SUOR FORCADES "FEMMINISTA"
Libera nos dalle teologhe moderniste e progressiste e dalle suore di clausura femministe. Suor Forcades è un esempio inquietante di dove possa arrivare la generale deriva modernista e progressista in atto nel clero cattolico
di Francesco Lamendola
Suor Teresa Forcades è un esempio inquietante di dove possa arrivare la generale deriva modernista e progressista in atto nel clero cattolico, e di quali aberrazioni possa toccare la teologia che ancora si definisce cattolica, ma che, di cattolico, non ha ormai più nulla. Monaca benedettina, era entrata in convento a Barcellona, per sua stessa dichiarazione, in cerca di “un luogo di studio” ove attendere tranquillamente alle sue ricerche. Di solito si è folgorati dalla chiamata di Dio e si lascia tutto per seguirla; lei, invece, dice di aver sentito la chiamata e di essere “rimasta” in quel luogo ospitale, ma, a quanto pare, senza modificare la sostanza del suo orientamento esistenziale e speculativo: era e rimane una femminista in cerca di pezze d’appoggio ideologiche per le sue idee progressiste, omosessualiste e abortiste, nonché per le sue battaglie politiche e culturali, legittime fin che si vuole, ma tipiche di chi non si è abbandonato interamente a Dio, bensì vuol cambiare il mondo con i mezzi classici della lotta politica e dell’impegno intellettuale.
Nel suo caso, la lotta politica consiste nell’appoggio alla lotta per l’indipendenza della Catalogna dalla Spagna, oltre che nella denuncia della politica israeliana ai danni delle popolazioni palestinesi; quella intellettuale, nella battaglia contro le grandi corporazioni farmaceutiche e in difesa della salute delle persone. Ma ella conduce anche una battaglia, ed è questo che ci interessa, per cambiare la morale cattolica. Di spiritualità, di Trinità divina, di Gesù Cristo, di Incarnazione, di Passione e Resurrezione del Signore, di redenzione del mondo dal peccato, di Maria Vergine, e di comunione dei santi, non sembra che parli molto, né che vi sia particolarmente interessata; né di conversione dell’anima, di crocifissione e morte dell’uomo vecchio e di rinascita dell’uomo nuovo, trasformato dalla grazia e dall’amore di Dio. Non si capisce bene, pertanto, in che cosa consistano la vocazione e l’ispirazione religiosa di suor Forcades, e meno ancora il suo essersi fatta suora di clausura. A quanto pare, la interessano soprattutto i temi etici, politici e sociali, che poco o niente hanno a che fare con la spiritualità benedettina, basata sulla massima ora et labora; e che lei, per giunta, tratta in maniera sostanzialmente difforme dal Magistero ecclesiastico e in aperto dispregio della Tradizione cattolica, la quale, su parecchi punti, non le piace, e che vorrebbe veder cambiata. Ci domandiamo: è per questa ragione che una persona, uomo o donna che sia, pronuncia i voti religiosi solenni di povertà, castità e obbedienza, ed entra in un monastero di clausura? Per rovesciare dall’interno la Tradizione cattolica e per modificare il senso delle Scritture, in omaggio alle tendenze emergenti nella cultura moderna? È così che si interpreta il senso della chiamata religiosa ed è in questo modo che ci si pone come esempio di fedeltà a Dio e alla Chiesa, offrendo un modello di riferimento ai laici che, oggi, sempre più spesso sono confusi e turbati dallo spirito del “mondo” e, perciò, più che mai bisognosi di trovare dei punti fermi per rafforzare la propria fede?
In convento, comunque, suor Teresa non c’è rimasta molto. Ha fatto presto a chiedere una dispensa e ad uscirne, al preciso scopo di potersi dedicare alla politica attiva, nel movimento indipendentista catalano – col modesto obiettivo di candidarsi alla presidenza del futuro Stato - e per poter girare il mondo a tenere conferenze, nelle quali, più che parlare di Dio, di Gesù Cristo, della santità e della conversione, espone le sue idee su come la Chiesa cattolica dovrebbe accogliere le nuove idee laiciste in materia di morale sessuale, di matrimoni omosessuali, aborto e così via. Dispensa prontamente accordata dai suoi superiori, ciò che le consente di presentare le sue idee come le idee di una monaca benedettina, mentre, in effetti, allo stato attuale ella non è niente e non rappresenta niente, se non se stessa: una tecnica di disorientamento che abbiamo già visto, anche qui in Italia, e adoperata con molta disinvoltura da teologi che si autodefiniscono cattolici e da sacerdoti, e non, i quali, invece di porsi a disposizione della Chiesa per salvare le anime – questa, se non andiamo errati, dovrebbe essere l’essenza della vocazione alla vita religiosa e sacerdotale -, si impegnano per spostare e trascinare la dottrina della Chiesa sulle loro posizioni, moderniste e progressiste.
Tali posizioni, quasi seguendo una strategia convergente e, ora, incoraggiata dallo stesso papa Francesco, sono caratterizzate da un accento sempre più forte posto sul relativismo etico e sull’indifferentismo religioso: siccome tutte le religioni portano a Dio, ne deriva che non vi è alcuna differenza sostanziale fra l’essere cattolici e l’essere protestanti, oppure l’essere giudei, islamici, buddisti o seguaci di qualsiasi altro credo, nonché l’essere atei militanti e dichiarati, come i radicali. Anzi, in quest’ultimo caso, ci sono ottime probabilità di venire apprezzati come persone e come attivisti, a dispetto – o forse appunto perciò – del proprio impegno a favore del divorzio, dell’aborto, dell’eutanasia, della libera droga, delle unioni di fatto, dei matrimoni omosessuali. Come si è visto stando alla maniera in cui il pontificato di Bergoglio ha dato l’estremo saluto al leader radicale Marco Pannella, il padre storico di tutte queste battaglie per trasformare in diritti civili, riconosciuti dalle leggi dello Stato, altrettanti peccati mortali contro Dio, contro il prossimo e contro se stessi. A meno che il magistero della Chiesa cattolica su questi temi sia cambiato silenziosamente, senza che noi ce ne siamo accorti: in questo caso, ci piacerebbe che qualcuno ce lo dicesse, e che qualche enciclica o qualche altro solenne documento papale lo mettesse nero su bianco, assumendosi tutta la responsabilità che deriverebbe da una dichiarazione aperta e non equivoca di eresia e di apostasia.
Tornando a suor Forcades, vale la pena di riportare alcune sue dichiarazioni, rilasciate alla giornalista Geraldine Schwarz del gruppo La Repubblica/L’Espresso, il cui orientamento politico e intellettuale è noto e non ha bisogno di ulteriori commenti, e consultabili sul giornale informatico de La Repubblica in data 9 febbraio 2016.
Suor Teresa - della quale si taccia un ritratto, più che favorevole, addirittura estasiato, definendola una suora di 49 anni, laureata in medicina e in teologia, a Barcellona e a Harvard, schietta e mite, che sorride mentre parla nonostante le critiche che spesso la raggiungono (ma che, evidentemente, non la toccano, né le suggeriscono un minimo di riflessione, di ascolto, di silenzio e di umiltà cristiana) – non si sottrae alle domande più esplicite sui temi “caldi” e non usa troppi distinguo nel ribadire imperterrita la sua linea, parlando non come una monaca benedettina (in teoria, di clausura), ma come una militante femminista e progressista di questo mondo profano, che si porta dietro, tutto intero, il bagaglio delle sue passioni civili e delle sue fermissime convinzioni sociali, politiche e culturali, senza mai un’ombra di modestia, di riservatezza, di prudenza.
Alla domanda su cosa pensi delle unioni civili e dei matrimoni omosessuali, da un punto di vista - si badi – prettamente religioso e cattolico, risponde: Un sacramento è la manifestazione dell’amore di Dio nello spazio e nel tempo. L’amore è sempre sacramento dell’amore di Dio se rispetta la libertà dell’altro. L’amore possessivo, al contrario, anche se è tra un uomo e una donna, può non essere sacramentale nel significato profondo del termine.
Cioè, dopo aver dato una definizione tutta sua di che cosa sia un sacramento - che è, in effetti, molto di più di quello che dice lei, e che immette la vita divina nella vita dell’anima -, si prende anche la libertà di decidere quando un matrimonio sia un sacramento e quando no - con l’escamotage, tipicamente gesuitico, di giocare con le parole, parlando di sacramenti che possono non essere sacramentali, e di sensi profondi che sfuggono ai comuni mortali -, per arrivare a concludere implicitamente, ma chiaramente, che l’amore fra due uomini, oppure fra due donne, se “rispetta la libertà dell’altro”, sarà un vero sacramento, mentre non lo sarà quello fra un uomo e una donna, nel quale entri in ballo un atteggiamento di tipo possessivo. Complimenti, suor Teresa: lei ha portato nel Catechismo le sue concezioni femministe sulla libertà in amore, e non si fa scrupolo di deformare la definizione del matrimonio cristiano come sacramento, per avallare e supportare la sua ideologia omosessualista, che accoglie in tutto e per tutto la cosiddetta teoria del gender.
Richiesta se pensi che dei bambini, adottati da una coppia gay, possano crescere in modo sano, risponde: Sì, assolutamente. Quello di cui i bambini hanno bisogno è di [sic] un amore adulto, maturo e responsabile da genitori che antepongano le loro necessità alle proprie e che sappiano nello stesso tempo porre loro dei giusti limiti e aiutarli a crescere. Il fatto di crescere con due donne o con due uomini non rappresenta nessun problema. Nel Medioevo molti bambini crescevano in Monastero solo con donne o solo con uomini e molti di essi sono diventati santi.
Di bene in meglio. Dopo aver affermato che va benissimo, per un bambino, essere cresciuto da una coppia omosessuale, cosa che trova molte perplessità e molte contrarietà perfino nella cultura profana e che divide profondamente gli stessi psicologi, oltre al piccolo dettaglio che contraddice frontalmente il Magistero ecclesiastico - che riconosce una sola famiglia naturale e cristiana, quella fondata sull’unione di un uomo e una donna -, l’arzilla monaca femminista non si perita di proferire una autentica bestemmia, ché tale è il paragone fra un bambino cresciuto in convento e un bambino cresciuto da una coppia omosessuale. Il lettore non può non domandarsi se la brava “suora” ci fa o ci è: evidentemente, la similitudine non regge neppure sul piano strettamente logico. I frati o le suore di un monastero non fanno all’amore fra di loro e, se allevano, o allevavano, un bambino, non era per parodiare la famiglia naturale e cristiana, né per scambiarsi effusioni, baci e carezze in loro presenza, e nemmeno per considerarli loro “figli” in senso personale e giuridico. Senza contare il fatto che crescere in un ambiente unisessuale non ha nulla a che vedere con l’essere cresciuti in un ambienteomosessuale: possibile che la dotta teologa non veda la differenza? Anche una famiglia nella quale siano venuti a mancare la mamma o il papà, e nella quale vi siano solo fratelli o sorelle del proprio sesso, costituisce, per forza di cose, un ambiente unisessuale: ciò non significa che venga negata la necessaria complementarietà della figura maschile e di quella femminile, quali elementi costituitivi e irrinunciabili per la fondazione di una famiglia. Se, poi, le circostanze hanno portato via lo sposo o la sposa, la figura di colui o di colei che se n’è andato non evapora nel nulla, non viene negata, né viene negata la sua importanza e la sua insostituibilità. Questo, da parte di suor Teresa, è peggio che un colpo basso: è un sofisma in malafede. Se uno perde un braccio in un incidente, ciò non significa che non vi sia differenza alcuna fra l’avere un braccio, o l’averne due. Avere due braccia è secondo natura; averne uno, è il risultato di circostanze fortuite (e dolorose), che non menoma la sua dignità, ma che lo rende inabile, per forza di cose, a svolgere determinate attività e funzioni. Costui non potrebbe, ad esempio, prendersi cura di un bambino piccolo, perché per tenerlo in braccio, cambiargli i pannolini, eccetera, servono due braccia (se non le sue, quelle di qualcun altro). Non è affatto vero che basta l’amore: questa è la filastrocca che ripetono, a pappagallo, gli omosessualisti. Se così fosse, perché non dovrebbe bastare l’amore, per giustificare anche la pedofilia? Solo perché il ragazzino è un minorenne? Ma se quello che conta è l’amore, e se l’importante è la libertà, allora, supponendo che il ragazzino sia consenziente, perché ciò non dovrebbe bastare a giustificare, in ogni senso, il rapporto sessuale fra lui e l’adulto?
Sul tema dell’aborto, ecco cosa dice suor Forcades: Io credo che la Chiesa debba continuare a difendere la vita come un dono del quale non si può disporre a piacimento. Ma credo che la maniera migliore di farlo non sia promuovere leggi che criminalizzano le donne che interrompono la gravidanza. Non si può salvare la vita del feto senza mettere sotto accusa i diritti della madre. Allora è necessario chiedersi se vogliamo che uno Stato sforzi una donna a scegliere per il bambino. In questo caso, solo in questo caso, io propendo per la madre. Io credo che non si possano strumentalizzare le persone: non si può fare della madre uno strumento per la vita del bambino ma alo stesso tempo, e questo vale per la pratica della surrogazione, non si può neanche fare del bambino uno strumento del desiderio.
Qualcuno ci ha capito qualcosa? Ci pare che qui l’intervistata annaspi, balbetti, sproloqui. Forse il succo del discorso è nel passaggio:non si può fare della madre uno strumento per la vita del bambino. Dunque, sì all’aborto, se è la donna che lo vuole: tanto fumo per dire questo. L’intervista prosegue, ma crediamo che basti. E avanzi. Una volta erano i religiosi che portavano nel mondo il profumo dell’eterno: ora, nella Barcellona paradiso degli omosessuali, è il mondo ad ispirare suore come Teresa Forcades. In verità, ci pare che la Chiesa cattolica potrebbe e dovrebbe farne a meno…
Libera nos dalle teologhe moderniste e progressiste e dalle suore di clausura femministe
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9594:teresa-forcades-suora-femminista&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96
E se al prossimo Sinodo si discutesse di preti sposati?
Proposta al Papa per il 2018: rivedere le norme sul celibato. Il caso brasiliano
di Matteo Matzuzzi | 09 Settembre 2016
Papa Francesco (foto LaPresse)
Roma. L’eco dell’ultimo Sinodo dei vescovi si sente ancora, tra interpretazioni divergenti dell’esortazione Amoris laetitia e tentativi di applicarne al meglio, nella pratica, direttive e contenuti. Ma è già tempo di pensare al prossimo Sinodo del 2018, quanto meno al tema che dovrà portare alla riflessione la chiesa mondiale. Di proposte ne sono state fatte tante, in Vaticano c’è chi sostiene che qualcosa legato al tema della pace nel mondo o della non violenza sarebbe tra le opzioni preferite dal Pontefice. Il teologo Andrea Grillo, che nella scorsa doppia assise del 2014 e 2015 ha appoggiato le tesi della corrente novatrice circa la morale familiare, ha una proposta: un Sinodo sul ministero ordinato nella chiesa. Che, tradotto, significa “la formazione dei presbiteri e la possibilità di ordinazione di uomini sposati”. Questione delicatissima, quella del celibato, che lo stesso Francesco ha più volte toccato in interviste e interventi ufficiali, sempre ribadendo che il celibato è una buona cosa e non lasciando presagire cambiamenti imminenti su tale prassi. In particolare, tornando dal viaggio in Terrasanta, nella primavera del 2014, a domanda di un giornalista rispose: “La chiesa cattolica ha preti sposati, nel rito orientale. Perché il celibato non è un dogma di fede, è una regola di vita che io apprezzo tanto e credo che sia un dono per la chiesa. Non essendo un dogma di fede, sempre c’è la porta aperta”.
La proposta di Grillo si rifà al discorso tenuto al Sinodo del 1999 dal cardinale Carlo Maria Martini, che descriveva alcuni “sogni” che lo accompagnavano. Il terzo di questi ruotava attorno alla speranza di poter “sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali” che hanno a che fare con “la carenza in qualche luogo già drammatica di ministri ordinati e alla crescente difficoltà per un vescovo di provvedere alla cura d’anime nel suo territorio con sufficiente numero di ministri del Vangelo e dell’eucaristia”. Carenza che ormai inizia a vedersi bene anche in Italia, con i vescovi tramutati in alchimisti per assicurare almeno la celebrazione della messa domenicale nelle parrocchie (spesso, senza riuscirci): per citare un caso, l’arcidiocesi di Udine, erede diretta del Patriarcato di Aquileia, è in procinto di ridurre le foranie (gruppi di parrocchie) dalle ventiquattro di oggi a dieci. Carenza acclaratada ancora più tempo in intere regioni del pianeta care a Francesco, come l’America meridionale.
Un caso emblematico
Il caso dell’Amazzonia è emblematico. Due anni fa, mons. Erwin Kräutler, responsabile della prelatura di Xingu, la più estesa del Brasile, veniva ricevuto a Roma dal Papa al quale spiegava che con ventisette sacerdoti per settecentomila fedeli divisi in circa ottocento comunità, non si poteva più andare avanti. L’informato sito Terre d’America, già allora, accreditava la soluzione che il cardinale Cláudio Hummes, vicinissimo a Bergoglio, aveva menzionato tempo prima: dare spazio ai viri probati, cioè a uomini sposati (o vedovi) con figli, ordinandoli. Così da supplire alla cronica mancanza di clero, tendenza ormai irrecuperabile. Hummes aveva esposto la sua tesi nel Sinodo del 2005, ricevendo però un parere contrario da parte dei padri. Nel documento finale si legge infatti che “certuni hanno fatto riferimento ai viri probati, ma questa ipotesi è stata valutata come una strada da non percorrere”. Il cardinale brasiliano non metteva in discussione l’abolizione del celibato sacerdotale, bensì puntava ad affiancare a tale istituto un altro, più al passo con le esigenze della chiesa di oggi. E’ di questi giorni la notizia che il tema è tornato d’attualità, sempre in Amazzonia e sempre con Hummes protagonista nell’invocare una svolta. Ma anche in Europa c’è chi si è attestato sulla stessa lunghezza d’onda, soprattutto in quegli episcopati rimasti a gestire sparuti gruppi di sacerdoti in là con l’età. E’ il caso della Germania, ad esempio, capofila delle innovazioni in linea con lo Zeitgeist, lo spirito del tempo. A fine agosto, il potente Comitato centrale dei cattolici tedeschi aveva proposto di “allentare” le regole sul celibato al fine di sopperire alla scarsità di preti. Soluzione rispedita al mittente dal cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Colonia: “La crisi è ben più profonda, non può essere risolta in modo decisivo con un cambiamento di accesso al sacerdozio”.
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/09/09/papa-francesco-se-al-prossimo-sinodo-si-discutesse-di-preti-sposati___1-v-147124-rubriche_c298.htm
“Il Vescovo Australiano che vuole sdoganare il sesso omosessuale:
la Dottrina è repressiva” di Pietro Romano
La notizia da LifeSiteNews (https://www.lifesitenews.com/news/australian-bishop-calls-for-inclusive-church-that-accepts-homosexuality-i-a) aggiunge un nuovo nome alla lista dei prelati che vogliono che la Dottrina Cattolica sull’omosessualità cambi radicalmente nella sostanza.
Non più quindi “sodomia” , “peccato contro natura” o come San Damiani definiva il “vizio che caccia lo Spirito Santo dal cuore dell’uomo”.
Guai, si rischia l’omofobia, ovviamente.
Guai, si rischia l’omofobia, ovviamente.
La corrente omosessualista, che sta crescendo nel numero dei suoi seguaci tra gli alti Prelati, fa appello affinchè la Chiesa rimuova dal Catechismo la definizione dei rapporti omosessuali come “intrinsecamente disordinati”.
In sostanza, da come appare chiaro per un sillogismo perfetto, la Chiesa avrebbe cileccato per 2000 anni, e viene da dedurre: se ha sbagliato su una cosa così cruciale, ne consegue che dobbiamo mettere in discussione tutto l’insegnamento per intero.
Oppure hanno ragione quelli che vengono continuamente chiamati “integralisti” o “tradizionalisti”, i quali cercano di difendere l’integrità di quell’insegnamento che ha perdurato nei secoli, sia che piova sia che ci sia il sole, interpretando questi cambiamenti come un gravissimo inganno dato dai confusi tempi contemporeanei.
Questa volta si tratta del Vescovo Vincent Long Van Nguyen della Diocesi di Parramatta (Australia) durante una Catechesi a Sidney il 18 Agosto (http://catholicoutlook.org/bishop-vincent-long-ofm-conv-delivers-2016-ann-d-clark-lecture/).
“Non possiamo parlare di integrità della creazione, dell’universale e inclusivo amore di Dio, quando allo stesso tempo si collabora con forze di repressione e maltrattamenti nei confronti delle minoranze etniche, le donne e gli omosessuali. Non risulterà credibile ai giovani, specialmente quando si rivendica un trattamento amorevole e compassionevole verso i gay , definire allo stesso tempo la loro sessualità come ‘intrinsecamente disordinata’…
La Chiesa con questi “stereotipi antiquati” non ha certo brillato per la sua lotta contro l’ineguaglianza e l’intolleranza…L‘ala che difende la Tradizione è la stessa che poi sostiene atteggiamenti di pregiudizio, discriminazione e stereotipi di oppressione…
La Chiesa con questi “stereotipi antiquati” non ha certo brillato per la sua lotta contro l’ineguaglianza e l’intolleranza…L‘ala che difende la Tradizione è la stessa che poi sostiene atteggiamenti di pregiudizio, discriminazione e stereotipi di oppressione…
Papa Francesco ha liberato una nuova energia, ha versato un nuovo vino che non può essere contenuti in otri vecchi. Ci ha sfidato a muoverci in sintonia con lui e portare avanti la rinascita della Chiesa. Mi sto sforzando di seguire la leadership del Papa”.
Gli insegnamenti sono stereotipi antiquati.
Risulta lampante che ci troviamo di fronte allo sdoganamento totale e alla santificazione dell’omosessualità a 360 gradi.
E nuovamente viene citato Papa Francesco come baluardo di questo cambiamento tutto all’insegna di una Misericordia senza limiti.
E nuovamente viene citato Papa Francesco come baluardo di questo cambiamento tutto all’insegna di una Misericordia senza limiti.
Un altro-alto Prelato che intende far approvare in toto un’eresia circa gli Insegnamenti di Fede in materia di morale sessuale.
Ergo, avere rapporti sessuali con una persona dello stesso sesso non deve essere più considerato peccato e di conseguenza tutti i riferimenti Biblici, da cui deriva la Dottrina, vanno ribaltati. Perchè a questo punto non riscrivere la Bibbia, per risolvere alla radice?
Ergo, avere rapporti sessuali con una persona dello stesso sesso non deve essere più considerato peccato e di conseguenza tutti i riferimenti Biblici, da cui deriva la Dottrina, vanno ribaltati. Perchè a questo punto non riscrivere la Bibbia, per risolvere alla radice?
Nell’ottica del pensiero unificato, il trattamento amorevole impone un divieto perentorio:vietato insegnare ai fedeli cosa è peccato e cosa non lo è.
Perchè non ha più importanza. L’importante è partecipare.
Perchè non ha più importanza. L’importante è partecipare.
comunque si deve dare decisamente spazio anche al bene operato dai sacerdoti nonostante tutte le difficoltà, altrimenti si rischia di "sguazzare" nello schifo facendo da cassa di risonanza al "male"che ha il tempo contato....Sia Lodato Gesù Cristo!
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