcuno collabora illudendosi di farlo a fin di bene applicando la solita distorsione del concetto di “male minore”, ma altri pare di vedere che lo facciano per amore della carriera. E questo è ancora niente, perché l’esito finale di questa tesi è il seguente: se mano a mano si sale nella gerarchia si è sempre più costretti a tacere la verità e tollerare l’errore, tutto questo si troverà in sommo grado al vertice della scalata, in colui che occupa il trono di Pietro: per essere Papa, bisogna rovesciare completamente le scelte da cui si era partiti, bisogna abbracciare il falso e rigettare il vero.
Da questo punto di vista, Bergoglio, vertice di una chiesa invertita in cui l’errore ha preso il posto della verità, risulta il modello a cui tende ogni ecclesiastico che aspiri a salire i gradini gerarchici rinunciando a urlare la verità dai tetti. Ma è anche colui a cui le anime belle continuano a portare il “rispetto e l’ossequio comunque dovuti al successore di Pietro” rinunciando ipso facto a dire la verità. In tal modo, anche loro finiscono per imbavagliare il vero e privarlo della sua forza pur rimanendo ai piedi della piramide gerarchica, laddove, secondo la loro teoria, ci dovrebbe essere più libertà.
In questa chiave, diventano comprensibili gli interventi su Amoris laetitia del cardinale Raymond Leo Buke e di monsignor Athanasius Schneider, che hanno fatto sentire tanti cattolici ancora più soli. Ma poteva andare soltanto così. Per mettere veramente in discussione un sistema servono due condizioni: non appartenervi, o almeno essere pronti a perdere le posizioni che vi si occupano, e poi riconoscere, denunciare e rigettare la radice teorica su cui tale sistema si regge. Della prima condizione abbiamo appena parlato, mostrando che viene del tutto disattesa. La seconda si concretizza con l’impugnazione della carta costitutiva della neochiesa della Casa Comune, i documenti del Concilio Vaticano II. Ma tutti, invece, si affrettano a citare proprio i testi conciliari come fonte esclusiva per definire natura, forma e mezzi del sistema in cui operano, chiudendo anche teoricamente il circolo vizioso da cui non possono più uscire.
In virtù di tutto questo, il cardinale Burke, nell’intervento pubblicato dal National Catholic Register, articola il suo ragionamento sui seguenti punti, che hanno bisogno di essere commentati solo brevemente:
“I media laici e anche alcuni media cattolici stanno dipingendo la recente Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia “Sull’amore nella famiglia” come una rivoluzione nella Chiesa, come un radicale allontanamento dall’insegnamento e dalla prassi della Chiesa, sul matrimonio e la famiglia, così come trasmesso fino ad ora”.
Cari amici, qualcuno penserà che sono di parte, ma direi che non si può dare sempre e solo la colpa ai giornalisti. Secondo il cardinale, il problema non starebbe tanto nel testo e nella sua lettera, ma nell’interpretazione malevola e tendenziosa che ne viene data. Lo schema è quello ormai vecchio e triste applicato con insuccesso al Concilio Vaticano II, secondo cui esisterebbe una lettera buona e santa stravolta da uno “spirito del Concilio” cattivo e mondano. Dunque, per ripristinare l’ordine infranto, si tratterebbe soltanto di applicare la giusta ermeneutica, che, secondo il cardinale, è naturalmente quella della riforma nella continuità:
“In altre parole, l’Esortazione Apostolica post-sinodale può essere correttamente interpretata, in quanto documento non magisteriale, solamente usando la chiave del Magistero, come spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 85-87). La dottrina ufficiale della Chiesa infatti fornisce l’insostituibile chiave interpretativa dell’Esortazione Apostolica, di modo che possa veramente servire al bene di tutti fedeli, unendoli ancor più strettamente a Cristo, che è l’unica nostra salvezza”.
Ma il tentativo di negare il carattere magisteriale al documento bergogliano si mostra debole e perdente almeno su due fronti. Prima perché mette in discussione la forma invece che argomentare sul contenuto. Poi perché questa Chiesa, minata da una vera e propria crisi formale, ormai produce magistero secondo canoni e attraverso un linguaggio antitetici a quelli classici.Amoris laetitia ne è un esempio di scuola e, non a caso, è stata recepita universalmente come l’insegnamento autorevole di una nuova dottrina, quindi come neomagistero di una neochiesa che adotta una neolingua. E il cardinale Burke mostra di non aver compreso, o di non voler dire, che Bergoglio è l’incarnazione somma di tale mutamento. Tanto che scrive:
“Secondo l’insegnamento tradizionale, il Papa ha due ‘corpi’, uno in quanto membro individuale dei fedeli e perciò soggetto a mortalità e l’altro in qualità di Vicario di Cristo sulla Terra, e questo, secondo la promessa di Nostro Signore, perdurerà fino al suo ritorno nella gloria. Il primo corpo è il suo corpo mortale; il secondo è l’istituzione divina dell’Ufficio di San Pietro e dei suoi successori. I riti liturgici e gli abiti che rivestono il Papa sottolineano tale distinzione, cosicché una riflessione personale del Papa, mentre è ricevuta con il rispetto dovuto alla sua persona, non viene confusa con la fede vincolante dovuta all’esercizio del Magistero. Nell’esercizio del Magistero, il Romano Pontefice quale Vicario di Cristo agisce in una ininterrotta comunione con i suoi predecessori a partire da San Pietro”.
Ma, in questa Chiesa che ha mutato forma, la distinzione tra i due “corpi” del Papa ha invertito il significato dei concetti e la loro gerarchia. Cosicché, invece di rivestire il suo “corpo” mortale con quello istituzionale, l’attuale Pontefice al momento di insegnare la fede compie proprio l’operazione opposta: il “corpo” di Jorge Maria Bergoglio si sovrappone a quello di Francesco inteso come Vicario di Cristo. Un’operazione che si manifesta nei riti e negli abiti liturgici poveri, mondani e sciatti al punto da scomparire al cospetto dell’abito bianco sotto cui si intravedono gli abiti feriali. Gli uffici e la gerarchia delle funzioni sono invertite: chi insegna e pontifica non è più il Vicario di Cristo, ma il vescovo venuto dalla fine del mondo.
In tale quadro, l’unico rilievo sul contenuto mosso dal cardinale Burke ad Amoris laetitia è il seguente:
“Nel documento ci sono frequenti riferimenti all’“ideale” del matrimonio. Una tale descrizione del matrimonio può essere fuorviante. Può condurre il lettore a pensare al matrimonio come ad un’idea eterna, alla quale gli uomini e le donne debbano più o meno conformarsi nelle circostanze mutevoli. Ma il matrimonio cristiano non è un’idea; è un sacramento che conferisce la grazia a un uomo e una donna per vivere in un fedele, permanente e fecondo amore reciproco”.
Persino certe anime belle, nel segreto del circolino clericale dove Dio le vede e Bergoglio no, si sono dette deluse dall’intervento del cardinale. Ma si sono subito rinfrancate alla lettura di quello di monsignor Schneider, che hanno trovato “puntuale, equilibrato e, soprattutto, rispettoso”.
Forse un po’ troppo “rispettoso” se inizia così:
“L’Esortazione Apostolica ‘Amoris Laetitia’ (AL) pubblicata di recente, che contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca, purtroppo ha già in poco tempo provocato interpretazioni contraddittorie perfino nell’ambiente dell’episcopato.
Anche qui, pare che il problema stia solo nell’applicazione di una corretta ermeneutica perché Amoris laetitia, dice il vescovo ausiliare di Astana, “contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca”. Ci sono dunque degli interpreti malevoli che la vogliono snaturare. E chi viene indicato tra i principali ispiratori di tale operazione? Il cardinale Christoph Schönborn, vale a dire colui che il Pontefice ha scelto come divulgatore del suo pensiero per la conferenza stampa di presentazione del documento. Evidentemente, è difficile arrendersi alla realtà, se monsignor Schneider arriva a scrivere:
“La strada per le interpretazioni abusive sembra esser stata indicata dallo stesso Cardinale Christoph Schönborn il quale, durante la presentazione ufficiale di AL a Roma, aveva detto a proposito delle unioni irregolari: La grande gioia che mi procura questo documento risiede nel fatto che esso supera in modo coerente la divisione artificiosa, esteriore e netta fra ‘regolari’ ed ‘irregolari’. Una tale affermazione suggerisce l’idea che non vi sia una chiara differenza fra un matrimonio valido e sacramentale ed un’unione irregolare, fra peccato veniale e mortale”.
Proprio così: il cardinale designato dal Papa a illustrare la sua visione della famiglia, con un colpo di mano ne avrebbe tradito il vero significato. Ma, in questo caso, bisogna spiegare come mai, alla domanda dell’inviato del Wall Street Journal che chiedeva se Amoris laetitia comporta una modifica nella dottrina sulla comunione ai divorziati risposati, Bergoglio ha risposto:
“Io posso dire: Sì. Punto. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della congregazione per la dottrina della fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta”.
Quando si tratta di adesione all’errore, si sa che perseverare non è stupido, ma diabolico, e tanto dovrebbe bastare per capire quale sia l’ermeneutica di Amoris laetitia secondo il suo autore. E invece no, perché monsignor Schneider prosegue nell’elencare una serie di problemi che emergerebbero dal testo papale solo in virtù di una ermeneutica della discontinuità. Ma è il finale, che lascia senza fiato anche un cattolico con i polmoni da fondista:
“Considerando la confusione venutasi a creare tra sacerdoti e vescovi nella pratica sacramentale per quanto riguarda i divorziati risposati e l’interpretazione di AL, si può considerare legittimo un appello al nostro caro papa Francesco, il Vicario di Cristo e ‘il dolce Cristo in terra’ (Santa Caterina da Siena), affinché ordini la pubblicazione di una interpretazione autentica di AL, che dovrebbe necessariamente contenere una dichiarazione esplicita del principio disciplinare del Magistero universale e infallibile riguardo l’ammissione ai sacramenti dei divorziati-risposati, così come è formulato nel n. 84 della Familiaris consortio. (…) Una interpretazione autentica di AL da parte della Sede Apostolica porterebbe una gioia nella chiarezza (“claritatis laetitia”) per tutta la Chiesa. Tale chiarezza garantirebbe un amore nella gioia (“amoris laetitia”), un amore e una gioia che non sarebbero secondo la mente degli uomini, ma secondo la mente di Dio (cf. Mt 16, 23). Ed è questo ciò che conta per la gioia, la vita e la salvezza eterna dei divorziati-risposati e di tutti gli uomini”.
A parte il fatto che l’interpretazione autentica è già stata esibita in più di una sede, siamo così sicuri di avere bisogno che venga ribadita, magari in altre 263 pagine di neomagistero? Siamo così certi che un pronunciamento in proposito da parte di questa Sede Apostolica “porterebbe una gioia nella chiarezza (‘claritatis laetitia’) per tutta la Chiesa”?
Non so voi, cari amici, ma io ne faccio rispettosamente a meno.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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(3 – continua)
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Cari amici,
uno punti comuni a tutte le vostre lettere sull’attuale situazione della Chiesa è la dolorosa constatazione di far parte di un piccolo gregge abbandonato dai pastori. Ed è significativo il fatto che queste riflessioni non riguardino tanto l’attuale Pontefice, venuto dalla fine del mondo e avviato verso la fine del mondo nelle sua folle guerra a Cristo e alla Chiesa cattolica. Il piccolo resto cattolico non si fa più illusioni sul vescovo di Roma, anzi ha imparato rapidamente a diffidarne e a difendersi dai colpi di flagello con cui batte quotidianamente il Corpo Mistico di Cristo. Non si scandalizza se, parlando di un simile fenomeno, si usano espressioni come “tizzone d’inferno” (cfr. Tex Willer per i fumettari e i Promessi sposi per gli intellettuali). Il piccolo resto non ha i fremiti clericali di certe anime belle foderate con polverose tappezzerie clericali di fine Ottocento intente a baloccarsi con il “rispetto e l’ossequio comunque dovuti al successore di Pietro” mentre lui, il “successore di Pietro”, continua a devastare, reprimere e opprimere.
Non è l’opera di Bergoglio a stupire e ferire tanti cattolici, ma la sconsolata constatazione che non c’è un solo pastore dotato di lucidità, coraggio e forza per dire la verità tutta intera pubblicamente ed efficacemente. Quel poco che è uscito a commento della nefasta Amoris laetitia, un vero e proprio atto di perversione della fede cattolica, non basta. I testi diffusi in queste settimane come manifesti della resistenza cattolica sono solo il povero mormorio timoroso e attenuato dai “se”, dai “ma” e dai “forse” di chi non vuole o non può parlare e, alla fine, abbandona il gregge.
Non c’è un vescovo, non c’è un cardinale che abbia fatto e abbia detto tutto intero ciò che privatamente, magari, si azzarda a pensare e a confidare. Eppure, qualche anima bella tappezzata alla clericale spiega ancora come e qualmente quei poveri vescovi e quei poveri cardinali non bisogna turbarli e criticarli perché “stanno preparando il dopo Bergoglio”. E poi, dice ancora l’anima bella, come si può essere così grezzi da non capire che vescovi e cardinali non possono permettersi di dire certe cose?
Non so voi, cari amici, ma arrivati a questa fase della discussione, io devo sempre compiere un discreto esercizio di autocontrollo perché anche alla bellezza di certe anime belle ci dovrebbe essere un limite. Però bisogna spiegarglielo con le buone maniere, altrimenti il soffio barbarico della realtà si porta via anche gli ultimi brandelli di tappezzeria.
Dunque, niente strappi, anzi proviamo ad assumere come ipotesi la teoria di queste belle anime. Ammettiamo per assurdoche i consacrati, dall’ultimo dei sacerdoti fino al primo dei principi della Chiesa, non possano permettersi di dire tutto quanto pensano circa la verità tradita e che questa regola diventi tanto più ferrea e cogente più si sale di grado.
Ma che cosa discende da una tale teoria? Che, mano a mano si progredisce nella gerarchia, si è sempre più costretti a cooperare con la menzogna e con il male. Magari qualcuno collabora illudendosi di farlo a fin di bene applicando la solita distorsione del concetto di “male minore”, ma altri pare di vedere che lo facciano per amore della carriera. E questo è ancora niente, perché l’esito finale di questa tesi è il seguente: se mano a mano si sale nella gerarchia si è sempre più costretti a tacere la verità e tollerare l’errore, tutto questo si troverà in sommo grado al vertice della scalata, in colui che occupa il trono di Pietro: per essere Papa, bisogna rovesciare completamente le scelte da cui si era partiti, bisogna abbracciare il falso e rigettare il vero.
Da questo punto di vista, Bergoglio, vertice di una chiesa invertita in cui l’errore ha preso il posto della verità, risulta il modello a cui tende ogni ecclesiastico che aspiri a salire i gradini gerarchici rinunciando a urlare la verità dai tetti. Ma è anche colui a cui le anime belle continuano a portare il “rispetto e l’ossequio comunque dovuti al successore di Pietro” rinunciando ipso facto a dire la verità. In tal modo, anche loro finiscono per imbavagliare il vero e privarlo della sua forza pur rimanendo ai piedi della piramide gerarchica, laddove, secondo la loro teoria, ci dovrebbe essere più libertà.
In questa chiave, diventano comprensibili gli interventi su Amoris laetitia del cardinale Raymond Leo Buke e di monsignor Athanasius Schneider, che hanno fatto sentire tanti cattolici ancora più soli. Ma poteva andare soltanto così. Per mettere veramente in discussione un sistema servono due condizioni: non appartenervi, o almeno essere pronti a perdere le posizioni che vi si occupano, e poi riconoscere, denunciare e rigettare la radice teorica su cui tale sistema si regge. Della prima condizione abbiamo appena parlato, mostrando che viene del tutto disattesa. La seconda si concretizza con l’impugnazione della carta costitutiva della neochiesa della Casa Comune, i documenti del Concilio Vaticano II. Ma tutti, invece, si affrettano a citare proprio i testi conciliari come fonte esclusiva per definire natura, forma e mezzi del sistema in cui operano, chiudendo anche teoricamente il circolo vizioso da cui non possono più uscire.
In virtù di tutto questo, il cardinale Burke, nell’intervento pubblicato dal National Catholic Register, articola il suo ragionamento sui seguenti punti, che hanno bisogno di essere commentati solo brevemente:
“I media laici e anche alcuni media cattolici stanno dipingendo la recente Esortazione Apostolica Post-Sinodale Amoris Laetitia “Sull’amore nella famiglia” come una rivoluzione nella Chiesa, come un radicale allontanamento dall’insegnamento e dalla prassi della Chiesa, sul matrimonio e la famiglia, così come trasmesso fino ad ora”.
Cari amici, qualcuno penserà che sono di parte, ma direi che non si può dare sempre e solo la colpa ai giornalisti. Secondo il cardinale, il problema non starebbe tanto nel testo e nella sua lettera, ma nell’interpretazione malevola e tendenziosa che ne viene data. Lo schema è quello ormai vecchio e triste applicato con insuccesso al Concilio Vaticano II, secondo cui esisterebbe una lettera buona e santa stravolta da uno “spirito del Concilio” cattivo e mondano. Dunque, per ripristinare l’ordine infranto, si tratterebbe soltanto di applicare la giusta ermeneutica, che, secondo il cardinale, è naturalmente quella della riforma nella continuità:
“In altre parole, l’Esortazione Apostolica post-sinodale può essere correttamente interpretata, in quanto documento non magisteriale, solamente usando la chiave del Magistero, come spiegato nel Catechismo della Chiesa cattolica (nn. 85-87). La dottrina ufficiale della Chiesa infatti fornisce l’insostituibile chiave interpretativa dell’Esortazione Apostolica, di modo che possa veramente servire al bene di tutti fedeli, unendoli ancor più strettamente a Cristo, che è l’unica nostra salvezza”.
Ma il tentativo di negare il carattere magisteriale al documento bergogliano si mostra debole e perdente almeno su due fronti. Prima perché mette in discussione la forma invece che argomentare sul contenuto. Poi perché questa Chiesa, minata da una vera e propria crisi formale, ormai produce magistero secondo canoni e attraverso un linguaggio antitetici a quelli classici.Amoris laetitia ne è un esempio di scuola e, non a caso, è stata recepita universalmente come l’insegnamento autorevole di una nuova dottrina, quindi come neomagistero di una neochiesa che adotta una neolingua. E il cardinale Burke mostra di non aver compreso, o di non voler dire, che Bergoglio è l’incarnazione somma di tale mutamento. Tanto che scrive:
“Secondo l’insegnamento tradizionale, il Papa ha due ‘corpi’, uno in quanto membro individuale dei fedeli e perciò soggetto a mortalità e l’altro in qualità di Vicario di Cristo sulla Terra, e questo, secondo la promessa di Nostro Signore, perdurerà fino al suo ritorno nella gloria. Il primo corpo è il suo corpo mortale; il secondo è l’istituzione divina dell’Ufficio di San Pietro e dei suoi successori. I riti liturgici e gli abiti che rivestono il Papa sottolineano tale distinzione, cosicché una riflessione personale del Papa, mentre è ricevuta con il rispetto dovuto alla sua persona, non viene confusa con la fede vincolante dovuta all’esercizio del Magistero. Nell’esercizio del Magistero, il Romano Pontefice quale Vicario di Cristo agisce in una ininterrotta comunione con i suoi predecessori a partire da San Pietro”.
Ma, in questa Chiesa che ha mutato forma, la distinzione tra i due “corpi” del Papa ha invertito il significato dei concetti e la loro gerarchia. Cosicché, invece di rivestire il suo “corpo” mortale con quello istituzionale, l’attuale Pontefice al momento di insegnare la fede compie proprio l’operazione opposta: il “corpo” di Jorge Maria Bergoglio si sovrappone a quello di Francesco inteso come Vicario di Cristo. Un’operazione che si manifesta nei riti e negli abiti liturgici poveri, mondani e sciatti al punto da scomparire al cospetto dell’abito bianco sotto cui si intravedono gli abiti feriali. Gli uffici e la gerarchia delle funzioni sono invertite: chi insegna e pontifica non è più il Vicario di Cristo, ma il vescovo venuto dalla fine del mondo.
In tale quadro, l’unico rilievo sul contenuto mosso dal cardinale Burke ad Amoris laetitia è il seguente:
“Nel documento ci sono frequenti riferimenti all’“ideale” del matrimonio. Una tale descrizione del matrimonio può essere fuorviante. Può condurre il lettore a pensare al matrimonio come ad un’idea eterna, alla quale gli uomini e le donne debbano più o meno conformarsi nelle circostanze mutevoli. Ma il matrimonio cristiano non è un’idea; è un sacramento che conferisce la grazia a un uomo e una donna per vivere in un fedele, permanente e fecondo amore reciproco”.
Persino certe anime belle, nel segreto del circolino clericale dove Dio le vede e Bergoglio no, si sono dette deluse dall’intervento del cardinale. Ma si sono subito rinfrancate alla lettura di quello di monsignor Schneider, che hanno trovato “puntuale, equilibrato e, soprattutto, rispettoso”.
Forse un po’ troppo “rispettoso” se inizia così:
“L’Esortazione Apostolica ‘Amoris Laetitia’ (AL) pubblicata di recente, che contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca, purtroppo ha già in poco tempo provocato interpretazioni contraddittorie perfino nell’ambiente dell’episcopato.
Anche qui, pare che il problema stia solo nell’applicazione di una corretta ermeneutica perché Amoris laetitia, dice il vescovo ausiliare di Astana, “contiene una grande ricchezza spirituale e pastorale per la vita nel matrimonio e nella famiglia cristiana della nostra epoca”. Ci sono dunque degli interpreti malevoli che la vogliono snaturare. E chi viene indicato tra i principali ispiratori di tale operazione? Il cardinale Christoph Schönborn, vale a dire colui che il Pontefice ha scelto come divulgatore del suo pensiero per la conferenza stampa di presentazione del documento. Evidentemente, è difficile arrendersi alla realtà, se monsignor Schneider arriva a scrivere:
“La strada per le interpretazioni abusive sembra esser stata indicata dallo stesso Cardinale Christoph Schönborn il quale, durante la presentazione ufficiale di AL a Roma, aveva detto a proposito delle unioni irregolari: La grande gioia che mi procura questo documento risiede nel fatto che esso supera in modo coerente la divisione artificiosa, esteriore e netta fra ‘regolari’ ed ‘irregolari’. Una tale affermazione suggerisce l’idea che non vi sia una chiara differenza fra un matrimonio valido e sacramentale ed un’unione irregolare, fra peccato veniale e mortale”.
Proprio così: il cardinale designato dal Papa a illustrare la sua visione della famiglia, con un colpo di mano ne avrebbe tradito il vero significato. Ma, in questo caso, bisogna spiegare come mai, alla domanda dell’inviato del Wall Street Journal che chiedeva se Amoris laetitia comporta una modifica nella dottrina sulla comunione ai divorziati risposati, Bergoglio ha risposto:
“Io posso dire: Sì. Punto. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della congregazione per la dottrina della fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta”.
Quando si tratta di adesione all’errore, si sa che perseverare non è stupido, ma diabolico, e tanto dovrebbe bastare per capire quale sia l’ermeneutica di Amoris laetitia secondo il suo autore. E invece no, perché monsignor Schneider prosegue nell’elencare una serie di problemi che emergerebbero dal testo papale solo in virtù di una ermeneutica della discontinuità. Ma è il finale, che lascia senza fiato anche un cattolico con i polmoni da fondista:
“Considerando la confusione venutasi a creare tra sacerdoti e vescovi nella pratica sacramentale per quanto riguarda i divorziati risposati e l’interpretazione di AL, si può considerare legittimo un appello al nostro caro papa Francesco, il Vicario di Cristo e ‘il dolce Cristo in terra’ (Santa Caterina da Siena), affinché ordini la pubblicazione di una interpretazione autentica di AL, che dovrebbe necessariamente contenere una dichiarazione esplicita del principio disciplinare del Magistero universale e infallibile riguardo l’ammissione ai sacramenti dei divorziati-risposati, così come è formulato nel n. 84 della Familiaris consortio. (…) Una interpretazione autentica di AL da parte della Sede Apostolica porterebbe una gioia nella chiarezza (“claritatis laetitia”) per tutta la Chiesa. Tale chiarezza garantirebbe un amore nella gioia (“amoris laetitia”), un amore e una gioia che non sarebbero secondo la mente degli uomini, ma secondo la mente di Dio (cf. Mt 16, 23). Ed è questo ciò che conta per la gioia, la vita e la salvezza eterna dei divorziati-risposati e di tutti gli uomini”.
A parte il fatto che l’interpretazione autentica è già stata esibita in più di una sede, siamo così sicuri di avere bisogno che venga ribadita, magari in altre 263 pagine di neomagistero? Siamo così certi che un pronunciamento in proposito da parte di questa Sede Apostolica “porterebbe una gioia nella chiarezza (‘claritatis laetitia’) per tutta la Chiesa”?
Non so voi, cari amici, ma io ne faccio rispettosamente a meno.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
.
(3 – continua)
“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi
Sono arrivate ancora diverse lettere in cui si parla non solo dell’Amoris Laetitia, ma anche del senso di abbandono che opprime tanti fedeli che, smarriti dal contenuto della “Esortazione post-sinodale”, non riescono a trovare guide sicure tra i pastori della Chiesa. Oggi si parla di questo e settimana prossima si affronterà un argomento che inevitabilmente è correlato: la situazione della Fraternità San Pio X dopo le recenti “aperture” di Bergoglio. Infine cercheremo di dare una risposta alla domanda che, in questa drammatica contingenza, non può non scaturire: che fare?
Le parti precedenti sono state pubblicate il 13 aprile (clicca qui) e il 22 aprile (clicca qui)
PD
Le parti precedenti sono state pubblicate il 13 aprile (clicca qui) e il 22 aprile (clicca qui)
PD
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