Santità, nel Confessionale non ci si tappa la bocca
Parole del Papa Francesco alla Porziuncola:
“Invito i Frati, i Vescovi ad andare nei confessionali – anche io ci andrò – per essere a disposizione del perdono. Ci farà bene riceverlo oggi, qui, insieme. Che il Signore ci dia la grazia di dire quella parola che il Padre non ci lascia finire, quella che ha detto il figliol prodigo: “Padre ho peccato contro…”, e [il Padre] gli ha tappato la bocca, lo ha abbracciato. Noi incominciamo a parlare, e Lui ci tapperà la bocca e ci rivestirà… “Ma, padre, domani ho paura di fare lo stesso…”. Ma torna! Il Padre sempre guarda la strada, guarda, in attesa che torni il figliol prodigo; e tutti noi lo siamo. Che il Signore ci dia questa grazia.” (4 agosto 2016, vedi qui)
È tutto molto bello e celestiale ma… il Confessionale è un passaggio obbligatorio per ricevere la Misericordia di Dio e il prete non è il “Padre Nostro”, è colui che, mandato dal Signore Gesù in Sua vece (non in Sua assenza, non lo sostituisce) esercita la Sua autorità di perdonare, assolvere, ma il prete non ha la palla di vetro e non conosce i nostri peccati. Ha quindi bisogno di sapere di che cosa ci accusiamo, anche per comprendere la gravità di un peccato, o se si tratta di solo peccato veniale, se è il caso di avviare un cammino, un percorso di penitenza, o se bastano piccole penitenze.
Dal latino “confessus”, il confiteri significa letteralmente«dichiarare spontaneamente, confessare, parlare, dire il vero…» e scaturisce da un comando di Gesù (Gv 20,21-23). Possiamo citare anche il Vangelo di Matteo: “In verità vi dico che tutto ciò che voi legherete sulla terra, sarà legato anche in cielo e tutto ciò che voi scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in cielo.” (18,18)
L’assoluzione non è automatica, ci sono casi in cui questa non può essere data, e il confessionale non è come timbrare un cartellino per far vedere che c’è stata la nostra presenza. Bisogna “confessarsi” appunto, non dialogare con il prete. Senza dubbio che il “Padre Nostro” può “tappare la bocca” a chiunque, a noi, anche al prete, anche a un Papa, ma se ha dato il mandato ad esercitare questa missione, c’è anche bisogno che il prete sappia di quali peccati il penitente si accusa, così come il peccatore deve sapere e capire la gravità dei propri peccati, anche per assumersi la responsabilità.
La confessione dei peccati è strettamente legato alla “penitenza”, per questo si chiama anche Sacramento della Penitenza, ma se non diciamo questi peccati quali sono, di quale penitenza si può parlare? E se il prete non viene a conoscenza dei peccati, della loro gravità o meno, in base a cosa potrà dare la giusta penitenza, giacché la pena deve corrispondere al grado di peccato commesso? Lo dice il Catechismo!
1450 « La penitenza induce il peccatore a sopportare di buon animo ogni sofferenza; nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere tutta l’umiltà e la feconda soddisfazione».
1455 La confessione dei peccati (l’accusa), anche da un punto di vista semplicemente umano, ci libera e facilita la nostra riconciliazione con gli altri. Con l’accusa, l’uomo guarda in faccia i peccati di cui si è reso colpevole; se ne assume la responsabilitàe, in tal modo, si apre nuovamente a Dio e alla comunione della Chiesa al fine di rendere possibile un nuovo avvenire.
1456 La confessione al sacerdote costituisce una parte essenziale del sacramento della Penitenza: « È necessario che i penitenti enumerino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se si tratta dei peccati più nascosti e commessi soltanto contro i due ultimi comandamenti del Decalogo, perché spesso feriscono più gravemente l’anima e si rivelano più pericolosi di quelli chiaramente commessi »
«I cristiani [che] si sforzano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza dubbio li mettono tutti davanti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e tacciono consapevolmente qualche peccato, è come se non sottoponessero nulla alla divina bontà perché sia perdonato per mezzo del sacerdote. “Se infatti l’ammalato si vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non può curare quello che non conosce”».
Ci fermiamo qui e ci chiediamo: come può un Papa insegnare il contrario di ciò che insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica? Abbiamo capito male noi, o si è spiegato male lui? Nel lecito dubbio, noi consigliamo di NON TACERE nel confessionale, non tacete! Il Papa si sarà espresso male… e ciò che dice deve essere letto alla luce del Catechismo, non il contrario, perché neppure un Papa è superiore alla Chiesa.
La parabola del figliol prodigo non è un invito a tacere nel confessionale, ma un invito ad agire come il figlio che, pentito, torna al Padre. Il Padre “tacerà” nel momento in cui egli confesserà i suoi peccati per ASCOLTARLO e perdonarlo, assolverlo; il Padre tace nel senso che il prete mandato da Lui lo ascolta, non lo rimprovera. E se per i peccati veniali non c’è l’obbligo della confessione soprattutto perché li dimentichiamo, anche se la Chiesa raccomanda l’esame della coscienza proprio per cercare di ricordarli quanti più è possibile, è invece obbligatorio dire quelli mortali, altrimenti c’è anche il rischio di invalidare quella assoluzione e di commettere persino un sacrilegio, se volutamente taciuti. Per l’occasione consigliamo a tutti questo opuscolo scaricabile gratuitamente, vedi qui.
“La confessione è integra e valida quando vengono accusati tutti i peccati gravi. L’integrità dell’accusa dei peccati viene richiesta dalla natura stessa del Sacramento… va notato che Gesù non ha detto semplicemente: “Perdonate i peccati”, ma ha disgiunto la sua affermazione dicendo: “a chi perdonerete i peccati saranno rimessi, a chi non li perdonerete non saranno perdonati”. In altre parole il Signore chiede a coloro ai quali ha conferito questo potere di esaminare quali siano i peccati, se vi sia il pentimento e se vi sia la volontà di porvi rimedio…” (Padre Angelo Bellon OP, vedi qui). Nessun sacerdote può re-inventare i Sacramenti.
Ammonisce San Giovanni Paolo II:
“Poiché il fedele è tenuto all’obbligo di confessare secondo la specie e il numero tutti i peccati gravi commessi dopo il Battesimo e non ancora direttamente rimessi mediante il potere delle chiavi della Chiesa, né accusati nella confessione individuale, dei quali abbia coscienza dopo un diligente esame, va riprovato qualsiasi uso che limiti la confessione ad un’accusa generica o soltanto di uno o più peccati ritenuti più significativi. D’altra parte, e tenendo conto della chiamata di tutti i fedeli alla santità, si raccomanda loro di confessare anche i peccati veniali…” (Motu Proprio Misericordia Dei 7 aprile 2002).
Non accusateci, allora, di fare le “pulci al Papa”. Laddove il dubbio di aver capito male noi è lecito, è lecito anche chiarire che i peccati vanno confessati e non taciuti. Del resto non è il primo discorso, su questo argomento della confessione che Papa Francesco fa, lasciando nell’ambiguità chi ascolta, vedi qui, e qui. Altrimenti ci può venire il sospetto che l’assurda affermazione di mons. Galantino (segretario della Cei, non un prete qualsiasi) che davanti a migliaia di giovani ha detto che Sodoma non fu distrutta, vedi qui, non è stata ignoranza o un incidente, ma parte di un progetto della nuova chiesa di riscrivere la Bibbia… tanto è vero che nessun prelato lo ha ancora corretto pubblicamente per rimuovere lo scandalo dato.
Negli anni ’70 girava su Pedro Arrupe, generale della Compagnia di Gesù, di cui Bergoglio era allievo, una battuta davvero infelice: «Scegliete un gesuita come confessore, perché vi metterà sempre i cuscini sotto i gomiti», una coincidenza?
Le bugie
Un giorno, un signore disse a Padre Pio. “Padre, dico bugie quando sono in compagnia, tanto per tenere in allegria gli amici”. E Padre Pio rispose: “Eh, vuoi andare all’inferno scherzando?!”.
Mancare all’Eucarestia
Un giovane medico, agli inizi degli anni ’50, andò a confessarsi da Padre Pio. Fece l’accusa dei suoi peccati e rimase in silenzio. Padre Pio chiese se avesse altro da aggiungere ma il medico risposte negativamente. Allora Padre Pio disse al medico: “Ricordati che nei giorni festivi non si può mancare neanche ad una sola Messa, perché è peccato mortale”.A quel punto il giovane ricordò di avere “saltato” un appuntamento domenicale con la Messa, qualche mese prima, e ringraziò il padre per averglielo ricordato.
Un confratello raccontava: «Un giorno padre Pio negò l’assoluzione ad un penitente e poi gli disse: “Se vai a confessarti da un altro, vai all’inferno tu e quell’altro che ti da l’assoluzione”», come a dire, senza l’accusa dei propri peccati con il proposito di cambiare vita, si profana il Sacramento e chi lo fa si rende colpevole davanti a Dio.
Spesso infatti Padre Pio trattava i fedeli con “apparente durezza”, non metteva “cuscini sotto i gomiti”, ma è altrettanto vero che lo stravolgimento spirituale che quel “rimprovero” procurava alle anime dei penitenti, si trasformava in una forza interiore a ritornare da Padre Pio, contriti, per riceverne la definitiva e vera assoluzione.
Il sasso sul cuore dei credenti, costituito dalle sempre più incredibili esternazioni (sparate) di questo papa, aumenta di peso pensando anche al suo operato pastorale come arcivescovo di Buenos Aires: quante volte avrà dato direttive perché i suoi preti licenziassero i confessandi senza che facessero l'accusa dei peccati? Quante volte avrà detto loro di esortare i richiedenti le nozze di andare prima a convivere, in caso di bimbo già in arrivo, 'perché se no non c'è libertà di scegliere il matrimonio'?
RispondiEliminaE quante volte lui stesso, direttamente, si sarà comportato così, facendosi scudo ed elmo del motto "La Legge sono IO" ?
A parte che questo tizio biancovestito, di origine italiana, madrelingua spagnolo che non è slavo ecclesiastico, ma parla un idioma italianeggiante di uno sgangherato cosmico, è gesuita ma pare più ignorante d'una fava. Ma vattene via, Badoglio malefico!
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