L’AVVENIRE DELLA CHIESA
Dopo aver recitato una preghiera a pro’ dei due omosessuali ufficialmente registrati eppur “credenti cattolici”, che simmetricamente ricordano l’altrettanto sodomita più famoso, Nicola Vendola, che si picca di definirsi anch’egli “cattolico”, riprendiamo il filo del nostro commento alla corrispondenza del dr. Marco Tarquinio, Direttore di “Avvenire” a trazione e a targa CEI.
Ricordiamo che il tema su cui verte l’intero nostro intervento riguarda l’omosessualità, la “pastorale” che di essa vien insegnata e, in particolare, il pellegrinaggio, a Lourdes, di due sodomiti quale rendimento di grazie per essere, costoro, riusciti a convivere “felicemente” per oltre cinquant’anni. Un primato.
Ma vediamo:
Allo scopo di conferire forza e vigore al divieto di giudicare, dopo aver scaltramente tirato fuori dal repertorio delle citazioni Mt. 7, 11 tralasciando, però, l’altro Mt. 18, 6 riferito allo scandalo, Tarquinio sfodera il “celebre” interrogativo di Bergoglio lanciato da/in alta quota – la condizione migliore per le “uscite” papali – che tanto inevitabile scalpore ed imbarazzo ha suscitato nella coscienza della comunità cattolica.
Cogliamo, con questo riferimento, l’occasione per esplicitare una nostra riflessione che speriamo sia condivisa dai lettori.
Essere omosessuali è condizione derivante o per geneticità o per vizio. Nella prima, data come fenomeno di trascurabile percentuale, tràttasi di soggetto che vive una tensione comportamentale, affettiva e psicologica contraria alla propria fisicità – gay se uomo, lesbica se donna – che, a rigor di dottrina, non viene imputata a colpa, mentre nella seconda è palese che, stante una mutazione causata da perversa condotta, si pone una connotazione di colpevolezza tanto più che, in siffatto soggetto, la pratica omosessuale diventa volontaria e costante pratica e, perciò di gravissima reità.
Nella prima condizione può avvenire: o che tale tensione, guidata da un cosciente rispetto della legge di Dio e, perciò, contenuta da un viver casto ed esemplare in termini di rapporti sociali, porti al merito della sofferenza o che, diversamente, lasciata libera divenga condotta peccaminosa. Il CCC, al canone 2359, così recita: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.
Comando che, trasferito alle persone eterosessuali, vale altrettale obbligo di vita pura e casta.
Nella seconda condizione si ha una vita vissuta nella dissolutezza di azioni e comportamenti “intrinsecamente disordinati e contrarî alla legge di natura” (CCC canone 2537) di cui è nota la condanna comminata dal Signore a Sodoma e Gomorra (Gen. 1, 29), chiaro il comandamento che ne vieta la pratica (Lv. 18, 22 – 20, 13) ed esplicito l’ammonimento dell’Apostolo (I Cor. 6, 9/11), dal che si vede come l’omosessualità sia condizione spregevole solo e soltanto se fatta stile e regola di vita trasgressiva.
Il “celebre” interrogativo di Papa Bergoglio, lanciato così in maniera diluita e generica nonché privo di ricognizione dottrinaria, si attiene tuttavìa al dettato della Parola di Dio e del Catechismo cattolico, e non saremo noi a dissentire per voglia di polemica.
L’enunciato teorico, però, smentisce la logica quando, in circostanze in cui si dovrebbe intervenire con la denuncia della trasgressione perché mancanti la cerca di Dio e la buona volontà, lo stesso Papa Bergoglio, disinvoltamente tratta il vizio, palesemente vissuto, come condotta a cui devolvere l’affetto di un abbraccio.
I lettori, infatti, ricordano per averne noi già scritto, dell’incontro che Papa Bergoglio ebbe nella Nunziatura di Washington dove, nell’ambito del suo viaggio pastorale in USA – settembre 2015 – con trasporto e commozione abbracciò un suo ex alunno, Yayo Grassi, già sacerdote, noto sodomita e il suo “compagno” Iwan, quando diversamente quel tristo scenario andava relegato nel riserbo ove, con determinata autorità, avrebbe dovuto rimproverare la coppia esigendo un cambio di vita. Macché! Fu tanta l’euforìa di quell’incontro che il sodomita Yayo dichiarò alla stampa: “Io amo Francesco, è un uomo buono” (La Repubblica, 2/10/2015). Non sappiamo ma, dato il personaggio, potremmo immaginare di che conio sarebbe questo amore. . .
Il lettore potrebbe chiederci dove sia il contrasto tra l’interrogativo papale e lo scenario del fatto di cui sopra, dove, invece sembra che tutto collimi con il convincimento di Bergoglio che non giudica. Rispondiamo sottolineando che il gay, a cui il celebre interrogativo si riferisce, è di quelli che “cerca Dio e ha buona volontà”. Nel melmoso, lercio e fecale caso di Yayo e del suo amasio non sembra a noi che costoro vadano alla cerca del Signore conducendo una vita avvoltolati nel brago della sporcizia. Non vi pare?
Non era, forse, quello il momento, per il Papa, di chiarire l’altra faccia della questione, cioè quella del gay che “non cerca Dio e non ha buona volontà”? Al contrario: abbracci, foto ricordo, auguri e figli maschi…!
Ed ebbe, Sua Santità, qualcosa da obiettare quando, a Genova, nella cattedrale di San Lorenzo, il pavido, cereo e stenterello cardinal Angelo Bagnasco, Presidente CEI e proprietario di Avvenire, in occasione dello squallido funerale del pari squallido prete don Gallo, amministrò la Santissima Eucaristìa al noto, dichiarato ed esibito trasgressivo, sodomita, buddista, ateo Vladimiro Guadagno, in arte-porno Valdimir Luxuria?
Forse che costui è tra coloro che “cercano Dio ed hanno buona volontà”?
E ancora, quando affermò che “le coppie omosessuali pongono sfide educative nuove da dover comprendere” (Il Messaggero, 4/1/2014)? E quando, il 24 gennaio del 2015, ricevette in udienza “strettamente privata” (sic) concordata da due precedenti telefonate partite dalle sacre stanze, il transessuale spagnolo ex donna, Diego Neria Lejarraga, unitamente alla propria fidanzata e con i massmedia convocati e disposti in parata? E quali provvedimenti sta adottando contro quei parroci arcobaleno che, in questi giorni, presentano alla comunità, davanti all’altare, sporche coppie omosessuali, accolte con applausi e grida giulive?
Silenzio, solo complice silenzio!
El Papa Francisco con a su derecha [dx] Macarena, la novia/o de Diego Neria Lejarraga, y este mismo a su izquierda [sx]
Papa Bergoglio si trincera dietro la categorìa pastorale dell’accoglienza e dietro il dettato evangelico (Mt. 7, 1/11) che vieta di giudicare ma dimentica che, in un altro passo dello stesso evangelista, Gesù consegna a Pietro, e ai suoi successori, “le chiavi del Regno dei cieli” conferendo un potere, il più alto mai concesso all’uomo, con cui “tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt. 16, 19). E simile potere la Chiesa, nel corso dei secoli, lo ha esercitato sia quando ha perdonato popoli, nazioni, città, persone o quando li ha condannati attraverso lo strumento del giudizio, mai avventato però e sempre improntato a carità fraterna, a difesa dell’integrità del Depositum Fidei e a gloria del Signore. Sino a quando, però, G. XXIII decise di sostituire le “armi del rigore con la medicina della misericordia” sul cui aspetto modernista è magistralmente intervenuto E. M. Radaelli con l’ultimo suo saggio critico “Street Theology – Teologìa di strada. Ed. Fede e Cultura 2016, pag. 34/37”.
Se c’è uno che “può” giudicare è solamente il Vicario di Cristo e siccome Papa Bergoglio ama qualificarsi col solo titolo di “Vescovo di Roma” e salutare i fedeli con un borghese “buon pranzo”, se ne potrebbe dedurre che, buon per lui, non abbia ricevuto il potere assoluto di legare e di sciogliere. In attesa di un Papa che, Dio volendo, riprenderà a gestire le due chiavi, d’oro e d’argento (Purg. IX, 117/118) con cui “giudicare”.
Breve la chiosa a questo “sofferto” sfogo. Tarquinio dimentica che quando una persona è motivo di scandalo – e i due satiri lo sono - scuote l’ordine etico e spirituale della comunità dei fedeli i quali, protetti dal pastore e dalla propria fede, hanno il dovere di sfuggire all’influsso nefasto dello scandalo e, pertanto, sono in diritto di denunciare il lupo nell'ovile, cioè il pubblico peccatore.
In quanto, poi, alla libertà che Dio gestisce, parlando al cuore dell’uomo, e che i cinque lettori, secondo lo zelo misericordioso di Tarquinio, “disprezzano”, va precisato che nessuno pretende di arrogarsi tale ufficio perché crediamo alla infinita bontà di Dio che “ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei” (Purg. III, 122) ma parimenti crediamo che il Signore sia libero anche di tacere davanti a circostanze particolari. Ed infatti:
È questa la libertà di Dio che, davanti all’assassino, adultero e pedofilo Erode, sceglie di tacere: il silenzio di Dio davanti al seminatore di scandalo. È un silenzio molto più espressivo ed educativo del parlare, perché suona come denuncia del peccato e rottura del legame che unisce la creatura al suo Creatore.
Caro Tarquinio, affermare che Papa Bergoglio sappia spiegarsi benissimo è cosa piuttosto azzardata ed estemporanea perché innumeri sono le volte che l’ex portavoce della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, è dovuto intervenire per diradare, raddrizzare, correggere, smentire addirittura, esternazioni in cui, o dalla casa di Santa Marta, o da alta quota, o dalle udienze, Sua Santità s’era prodotto in maniera disinvolta. Ne tralasciamo la contabilità perché lungo sarebbe il catalogo delle smarronate a cui il citato portavoce ha dovuto mettere una pezza.
In quanto alle scuse da presentare a sodomiti, pederasti, lesbiche e categoria intera, definiamo piuttosto sfrontato, audace, offensivo e lesivo della maestà della Scrittura questo monito dacché il Dio degli Eserciti dovrebbe scusarsi con Sodoma e Gomorra, figurando Egli come imputato nel giorno del Gran Giudizio, così come dovrebbe scusarsi anche San Paolo per quelle roventi parole rivolte ai Corinti: “Attenti a non illudervi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapitori saranno eredi del regno di Dio”(I Cor. 6, 9/10).
Direttore, lasci perdere questa presunzione cialtrona e ridicola.
Il 23 agosto del 2005, l’uragano Katrina devastò la città di New Orleans (USA) provocando, con lo straripamento del Mississippi, 1836 vittime. Una settimana prima, nella stessa città, il “gay pride” s’era esibito in una processione blasfema in cui, sodomiti e lesbiche, avanzavano mascherati da Madonna, San Giuseppe e Gesù Bambino. Scuse anche per l’uragano? Non sarebbe cosa difficile per l’attuale Gerarchìa che non sa far altro che chiedere perdono al mondo.
Non sappiamo se questa conclusione debba considerarsi più bischera che illogica. Quanto meno è indiziaria di scarso senso della dimensione teologica ed etica. Sciocchi sono quei vanerelli difensori della famiglia naturale – uomo/donna – che, privi di discernimento giuridico, considerano il turpe decreto Cirinnà come introduttivo del “matrimonio omosessuale” perché, fa capire Tarquinio, si tratta soltanto di “unioni civili”.
Il timido direttore, che giustamente deve difendere il proprio posto di lavoro assolvendo il compito di megafono della CEI del bergogliano Mons. Galantino, sbatte in faccia ai sostenitori dell’ortodossìa matrimoniale questa differenza come lo spartiacque tra peccato e non/peccato. Il fenomeno prevalente sul noumeno, l’accidente sulla sostanza.
A lui non interessa che matrimonio omosessuale o unione civile non fa, davanti al tribunale di Dio, differenza alcuna perché in entrambe le condizioni grava il reato contro natura. No! A lui preme l’espediente linguistico del sintagma “unione civile” che, sottilmente, si attribuisce al potere della legge civile che, come è noto, la Gerarchìa postconciliare ritiene del tutto “separato” da quella divina e, quindi, assolutamente indipendente e libero in àmbito etico. Pensiero e dottrina autenticati dal Papa che dichiara, in questo contesto, di non immischiarsi di politica e dal Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, per il quale è importante che, in questa faccenda, “non si adottino grimaldelli come l’equiparazione dell’unione civile al matrimonio” (Vatican Insider, 23/2/2016) il che equivale a salvare le apparenze e non disturbare la corrispondenza di amorosi sensi che filano e intercorrono tra la Santa Sede e il mondo liberal/massonico.
Questo è in sostanza ciò che interessa alla Gerarchìa bergogliana.
E, allora, questi cattolici che si ostinano a predicare la santità della famiglia naturale, la smettano di scivolare su questioni tanto chiare. La sodomia praticata in “unione civile” – se lo ricordino – è cosa che non riguarda la coscienza dei cattolici i quali potranno obiettare solo quando questo vizio sarà legittimato dal “matrimonio omosessuale”. Avete capito?
Ma alla fine, Tarquinio, preso forse da un momento di lucidità, riconosce che si sta camminando su un piano inclinato, cosa che, tuttavìa – ecco riemergere il pompiere maestro in Israele – non legittima polemiche o amenità lessicali. Gli rammentiamo che, in un piano inclinato, il moto di un grave lasciato libero aumenta progressivamente specialmente in punto di arrivo secondo il noto “motus in fine velocior”.
In quanto alla miopìa altrui curi la sua col dare ascolto al consiglio evangelico che dice “Medice, cura teipsum” (Lc. 4, 23) – medico, cura te stesso.
Dopo aver recitato una preghiera a pro’ dei due omosessuali ufficialmente registrati eppur “credenti cattolici”, che simmetricamente ricordano l’altrettanto sodomita più famoso, Nicola Vendola, che si picca di definirsi anch’egli “cattolico”, riprendiamo il filo del nostro commento alla corrispondenza del dr. Marco Tarquinio, Direttore di “Avvenire” a trazione e a targa CEI.
Ricordiamo che il tema su cui verte l’intero nostro intervento riguarda l’omosessualità, la “pastorale” che di essa vien insegnata e, in particolare, il pellegrinaggio, a Lourdes, di due sodomiti quale rendimento di grazie per essere, costoro, riusciti a convivere “felicemente” per oltre cinquant’anni. Un primato.
Ma vediamo:
4 - Papa Francesco in una risposta divenuta subito celebre, data il 29 luglio 2013 ai giornalisti che lo intervistavano durante il volo di ritorno dalla Gmg brasiliana, ha affermato: “Se una persona è gay, e cerca Dio, e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?”. Trovo strano, ma non mi stupisce, che nel citarla più di un cristiano rimuova le decisive parole “e cerca Dio, e ha buona volontà”.
Allo scopo di conferire forza e vigore al divieto di giudicare, dopo aver scaltramente tirato fuori dal repertorio delle citazioni Mt. 7, 11 tralasciando, però, l’altro Mt. 18, 6 riferito allo scandalo, Tarquinio sfodera il “celebre” interrogativo di Bergoglio lanciato da/in alta quota – la condizione migliore per le “uscite” papali – che tanto inevitabile scalpore ed imbarazzo ha suscitato nella coscienza della comunità cattolica.
Cogliamo, con questo riferimento, l’occasione per esplicitare una nostra riflessione che speriamo sia condivisa dai lettori.
Essere omosessuali è condizione derivante o per geneticità o per vizio. Nella prima, data come fenomeno di trascurabile percentuale, tràttasi di soggetto che vive una tensione comportamentale, affettiva e psicologica contraria alla propria fisicità – gay se uomo, lesbica se donna – che, a rigor di dottrina, non viene imputata a colpa, mentre nella seconda è palese che, stante una mutazione causata da perversa condotta, si pone una connotazione di colpevolezza tanto più che, in siffatto soggetto, la pratica omosessuale diventa volontaria e costante pratica e, perciò di gravissima reità.
Nella prima condizione può avvenire: o che tale tensione, guidata da un cosciente rispetto della legge di Dio e, perciò, contenuta da un viver casto ed esemplare in termini di rapporti sociali, porti al merito della sofferenza o che, diversamente, lasciata libera divenga condotta peccaminosa. Il CCC, al canone 2359, così recita: “Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana”.
Comando che, trasferito alle persone eterosessuali, vale altrettale obbligo di vita pura e casta.
Nella seconda condizione si ha una vita vissuta nella dissolutezza di azioni e comportamenti “intrinsecamente disordinati e contrarî alla legge di natura” (CCC canone 2537) di cui è nota la condanna comminata dal Signore a Sodoma e Gomorra (Gen. 1, 29), chiaro il comandamento che ne vieta la pratica (Lv. 18, 22 – 20, 13) ed esplicito l’ammonimento dell’Apostolo (I Cor. 6, 9/11), dal che si vede come l’omosessualità sia condizione spregevole solo e soltanto se fatta stile e regola di vita trasgressiva.
Il “celebre” interrogativo di Papa Bergoglio, lanciato così in maniera diluita e generica nonché privo di ricognizione dottrinaria, si attiene tuttavìa al dettato della Parola di Dio e del Catechismo cattolico, e non saremo noi a dissentire per voglia di polemica.
L’enunciato teorico, però, smentisce la logica quando, in circostanze in cui si dovrebbe intervenire con la denuncia della trasgressione perché mancanti la cerca di Dio e la buona volontà, lo stesso Papa Bergoglio, disinvoltamente tratta il vizio, palesemente vissuto, come condotta a cui devolvere l’affetto di un abbraccio.
I lettori, infatti, ricordano per averne noi già scritto, dell’incontro che Papa Bergoglio ebbe nella Nunziatura di Washington dove, nell’ambito del suo viaggio pastorale in USA – settembre 2015 – con trasporto e commozione abbracciò un suo ex alunno, Yayo Grassi, già sacerdote, noto sodomita e il suo “compagno” Iwan, quando diversamente quel tristo scenario andava relegato nel riserbo ove, con determinata autorità, avrebbe dovuto rimproverare la coppia esigendo un cambio di vita. Macché! Fu tanta l’euforìa di quell’incontro che il sodomita Yayo dichiarò alla stampa: “Io amo Francesco, è un uomo buono” (La Repubblica, 2/10/2015). Non sappiamo ma, dato il personaggio, potremmo immaginare di che conio sarebbe questo amore. . .
Il lettore potrebbe chiederci dove sia il contrasto tra l’interrogativo papale e lo scenario del fatto di cui sopra, dove, invece sembra che tutto collimi con il convincimento di Bergoglio che non giudica. Rispondiamo sottolineando che il gay, a cui il celebre interrogativo si riferisce, è di quelli che “cerca Dio e ha buona volontà”. Nel melmoso, lercio e fecale caso di Yayo e del suo amasio non sembra a noi che costoro vadano alla cerca del Signore conducendo una vita avvoltolati nel brago della sporcizia. Non vi pare?
Non era, forse, quello il momento, per il Papa, di chiarire l’altra faccia della questione, cioè quella del gay che “non cerca Dio e non ha buona volontà”? Al contrario: abbracci, foto ricordo, auguri e figli maschi…!
Forse che costui è tra coloro che “cercano Dio ed hanno buona volontà”?
E ancora, quando affermò che “le coppie omosessuali pongono sfide educative nuove da dover comprendere” (Il Messaggero, 4/1/2014)? E quando, il 24 gennaio del 2015, ricevette in udienza “strettamente privata” (sic) concordata da due precedenti telefonate partite dalle sacre stanze, il transessuale spagnolo ex donna, Diego Neria Lejarraga, unitamente alla propria fidanzata e con i massmedia convocati e disposti in parata? E quali provvedimenti sta adottando contro quei parroci arcobaleno che, in questi giorni, presentano alla comunità, davanti all’altare, sporche coppie omosessuali, accolte con applausi e grida giulive?
Silenzio, solo complice silenzio!
El Papa Francisco con a su derecha [dx] Macarena, la novia/o de Diego Neria Lejarraga, y este mismo a su izquierda [sx]
Papa Bergoglio si trincera dietro la categorìa pastorale dell’accoglienza e dietro il dettato evangelico (Mt. 7, 1/11) che vieta di giudicare ma dimentica che, in un altro passo dello stesso evangelista, Gesù consegna a Pietro, e ai suoi successori, “le chiavi del Regno dei cieli” conferendo un potere, il più alto mai concesso all’uomo, con cui “tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt. 16, 19). E simile potere la Chiesa, nel corso dei secoli, lo ha esercitato sia quando ha perdonato popoli, nazioni, città, persone o quando li ha condannati attraverso lo strumento del giudizio, mai avventato però e sempre improntato a carità fraterna, a difesa dell’integrità del Depositum Fidei e a gloria del Signore. Sino a quando, però, G. XXIII decise di sostituire le “armi del rigore con la medicina della misericordia” sul cui aspetto modernista è magistralmente intervenuto E. M. Radaelli con l’ultimo suo saggio critico “Street Theology – Teologìa di strada. Ed. Fede e Cultura 2016, pag. 34/37”.
Se c’è uno che “può” giudicare è solamente il Vicario di Cristo e siccome Papa Bergoglio ama qualificarsi col solo titolo di “Vescovo di Roma” e salutare i fedeli con un borghese “buon pranzo”, se ne potrebbe dedurre che, buon per lui, non abbia ricevuto il potere assoluto di legare e di sciogliere. In attesa di un Papa che, Dio volendo, riprenderà a gestire le due chiavi, d’oro e d’argento (Purg. IX, 117/118) con cui “giudicare”.
5 – Ma non riesco a capire perché un cattolico debba formulare giudizî come quelli contenuti nelle prime tre lettere che “censurano” il senso di quella risposta del Santo Padre, disprezzando la libertà di Dio di parlare al cuore di tutti e di ciascuno, e la libertà di tutti e di ciascuno di rispondergli.
Breve la chiosa a questo “sofferto” sfogo. Tarquinio dimentica che quando una persona è motivo di scandalo – e i due satiri lo sono - scuote l’ordine etico e spirituale della comunità dei fedeli i quali, protetti dal pastore e dalla propria fede, hanno il dovere di sfuggire all’influsso nefasto dello scandalo e, pertanto, sono in diritto di denunciare il lupo nell'ovile, cioè il pubblico peccatore.
In quanto, poi, alla libertà che Dio gestisce, parlando al cuore dell’uomo, e che i cinque lettori, secondo lo zelo misericordioso di Tarquinio, “disprezzano”, va precisato che nessuno pretende di arrogarsi tale ufficio perché crediamo alla infinita bontà di Dio che “ha sì gran braccia/ che prende ciò che si rivolge a lei” (Purg. III, 122) ma parimenti crediamo che il Signore sia libero anche di tacere davanti a circostanze particolari. Ed infatti:
“Pilato. . . saputo che Gesù apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme. Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da Lui. Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla” (Lc.23, 7/8).
È questa la libertà di Dio che, davanti all’assassino, adultero e pedofilo Erode, sceglie di tacere: il silenzio di Dio davanti al seminatore di scandalo. È un silenzio molto più espressivo ed educativo del parlare, perché suona come denuncia del peccato e rottura del legame che unisce la creatura al suo Creatore.
6 – Non sono certo l’interprete autentico del Papa – che del resto come tutti sanno non ne ha affatto bisogno, visto che si spiega benissimo da solo – ma ritengo che ci fosse anche questo alla base della sua frase sul dover “chiedere scusa ai gay”.
Caro Tarquinio, affermare che Papa Bergoglio sappia spiegarsi benissimo è cosa piuttosto azzardata ed estemporanea perché innumeri sono le volte che l’ex portavoce della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, è dovuto intervenire per diradare, raddrizzare, correggere, smentire addirittura, esternazioni in cui, o dalla casa di Santa Marta, o da alta quota, o dalle udienze, Sua Santità s’era prodotto in maniera disinvolta. Ne tralasciamo la contabilità perché lungo sarebbe il catalogo delle smarronate a cui il citato portavoce ha dovuto mettere una pezza.
In quanto alle scuse da presentare a sodomiti, pederasti, lesbiche e categoria intera, definiamo piuttosto sfrontato, audace, offensivo e lesivo della maestà della Scrittura questo monito dacché il Dio degli Eserciti dovrebbe scusarsi con Sodoma e Gomorra, figurando Egli come imputato nel giorno del Gran Giudizio, così come dovrebbe scusarsi anche San Paolo per quelle roventi parole rivolte ai Corinti: “Attenti a non illudervi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapitori saranno eredi del regno di Dio”(I Cor. 6, 9/10).
Direttore, lasci perdere questa presunzione cialtrona e ridicola.
Il 23 agosto del 2005, l’uragano Katrina devastò la città di New Orleans (USA) provocando, con lo straripamento del Mississippi, 1836 vittime. Una settimana prima, nella stessa città, il “gay pride” s’era esibito in una processione blasfema in cui, sodomiti e lesbiche, avanzavano mascherati da Madonna, San Giuseppe e Gesù Bambino. Scuse anche per l’uragano? Non sarebbe cosa difficile per l’attuale Gerarchìa che non sa far altro che chiedere perdono al mondo.
7 - Un’ultima cosa, a proposito di “scivoloni”. Credo che sia uno scivolone molto serio da parte di alcuni difensori della famiglia costituzionalmente definita quello di continuare a sostenere – all’unisono con Monica Cirinnà e con i portavoce dei movimenti gay – che in Italia è già stato introdotto di fatto il “matrimonio omosessuale” Le unioni civili non sono (ancora) il matrimonio tra persone dello stesso sesso. È vero che anche nel nostro Paese, per le ragioni che ho molte volte spiegato e che qui non ripeto, siamo su un piano inclinato, ma proprio per questo continuare a spingere nella direzione errata, anche solo per polemica o magari per pigrizia mentale o magari lessicale, dando per scontato quello che scontato non è, mi sembra semplicemente miope.
Non sappiamo se questa conclusione debba considerarsi più bischera che illogica. Quanto meno è indiziaria di scarso senso della dimensione teologica ed etica. Sciocchi sono quei vanerelli difensori della famiglia naturale – uomo/donna – che, privi di discernimento giuridico, considerano il turpe decreto Cirinnà come introduttivo del “matrimonio omosessuale” perché, fa capire Tarquinio, si tratta soltanto di “unioni civili”.
Il timido direttore, che giustamente deve difendere il proprio posto di lavoro assolvendo il compito di megafono della CEI del bergogliano Mons. Galantino, sbatte in faccia ai sostenitori dell’ortodossìa matrimoniale questa differenza come lo spartiacque tra peccato e non/peccato. Il fenomeno prevalente sul noumeno, l’accidente sulla sostanza.
A lui non interessa che matrimonio omosessuale o unione civile non fa, davanti al tribunale di Dio, differenza alcuna perché in entrambe le condizioni grava il reato contro natura. No! A lui preme l’espediente linguistico del sintagma “unione civile” che, sottilmente, si attribuisce al potere della legge civile che, come è noto, la Gerarchìa postconciliare ritiene del tutto “separato” da quella divina e, quindi, assolutamente indipendente e libero in àmbito etico. Pensiero e dottrina autenticati dal Papa che dichiara, in questo contesto, di non immischiarsi di politica e dal Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, per il quale è importante che, in questa faccenda, “non si adottino grimaldelli come l’equiparazione dell’unione civile al matrimonio” (Vatican Insider, 23/2/2016) il che equivale a salvare le apparenze e non disturbare la corrispondenza di amorosi sensi che filano e intercorrono tra la Santa Sede e il mondo liberal/massonico.
Questo è in sostanza ciò che interessa alla Gerarchìa bergogliana.
E, allora, questi cattolici che si ostinano a predicare la santità della famiglia naturale, la smettano di scivolare su questioni tanto chiare. La sodomia praticata in “unione civile” – se lo ricordino – è cosa che non riguarda la coscienza dei cattolici i quali potranno obiettare solo quando questo vizio sarà legittimato dal “matrimonio omosessuale”. Avete capito?
Ma alla fine, Tarquinio, preso forse da un momento di lucidità, riconosce che si sta camminando su un piano inclinato, cosa che, tuttavìa – ecco riemergere il pompiere maestro in Israele – non legittima polemiche o amenità lessicali. Gli rammentiamo che, in un piano inclinato, il moto di un grave lasciato libero aumenta progressivamente specialmente in punto di arrivo secondo il noto “motus in fine velocior”.
In quanto alla miopìa altrui curi la sua col dare ascolto al consiglio evangelico che dice “Medice, cura teipsum” (Lc. 4, 23) – medico, cura te stesso.
Fine
di L. P.
dovrebbero scomunicare chi è nell'errore e chi li approva....ma chi rimane nella chiesa asservita quasi completamente al mondo?meglio non seguire l'insegnamento sbagliato fosse anche il papa....almeno abbiamo la possibilità di chiedere al Signore di perdonare la disubbidienza per vedere salvata l'anima e non seguire all'inferno chi purtroppo perseverando nel peccato senza pentimento è convinto di salvarsi comunque e pecca contro lo Spirito Santo!Sia Lodato Gesù Cristo!
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