La giustificazione,
Lutero, il Sinodo
sulla famiglia
Con l’approssimarsi delle commemorazioni per il quinto centenario
delle 95 tesi affisse da Martin Lutero, è tornato d’attualità il tema
della “giustificazione”, centrale per comprendere la divisione tra
cattolici e luterani. Il tema è stato toccato dapprima dal papa emerito
Benedetto XVI, con una intervista in occasione di un convegno proprio su
questo argomento, e poi da papa Francesco in una risposta durante la
tradizionale conferenza stampa in aereo di ritorno dall’Armenia, il 26
giugno scorso. Abbiamo perciò cercato di approfondire i termini esatti
della questione, intervistando monsignor Antonio Livi, professore
emerito di Filosofia della conoscenza nella Pontificia Università
Lateranense, studioso di fama internazionale, autore di numerose
pubblicazioni, tra cui Vera e falsa teologia. Come distinguere l’autentica “scienza della fede” da un ‘equivoca filosofia religiosa”, Casa editrice Leonardo da Vinci, 2012.
Monsignore, la dottrina della giustificazione che rilievo ha in seno alla fede cattolica?
«Si tratta della grazia santificante, l’azione gratuita e
misericordiosa di Dio che redime dal peccato originale e consente il
progresso della vita cristiana. Il termine “giustificazione” è biblico,
perché nella Scrittura “giusto” vuol dire “santo”: l’uomo giusto è colui
che si pone nella giusta posizione davanti a Dio, adorandolo per la sua
Maestà divina e immensa Bontà, implorando da Lui la salvezza propria e
altrui, ringraziandolo per tutti i suoi benefici e obbedendo
gioiosamente ai suoi comandamenti, che sono la vera via della felicità. E
Dio può e vuole “giustificare” con la sua grazia l’uomo, redimendolo
dal peccato originale, restituendogli l’innocenza perduta con il peccato
personale (e in tal modo conservandolo nell’amicizia con Dio stesso).
La grazia santificante si chiama per questo gratia gratum faciens,
nel senso che rende l’uomo giusto e dunque gradito a Dio (perché Dio,
come ripete incessantemente la Scrittura, non tollera il peccato: ama
l’uomo peccatore, ma proprio perché lo ama lo vuole liberare dal
peccato, che è l’unico ostacolo per la sua felicità temporale ed
eterna). Secondo la dottrina cattolica, l’anima del peccatore che
diventa giusto passa dallo stato di inimicizia con Dio allo stato
d’amicizia: la “giustificazione” è dunque un passaggio dallo stato di
peccato a quello di grazia. Come definisce il Concilio di Trento, “la
giustificazione del peccatore è il passaggio da quello stato in cui
l’uomo nasce figlio del primo Adamo allo stato di grazia e di adozione
dei figli di Dio [Rm 8, 15] per mezzo del secondo Adamo Gesù Cristo
Salvatore nostro” (Decreto sulla giustificazione). L’uomo rinnovato,
risanato quindi ed elevato all’ordine soprannaturale, riacquista la
realtà dell’amicizia con Dio, è mondato ed elevato anche perché possa in
questa vita accedere degnamente al sommo sacramento, l’Eucarestia, ove
si unisce con Gesù Cristo stesso, anticipando già in questa vita
l’unione perfetta con Dio nella gloria.»
Centrale, infatti, è la consapevolezza, acutamente precisata
da sant’Antonio nei suo Sermoni, che il “giusto” è “colui che accusa se
stesso”. Tale dottrina coincide con quanto affermano anche i
protestanti?
«Che cosa affermino oggi i protestanti non è facile dirlo, perché in
quel campo non c’è un vero e proprio magistero, come non c’è una
dottrina teologica riconosciuta da tutte le varie comunità “riformate” o
“evangeliche”, le quali non si riconoscono nemmeno in un’unica
interpretazione del pensiero del Riformatore. Se però ci si riferisce a
quelle che sono state le tesi di Martin Lutero, si deve dire che con la
sua “riforma” la dottrina cattolica sulla grazia santificante ne è
risultata stravolta e rinnegata nella sua verità più profonda ed
essenziale. Lutero, innanzitutto, ha creduto di poter dedurre dalla
Lettera ai Romani una concezione della fede come fides fiducialis,
ossia come mera fiducia nei meriti di Cristo redentore, la cui grazia
non renderebbe giusto il peccatore ma si limiterebbe a “coprirne” i
peccati, non imputandoglieli e sottraendolo così al giusto castigo
divino».
Ma non si tratta di una palese contraddizione?
«Per questo Lutero immagina che il cristiano sia allo stesso tempo peccatore e giustificato («homo simul iustus et peccator»).
Insomma, colui al quale sono imputati i meriti di Cristo - e che
sarebbe quindi un “giusto” - non per questo è rinnovato dalla grazia
santificante, non è un “homo novus”, ma è una “carogna” (il
termine è dello stesso Lutero) avvolta dal manto immacolato dei meriti
di Cristo; egli quindi, senza abbandonare il suo peccato, può essere un
giustificato. In questa prospettiva non c’è più spazio per la dottrina
spirituale cattolica che esige da ogni fedele l’impegno ascetico, in
modo che, sostenuto dalle “grazie attuali”, egli abbia sempre la
disponibilità alle rinunce e ai sacrifici, ossia a quella “lotta
interiore” che serve a evitare il peccato o a emendarsene. La concezione
di una radicale corruzione dell’uomo dopo il peccato originale ha
portato Lutero alla teorizzazione di una salvezza “sola fide”,
una “fede” la cui nozione - che ha oggi invaso il mondo cattolico - è
falsa, perché non è la fede dogmatica, per cui è essenziale l’adesione
ai contenuti della Rivelazione, ma la fede-fiduciale in cui quel che
conta è l’aspetto per così dire “sentimentale”. Quindi, dice Lutero,
“pecca fortemente, ma credi ancor più fortemente” (“pecca fortiter, sed crede fortius”),
ovvero quanto più l’uomo continua a peccare tanto più dimostra la
propria assoluta fiducia nei meriti di Cristo, che hanno il potere
divino di salvare indipendentemente dal libero arbitrio del credente.
Quel che è peggio è che, in questa concezione luterana della
giustificazione, i mezzi stabiliti da Dio per concedere la sua grazia,
che sono i Sacramenti di Cristo, vengono privati a uno a uno del loro
significato propriamente teologico, e alla fine vengono del tutto
aboliti, salvo (apparentemente) il Battesimo. Data la gravità di queste
interpretazioni eretiche, disastrose per la salvezza delle anime secondo
il progetto misericordioso di Dio, la Chiesa ha dovuto condannare come
eretica la dottrina luterana sulla giustificazione, e lo ha fatto con
precisi e inequivocabili “canoni” o “anatematismi” nel Concilio di
Trento (Sessione VI, 13 gennaio 1547)».
C'è stato un riavvicinamento tra le due posizioni nei tempi recenti?
«Premetto che di “due posizioni” non si può parlare. Infatti, la
posizione della Chiesa cattolica - che ha un Magistero e una dottrina
ben definita, fissata in formule dogmatiche - non si può in alcun modo
confrontare con la miriade di varianti interpretative e di sviluppi
teoretici delle idee di Lutero, visto che la proliferazione di
denominazioni nell’ambito della Riforma, rendono praticamente
impossibile individuare una dottrina comune. Ciò nonostante, c’è stata
una serie di tentativi di dialogo interreligioso, nell’ambito della
quale una commissione di teologi cattolici (designati dalla Santa Sede)
ha discusso con una commissione di teologi luterani (designati dalle
diverse autorità religiose di ispirazione luterana) la possibilità di
trovare dei punti d’incontro tra il dogma cattolico e quello che tale
commissione ritiene possa dirsi oggi la dottrina di Lutero. Ma tale
convegno di studio, animato da intenzioni più politiche che
scientifiche, ha elaborato un documento finale (pubblicato il 31 ottobre
1997) nel quale, con discorsi estremamente ambigui, i luterani hanno
presentato gli sviluppi della loro dottrina sulla giustificazione in
modo che non assomigli più a ciò che il Concilio di Trento aveva
condannato, e i cattolici hanno fatto finta di credere che così non ci
sono più divergenze dottrinali tra la Chiesa e le comunità nate dalla
Riforma. La stessa Santa Sede (con un documento congiunto della
Congregazione per la dottrina della fede e del Segretariato per l’unità
dei cristiani) ha negato che le conclusioni raggiunte nel convegno di
studi abbiano risolto alcun problema (cfr la Risposta della Chiesa
Cattolica alla dichiarazione congiunta tra la Chiesa Cattolica e la
Federazione luterana mondiale circa la dottrina della giustificazione,
25 giugno 1998). Per arrivare a dire che la Chiesa ha finalmente
riconosciuto che Lutero aveva ragione e che essa ha sbagliato (perché
avrebbe interpretato male le tesi del Riformatore o perché era ancora
legata a una teologia tomista che oggi sarebbe superata) bisognerebbe
che ciò fosse affermato formalmente, non da una qualsiasi commissione di
teologi, ma da un Concilio ecumenico a carattere esplicitamente
dogmatico che abolisse gli “anatematismi” del Concilio di Trento. Ma
questo è proprio impossibile. Anche quando c’è una riforma nella
Chiesa, essa non riguarda mai il dogma, ossia ciò che è stato “definito”
semel pro semper ed è quindi irreformabile: riguarda piuttosto
aspetti riformabili (accidentali) della dottrina, della morale e della
prassi pastorale, e anche in questi ambiti una riforma promossa dal
Magistero va interpretata – lo ha spiegato bene papa Benedetto XV – come
“riforma nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”. E il
“soggetto-Chiesa”, aggiungo io, è Gesù in Persona, il quale è l’unico
Maestro e non può smentire se stesso, perché la proclamazione della sua
verità salvifica ha delle esigenze assolute, infinitamente superiori a
ogni esigenza relativa, diplomatica o pastorale, presente nel “dialogo
interreligioso”!».
Le correnti teologiche oggi più influenti sono in grado di
ben armonizzare tra loro temi come la grazia e la natura, la salvezza e
la perdizione, il divino e l’umano?
«Se si guarda al panorama della teologia attuale in termini di
sociologia della cultura e di sociologia religiosa, non possiamo non
constatare che quella “dittatura del relativismo” che Benedetto XVI
tanto deprecava e dalla quale voleva liberare la Chiesa è oggi più
opprimente che mai. E parte di questa dittatura è proprio l’egemonia
politico-ecclesiastica della teologia di ispirazione luterana, la quale
ha tra i suoi rappresentanti più influenti, tra gli accademici, Karl
Rahner e Hans Küng, e tra i cardinali di Curia Walter Kasper. Questa
teologia ripropone sostanzialmente la tesi fideistica sulla
giustificazione, e quindi mette in ombra il ruolo primario dei
sacramenti della grazia santificante, a cominciare dalla Penitenza e
dall’Eucaristia».
Questa teologia ha influenzato anche il Sinodo sulla famiglia?
«Anche il dibattito nei due Sinodi sulla famiglia a proposito dello
“stato di peccato”, in cui versano i battezzati che hanno mancato alla
fedeltà coniugale e hanno instaurato una convivenza adulterina, ha messo
in evidenza come questa mentalità abbia reso molti padri sinodali
insensibili alla necessità della riconciliazione di quelle persone con
Dio e con la Chiesa mediante il sacramento della Penitenza, che
conferisce la grazia di Cristo a condizione che il penitente eserciti il
suo libero arbitrio con gli “atti” che il rito cattolico da sempre
prescrive (anche dopo la riforma liturgica di Paolo VI), ossia l’esame
di coscienza, il pentimento sincero ed efficace, l’accusa dei peccati
con il proponimento di non più commetterli, la “soddisfazione” o
riparazione. Ottenuta dal ministro sacro – che è proprio, per esplicito
mandato di Cristo, giudice delle debite disposizioni del penitente -
l’assoluzione sacramentale, il fedele è nelle condizioni di poter
accedere al sacramento dell’Eucaristia, che è molto più di un mero
simbolo della presenza spirituale di Cristo nella comunità orante, ma è,
in virtù della transustanziazione, la possibilità di un incontro
personale con Gesù presente fisicamente («in corpo, sangue, anima e
divinità») sotto le apparenze del pane e del vino. È il dogma della
“presenza reale” – che Lutero disconosce espressamente e i filo-luterani
di oggi tendono a sottovalutare o addirittura a relegare tra le inutili
astruserie – ciò che deve sollecitare gli operatori della pastorale dei
“divorziati risposati” ad adoperarsi, in spirito di autentica
misericordia, perché queste persone possano accedere alla Comunione
eucaristica con le debite disposizioni, ossia già riconciliati e in
“stato di grazia”, evitando di profanare il corpo e il sangue del
Signore e di tramutare così in “motivo di condanna” ciò che Dio ha
disposto per la loro salvezza e santificazione (si veda Dogma e pastorale. L’ermeneutica del Magistero dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, a cura di Antonio Livi, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2016)».
20-07-2016
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-giustificazionelutero-il-sinodosulla-famiglia-16822.htm
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